Caccia all'uomo

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    C'è solo un modo di chiamare uno stato d'animo, un caos che divora l'anima che tutti provano almeno una volta nella loro esistenza e che quella mattina, svegliandosi, aveva tormentato a lungo l'angelo nero: rabbia, di quella feroce, devastante nella sua totale, mortale serietà utile nella presa di coscienza che le lunghe ore di sonno gli avevano regalato dopo aver assunto, come suo solito, la cura che Sara gli aveva somministrato e che lo rendeva più debole e inappetente del normale. Ci stava pensando ormai da giorni a dire il vero, ma il pensiero aveva preso consistenza solo nel sonno, con l'assurda lentezza che tendeva a corrodere l'animo delle persone più volubili, o specialmente esigenti e già completamente consumate come quello di Raven. E poi si era svegliato, accaldato, grondante di sudore e con una sola consapevolezza che non aveva voluto esplodere, non subito. Almeno fuori era una bella giornata; almeno e forse, si sarebbe detto, più tardi quella rabbia avrebbe trovato una via di sfogo attraverso il suo torace, scavandosi una strada tra le costole per uscire, liberarlo e andare dove solo i sentimenti sapevano... ma non era stato così. A nulla era servito evitare di pensarci e mettersi al lavoro al portatile, con dietro il fantasma della sorella che lo osservava tracciare testi e strofe, estraneo e malinconico come sempre. A nulla erano valse le carezze che gli erano state tanto gentilmente offerte dalla cosa morta e inconsistente che alle sue spalle ricordava, soffriva, piangeva, tremava per qualcuno che non era lui, e a nulla erano valse le risate dei ragazzi che l'avevano guardato apprensivi, arrivando a casa per salutarlo, depredare il suo frigorifero e informarsi del se stesse meglio o le epitassi fossero peggiorate perchè, lo sapevano, non era capace di stare seduto fermo e buono per un momento: aveva avuto la solita chiacchierata, rivolto i soliti convenevoli e poi li aveva salutati cacciandoli letteralmente fuori di casa, non senza sembrare frustrato o addirittura scosso dalla cosa. Dandosi dello scemo nel frattempo, perchè quel pensiero, un frammento di vetro tagliente che alimentava il suo disagio in fondo al cervello, era ancora lì a scavare e recidere per infilarsi sempre più all'interno invece che all'esterno, più a fondo di dove già era.
    La sera, però, non aveva retto il fatto ed erano stati sparsi tanti semi di zizzania quanti i pezzi del vaso che aveva rotto in sala da pranzo, gettandolo a terra mentre si trasformava avviandosi al balcone del piano superiore, in camera, le ali a scivolare lungo la schiena. Frustrato, aveva sistemato le penne nere e passato le mani attraverso il manto piumato, la pelle bianca delle dita come latte nel mare di pece prima di volare e prendere una direzione, una ben specifica. Gli occhi fluorescenti nel loro mare di nero osservavano, trasformati, irrequieti: doveva cacciare e non aveva molta fame a causa delle cure, pur sapendo esattamente la quantità di carne umana di cui si sarebbe dovuto servire per tenersi in piedi come aveva sempre fatto, eppure non sarebbe andato a prendere qualcuno - non nel senso che dava solitamente lui alla parola e non una persona qualsiasi, almeno, perchè quella sera non si sarebbe accontentato. Inoltre quello stesso malcapitato avrebbe soddisfatto certi desideri per lui, e lo avrebbe fatto sotto la minaccia dell'essere divorato: ridendo a voce alta era atterrato sul davanzale di un grande edificio gotico che anni prima l'aveva "ospitato" mandando in frantumi la finestra di una stanza vuota colma di libri, scendendo cauto nel luogo di atterraggio prescelto invasivo e distruttivo, feroce come poche volte prima d'ora. Punto di arrivo: Talamasca. Perchè i guai, per l'osservatore che gli sarebbe capitato tra le mani, erano appena cominciati.


    SPOILER (click to view)
    Per James =)


    Edited by 'Raven' - 9/5/2010, 22:16
     
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  2. James Winwood
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    SPOILER (click to view)
    ed eccomi qua! ha un non so che di inquietante quel "per JAmes =) " di seguito al "Perchè i guai, per l'osservatore che gli sarebbe capitato tra le mani, erano appena cominciati." XD la stanza, nel caso non si fosse capito, è la 7!


    Un venerdì sera di metà settembre incominciava lentamente e pigramente innanzi agli occhi di un James particolarmente tranquillo e ben poco in vena di uscire come sua abitudine, dato che il giorno seguente non avrebbe lavorato – e questo per lui significava svegliarsi all’ora di pranzo, Talamasca permettendo.
    Era stata una settimana impegnativa, ma probabilmente nemmeno più del solito: sapeva solamente che aveva un sacco di voglia di fermarsi un attimo, e come al solito quando lo faceva, lo avrebbe fatto in grande stile.
    Aveva prelevato la cena bella che pronta direttamente alla rosticceria cinese a solamente un paio di isolati dalla sede concedendosi una solitaria passeggiata ristoratrice mano a mano che il cielo cominciava lentamente ad imbrunire, approfittando di quello che si presentava quasi più come una continuazione dell’estate che un inizio dell’autunno vero e proprio. Trovava fantastica, la sensazione del crepuscolo: il momento in cui le cose si tingevano di una calda e avvolgente luce aranciata prima di cominciare a sbiadire lentamente, all’avanzare dell’odore della notte.
    Mentre camminava tranquillamente facendo ondeggiare a ritmo la borsa di plastica che conteneva alcune porzioni di ravioli, spaghetti di riso e carne con verdure dalla dubbia identificazione, oltre all’immancabile birra cinese e le bacchette, si sentiva solamente particolarmente felice di quella carezza che la tiepida brezza serale faceva sulle sue braccia nude, sulla barba non fatta da giorni e sui suoi capelli ben più lunghi del momento in cui era arrivato a Nouvieille (dato che non erano stati toccati da allora), si sentiva felice del profumo che usciva dalla borsa nella sua mano destra, si sentiva felice di quella serata cominciata con il piede giusto.
    Giunto a quella che poteva quasi chiamare casa, quella sera insolitamente vuota, si accomodò nel salotto più interno, quello che dava sulla biblioteca e lui stesso fornito di un discreto numero di romanzi, senza scomodarsi di salire le scale per cambiarsi la maglietta bianca semplicissima, i jeans e le All Star nere ai piedi; aveva già precedentemente predisposto il proprio computer portatile sul tavolino, con pronto il nuovo episodio dell’unica serie tv che seguiva, che gli avrebbe fatto compagnia durante la cena.
    E quand’ebbe finalmente riposto le bacchette, scostando più in là sul tavolo i contenitori vuoti –per sistemare il tutto c’era un sacco di tempo, no?- chiuse il pc con uno schiocco, e dopo un passaggio dal frigorifero della cucina a ritirare una birra fresca, aveva riassunto la comoda posizione sul medesimo divano di pelle sul quale aveva cenato ; la schiena sprofondata nel cuscino posteriore e le gambe distese sotto al tavolino, la destra sovrapposta alla sinistra, aveva quindi intraprendendo la lettura di un romanzo ambientato tra i marinai della Royal Navy del diciannovesimo secolo.
    Completamente ignaro dell’essere colmo di rancore che si stava dirigendo, ali spiegate, ad incrociare la sua strada.
     
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    Il Talamasca era una costruzione spettacolare, qualcosa di talmente grande che gli occhi non potevano spesso e volentieri cogliere tutto in un solo sguardo. Quelli che ci si avvicinavano solo per caso, sulla via di una passeggiata, spesso e volentieri sorpassavano sulla vecchia dimora dalla quale ogni tanto si vedeva uscire una qualche persona che poi, immancabilmente, verso sera tornava per mangiare, dormire, vivere la sua vita. Nessuno sapeva nulla degli ospiti della struttura tranne pochi eletti e nessun occhio estraneo vi sarebbe potuto entrare; era essenziale però abitarci dentro per lasciarsi andare a lunghe occhiate, osservazioni, attente analisi e riuscire ad individuare ogni particolare dell'enorme edificio di metri e metri quadri di spazio tanto lussuoso quanto dedicato al lavoro di un solo, piccolo, miserabile gruppo di umani - leggende viventi o raccoglitori di informazioni che fossero, non gli interessava, gli servivano per quello. Legni pregiati, ceramiche, manifatture, piastrelle decorate ma prima ancora camere con letti e scrivanie, armadi e superfici di noce o ciliegio: particolari totalmente insignificanti, vuoti. Inutili tanto quanto erano divertenti.
    Impossibile d'altronde non ridere nemmeno un po', che la sua fosse disperazione o nervosismo, o ancora confusione: strinse con forza il nodo che aveva in vita e continuò spedito, indossando come unico indumento un lenzuolo nero che strascicava a terra ad ogni passo, ritmicamente. Piedi scalzi contro il pavimento freddo, i marmi, il legno, la moquette. Proseguì dalle stanze libere del sottotetto da dov'era entrato, riempite qua e là di tomi, fino alle camere occupate e ai piani inferiori, sapendo dove andare solo a tentoni. L'ambiente era troppo vasto, le possibilità troppe: una scalinata, poi una seconda verso il basso, ed ecco arrivare un vago odore di cibo, nauseante ai suoi sensi alterati, e il clangore di alcune bottiglie di vetro spostate da un interno, probabilmente un mobiletto. Non c'era bisogno di altro, perchè il piano terra era a portata di gambe e scese cauto i gradini sfiorando le pareti e il corrimano con la destra e poi le ali. Un brivido che corse dalle dita lungo il braccio e il collo, sensazioni che si alternavano facendogli socchiudere appena gli occhi fluo nelle luci basse: ricordava a malapena la sua prima irruzione, la goffaggine, la leggerezza con la quale era entrato irrispettoso delle regole e nemmeno invitato, anche conoscendo quella che era l'osservatrice più anziana lì dentro. Anche con la poca consapevolezza di allora, però, doveva ammettere di essere riuscito a portare via un pezzo del loro sapere, un libro che per quanto fosse stato insignificante, restituito dietro condizioni da lui imposte gli aveva fruttato un buon pugno di conoscenze utili sul resto del mondo sovrannaturale: non ne andava fiero poichè rubare non era nel suo stile, ma non se ne lamentava minimamente e anzi, a volte invidiava quei tempi in cui era stato spregiudicato, libero di esprimere qualcosa di umano nel senso negativo, più di adesso, mentre ora si sentiva in gabbia, chiuso a chiave e senza ossigeno.
    Ai piedi della rampa gli si presentavano due possibilità: destra, verso alcuni salottini, e sinistra, verso le cucine e la sala da pranzo. C'era tanto silenzio da fargli dubitare avesse davvero sentito qualcosa nei minuti precedenti, e di conseguenza rimase a rimurginare a lungo prima un rumore di pagine voltate lo distogliesse dall'incanto, le iridi puntate a terra senza un motivo: procedette facendo attenzione ai suoni, accostandosi all'entrata del salotto, dando solo uno sguardo. Nessuno? Altro rumore di pagine. C'era una stanza adiacente a quella, e alla fine la fonte del suono doveva venire da lì o in alternativa soffriva di allucinazioni sonore: cosa impossibile, non con l'odore di alimenti più intenso di prima, fastidioso e continuo; ebbe la conferma di tutto quando finalmente si sporse leggermente dalla seconda entrata per guardare all'interno, visione seguita da uno scatto involontario delle mani artigliate che si serrarono sul muro e sul legno graffiando entrambi. Avrebbe dovuto prevederlo, ma non aveva mai avuto la propensione per simili calcoli: un battito di ciglia e si scompose in aria, entrando, assumendo all'improvviso sembianze solide quando fu davanti all'unico presente in sala. E cosa gli toccava vedere? Un giovane lettore con barba e occhiali. Patetico, se non avvillente.
    Non si accorse della violenza con la quale si era piegato sul malcapitato seduto e girato a guardarlo in faccia, serrandogli gli artigli attorno alla gola. Provato a spingerlo in avanti, furioso, tentò di bloccarlo al muro sollevandolo di sana forza da terra, i denti da squalo scoperti in un sorriso sardonico a pochi centimetri dalla faccia del bruno appena raccattato. Il tavolino? Forse l'aveva ribaltato scostandolo o ci era solo passato sopra, si trattava comunque di un particolare ininfluente al suo fine: voleva terrorizzarlo, metterlo all'angolo, dominarlo. Le ali contribuivano dalla loro a raddoppiare la sua mole, tese e allargate alle spalle a impedire la vista all'altro di ciò che gli rimaneva dietro, il tutto a dispetto del fatto avesse perfino più stazza in forma umana che in quella angelica: un ringhiare rauco, arricciando il naso infastidito dagli aromi della stanza, prima parlasse sibilando le parole tra le fauci triangolari, affilate almeno quanto lo sembravano. Niente più sorrisi ma solo la voce modulata e piacevole, apparentemente pacata; gli occhi verde fluo dalle sclere nere lo scrutavano a fondo come per sezionarlo in pezzi di carne viva e sanguinante. Esattamente quello che gli avrebbe fatto, se non fosse stato al suo gioco.

    Osservatori... voi non amate raccogliere storie? Fa' silenzio e forse potrei accontentarti... alle mie condizioni. E tu potresti raccontare la tua, di storia, un giorno.

    CITAZIONE
    Forma gassosa: Permette di diventare un tutt'uno con l'aria stessa. Questa forma pero` non e` da confondere con l’invisibilita`: la forma gassosa e` sempre una forma ‘materiale’ percio’ l’angelo resta invisibile ad occhio umano, ma percepibile da chi ne e` in grado. Si smaterializza, ma le molecole restano sempre nell’aria, percio` bersaglio di incantesimi come il congelamento, che hanno a che fare con il fuoco, la paralisi. Inoltre non puo` attaccare quando si trova in tale forma.
    Livello 1 e 2: durata tre turni.
    Turno I

     
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  4. James Winwood
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    La lettura, per James, assumeva quasi un’accezione sacrale nel raccoglimento ed intimità che presupponeva: un momento in cui era possibile chiudere il mondo all’esterno, ed immergersi in una realtà diversa che assumeva, mano a mano che le righe scorrevano,una dimensione sempre più concreta e coinvolgente.
    La narrativa di Patrick O’Brian, da questo punto di vista, non lo aveva mai lasciato deluso: tra i canti dei marinai, gli ordini del secondo ufficiale di turno e gli amichevoli discorsi tra il capitano Aubrey ed il medico di bordo, il dottor Maturin, la mente fantasiosa del giovane vagava tra i flutti di mari a lui conosciuti o ancora mai percorsi, compiendo un’opera di immaginazione che gli permetteva letteralmente di viaggiare senza alzarsi dalla poltrona. Non che non si trattasse di una persona d’azione, anzi: detestava i “ricordi quella volta che abbiamo…?” o i “potremmo fare…” non seguiti da azioni concrete volte al raggiungimento del fine. Ma quel momento, solo lui e la sua immaginazione, era a suo modo insostituibile.
    Immerso nel lento fluire della narrazione, raramente riusciva ad accorgersi di quanto gli avveniva attorno, si trovasse nella propria stanza o nell’affollata stazione dei treni di Nouvieille. Ma il silenzio innaturale in cui versava il Talamasca quella sera era ben più assordante del brusio di centinaia di piedi, nella densità del suo significato.
    Fu per questo motivo che, quando un insolito rumore di stridire del legno giunse alle sue orecchie, il giovane alzò istintivamente la testa in direzione della fonte, che identificò con la porta: ancora probabilmente con i pensieri in una sorta di limbo tra le due realtà, ai suoi occhi apparvero sullo stipite legnoso delle striature che non era sicuro di avere mai visto. Ma non ebbe il tempo di corrugare la fronte, nella sua perplessità ora decisamente lucida.
    Prima di rendersi conto di cosa stava accadendo una mano artigliata, forte e violenta, lo ghermì alla gola. Istintivamente, portò entrambe le mani al collo per allentare la presa della creatura, nel sentire il respiro mozzato improvvisamente e la terra sotto i piedi mancare mentre veniva trascinato nell’aria, per poi essere sbattuto con forza sulla parete alle sue spalle; inutile dire che non riuscì nell’intento di liberarsi, razionalmente sarebbe stato perfettamente consapevole che la sua forza non sarebbe stata sufficiente di fronte a tanta brutalità.. ma quello era un gesto dettato dal mero istinto di sopravvivenza.
    Intontito per il dolore che aveva provato nell’urto all’altezza delle reni e della nuca, le sue mani strette ancora, per quanto ormai immobili, a quella di colui che lo aveva soggiogato con tanta facilità, finalmente riuscì a riprendere il respiro e a mettere a fuoco la creatura – perché di tale doveva trattarsi – che aveva fatto irruzione tanto silenziosamente ed improvvisamente nella stanza.
    Non era un bello spettacolo. Nemmeno molto incoraggiante probabilmente, data la fila di denti appuntiti che brillava nella penombra, vicino, troppo vicino al suo capo immobilizzato contro la parete. Gli occhi del giovane percorsero il volto deformato della creatura dalle enormi ali nere che lo isolavano dal resto della stanza, i suoi lineamenti contratti in una smorfia che di umano aveva ben poco, per poi fermarsi negli occhi dalle iridi che sembravano quasi luccicare sinistramente, nell’intensità del colore verde del quale erano dotate le iridi. Un angelo, un caduto, una creatura terribile e colma di rancore.
    Nel ringhio basso che fuoriuscì tra di denti serrati, James percepì, distintamente, arrivare la sua fine. Lo leggeva in quegli spietati occhi penetranti: non avrebbe nemmeno avuto il tempo di avere effettivamente paura né di chiedersi il perché, immobilizzato contro la fredda parete ostile che premeva sulle sue scapole. Ma, per il momento, si sbagliava.
    Il caduto cominciò a parlare, la voce sinistramente soave e carezzevole che, rapportata all’aspetto della creatura, aveva l’effetto di risultare ancora più atterrente di una voce greve di rancore.
    Ma quelle parole, fin dal principio, provocarono in James una sorta di dissociazione interiore: era terrorizzato ed era, al tempo stesso, magnificamente colmo di vita, che sentiva esplodere nel petto ora come fermezza, ora come rabbia, ora come volontà di ribellione.
    Sostenne lo sguardo dell’angelo senza rendersene conto del tutto (lo stava veramente guardando?), mentre dalle sue labbra uscivano faticosamente – a causa della pressione sulla gola esercitata dalla creatura, due parole che, nonostante la fermezza apparentemente sconcertante, esprimevano in modo sufficientemente evidente la dualità in cui versava il giovane: angoscia e vitalità, rabbioso desiderio di vivere sopra ad ogni altra cosa.
    “Cosa vuoi?”
    Sospeso e abbandonato contro il muro, prigioniero della forza della creatura che aveva di fronte, rimaneva immobile respirando lentamente e faticosamente senza distogliere lo sguardo dalle iridi di lui. Le mani a stringere quella che gli serrava il collo non esercitavano più alcuna pressione volta a liberarsi. Attendevano immobili anche loro la risposta di colui che teneva tra le mani il destino del giovane Osservatore.

    CITAZIONE
    PERCEZIONE DEL SOPRANNATURALE
    Liv. I - L'osservatore percepisce energie solo se queste provengono da esseri plurimillenari o di alto livello (se sono in grado di nascondere la loro energia no) Si accorge che l'essere che ha davanti non è umano solo se questo presenta evidenti segni soprannaturali. (Pallore accentuato, canini, ali, code etc etc)

     
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    Un battito regolare, normale. Il palpitare del cuore sentito grazie al contatto del palmo destro con la gola della sua preda, pelle a pelle, sembrava procedere senza subire drastiche riduzioni o improvvisi aumenti di velocità, non debole, non forte, nemmeno dipendente da quanto gli artigli stringevano o meno sulla gola altrui. Distratto ad ascoltarlo nel suo ritmico scorrere, invogliato ad assaggiare l'Osservatore appena catturato - come si soleva dire - nella rete, Raven gli faceva scorrere lo sguardo addosso decidendo secondo canoni del tutto personali quanto quello fosse un soggetto affidabile di cui potersi servire, non prima di averlo scrutato abbastanza a lungo e intensamente da farsi un'idea precisa sul come fosse o reagisse alla sua presenza. La prima occhiata aveva rivelato solo un lettore come un altro, bruno di capelli e scompigliato, con un po' di barba ad accompagnare i tratti giovani del viso concentrato su un volume a lui sconosciuto; ora come ora invece, riuscendo ad osservarlo meglio, poteva notare altri piccoli, significativi particolari persi nel miscuglio di vestiti estivi e nell'odore di cibo (cinese?) che oltre ad invadere l'ambiente, gli pizzicava il naso provenendo dall'umano sotto i suoi occhi. Pazienza, non poteva certo costringerlo a sventrarsi per eliminare il piccolo fastidio - pur ammettendo sarebbe stato parecchio divertente - ma un'immersione in una tanica di acqua di colonia, quella non gliel'avrebbe tolta nessuno. O in alternativa gli avrebbe fatto fare un po' di bungee jumping dalla finestra, dopo averla aperta per disinfestare l'ambiente, si intendeva. Comunque, non era certo un luminare di fisiognomica, ma sfruttando alcune buone decine di libri letti sull'argomento qualcosa poteva coglierla tra un'espressione e l'altra e, sorpreso da come il giovane stesse sostenendo una visione integrale di un angelo in vesti naturali anche abbastanza raccapriccianti, poteva dirsi soddisfatto della prima impressione, soddisfazione evidentemente esternata da quel suo sorriso piuttosto macabro, un ghigno contenuto che tornò presto ad essere solo la linea delle labbra, appena piegata verso l'alto nell'angolo. Quegli occhi verdi pieni di vita, così presi dalle sue parole che il resto del corpo stava pian piano smettendo di combattere contro la sua presa - cosa del tutto inutile data la quantità di rabbia che poteva riversargli addosso in qualsiasi momento, sotto la minima pressione - gli ricordavano quelli che aveva avuto lui a suo tempo e che aveva ancora alle volte alla prospettiva di soddisfare la propria legittima sete di sapere, e tanto gli bastava per decidere l'esito della situazione sul momento: iniziò ad abbassare il corpo tenuto inchiodato al muro per la gola affinchè toccasse terra, poi diminuì la stretta senza lasciare l'individuo, accompagnandone il ritorno al pavimento con più delicatezza. Gli era difficile credere il ragazzo potesse anche solo sperare di affrontarlo nelle sue condizioni, e poi aveva sentito quelle due parole tanto importanti da uscirgli di bocca perfino in una situazione di chiaro pericolo: Cosa vuoi? Ebbene, gliel'avrebbe detto ma, indovina indovinello, non era difficile capirlo.

    Voglio darti quello che un osservatore come te potrebbe soltanto sperare di desiderare: qualcosa da scrivere nei tuoi libri. La voce, pacata quanto prima, risultava abbastanza bassa da farla sembrare una conversazione privata. In effetti lo era, pur non essendoci nessuno a parte loro, nell'edificio. E lo farò in maniera del tutto gratuita, se prometterai di fare bene il tuo lavoro. Non credo tu voglia rifiutare, no? Finalmente gli lasciò la gola, ma in compenso lo prese per la spalla destra con la mano corrispondente e lo spinse al muro, infilando tanto gli artigli nella maglietta da pungerlo. Gli aveva appena dato un secondo scorcio delle zanne piuttosto affilate troppo vicine al suo viso nel frattempo, ma era solo per chiarificare con lui un paio di questioni. Nel caso volessi tirarti indietro, il centro reclami è attualmente fuori servizio, perciò temo sarai costretto a venire riciclato come cena se non ti dispiace... scusa, ovvio che non ti dispiace. Devo pur sopravvivere.

    Stavolta lo lasciò veramente, facendo un passo indietro e scuotendo le ali dietro di sè per dargli una sonora sgranchita muovendo al contempo un po' di aria nella stanza. Al solito se restavano immobili per troppo tempo si affaticavano, quindi passò a ripiegarle a contatto con la schiena dove, se fosse stato in forma umana, non avrebbero potuto nascondere la bruciatura a forma di croce tra le scapole ora impossibile da vedere, assorbita, esattamente fra un osso di attaccatura degli arti piumati e l'altro; diede le spalle all'osservatore, si diresse a dove il tavolino era evidentemente stato ribaltato - troppa irruenza, quella con la quale era comparso davanti al ragazzo - e lo rimise nella sua posizione originale prima di accostarsi ad uno dei divanetti spaparanzandocisi sopra con indifferenza e un sorriso accuminato a coronare il tutto. Allora, non ti siedi?

    Edited by 'Raven' - 15/5/2010, 17:50
     
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  6. James Winwood
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    Lunghi istanti di silenzio, nel quale sentiva gli occhi della creatura penetrargli nelle carni, e la gola pulsante e intorpidita nella stretta artigliata della mano dell’angelo. Le proprie mani, serrate ancora contro di essa nella loro immobilità, ne saggiarono la rigidità e la forza soprannaturale nei singoli muscoli contratti senza alcuno sforzo, nonostante la creatura stesse reggendo fermamente oltre settanta kili di carne, ossa e sangue con un unico braccio.
    Era difficile per l’Osservatore, in quel momento, trovare la lucidità per fare le proprie considerazioni ed elaborare qualche strategia per uscire vivo da quella fastidiosa faccenda: attendeva immobile una risposta che non tardò ad arrivare, nonostante l’attesa sembrasse ai suoi sensi completamente in allarme protrarsi per un lasso di tempo ben più lungo. Non avendo distolto gli occhi dal volto del proprio aguzzino, osservò il come le labbra dell’angelo, vicinissime, si incurvavano nuovamente in un mezzo sorriso soddisfatto, ben più simile ad un ghigno e decisamente poco rassicurante; ma sentì anche, nel contempo, la presa che rendeva tanto difficile il suo respiro finalmente allentarsi, mano a mano che in suoi piedi riguadagnavano lentamente il solido piano d’appoggio del pavimento. Quando finalmente vi giunsero, le sue gambe tremarono leggermente nel riacquistare la propria funzione, intorpidite ed irrigidite dallo sforzo.
    Ma non permise a se stesso di lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento, mentre l’angelo lo tratteneva ancora immobilizzato contro alla parete. Nonostante il suo essere completamente soggiogato dalla creatura, la sua schiena eretta, le spalle abbassate ed il capo ugualmente diritto a sostenere lo sguardo del proprio aguzzino gli conferivano la dignità di un prigioniero di fronte all’inevitabile destino che, almeno all’apparenza, sarebbe stato pronto ad affrontare.
    La creatura parlò, allentando definitivamente la presa dalla gola di James mentre questi lasciava lentamente le proprie braccia ricadere lungo i fianchi; il peggio sembrava passato, ma dovette immediatamente ricredersi quando, con un gesto improvviso e denso di significato, la mano dell’angelo gli serrò la spalla destra spingendolo nuovamente ad urtare il muro con decisione. Una smorfia si dipinse sul volto del ragazzo, mentre sentiva gli artigli di lui perforare il leggero strato di tessuto e immergersi per un breve tratto nella sua spalla, e mentre il caduto gli dava una nuova, chiara visione delle sue zanne nel rimarcare tanto sarcasticamente la mancanza di possibilità di scelta dell’umano. Una smorfia contenuta, ferma, che non esprimeva solamente dolore quanto rabbia: rabbia per essere stato pescato tanto improvvisamente e violentemente in casa propria, rabbia per la dignità che gli era stata sottratta tanto deliberatamente da un genere di creatura che conosceva a stento, rabbia per il sapersi quasi impotente in quella scomoda situazione da cui, al momento, non vedeva altra via di uscita del dare alla creatura quanto aveva sibillinamente richiesto. E tale eventualità non gli aggradava nemmeno un po’, pensò dubitando con sarcastica ironia delle parole con le quali l’angelo aveva risposto alla propria domanda. In effetti, quella risposta lo aveva lasciato leggermente perplesso: non era infrequente che una creatura si rivolgesse al Talamasca per fare ordine dentro se stessa, ma il modo con il quale l’angelo lo aveva fatto non poteva impedirgli di sospettare che quello non fosse realmente il suo scopo.
    Riuscì ad arginare anche questo moto di ribellione, mentre l’angelo gli dava le spalle e, ripiegando le enormi ali neri, raddrizzò perfettamente a suo agio il tavolino che nell’urto aveva rovesciato e prendeva comodamente posto sulla poltrona dirimpetto a quella nella quale il giovane Osservatore era collocato prima della sua irruzione. Impiegò invece quei pochi istanti in cui era nuovamente libero per riflettere velocemente sulla propria situazione.
    La realtà era che non aveva idea di quali fossero effettivamente le capacità di una creatura maledetta di tale fatto, si rammaricò osservando un lembo del drappeggio nero del soggetto in questione strisciare dietro di lui nel suo moto. Non dubitava però del fatto che la vita o la morte degli esseri umani non lo toccasse minimamente, anzi, avendo probabilmente più simpatia per la seconda delle due opzioni. Dal canto suo, James era perfettamente consapevole della propria limitatezza: recava seco sia fibbia che anello – benedisse mentalmente Dio, Allah, il Fato, Ganesh, lo Spaghetto Volante e tutto ciò che gli passò per il capo per non essersi cambiato d’abito una volta rincasato-, ma si rendeva perfettamente conto che la loro utilità si sarebbe consumata nell’immediato: avrebbe avuto bisogno di una buona idea per sopravvivere, se si fosse messo contro il volere della creatura che gli dava tanto spavaldamente la schiena.
    Al suo invito a sedersi, dovette arginare un terzo moto di ribellione, ben occultato dietro alla maschera di cera neutra a cui il suo volto assomigliava. Non era tanto stupido da dare all’angelo una risposta apertamente caustica, cosa che avrebbe desiderato, in quel momento, sopra ogni altra – eccettuata, ovviamente, una repentina dipartita dalla sede del caduto. E, nell’ottica che mancava totalmente di un piano per avere una minima possibilità di cavarsela, non ebbe altra scelta che assecondare il volere dell’angelo e raggiungere il divanetto di fronte a quello occupato da lui, muovendosi con una certa rigidità che, però, sapeva di tranquilla fermezza.
    Si sedette compostamente senza appoggiarsi allo schienale, mentre scostava il libro semiaperto per farsi spazio e concedendosi per un attimo di distogliere lo sguardo dall’angelo per chiuderlo ordinatamente. Quando i suoi occhi smeraldini incontrarono per l’ennesima volta quelli della creatura, non vi era traccia di emozione alcuna, così come nelle parole
    “Sono tutto orecchi”
    Non si poteva scorgere sarcasmo né curiosità o un interesse vero e proprio, nella loro imperscrutabilità: in effetti il fastidio, rabbia, timore provati da James, nel bilancio complessivo del suo animo, erano di gran lunga più pesanti della curiosità che poteva provare nei confronti di colui che gli sedeva di fronte, in quel momento. Certa era la consapevolezza che si trattava di una creatura naturalmente malvagia ed incapace del sentimento umano della pietà o dell’amore: una creatura che, avendo avuto scelta, non sarebbe stato del tutto sicuro di voler incontrare.
     
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    Tecnicamente non riusciva a capire cosa ci fosse che non andava: ambiente perfetto, accogliente, forse un po' di casino qua e là - colpa sua, lo ammetteva - ma nulla per cui fosse il caso farsi grandi problemi. C'erano anche divani comodi, non meglio dei suoi di casa, ma sempre qualcosa di utile la facevano, e allora a questo punto si chiedeva solo se fossero le nuove generazioni ad essere cambiate o se era lui ad essere invecchiato tanto in fretta... beh, per modo di dire. Nuove generazioni poi, era tutto dire guardando il giovane osservatore fare la sfilata rigido come uno stoccafisso per andare a sedersi, dirigendosi al divano di dirimpetto al suo: no, proprio no, che orrore. Nemmeno un minimo di scioltezza, sembrava che non possedesse il minimo di elasticità muscolare e peggio, si fosse infilato in posti poco piacevoli un manico di scopa. Pensava forse di mantenere un minimo di dignità in quel modo? Se la sua concezione di quella parola era farlo ridere ci sarebbe anche riuscito egregiamente, peccato non gli servisse un baccalà affumicato con cui parlare, non quella sera, o avrebbe fatto meglio stando a casa a conversare col muro. Anche se addentarlo un po' per smuoverlo poteva essere un'idea. Continuò a guardarlo mentre lo osservava sedersi e fare comparsa sotto forma di voce nelle sue orecchie prima di proporgli alla vista una smorfia chiaramente insoddisfatta, schiacciandosi bene contro lo schienale, le braccia allargate sui bordi dello stesso. Dall'espressione il bruno non sembrava chissà quanto disposto ad ascoltarlo se non secondo le regole dell' "impara a memoria e sopravvivi", e a che gli serviva un registratore umano? Avendone bisogno, avrebbe potuto direttamente mettersi su cd e gli strumenti non gli sarebbero mancati; tuttavia intuiva di averlo sballottato troppo per un essere umano senziente, almeno sotto certi punti di vista, e integrare con un po' di buone maniere non poteva essere un male per nessuno dei due se voleva ottenere quanto desiderava.

    Ah, certo, capisco. Ancora bello spremuto sul divanetto, portò in avanti il busto e poggiò i gomiti alle ginocchia piegate, guardandolo come dando per scontato gli pervenisse telepaticamente quello che lui intendeva - lo poteva anche fare apposta per divertirsi e tanto non se ne sarebbe accorto nessuno. Ora mi dirai che ti senti costretto e bistrattato, che la vita è ingiusta e che non vuoi stare qui a fare da resoconto ad un angelo nero. Va bene. Battè le mani. Vuoi uscire? Quella cosa quadrata dietro di me è la porta, prego, inforcala, sparisci. Scrollò le spalle con uno scatto, seccato più di prima, anzi, mortalmente serio. Non mi fido di voi Osservatori: io non vi piaccio, e voi non piacete a me. Ma mi servite, o meglio, dal momento che ho trovato te, tu mi servi, che ti piaccia o no. Stavolta si rimise di nuovo indietro allo schienale, ma le ali attutirono il rumore della pelle che scricchiolava, e le piume accarezzarono morbidamente la copertura mentre apriva le ali per lasciar loro un po' di svago. Poggiò un gomito al bracciolo, e le tre dita andarono a sostenere la fronte, la testa piegata e il ciuffo bicolore tirato all'indietro perchè non intralciasse lo sguardo verde che puntava dritto al ragazzo. Un sospiro.

    Abbiamo iniziato col piede sbagliato, suppongo. Dimmi, come ti chiami? Era fin troppo palese tentasse di non ottenere una seria ostilità e scommetteva anche ne avrebbe suscitata di peggiore, ma poco gli importava: almeno avrebbe saputo come chiamare il suo nuovo interlocutore e, seconda cosa, avrebbe sciolto un po' la situazione. Mi sembri giovane per essere già del Talamasca, ma è una fortuna non esistano solo vecchie e polverose streghe scorbutiche dai capelli rossi. Rise per il chiaro riferimento ad Haru, che considerava almeno quanto avrebbe considerato la sua governante, e proseguì.

    Sono qui solo perchè voglio mettere al sicuro la mia storia e quello che so negli anni a venire, per tua informazione; diciamo che io vi presto le informazioni e voi mi prestate il servizio, come foste una cassetta di sicurezza bancaria. Quello che volete farci - a parte divulgarle, ovviamente - è affar vostro. Dimenticavo le buone maniere: puoi chiamarmi Raven. In genere do il nome più formale, ma questa è un'occasione speciale, dico bene? Tentò di sorridere ma a parte uno stiramento di labbra, le zanne gli permettevano di ottenere sempre e solo - o quasi - quello che sembrava un ghigno sarcastico. Ma perchè curarsene se non gli fregava nemmeno dell'ostilità del lettore nei suoi confronti? Quella piccola conversazione campata per aria, oltre a fare da breve introduzione, dava l'impressione la pensasse più o meno al contrario... cosa che in fondo, almeno un po', era vera.

    Edited by 'Raven' - 18/5/2010, 01:09
     
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  8. James Winwood
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    Un netto cambiamento, il passare da minacce a parole vere e proprie, osservò James con un ironico, ma genuino, sollievo e leggera curiosità che, finalmente, era quasi libera di emergere. Il suo non sentirsi particolarmente bendisposto nei confronti della creatura non era affatto scomparso, ovviamente, ma la prospettiva dall’angelo posta a James, quella di inforcare la porta e sparire, si fece un primo passo più distante. In senso metaforico ovviamente, essendo una prospettiva decisamente sconveniente per la sua salute fisica e psichica, il fare tanta scortesia ad un angelo nero.
    Il cambio di atteggiamento vero e proprio, alle sue orecchie, giunse con quella aperta dichiarazione d’intenti di lui: il fatto che fosse lì consapevole di non piacere e ricambiando tale sensazione, ma perché necessitava di qualcuno di loro.. il che poi la necessità fosse trasformata nella sua mente nell’accezione dell’ “allora otterrò quello che voglio punto” era, tutto sommato, secondaria, agli occhi dell’Osservatore. Era ovvio che una creatura di tale fatta e dotata di tanto potere finisse per assumere una tale arroganza.
    Si appoggiò allo schienale, guardando attentamente il proprio interlocutore con aria che, nella sua neutralità, appariva semplicemente tranquilla e, forse, quasi curiosa. Osservò il come acquistava quella posizione disinvolta ma che al tempo stesso, nei drappeggi della veste e nel pallore marmoreo della pelle, aveva un nonsochè di statuario, che contrastava evidentemente con l’aspetto giovanile nella corporatura tonica e nel ciuffo di capelli accesamente bicolore, rosso e nero corvino, unico punto di colore della sua figura oltre agli occhi di un verde che di umano aveva ben poco, per non parlare delle sclere nere. Si stupì intimamente di quanto gli occhi fossero una componente significativa delle sue analisi: basti pensare alla rilevanza che avevano assunto nell’incontro con Katina.
    Ora gli occhi dell’angelo lo fissavano in modo fermo, ma non apparentemente ostile. Chiese il suo nome, osservando il quanto James sembrasse giovane per l’incarico che svolgeva. L’epiteto con il quale fece palesemente riferimento ad Haru gli strappò persino un lieve sorriso. Non fu difficile per James constatare, con uno leggero stupore, il quanto quell’atteggiamento contrastasse con quello che la creatura aveva avuto nel comparirgli di fronte: e all’Osservatore sembrava evidente che, probabilmente, nel suo disegno doveva essergli più utile una persona più bendisposta di quanto si sentisse lui in quel momento. Non che questo significasse fidarsi in una qualche misura del proprio interlocutore, ovviamente -d’altronde come avrebbe potuto? Era stato sbattuto contro al muro fino ad un attimo prima..-, ma nel ragazzo si fece strada l’idea che la creatura non avesse serie intenzioni offensive nell’immediato, nonostante le minacce. Ma a questo punto non riusciva per l’appunto a comprenderle appieno, alla luce del fatto che una presentazione formale di lui avrebbe semplificato le cose in una maniera netta; forse voleva essere preso sul serio, forse si era semplicemente divertito a soggiogare un essere sorpreso nella propria tranquillità, più probabilmente entrambe. Se non altro, aveva dato a James una chiara immagine di quello che fosse realmente e che sarebbe successo se avesse fatto marcia indietro, cosa che non avrebbe potuto essere resa con la stessa intensità a parole. Quella prospettiva lo infastidiva, ma se non altro era una dichiarazione piuttosto onesta.. e già si rendeva conto che, in effetti, non avrebbe potuto essere altrimenti, nel trattare con creature di tale fatta.
    Quando rispose alla domanda di lui, lo fece con un tono leggermente diverso: più disteso, che rispecchiava molto più di quanto avesse detto fino a quel momento la personalità del ragazzo.
    “ James. E in effetti, vi sono giunto solamente da pochi mesi”
    Non che si sentisse affettivamente tranquillo, ovviamente. Aveva semplicemente messo quelle emozioni da parte, concentrandosi maggiormente nell’immediato e, quindi, sui segnali che avrebbero preceduto un ennesimo cambio di atteggiamento dell’angelo. Quella sorta di dissociazione tra l’apparire e la propria interiorità, tutto sommato, non era una cosa troppo difficile da ottenere, nell’ottica che lo scopo era una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
    L’angelo si presentò a sua volta con quello che definì il nome non formale, quello vero: Raven. Sorrise leggermente in risposta alla sua ultima affermazione, per quanto il sorriso cortese non si estese agli occhi. La richiesta di Raven non era dissimile da molte altre, ma era il soggetto che la poneva a lasciarlo decisamente perplesso. Come poteva un angelo, una creatura eterna ed immutabile di tale fatta,che si presentava tanto sicura di se stessa e della propria forma, necessitare di un “conforto” tanto terreno?
    Non solo per trovarvi una risposta –che non era affatto sicuro giungesse-, ma quanto per poter prendere le misure sul cosa Raven si aspettava dall’Osservatore e, soprattutto, sul fino a che punto lui si poteva spingere, che scelse di porgli una semplice e schietta domanda, sostenendo ancora una volta lo sguardo dell’angelo con tranquilla fermezza.
    “Posso domandarti il perché?”
    Non vi era, in esse, quel rispetto che aveva avuto nel parlare con Katina; ma era una domanda sincera e priva di malizia, e pertanto, a suo modo cortese.
     
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    Ora che osservava un minimo di reazioni rilassate alle sue parole poteva dirsi soddisfatto, sebbene non avesse alcuna intenzione di evitare di farsi odiare dal ragazzo - cosa legittima da parte sua per il modo in cui l'aveva trattato, e apposta, oltretutto. In primo luogo per propria salvaguardia, perchè anche non sembrandolo era debole, sopratutto più stanco e malato di quanto il ragazzo avrebbe potuto immaginare; in secondo perchè ottenere troppa confidenza poteva essere controproducente per entrambi e, in più, costare all'Osservatore molto caro dal momento non si era alimentato in serata: Raven cercava di tenere alto il proprio regime alimentare ma se non c'era abbastanza di cui servirsi, nulla impediva all'organismo di spegnere il cervello e fare il dovuto da solo - cosa che in effettiva rappresentava un'altra delle motivazioni del fatto fosse lì. Venne a conoscenza del nome non molto dopo, mentre accavallava le gambe tentando di mettersi comodo: sentiva un fastidio tormentarlo alla base della schiena fin da quando aveva assunto la sua vera forma, ma non ne capiva il perchè. In ogni caso aveva recepito pefettamente il nome del lettore, James, evidentemente una forma pseudo-nobile, qualcosa che nel cinquanta percento dei casi faceva concorrenza ad un cognome altolocato; a prima vista non sembrava però un damerino, anzi, avrebbe promesso bene al pubblico femminile, in futuro, se solo non fosse sembrato così sciatto. Problemi non suoi, comunque. Contemporaneamente alle presentazioni, gli venne da pensare anche altro: che fosse l'atteggiamento del ragazzo o meno, si poteva dire James lo trattasse con la falsa cortesia di chi ha paura e si sente a disagio, totalmente diversa da quella senza scopi con la quale gli piaceva ingannare il pubblico ignorante. Lo guardava negli occhi, tra le altre cose, un gesto di coraggio che non passava inosservato e che pur stonando col ragionamento precedente non lo infastidiva minimamente, dal momento gradiva - sotto certi punti di vista - chi lo sapeva affrontare a viso aperto, anche tra chi decideva fosse un suo pasto. Era difficile che venisse fatto tra persone normali, figurarsi con lui, che pure in forma umana non perdeva l'innaturale fluorescenza delle iridi! Apprezzava lo sforzo - tuttavia perso nel calderone di gesti e parole - così come apprezzò e rimase allo stesso tempo perplesso alla domanda del giovane.

    Qualcuno, per questa, la potrebbe prendere male, sai? Conosceva qualche bisbetica a cui aveva fatto scoppiare il portone di casa, o ancora un vecchissimo vampiro dall'aspetto di un ragazzino tanto permaloso da fischiare fumo dalle orecchie per una simile questione. Per fortuna non sono il tipo, ma ora capisco com'è che sei finito qui. Una risata bassa e spontanea si perse nell'aria qualche istante dopo, accompagnata dall'ammicare sornione delle palpebre abbassate prima tornasse a fare la persona seria. Dato ti dovrò raccontare vita, morte e miracoli o giù di questo passo, penso di potertelo dire: ne ho bisogno. Non ho una memoria eterna e mi è già capitato fosse cancellata totalmente, o ancora, che ne perdessi dei pezzi. Non vorrei succedesse di nuovo, non me ne verrebbe niente in tasca e sarei un pericolo per me stesso e per voi, in quel caso. Le ali abbassate strusciarono a terra avanti e indietro, ondeggiando, come se fosse nervoso - in realtà lo era, e simili pensieri gli rendevano difficile reprimere la rabbia che aveva mostrato solo pochi minuti prima. E poi, un po' di comprensione per un malato terminale. Un sorrisetto ironico gli spuntò alle labbra, meno spontaneo di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Nel caso dovessi andarmene - e se mai succedesse, so dove andrò a finire - vorrei rimanesse qualcosa di me, da qualche parte. Tu la puoi chiamare Superbia, io la chiamo "so che non sono esattamente la persona migliore con cui fare amicizia", in ogni caso preferirei non venire dimenticato dopo la morte dei miei protetti. Terrore di non esistere, irrazionale e incontrollabile. Non gli facevano nulla la solitudine o il dolore, ma non poteva sopportare l'idea di tornare un contenitore vuoto senza memoria o ancora, di sparire per sempre dalla faccia della terra. Sapeva di per certo i ragazzi della band non l'avrebbero dimenticato tanto presto anche se non ne capiva di preciso il motivo, e nemmeno Katina o Sara, ma non c'era certezza sopravvivessero tutti ai secoli... anzi, date le premesse, nessuna.

    In realtà non si tratta solo di questo. C'è anche la storia di due persone che voglio sia conservata con la mia. Le iridi assunsero una sfumatura più chiara, e la fluorescenza sembrò diluirsi prima di tornare intensa quanto prima, al solo pensiero di loro: Michael e Shannon, i due gemelli. Da loro aveva avuto origine tutto o non sarebbe mai esistito un Raven, una band, una casa che gli appartenesse e un fantasma dal passato, e in un certo senso erano le uniche cose per cui, anche non esprimendosi a parole, il caduto riportasse involontariamente a galla un minimo di sentimento, pur nell'accezione esclusivamente negativa. Malinconia, rabbia, ma sopratutto dolore e invidia per l'accaduto erano le sensazioni più presenti, ma anche altro - il desiderio, la voglia, il risentimento, il dispiacere, la vendetta che aveva già consumato su mezza umanità o quasi. Per loro, e per sè stesso.

    Adesso sei disposto ad ascoltarmi, o dovrò costringerti? Non lo voglio fare, credimi, perchè preferisco qualcuno di genuinamente interessato ad un registratore automatico. Sta a te la scelta.
     
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  10. James Winwood
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    Ascoltò la risposta di Raven con estrema attenzione, riflettendo su quanto da lui asserito senza mutare espressione tranquilla, ma inevitabilmente e fermamente fredda. Dubitava che l’angelo si aspettasse qualcosa di diverso, ma davvero non era in grado di evitare di corrispondere alle sue aspettative, né si sentiva di farlo. Non gli piaceva quella creatura, non gli piaceva nemmeno un po’: e non si trattava di un giudizio, quanto di una mera constatazione dei fatti, dal momento che la comprensione eterna apparteneva agli angeli del signore, non agli esseri umani. E quella creatura, la sua stessa esistenza e natura, esulavano completamente dalla sua facoltà di comprendere, per quanto potesse sforzarsi. Era una creatura che non poteva essere giudicata in quanto naturalmente ed inevitabilmente malvagia, non sapeva nemmeno di preciso se avesse potuto effettivamente avere una scelta. Comprensibile il fatto, quindi, che si permettesse di essere piuttosto restio nell’offrirle quel rifugio che il Talamasca costituiva per le creature che studiava.
    La risposta che diede alla domanda di James era perfettamente lineare, e per questo gli diede l’impressione di essere decisamente vera: era una sorta di ricerca dell’immortalità a prescindere da quella effettiva, un modo per continuare a vivere nel caso le cose per l’angelo non andassero come previsto (erano immortali, o no?). Una pulsione molto umana, che pronunciata da quella creatura ebbe l’effetto di venire amplificata ed approfondita assumendo un’importanza ancora più solenne nella sua mente.
    Non gli fu dunque difficile comprendere quella motivazione, se effettivamente corrispondeva a verità. A prescindere, questa supposizione non l’avrebbe certamente fatto rilassare, anzi: probabilmente non avrebbe avuto pace fintanto che il caduto non se ne sarebbe andato definitivamente da quella che poteva chiamare casa sua; comprensibile che quindi l’idea di raccoglierne le memorie non gli andasse particolarmente a genio. Al tempo stesso però, dovette ammettere a se stesso di essere, ormai, ben più interessato e curioso nei confronti di colui che si trovava di fronte a lui di quanto la razionalità e l’istinto di autoconservazione potessero permettergli. Da quanto viveva? Era nato come creatura maligna, o c’era stato un tempo in cui aveva camminato sulla terra come essere umano, con una propria morale totalmente assimilabile all’umanità alla quale apparteneva? Ma la domanda più grande era una parolina piccola e pregna di significato al tempo stesso: perché.
    Avrebbe voluto dire molte cose in risposta a quanto da Raven asserito, se solo fosse una prospettiva prudente e raccomandabile. Non poteva, probabilmente, avere altro che una vaga idea di quello che Raven era in grado di fargli nell’eventualità decidesse che il ragazzo non gli serviva più, per non parlare dell’eventualità che lui lo infastidisse facendogli una sorta di morale (che prospettiva ilare!).
    Ciò nonostante, le parole che infine scelse di pronunciare probabilmente non lo erano affatto, ma sentiva distintamente di non poterne fare a meno: e non solo per quella componente di fastidio che provava di fronte a Raven, quanto razionalmente per una questione di correttezza nei confronti del suo interlocutore. Non che fosse dovuto ad una sorta di rispetto nei suoi confronti quanto, in realtà, per se stesso.
    “Se non volevi un registratore automatico, avresti dovuto evitare di presentarti tanto.. irruentemente, temo.”
    Il tono della sua voce, fresca e vivace, era appiattito da una tranquilla freddezza che dava alla frase l’aria di essere una mera constatazione dei fatti più che un rimprovero vero e proprio, cosa che in effetti era dal momento che il rimprovero presupponeva un giudizio che James si prefissava di evitare di formulare, riconoscendo che quello che ne sarebbe derivato sarebbe stato decisamente incompleto e troppo influenzato dal suo umano e disinteressato punto di vista.
    “Ciò nonostante farò quello che mi chiedi e lo farò al meglio delle mie capacità; lo avrei fatto comunque. Perché sì, il racconto di cui vuoi mettermi a conoscenza mi interessa eccome.”
    Affermazione completamente sincera e volutamente semplice, che enfatizzava l’intrinseca mancanza di giudizio in quello che diceva.
    Temeva l’angelo, ma questo non gli aveva impedito di rivolgergli parole di quel genere, che avrebbero potuto essere interpretate come quasi provocatorie da un animo bellicoso (e quello di Raven gli dava l’impressione di esserlo alquanto). Non era molto saggia, probabilmente, la sua schiettezza. Ma se era certo di una cosa, era che fingere sarebbe stato completamente inutile: non avrebbe potuto risultare vagamente utile o interessante agli occhi di Raven se si fosse comportato in modo tanto poco coerente con se stesso. Almeno evitando di assumere ruoli che non sarebbe stato in grado di sostenere, forse, avrebbe avuto una possibilità di salvare la pelle dalle ire della creatura.
    Lo sperava con tutto se stesso.
    Una breve pausa suggellata da un respiro profondo, durante il quale si concesse per un momento di distogliere lo sguardo dall’angelo, prima di continuare in modo leggermente più caldo, nonostante lo sguardo fermo nuovamente sul volto della creatura mantenesse una certa, neutra freddezza. Era assolutamente inevitabile che così fosse, e non era intenzione di James curarsi di dimostrare il contrario.
    “Se la cosa non ti disturba, preferirei prendere il registratore, di sopra. Se non ti fidi seguimi pure, anche se non dubito del fatto che tu non abbia affatto bisogno del mio consenso.”
    Sorrise leggermente nel pronunciare le ultime parole: un sorriso eclettico, sì, ma che di provocatorio non aveva alcunché, trattandosi di una constatazione decisamente vera. In effetti, al posto dell’angelo lui non si sarebbe fidato, per quanto poco pericoloso potesse costituire uno studioso alle prime armi come lui. Aveva semplicemente dato a Raven, cortesemente, la possibilità di seguirlo dietro ad un invito evitandogli di esprimere in altro modo la sua diffidenza, o semplicemente imponendo al ragazzo la sua presenza.
     
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    Convinto o non convinto? Difficile dirlo con certezza, sorridendo al discorso sull'irruenza, una caratteristica che non mancava mai di sorprendere chiunque se ben impiantata - aveva fatto delle radici solide oramai - nel carattere di un angelo nero, specialmente nel suo. Si limitò a fare solo quello, però, accavallando una gamba sull'altra senza dire nulla, forse divertito, forse soltanto contento del non dover faticare a doversi muovere ulteriormente per costringere il ragazzo. D'altronde, non era quello l'effetto che aveva voluto con la sua entrata a sorpresa? Prevedibilmente, si, e ben gli stava, che la pensasse diversamente o meno: aveva trovato più che un motivo, ultimamente, per utilizzare la schiettezza come attacco sulle persone che voleva. Perchè perdersi allora in inutili giri di parole e gentilezze varie se aveva già la propria arma sottobraccio? Non aveva nessun obbligo a servirsi della gentilezza se non con chi gli pareva, non più da un bel po' di tempo, e chiarire il significato subito invece di aspettare un rifiuto per mostrare i denti, almeno secondo lui, era stata un'ottima idea. Magari poco furba, ma ottima comunque. Non avrebbe potuto nemmeno, presupponendo altre ipotesi, arrivare sotto mentite spoglie e farsi passare per qualcuno di innocuo e misurato: avrebbe avuto sugli archivi solo scritti non documentati, incoerenti con la realtà e con chi era e voleva essere. E poi, adesso, non lo stava trattando tanto male.

    Sei libero di parlare, non ti mangio, non per ora ovviamente. Non ti limitare a poche parole se vuoi dirmi qualcosa.

    Ecco, questo l'aveva notato fin da prima: il giovane continuava a mantenere quell'atteggiamento distaccato, anche se l'impressione era minore rispetto prima; lo spavento, immaginava, doveva aver contribuito in grande al suo comportamento piuttosto gelido e controllato, anche se non privo di una certa cortesia. A parte questo però, a ragione pensava anche il diretto minacciato (e interessato) non volesse fidarsi minimamente ad attaccare discorsi filosofici stretti o larghi che fossero con un angelo nero, specialmente quando questi aveva dimostrato così tanta propensione alla violenza: tutte balle per lui, salvo ripensarci e propendere verso il "non proprio, a dire il vero". In ogni caso James faceva bene e Raven non l'avrebbe comunque biasimato per i suoi modi di fare, perchè solo una persona intelligente si sapeva comportare in maniera intelligente e questo lo dimostrava pienamente; inoltre non voleva instaurare chissà quali rapporti, si sarebbe accontentato di essere ascoltato, non essere compreso, cosa che non gli serviva affatto tra quelle che voleva ottenere per sè. Poi accolse, sistemando meglio le ali lasciate abbandonate e appoggiate a metà tra lo schienale e il bracciolo, l'invito appena fatto e si alzò per seguire l'Osservatore, ma non per diffidenza - non ci voleva nulla, persino debole com'era, a fare veramente del male ad un umano senza nemmeno sfiorarlo - quanto per semplice, pura curiosità: se era vero una camera rispecchiava in pieno il suo proprietario, quella del ragazzo com'era? Doveva dare un'occhiata, sperando non gli tirasse brutti scherzi, anche se aveva una mezza idea non l'avrebbe comunque fatto. Forse, alla fin fine, l'aveva davvero convinto, e ammetteva quanto gli stesse anche simpatico alla lontana, tanto da averlo fatto sbollire dalla precedente arrabbiatura.

    Occupati di quello che devi, fai strada, io ti sto alle spalle. Non saprei dove mettere i piedi altrimenti, e poi il Talamasca è cambiato molto dalla mia ultima visita... in maniera quasi impressionante, direi. Pur guardando i diversi particolari dell'arredo e della struttura dell'edificio già notati prima solo di sfuggita, l'angelo faceva chiaramente intendere di fidarsi della sua intelligenza e del fatto non fosse così stupido da attaccarlo a sorpresa, non di James; poi non si era ancora ridotto a fare l'idiota sprovveduto e incapace mentre si teneva a distanza iniziando a salire le scale fino ai piani superiori per prendere il dovuto con l'umano (un semplice registratore, una dotazione di base degna di un agente dei servizi segreti... ) e poi tornare giù nel piccolo, accogliente salottino di legno, pelle e carta stampata - inutile negare, gli ricordava davvero troppo il suo studio nonostante il nauseante odore di cibarie, un angolino dove avrebbe potuto perdersi per un'eternità ad osservare i diversi testi o anche solo a cercare di indovinarne il contenuto dal titolo, solo per gioco.
     
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  12. James Winwood
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    Il ragazzo sorrise, dalla sua posizione più comoda sulla poltrona, alla prima affermazione di Raven; un sorriso nel complesso cordiale, ma ancora velato in una certa misura da una freddezza lievemente ironica.
    “Generalmente non dico niente di diverso da ciò che penso e ritengo utile dire; è solamente la forma a variare, il contenuto non ha sempre bisogno di lunghi discorsi per essere espresso con efficacia migliore.”
    Disse con tono complessivamente disteso; la stessa semplice contemplazione dei fatti che aveva fatto nelle sue ultime affermazioni, un distacco che però questa volta aveva lasciato leggermente più libero di esprimere quell’ironia che, generalmente, riservava alla gente che non comprendeva la potenzialità di quel genere di schiettezza. Dubitava comunque che fosse il caso di Raven, per quanto dubitasse in maniera decisamente minore che non fosse quello l’atteggiamento che l’angelo si aspettava da James.
    Fece un breve cenno di assenso alla risposta con la quale la creatura i dichiarava pronta a seguirlo, alzandosi compostamente ma tranquillamente dalla poltrona ed avviandosi fuori, passando attraverso il salotto più esterno nel corridoio.
    Era una storia che aveva sentito nelle raccomandazioni del parente, per quanto gli tornasse alla mente solamente in quel momento: la notizia di un angelo nero che aveva fatto irruzione nella sede di Nouvieille rubando alcuni libri era giunta fino a Londra senza particolare difficoltà.
    Si rammaricò di non aver ancora ispezionato la cartella dell’angelo in questione, dato che avrebbe ormai certamente dovuto essercene una nell’archivio.. dal momento che l’impressione che quell’angelo fosse proprio lo stesso che si alzava assieme a lui dalla poltrona, le informazioni contenute in quella cartella avrebbero potuto essergli molto utili. Ma era consapevole che, alla luce della mole incredibile di scritti lasciati dai suoi predecessori e colleghi, avrebbe avuto bisogno di ancora come minimo altrettanto tempo per vederne la fine.
    Non chiese niente all’angelo, mentre saliva le scale marmoree né con passo particolarmente spedito né con passo lento e tranquillo; non gli piaceva la sensazione di averlo alla spalle, nonostante in quel momento pensasse di servire ben di più all’angelo da vivo che non da “cena”, l’immagine che Raven aveva reso tanto vivida nella sua mente nel mostrargli tanto apertamente le zanne candide e taglienti..
    Quella minaccia era fondata? Si domandava ora il giovane Osservatore prendendosi tutto il tempo di cui necessitava, nel suo silenzio, aprendo lentamente la porta della propria stanza. Era esattamente come l’aveva lasciata, ad eccezione dei gerbilli che, fortunatamente, dormivano (non gli piaceva l’idea che attirassero l’attenzione della creatura che si trovava poco al di là delle sue spalle): la pila di vesti sul divanetto ai piedi del letto, all’interno della quale era sepolta persino una camicia a righe che, probabilmente, sarebbe stata meglio appesa; i suoi dischi riposti ordinatamente sul mobile alla loro sinistra, ad eccezione di un disco aperto collocato sopra ad un secondo di cui si intravedeva solamente la copertina scura posati sulla scrivania in uno spazio ben delimitato tra alcuni libri sulla classificazione dei licheni, alcuni moduli ed il giornale della sera, sui quali era posata una capsula petri contenente un esemplare che aveva rinvenuto nel giardino della casa madre.
    Sulla natura di un angelo nero, si rese conto mentre avanzava verso una borsa di cuoio scura posata sulla sedia della scrivania, sapeva dannatamente poco. Creature malvagie, assodato, con le quali persino lo zio gli aveva sconsigliato di avere a che fare, il cui scopo nell’esistenza sembrava essere proprio la tentazione degli esseri umani e la loro deviazione verso il male. Sapeva che avevano il potere di maledire le creature con le quali venivano il contatto se solo lo avessero voluto, ma ne ignorava il mezzo. Raccolse le poche idee elaborate quella sera, ma non sapendo se Raven aveva facoltà di percepire i suoi pensieri, mentre lo fece, cercò di mascherare quelle considerazioni nella marea di immagini e sensazioni che potevano dilatarsi nella sua mente se solo gli avesse lasciato lo spazio per farlo; non fu affatto difficile, per il momento, raggiungere quello stato di concentrazione per riuscire a mascherare la vera portata delle sue considerazioni, le valutazioni sulle potenzialità che la creatura aveva o meno rispetto a lui, ma si ripromise di fare una prova al più presto sull’argomento in questione.
    Mentre finalmente afferrava la scatoletta metallica che gli avrebbe permesso di riportare il racconto di Raven con la maggiore fedeltà possibile, e faceva cenno all’angelo di aver concluso le operazioni, si sorprese a pensare a quale, effettivamente fosse l’origine di una creatura di quel genere o meglio, cosa ne implicava l’esistenza. Era un interrogativo che si era posto nel medesimo istante nel quale era venuto a conoscenza dall’effettiva esistenza delle creature angeliche: essendo che gli angeli e l’esistenza di un essere superiore erano concetti inscindibili per la maggior parte dell’umanità, la loro esistenza avrebbe dovuto provare, per connessione, quella di una sorta di Creatore; ma era una prova che la morale essenzialmente, disinteressatamente agnostica di James, James lo scienziato, l’empirista, riteneva di gran lunga insufficiente. Non è difficile rendersi conto di quanto un argomento di questa portata destasse l’interesse dello studioso, di quanto, una volta sollevato, lo attraesse.
    Ma mentre guardava Raven, si rese istintivamente conto che non sarebbe stato saggio sollevare con quella creatura un discorso di tale fatta. Avrebbe dovuto prestare ben più attenzione addirittura di quanta avesse immaginato fino a quel momento, nel relazionarsi con lui, e non solo per la sua manifesta pericolosità quanto per quella che si sarebbe potuta esprimere in una forma più subdola. Avrebbe dovuto conciliare interesse e distacco, ascoltare la storia di una vita senza aprire le porte della propria, senza fornire all’angelo materiale sul quale aprirsi, se lo avesse voluto, un varco per il proprio spirito. Era una prospettiva, se ne rendeva conto, piuttosto ambiziosa per un Osservatore novizio qual era. Ma si rendeva conto, allo stesso tempo, che quello era un requisito fondante di quella che era l’attività di uno studioso di una materia come il paranormale.
    Senza che se ne rendesse particolarmente conto le scale erano praticamente finite di nuovo, e l’Osservatore posò nuovamente le scarpe di tela sul marmo chiaro del pavimento del grande atrio. Si domandò per un attimo che fine avessero fatto i colleghi, non sapendo effettivamente se augurarsi che ritornassero celermente o meno, mentre si sforzava di occultare anche questo pensiero nel flusso di immagini alimentato dalla parte concentrata della sua mente, che ora si soffermava quasi ossessivamente sul contrasto di forme di piume nere adagiate su drappeggi di una veste di uguale colore, in un gioco di luci e ombre fortemente evocativo.
    Attese di essere raggiunto da Raven, che si era tenuto a distanza durante quel breve “tour”, abbozzando un sorriso cordiale, ma che non aveva perso la patina finemente ironica, quando gli sguardi si incrociarono.
    “ Cambiamenti di tuo gusto?”
    Chiese con tono tranquillo che rifletteva la sua eclettica espressione, ma decisamente non ostile: poteva dare invece l’impressione di essere quasi divertito, per quanto ciò non corrispondesse decisamente a realtà. Non falsità, affatto: semplice espressione dell’anima vivace e spontanea del ragazzo che, parzialmente, riusciva ad emergere anche in situazioni di tale fatta.
    Riprese quindi ad avanzare verso il salottino più interno.
    “Sai già da quale punto ti sarebbe più utile cominciare il tuo racconto?”
    Chiese con tono pacato mentre si dirigeva verso la poltrona più lontana dalla porta, quella sulla quale era stato seduto prima e dopo l’irruzione di Raven. Ancora una volta, non fece all’angelo la domanda che aveva fatto a Katina, ovvero sul se fosse sicuro di quello che si sarebbe dovuto aspettare da James, e fino a quale punto il ragazzo avrebbe potuto spingersi con le domande. Una scelta istintiva, più che meditata, probabilmente comprensibile alla luce delle sensazioni contrastanti che l’angelo suscitava in lui.



    CITAZIONE
    CONOSCENZA OCCULTISMO, SPIRITISMO E MAGIA
    Liv. I - Cultura generale non approfondita in occultismo, spiritismo e magia, l'osservatore ha molte lacune da colmare con l'esperienza.

    CITAZIONE
    CHIUSURA MENTE A COMANDO
    Liv. I - L'osservatore non riesce a chiudere i propri pensieri del tutto ma li maschera solo con altri pensieri, la sua mente è quindi facile bersaglio da colori che riescono a leggere l'animo degli umani (vampiri, osservatori piu esperti...)

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    Chissà perchè, quella strana sensazione di essere sottilmente preso per i fondelli non voleva proprio sparire, anzi, aumentava di tanto in tanto con uno strano moto ondulatorio che produceva variazioni d'umore in corrispondenza a quanto avrebbe fatto una luna calante e levante ogni cinque minuti sulla marea, un effetto abbastanza disastroso per ogni rapporto interpersonale fiduciario si volesse costruire per bene - ma che rapporto fiduciario poteva aspettarsi con un topo di biblioteca che faceva la parte del giovane, cauto bellimbusto diretto ai piani superiori? Ah, non voleva pensarci, anzi, proprio non lo sapeva: si limitava a guardare la hall e le varie tappe di corridoi e scale da cui passavano mugugnando, rivolgendo alle spalle di James uno sguardo abbastanza infiammabile che, se avesse potuto, avrebbe acceso come una lampadina con l'ausilio di una bella fiamma ossidrica indirizzata sui vestiti del poveretto: ecco, eccolo lì, lo sapeva, rapporto di fiducia un corno! Peccato per lui, non poteva fare niente di tutto questo nè sperare di avere una qualche sottospecie di vista a raggi laser con cui fulminarlo sul posto, e anche avendo la buona volontà non poteva spingerlo a mettere due dita nella corrente o indirizzargli un fulmine contro senza avere buone motivazioni, in primis perchè non voleva le solite bimbette rompiscatole del Talamasca a fargli la predica e secondo perchè, senza l'unico maschio di casa - era pronto a scommetterci le dita, era sicuramente l'unico, bastava guardarlo in faccia come se la godeva sugli allori! - il posto sarebbe stato terribilmente deprimente, e lo stesso si poteva dire della situazione. Se lo immaginava rabbrividendo, il momento in cui avrebbe iniziato a far domande se solo ci fosse stata Haru al posto suo, e no, decisamente no, non gli piaceva per nulla. Anche perchè quella strega polverosa era pluridecorata e specializzanda nel farlo incazzare molto più del dovuto, persino se non la vedeva da quanto, tre anni? Bazzecole, non era cambiata, lo sapeva, se lo sentiva dalla sensazione di polvere stantia presente quando si avvicinarono alla zona camere, specialmente a quella della sopracitata rossa.
    Quando entrarono, Raven si mise ad osservare l'interno della stanza con relativo interesse, preferendo dare attenzione a quello che a James che raccoglieva le sue cose o faceva quel che più gli pareva. Certamente un'occhio lo teneva puntato su di lui ogni tanto, vigile nell'evitare stupidi scherzi, ma l'altro osservava, apprendeva, etichettava ogni componente della camera: si era aspettato qualcosa di simile, ma ora aveva proprio la certezza le camere rappresentassero in qualche modo l'anima del padrone, e così come la sua era appena disordinata, privata, riempita da luci soffuse e piuttosto minimale, anche quella di James lo descriveva come un libro aperto con i vestiti accidentalmente sparsi sul divanetto senza un vero e proprio ordine, i dischi, una gabbia per animali e una particolare capsula che conteneva un campione di qualcosa di vegetale, presumibilmente una pianta raccolta in qualche posto vicino o lontano. Quindi, elencando in ordine, più o meno azzardava queste ipotesi su di lui: ligio al dovere, inflessibile ma spesso appena svampito, specialmente coi rapporti altrui; grande passione per la musica, forse classica, e particolare dedizione alla ricerca - sempre non fosse proprio un ricercatore, cosa che non sapeva ma gli si presentava bene se appioppata ad un personaggio tanto particolare come quell'osservatore. Dimenticava ancora una cosa e cioè la gabbia contenente con tutta probabilità dei topi, o forse dei criceti o giù di quel passo; su quello non poteva che azzardare ipotesi, forse erano di compagnia? Presumeva di conseguenza il giovane non avesse una ragazza, perchè solo le persone sole avevano bisogno di tenersi qualcosa, anche una parvenza di animale, vicino... tutte tranne lui, già. Si rabbuiò, iniziando a seguirlo a ritroso, ma non tanto da non rispondere alla sua domanda in maniera decisamente normale, non meno garbata di prima ma forse un po' secca, e non perchè volesse evitare di fare conversazione quanto per il pensiero di poco prima, fastidioso ed irritante.

    Di mio gusto, si. Troppa opulenza e troppo ciarpame in giro, però; sono più minimalista, io. Una persona abbastanza accorta, da solo questa risposta, avrebbe potuto presupporre tutto di lui, perfino stilarne il carattere completo un po' come avrebbero fatto - avevano fatto - dei profiler su un killer pericoloso e sconosciuto. Peccato quelli che avessero tentato un lavoro simile, non conoscendo quasi nulla della sua identità e dei suoi modi di fare se non balle e dicerie, non ce l'avessero fatta e fossero quasi impazziti sul caso, a quanto sembrava. E quando l'area di ricerca - si era spostato fuori città per cacciare - si era allargata ulteriormente, aveva anche sentito di tanti licenziamenti in polizia. Poveretti, gli facevano persino un po' pena, tanto da potergli ridere in faccia alla prima occasione utile: inetti, idioti, inutili. Non era certo un corpo di sicurezza, quello a poterlo beccare durante i suoi pasti, nè tantomeno era così stupido e prevedibile come la maggior parte degli umani spinti da manie omicide che spesso e volentieri rispettavano schermi su schemi. Tutto inutile con lui.
    Si rimisero in cammino fino ad arrivare di nuovo a quel salotto, un ambiente abbastanza confortevole e privato da ispirargli più fiducia di tutto il resto della casa; non sarebbe stato così rilassato, ad esempio, se fosse capitato in camera di James a parlare con lui, o in una qualunque altra zona di quel posto. Forse perchè gli ricordava un po' il suo studio di casa, forse perchè aveva un aspetto sicuro e silenzioso, costituito da forti basi di legno e libri cartacei a coprirne le pareti... chissà. Ascoltò di nuovo il ragazzo parlare e attese fino a che non decise di sedersi per farlo a propria volta, più composto di prima, poggiando un gomito al bracciolo del divanetto di dirimpetto rispetto a quello occupato dal ricercatore in modo sostenesse il resto della testa, il capo inclinato verso destra. Sistemò il lenzuolo che si posò morbidamente sulla pelle della poltroncina e sulle sue gambe, fino a terra, poi rispose.

    No. Fece una smorfia di disapprovazione, ma non si mosse nemmeno di mezzo centimetro da come stava messo. A dire il vero, non ne ho idea. Credo sia meglio tu mi rivolga tutte le tue domande, se ne hai, a partire dalle prime che ti vengono in mente. Puoi chiedermi qualunque cosa, e riceverai solo risposte veritiere, non nasconderò nulla... altrimenti perchè sarei venuto a farmi fare il resoconto da te? Potevo benissimo stare a casa e scrivermi un diario. Accennò un colpo di tosse che nascose dietro una mano chiusa a pugno, poi scostò ciuffi di capelli che gli cadevano davanti agli occhi verdi e neri, ancora completamente trasformato nel peggior incubo di un umano, o forse solo in uno tra quelli abbastanza spaventosi da far correre a gambe levate: non aveva poi il diritto di arrogarsi quell'appellativo, nonostante la superbia. E poi alla fine, se ne avesse avuto voglia, si sarebbe mostrato da umano. Forse. Gli fece cenno con la mano di proseguire.

    Avanti, puoi partire da dove vuoi. E smettila di essere così rigido, sembri un pezzo di legno anche quando tenti di essere divertente! Sii più... e sbuffò, alzando un sopracciglio ... che ne so, naturale! Ti ho minacciato prima, ma non ti sto tenendo la carabina puntata contro, adesso. Sbuffò di nuovo, spazientito, con tutto il sarcasmo e l'ironia - nemmeno tanto sottile - che seppe metterci. Iniziava a stufarsi. Va bene, lo ammetto, quella di prima era tutta scena per darti una buona motivazione a lavorare, maledizione! Ma non c'è bisogno di spaventarsi tanto, adesso... te l'ho già detto, non ti mangio. Non ora!
     
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