E venne il giorno

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  1. ~ Romeo.
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    Basta rimandare



    Uno sparo, violento, assordante. Una botta secca, poi un’altra, e ancora. Uno stormo di uccelli, assopiti sui rami di un albero, spicca il volo verso il panico; confuse geometrie si compongono nel cielo azzurro di una mattina estiva qualunque. Manca poco alla conclusione della stagione di caccia estiva di particolari specie di volatili. Appoggiato alla portiera con la schiena, Romeo guarda lo scenario con braccia conserte, sguardo attento, come unico rappresentante tangibile di un pubblico di fantasmi per uno spettacolo insolito. Una radura di campagna si stende dinanzi allo spagnolo, con un edificio fatiscente di mattoni ingialliti e rossastri, che nasconde gli autori di quegli spari, tutti diretti verso un boschetto non molto lontano. Questo sembra proprio l’inizio di una bella storiella, che continua pressoché così ancora per un bel po’, con altri spari e il Sole che inizia ad alzarsi e a diventare lentamente una palla di fuoco nel bel mezzo della volta, mentre l’alba diventa parallelamente un qualcosa che sa di vecchio e antico.
    L’uomo se ne stava fermo lì da un po’ di tempo, vittima dell’afa che non l’aveva fatto dormire, ma realizzato nell’aver deciso senza troppi preamboli di uscire da casa con la notte che ancora imperava sulla metropoli: l’idea si era rivelata ottima e la frescura assaporata gli avvolgeva ancora le braccia scoperte. Col passare delle ore, però, la pigrizia l’aveva ormai cullato abbastanza e lo spettacolo fatto di colpi di fucile era diventato fin troppo monotono. Risalì in macchina, sgranchendo le ossa e le giunture nei suoi numerosi modi, tutti diversi, ognuno per una particolare zona del corpo. Lo sguardo gli cadde poi sull’orologio del cruscotto e l’orario gli comunicò che i cacciatori non sarebbero rimasti lì ancora a lungo. Tanto valeva accendere il motore e andare via a quel punto, pensando a cosa farne del resto della giornata, libera per volere suo di qualche lavoretto in Laboratorio. La sua auto solitaria iniziò così a mangiare chilometri in piena solitudine, per strade di campagna e di periferia, luoghi raggiunti pur di soffocare di meno sotto i colpi duri dell’afa estiva. Ma trascorsi neanche una decina di minuti, scoprì decisamente inevitabile la meditazione su un preciso pensiero, che imprevedibile come un terremoto, finì per assalirgli la mente durante tutto il tragitto di ritorno. E inevitabile fu anche il sorrisino sarcastico che si stampò sul suo viso proprio a causa di questo suo pensiero, del significato parecchio profondo che si portava dietro, ma che si riduceva in ogni caso ad una didascalia a lato. Seppur troppo esagerata, la faccenda si rispecchiava perfettamente in un’ipotetica contemplazione di un quadro dallo scenario estivo, la cui successiva lettura del titolo sarebbe stata invece in grado di comportare reazioni simili ad un infarto: ‘Verrà a piovere’. Una mescolanza di pensieri erano celati dietro quell’osservazione balenatagli davanti agli occhi oltremare indifesi e impotenti, ma niente di tutto questo aveva a che fare con la meteorologia: a guardarlo, il cielo sembrava aver dimenticato cosa fosse la pioggia.
    Andarci. Tante volte aveva pensato di andarci e tante volte aveva archiviato l’idea, fin troppo velocemente, fin troppo furtivamente, per evitare di sorprendersi a scavarne i motivi. Quella destinazione riusciva ancora a spaventarlo e attirarlo in maniera simultanea, come il rettangolo vuoto posto sulla fiancata di un piccolo aereo predisposto a lanci paracadutistici. Il rispettivo del cielo azzurro macchiato di carezzevoli nuvole era un mondo che aveva imparato a conoscere, mattone dopo mattone, a partire da quel Peter Hundred conosciuto nella Biblioteca cittadina, passando per quella ragazzina sua cliente, Kimberly Hastur, per finire con Asia, un capitolo a sé per svariati altri motivi, non direttamente legati al Talamasca. La palese origine del timore di visitare quel luogo derivava proprio dal rischio di incontrare lei, anche se l’appuntamento non prefissato l’aveva con un’altra persona, indicatagli dal vampiro Asterios come Haru. Eppure il luogo che non aveva mai visto, né tanto meno immaginato, si comportava come una calamita di dimensioni titaniche, mentre a lui toccava la parte del piccolo e quasi invisibile spillo delle sarte. C’era poi l’imbarazzo del momento, il non saper cosa dire, il non aver idea di quali informazioni gli sarebbero state date, con un pensiero anche a quali accuse avrebbero potuto quelli muovergli per l’essersi presentato, nonostante si trattasse solo della realizzazione di un consiglio, portando un nome a quanto pare molto importante anche lì. Per questi e per altri motivi, giunto nei pressi del centro cittadino, fermò l’auto costeggiandola ad un marciapiede, non spegnendola. Tirò fuori dal portafoglio il bigliettino ricevuto tempo addietro, con tutte quelle che erano le indicazioni stradali e non, guardandoselo e rigirandoselo tra le mani per un periodo più o meno lungo; la decisione non sopraggiunse e l’istinto assunse il comando, guidandolo verso il puro e semplice fare.
    Dando un colpetto leggero al volante, si rimise in marcia, sottolineando il gesto con parole solo per sé.
    - E vada per il Talamasca... -
    Svoltò varie volte a destra, altre a sinistra, altre proseguì dritto, finendo in viali alberati e bellissimi, dietro i quali s’intravedevano a stento ville suntuose, abitazioni sfarzose per gente ricca. Lo scenario non mutò fino a quando non giunse a destinazione, o quasi. Fermata l’auto davanti al cancello, ne uscì, avviandosi verso il citofono che aveva notato qualche attimo prima. Guardò l’apparecchio a lungo, come se fosse un orologio fermo, come se da un momento all’altro fosse quello a parlare per prima e a risolvergli tutti i dubbi. Ormai tutta la strada da percorrere l’aveva fatta e andarsene dopo un ostacolo a forma di una cassetta metallica, sembrava altamente da stupidi. Eppure con insicurezza andò a premere il pulsante, tentando di darsi fermezza borbottando ancora tra sé, desiderando nel frattempo di sentire una voce sconosciuta provenire da un momento all’altro dall’apparecchio.
    - Presto non è, ma nemmeno troppo tardi. Speriamo bene. -
    Colui o colei che avrebbe risposto, avrebbe visto attraverso la telecamera il volto un po’ preoccupato di Romeo, che si guardava attorno e appianava la camicia blu scuro con maniche corte, spedendo occhiate al jeans beige e alle scarpe bianche, in cerca di sporco o macchie in realtà totalmente assenti. Per il momento, a fargli compagnia, c'era solo l'agitazione.
     
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  2. °°°Haru°°°
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    Ore 8.30, l'odioso allarme della sveglia in camera di Haru iniziò a suonare. Un ammasso di riccioli rossi, scomposti dal sonno agitato, emerse da lenzuola stropicciate e dai cuscini buttati qua e la. Mugugnando qualcosa Haru spense l'allarme e il silenzio tornò a regnare in quell'ala della sede del Talamasca.
    Odiosa insonnia!
    Si tirò a sedere, le persiane erano chiuse e le tende tirate ma le finestre le aveva lasciate aperte per avere un minimo ricambio d'aria in quelle ultime notti afose prima dell'arrivo dell'autunno. La tentazione di rimettersi a dormire era forte, ma quel giorno in accademia erano previsti gli esami per il corso di cui lei era assistente, doveva quindi presentarsi prima di mezzogiorno per svolgere le noiose questioni burocratiche che la docente d'indirizzo le lasciava da sbrigare. Si alzò e andò in bagno, aprì le persiane della piccola sala lasciando che la luce del sole illuminasse quella zona. Socchiuse gli occhi e corrucciò le sopracciglia, odiava tutta quella luce appena sveglia e sotto quel punto di vista non vedeva l'ora che arrivasse l'inverno.
    Volse lo sguardo e la sua attenzione cadde sul suo riflesso nello specchio, occhi arrossati, classico no? Si avvicinò al lavandino e applicò la sua solita lozione/collirio lenitiva agli estratti di camomilla.
    Pochi giorni prima aveva compiuto 26 anni, le sue 'colleghe' di Londra avevano pensato bene di farle una sorpresa, presentarsi li gli ultimi giorni di agosto e rapirla per una settimana, trascinandola in un tour in Scozia per festeggiare degnamente il suo compleanno. Inoltre in quella zona non faceva neanche caldo come a Nouvieille, non c'era neanche cosi tanto sole e quindi si poteva dire che se la fosse goduta realmente quella vacanza.
    Aveva compiuto 26 anni e da 4 aveva sangue vampirico in corpo che le aveva bloccato qualsiasi genere di crescita o invecchiamento a livello fisico. Non era stata una cosa voluta, anzi! Quel mix di disturbi causati dal sangue vampirico stava iniziando a pesarle realmente, specie da quando il suo caro 'master' se n'era andato, in preda a qualche suo solito raptus da viaggiatore vagabondo insofferente. Erano ormai mesi che non si faceva ne vedere ne sentire e la cosa stava iniziando a pesare non solo a livello emotivo.
    Sospirò pesantemente e continuò a prepararsi per andare a lavoro.
    Si vestì, scelse una leggera camicia di un verde molto chiaro e tenue che ben si sposava con la sua carnagione pallida, gli occhi grigi e i capelli rossi. Il taglio era informale, il colletto alla coreana non rigido era lasciato aperto, cosi come erano aperti i primi due bottoni della camicia che scendeva piuttosto larga fino a sotto il sedere. La fermò sui fianchi con una cintura nera abbastanza alta, sotto indossò un paio di leggings sempre neri e ai piedi infilò un paio di ballerine rivestite di raso.
    Si prese tutto il tempo che le serviva per sistemarsi i capelli e truccarsi, nascondendo con una mano di fard il pallore poco sano, gli occhi iniziavano a reagire alla lozione e il rossore poco a poco spariva.
    Verso le 9.30 aveva finito anche di fare colazione, una tazza di the e nient'altro, non aveva molto appetito.
    Qualche minuto dopo si trovò in salotto a sistemare documenti e suoi appunti sul tema del corso tenuto quell'anno: 'L'anatomia legata agli studi di Leonardo'. Probabilmente avrebbe dovuto interrogare qualche studente, oltre che a verificare la loro preparazione a livello pratico attraverso le tavole di nudo dei vari modelli che avevano avuto modo di copiare durante le lezioni.
    Se la stava prendendo con estrema calma, l'ultima cosa che si aspettava era i ricevere visite quella mattina. Invece da li a poco sentì il citofono suonare. Attese qualche attimo, tenendo l'orecchio teso per sentire eventuali movimenti nella sede, qualche altro osservatore che andasse a verificare chi fosse al cancello... ma nulla. Probabilmente era sola nella sede, forse gli altri erano gia usciti per andare ai rispettivi lavori oppure stavano ancora dormendo...
    Si alzò e arrivò all'entrata, sul piccolo schermo accanto alla cornetta del citofono era trasmessa l'immagine di un ragazzo (o forse un uomo, non riusciva a dargli un'età) dall'aria un po tesa, si stava sistemando la camicia, probabilmente stava verificando di essere presentabile.
    Haru non aveva la minima idea di chi potesse essere, ma non ci mise molto a chiederlo al diretto interessato.
    Alzò la cornetta e l'accostò all'orecchio.

    "Chi è?"
    Chiese tranquillamente allo sconosciuto dal lato opposto dell'apparecchio.
     
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  3. ~ Romeo.
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    Cercasi Haru



    Dall’alto, l’uomo dritto davanti al perimetro della Sede del Talamasca pareva immobile, una statua priva d’interesse per un passerotto che volò sopra la testa dell’omino, tagliando quell’aria limpida e chiara che annunciava la fine dell’estate. In tutta verità quella statua si muoveva, a partire dal respiro che gonfiava il ventre e metteva per qualche veloce attimo in tensione i bottoni della camicia, mentre le mani, arrendevoli, avevano finito per trovare nascondiglio da pochi istanti nelle tasche davanti del pantalone. L’attesa si stava protraendo ancora da quando il pulsante era stato pigiato, senza che alcunché accadesse negli immediati istanti successivi. Romeo continuava ad essere l’unica entità vivente munita - non sempre - di intelletto in quello spazio occupato per buona parte anche dalla sua piccola automobile, spenta ed immobile davanti all’ingresso chiuso. Tra i due era di certo lui quello pieno di nervosismo, nonché eccitato per quanto sarebbe accaduto a breve, se e quando una voce avesse concesso il permesso di oltrepassare il cancello che finalmente si sarebbe aperto. Provò per questo un fulminante senso di invidia per quell’abitacolo con le ruote, privo di anima e di emozioni, utile solo a scarrozzarlo ovunque desiderasse. Provò anche un desiderio lancinante di entrare nella vettura ed andare via, facendo così la figura dell’idiota che si diverte a fare il classico ed intramontabile stupido scherzo del citofono. Distolse così lo sguardo dalla Mini, obbligandosi a guardare dappertutto tranne che in direzione dell’automobile, sperando in tal modo di far perire quella prospettiva che diventava ogni attimo di più d’attesa, sempre più allettante.
    La lancetta dei secondi continuava a scandirli mentre l’aspettazione rischiava di essere tradita da un silenzio fin troppo duraturo, il cui significato era molteplice: assenza di vita oltre quel vialetto e quello scorcio di abitazione che si vedeva; rifiuto categorico di aprirgli il cancello, mentre al rispondergli è automatica la risposta di una perentoria negazione; infine, come ultima idea, gli venne in mente che dentro al Talamasca soffrissero tutti di sordità. Per questo motivo l’ardore di mettersi in macchina e andarsene fu quasi subito sostituito da un qualcosa di simile, ma rapportato al suo dito indice e a quello stesso pulsante già schiacciato. L’ultima ipotesi era ovviamente ironica, un qualcosa che finì di persistere in quel contesto di solitudine non appena dei suoni gracchianti provennero dall’apparecchio. Inutile negare che da qualche parte, nel profondo, lo spagnolo sperasse davvero nell’esistenza di un morbo della sordità, o per essere meno catastrofici, auspicava di poter parlare fisicamente con una persona, magari che giungeva lì in quel momento trovando la sua auto come unico e invalicabile ostacolo, anziché parlare con una voce sconosciuta, sapendo oltretutto di essere sott’osservazione. Quando poi la voce tanto aspettata si armò del tipico chi va là?, l’uomo divenne davvero la statua di sé stesso adocchiata dal volatile passato poco prima: tese tutti i muscoli, anche quelli che non sapeva di avere, anche quelli che credeva di avere, finendo in questo modo per fare la perfetta comparsa di un film o telefilm poliziesco, nel ruolo costante della salma stesa all’obitorio.
    Ritrovata una certa calma, Romeo si trovò ad offrire il suo profilo all’obiettivo presente nella scatoletta metallica, per porgere così un solo orecchio verso quella e ascoltare possibilmente meglio quanto sarebbe stato detto dopo. Nello stesso tempo valutava la voce appena ascoltata, che seppur modificata per via dello strumento, era senza alcun dubbio quella di una donna. Ciò fece sì che finì per ripetersela più volte nella testa, cercando una qualche tonalità che potesse far intendere una certa familiarità, la quale però non esisteva. Dall’altra parte c’era una sconosciuta, che non a caso gli aveva chiesto di presentarsi.
    - Eeeh... salve... mi chiamo Romeo Sierra... sto cercando... Haru... -
    Probabilmente l’idea venutagli prima riguardo alla sordità lancinante degli abitanti del Talamasca, doveva aver preso il sopravvento: si ritrovò a parlare ad alta voce, scandendo le parti della frase pensando forse di farsi capire meglio, restando tutto il tempo accostato al citofono, tranne quando tirò fuori il bigliettino su cui lesse, non senza un’espressione tormentata per l’originalità, il nome della persona che sperava di conoscere e con cui parlare.
    Quanto aveva da dire, non finì però lì: approfittando di un silenzio abbastanza lungo da quando era stato pronunciato quel nome, infilò dentro anche la raccomandazione, il lasciapassare fornitogli da quell’immortale, sfidante del Tempo, delle ere, delle guerre, dell’eternità.
    - ...mi ha mandato il signor Vitra... Asterios Vitra... dovrei parlare con Haru. -
    E lì finì tutto il repertorio per nulla già preparato, senza sapere se ciò gli sarebbe valso l’ingresso o meno, con raccomandazione oppure no. In caso contrario, non gli sarebbe restato altro da fare che valutare un secondo percorso, che portava verso altre motivazioni, verso altre stazioni, verso altri nomi.
     
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  4. °°°Haru°°°
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    Lo sconosciuto non ci mise molto ad identificarsi, Romeo Sierra... mai sentito! Aggiunse anche che il motivo per cui era li era proprio lei, cercava Haru.
    L'osservatrice corrucciò appena le sopracciglia, osservandolo meglio. No, proprio mai sentito ne visto. Non rispose subito, si perse via in rapidi pensieri e ragionamenti che si accavallavano nella sua testa.
    Non poteva essere qualcuno del comune, venuto per questioni burocratiche legate alla casa dove alloggiavano, poichè non era intestata a suo nome e tecnicamente la sua residenza era ancora a Londra.
    Romeo Sierra era forse un osservatore? Non doveva comunque essere uno di quelli intenzionati ad alloggiare li e a lavorare in quella base perche altrimenti l'avrebbe saputo.
    Che fosse li per indagare su di lei? A quell'ipotesi si sentì mancare, forse qualcuno aveva visto qualcosa di troppo strano in lei e l'aveva fatto notare ai dirigenti. In quel caso sarebbe stato meglio mantenere la calma piu totale e indossare una bella faccia tosta.
    Stava giusto per rispondere quando lo sconosciuto specificò che era li sotto invito di Asterios.

    "... Asterios?"
    Rispose involontariamente a voce alta.
    Da una parte rimase sollevata, quel tizio non era del Talamasca... ma dall'altra parte aveva ancora un sacco di dubbi, perche Asterios aveva dato il suo nome ed indirizzo a quel tipo?
    Sbattè un paio di volte le palpebre, rendendosi però conto che quel certo Romeo stava ancora aspettando fuori dal cancello. Senza attendere un secondo di piu premette il bottone di apertura del cancello.

    "Prego, entra."
    Aspettò che il ragazzo fosse fuori dal campo visivo della videocamera e riattaccò la cornetta.
    Aprì poi la porta di casa ed uscì, restando comunque sull'uscio. Allungò l'occhio verso la direzione in cui sarebbe dovuto sbucare quel fantomatico conoscente di Asterios.
    Evidentemente non poteva essere un suo simile dato che era giorno.Chissà che cavolo di creatura si sarebbe dovuta aspettare.
    Mentalmente si segnò anche di chiamare l'antico la sera stessa e ricordargli che il Talamasca era una organizzazione SEGRETA e tale doveva rimanere.
     
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  5. ~ Romeo.
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    Fuoco, acciaio



    Così come la monetina fortunata fa lampeggiare e suonare la slot machine al Casinò, simili furono le conseguenze utilizzando il nome di quella sanguisuga umana, pronunciato alla voce che l’aveva interrogato; ovviamente nessuna luce sfolgorante apparve come contorno alle mura esterne, né tanto meno echeggiarono nella zona suoni elettrizzanti, a far da cornice ad una cascata di monetine pronte a sotterrare il fortunato Romeo. Il milionesimo visitatore? Ma anche no: fu soltanto favorito dalla sorte nel possedere quel nominativo capace di far venire l’attimo di stupore in chi lo stava ancora trattenendo fuori al cancello, senza dichiarare ancora l’intenzione di volerlo farlo entrare, o di chiedergli di sloggiare insieme alla sua automobile, magari sottolineando proprio il fatto che il mezzo era d’intralcio al transito. Inutile quindi negare quell’apparizione di meraviglia sul volto dello spagnolo, seppur in dose molto ridotta, quando il nome del proprietario del Ritual venne ripetuto, non senza mascherare una pura sorpresa, lampante più che altro. Fu subito chiaro all’Artigiano di aver fatto centro e per questo attese più paziente lo svolgersi dei successivi istanti, sorridendo tra sé, ma celandolo alla telecamera restando di profilo. Trascorso così il tempo necessario al suo interlocutore per metabolizzare quanto era stato reso noto, alla fine la donna dall’altra parte dell’apparecchio gli comunicò di poter entrare, premendo probabilmente qualche pulsante interno per far aprire il cancello. L’uomo, vedendo il complesso disegno in ferro battuto spalancarsi, prima di dirigersi verso il veicolo, di riflesso gettò alla telecamera un cenno di assenso col capo a voler ringraziare. Finalmente le porte del Talamasca gli venivano aperte e per questo non perse tempo a salire in auto e metterla in moto. Attese tranquillo l’apertura completa del varco, per così ingranare la prima e procedere molto lentamente lungo il vialetto che gli si presentava dinanzi.
    L’ambientazione interna e intravista dall’altra parte del cancello, si concretizzò così com’era stata immaginata dall’ispanico nei minuti d’attesa, potendo notare da dietro al parabrezza come lo scenario tanto somigliava a quello scorto durante il tragitto fino alla Sede, ma anche a quello di alcuni parchi cittadini, visitati poche volte, ma ben stampati nella mente visto quanto lussureggianti e variopinti anche da lontano appaiono. Foglie, rami e piccole sezioni di cielo finirono con lo specchiarsi sul veicolo, sfruttando la caratteristica riflettente di vetro e carrozzeria; le ruote intanto macinavano metri un po’ per volta, lasciando che quel velo di vegetazione scorresse sopra la Mini, come un tessuto impalpabile, ma allo stesso tempo fin troppo ben visibile. A Romeo parve di visitare una qualche meta turistica, di star cominciando una vacanza in qualche luogo lontano: la sua testa si spostava un po’ da tutte le parti, aiutata dal collo che si piegava fino a svolgere movimenti anche troppo contorti. E proprio in quel momento capì quanto sarebbe stato utile acquistare lo stesso modello di auto, ma decappottabile. Non a caso si sarebbe evitato tutte quelle contorsioni, proseguendo anche in maniera più sicura lungo il delizioso tracciato, che anche se percorso a passo d’uomo, le sue facili curve avevano rischiato di trasformarsi in qualcosa di seriamente pericoloso per uno sceso dalle nuvole come Romeo, continuamente meravigliato. La situazione non mutò poi molto quando fiancheggiò la facciata frontale dell’edificio, un vero colpo all’occhio, ma in senso tutt’altro che negativo: un edificio grigio che perdeva tutta la cupezza di quel colore grazie all’accostamento a tutto il verde e agli altri colori tipici della natura, tanto da arrampicarsi su di un lato, colorandolo di un rosso scuro ed elegante. L’uomo fu colpito soprattutto dalla simmetria dell’edificio, dalla capacità unica di spiccare lì, in mezzo a quel tesoro di smeraldi, con quelle vetrate alte e che fanno immaginare interni tutti illuminati. Infine, davanti alla porta d’ingresso, sostava la figura sottile di una donna, giovane a vederla anche da una certa distanza, che lo aspettava, sicuramente piena di domande e dubbi su quel visitatore.
    Proseguendo lungo il tracciato prestabilito, l’automobile di Romeo trovò parcheggio vicino a poche altre auto sotto un porticato, preferito non tanto per l'ombra, ma più per via del fastidio di trovare ricordini poco graditi lasciati o dagli uccellini, intravisti chiaramente in buona quantità fino a quel momento, o soprattutto daglii alberi, che con la loro resina rischiavano di scolorare la verniciatura. Quando smontò, preferì non chiuderla, considerando il fatto di trovarsi dentro un edificio privato, ma soprattutto per aver fatto attendere un po’ troppo la persona che tanto gentile si era dimostrata ad aprirgli il cancello. A passo svelto, così, si diresse verso l’entrata della Sede, salendo i pochi scalini che lo portarono a faccia a faccia con la ragazza. Giovane, carina, con una fisionomia orizzontale e verticale ottima nel complesso, da renderla così anche molto attraente; labbra piene, ma soprattutto capelli rosso fuoco, che non passarono per niente inosservati, ma anzi, furono la prima cosa su cui gli occhi di Romeo si posarono: ondulati e mossi, circondavano con raffinatezza e grazia il volto forse ancora un po’ adolescente, nonostante si notasse in ogni caso una certa età, comunque non inoltrata quanto quella dello spagnolo. Questi, giunto alla fine a pochi passi dalla giovane, si perse completamente in quegli occhi, i cui colori lo calamitarono, facendogli quasi morire le parole in bocca: sorridente e pronto a stringere la mano, si ritrovò con questi gesti atrofizzati per qualche istante, mentre lasciava correre lo sguardo dentro quelle iridi d’acciaio.
    - La ringrazio molto per avermi permesso di entrare. So bene di essere una visita forse scomoda e sono pronto a fare la strada al contrario ed andarmene... ho solo delle domande importanti da rivolgere ad Haru... che sbadato: con chi ho il piacere di parlare? -
    Parlando ritrovò quasi subito la sua loquacità da bottegaio in continuo rapporto con molti clienti, che gli permetteva di essere chiaro, per nulla contorto e qualche volta gli garantiva anche un miglior approccio con i desideri degli acquirenti, spesso spingendo le discussioni in mari più facili da navigare per i suoi ragionamenti e le sue idee.
    Con quelle parole sapeva di aver messo in chiaro tutto, o la gran parte delle cose tra sé e quella giovane donna, il cui volto si stampava sempre più definitivamente nella sua mente. Aveva occhi magnetici, occhi che ricordavano in qualche modo colei che ancora non era sbucata da nessuna parte, e forse era meglio così. Aveva anche frapposto subito tra sé e l’altra una domanda che poteva ridurre di molto le possibili problematiche scaturite dalla sua visita, giustificata forse solo nella sua mente o almeno fino a quando non avesse avuto modo di rivolgere alcune domande alla persona che stava cercando.
     
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  6. °°°Haru°°°
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    Non dovette attendere poi molto per vedere faccia a faccia l' 'ospite' che aveva appena suonato al citofono. Prima lo vide passare a bordo di una mini argentata (dai trashissimi specchietti arancioni), che probabilmente andò a parcheggiare sotto alla tettoia insieme alle altre macchine, poi nel giro di una trentina di secondi lo vide salire dalle scalette che portavano allo spiazzo davanti all'entrata.
    Dalla videocamera l'aveva scambiato per un ragazzo e gli aveva dato automaticamente del tu, osservandolo meglio però non poteva certo continuare a sostenere la stessa idea. Era evidentemente adulto, probabilmente doveva avere 25, 30 anni al massimo. Comunque era poco piu grande di lei. Dai lineamenti si poteva intuire una provenienza mediterranea, smentita però dalla sua pelle chiara e degli occhi blu, non troppo frequenti in quelle zone.
    Era però sicura di una cosa: non era un demone, uno stregone o chissà quale genere di creatura. Non sentiva niente di strano provenire da lui, tecnicamente era umano! Quel piccolo particolare la confortava. Mettere KO un umano, tirandogli in testa uno dei vasi di fine porcellana orientale da 500 euro circa, era semplice. Mettere KO una qualsiasi altra creatura con lo stesso vaso era impossibile.
    Sorrise cortesemente, anche se per un attimo lo vide come perso e confuso, probabilmente era solo una sua impressione perche non appena l'uomo aprì bocca rivelò un'abile parlantina.
    Allungò una mano per presentarsi.

    "Effettivamente non facciamo entrare estranei qui, ma se Asterios ti ha mandato da me avrà avuto motivi validi... Haru sono io, piacere!"
    Strinse la sua mano, probabilmente Asterios non l'aveva avvisato che l'origine del suo nome non corrispondeva a quello della sua etnia. Il nome l'aveva avuto da i suoi genitori adottivi, due giapponesi. Per il resto era per metà originaria di Londra e per l'altra metà della Scozia.
    Aprì la porta d'entrata, spostandosi da un lato per lasciar passare Romeo.

    "Accomodati pure..."
    Continuò, indicando l'ampio ingresso che si intravedeva dalla porta.
    Ancora si stava chiedendo perche diavolo Asterios le avesse spedito uno sconosciuto al Talamasca, eppure sapeva esattamente quali erano le regole dell'ordine. Se gli avesse lasciato il suo numero di cellulare probabilmente si sarebbe arrabbiata di meno.
    Di queste turbe mentali non ne diede alcuna espressione, mantenne la sua glaciale compostezza e la classica cordialità con cui trattava tutte le persone con cui aveva a che fare ma che non conosceva.
    Sperò che fosse Romeo stesso a spiegarle entro breve il perche della sua visita, chi era e che rapporti aveva con Asterios.


    SPOILER (click to view)
    Liv. V – L'osservatore percepisce in un largo raggio le varie energie di angeli, demoni, vampiri, lamie e esseri di base non umana , In un raggio medio-vicino anche stregoni e maghi( non se sono in grado di nascondere l'energia). Se la presenza è vicina riesce anche ad individuarne la razza precisa senza il bisogno di vederli
     
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  7. ~ Romeo.
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    Perché qui



    La stretta di mano gli dette la netta impressione di non avvenire. Come delicatamente le due mani scivolarono l’una verso l’altra per toccarsi, più che stringersi, allo stesso modo funzionò quando si separarono e tornarono al loro posto. Una stretta di mano leggera, impalpabile quasi, che appunto sembrò non esser capitata. Infondo non voleva di certo stritolargliela, visto considerando il mestiere che faceva e per cui benissimo poteva rompergliela; il suo stesso mestiere alle volte gli chiedeva però di essere preciso, delicato, fine, ad esempio nel tracciare simboli e quant’altro su superfici a dir poco microscopiche. Le mani dunque s’intrecciarono per un solo, veloce istante, impedendo forse, in entrambe le direzioni, l’assimilazione di caratteristiche che di solito paiono saltare fuori già durante le presentazioni. Andava anche sottolineato, dopo tutto ciò, che il tanto parlare dell’uomo aveva forse fatto passare in ultimissimo piano quel contatto, che stato o non stato, alla fine a nessuno importava. E mentre parlava i suoi occhi oltremare non si erano staccati da quei due che davano la netta impressione di poter cambiare tonalità, soprattutto di essere in grado di provarle tutte, a proprio piacimento: come specchiati nei suoi color delle profondità dell’oceano, quelli, valutati come l’acciaio più splendente e luccicante, gli diedero una fugace impressione di tingersi d’azzurro dopo un impercettibile movimento, forse suo, forse di lei. Cosa fondamentale, più di quella stranezza cromatica, era da riferire invece a come quegli occhi prestavano attenzione, come se avessero preso in prestito il senso dell’udito e ascoltassero loro, e non le orecchie, le tante parole che fuoriuscirono da quella bocca biscaglina.
    Quando finì, un sorriso anticipò precisazioni su regole molto scrupolose vigenti lì dentro, qualcosa di cui Romeo era già a conoscenza, anche se in modo parecchio approssimato, se non confuso. Risultava in ogni caso chiaro, ancor di più se detto da colei che doveva essere un’esponente degli abitanti di quell’edificio, il fatto che lì dentro estranei non ce li volevano e non dovevano entrarci, e in base alle abbastanza recenti scoperte fatte dallo spagnolo, si capiva anche il perché. Un perché che vacillava però secondo altri discorsi, altre parole, dette da una collega di quella rossa, che forse avrebbe rischiato strigliate, punizioni o qualcosa di peggiore, se mai si fossero avverati. Per fortuna, a salvarlo dal rischio di essere preso forse a calci nel sedere, prima di essere gettato fuori dalle mura del Talamasca, magari con tanto di auto demolita come monito, c’era ancora una volta quel nome, quella persona, così importante da far sì che lo spagnolo se lo immaginasse lì, sopra le loro teste, come una presenza che ti segue ovunque, anche se era giorno e la temperatura saliva sempre più. Ancora una volta Asterios finì per essere inserito nella discussione e ancora una volta veniva sottolineato che la presenza dell’iberico lì dentro era solo merito suo. Infine, ciliegina sulla torta, venne fatta la grande scoperta, che in tutta verità si avvertiva nell’aria, in base ad impressioni, sensazioni, benissimo smontabili altrettanto velocemente della risposta alla domanda posta qualche istante prima: Romeo aveva di fronte proprio la persona che stava cercando.
    Haru era dunque una donna, una giovane e bella donna, che aprendo la porta d’ingresso situata dietro alle sue spalle, lo invitò ad entrare, dando mostra di alta cortesia e cordialità, al posto di sfuriate un pochino aspettate. Un sorriso per questo si andò a disegnare sul volto di Romeo, che strofinandosi la sottile barbetta sotto il mento, superò l’Osservatrice, varcando l’ingresso e trovandosi finalmente lì dove abitavano tutti gli Osservatori conosciuti da quando abitava a Nouvieille. E quando gli occhi finirono per abituarsi al cambio di luce, rischiarono di andare in tilt, non sapendo dove guardare. L’arredamento era semplicemente stupendo, elegante al punto giusto, inimmaginabile per uno che il Talamasca lo doveva ancora inquadrare bene: sotto le scarpe bianche di pelle di Romeo, un pavimento ancora più bianco e di marmo pareva stendersi dappertutto, lasciando qua e là partire colonne candide verso un soffitto che non c’era, che permetteva uno scorcio del piano superiore, che per mezzo di una sorta di balconata quadrata affacciava esattamente sull’ingresso. Spostando infine lo sguardo verso altri particolari, come vasi, quadri e lampadari, oltre al solo accenno di numerose stanze presenti tutte intorno, si ritrovò a guardare l’ingresso, lì dove sapeva avrebbe rivisto Haru, con gli stessi abiti, lo stesso colore di capelli, non quello degli occhi, forse impaziente, di sicuro in aspettativa di conoscere quale importantissima e ragguardevole motivazione l’aveva spinto a conoscerla e parlarle.
    - Mi creda, poter rivolgermi direttamente a lei, è già un buon punto. -
    Una pausa, non tanto per creare suspense, ma più per mettere ordine ad idee e parole che aveva in testa, arrestò momentaneamente la voce di Romeo, fermo a pensare pizzicandosi le labbra e osservando solo in quel momento con più attenzione, l’abbigliamento della donna: una camicia verde, più lunga del normale, sovrastava un indumento di difficile definizione, che comunque stretto, fasciava il bacino e le gambe. L’attenzione passò poi ad una sfumatura del marmo e alla fine, quando non erano passati neanche dieci secondi, si ritrovò a riassumere con poche parole quel qualcosa che non obbligatoriamente gli avrebbe garantito un proseguimento di giornata lì dentro. Non aveva idea di quale reazione avrebbe avuto Haru, né sapeva se la cosa era veramente fattibile o meno; infine, poteva ottenere un rifiuto anche solo semplicemente perché l’Osservatrice era impegnata col dover fare dell’altro, qualcosa di sicuramente più importante del dare retta ad uno strano Artigiano.
    - Ho bisogno di conoscere tutto ciò che c’è da sapere sul sovrannaturale. Non tanto parole mie, ma del vampiro che conosciamo entrambi. Il signor Vitra ha visto questa necessità e quindi eccomi qui. -
    Con quel discorso si augurò solo di non mettere in allarme la donna che poteva garantirgli un’esistenza migliore in quella città, né tanto meno darle false speranze di un nuovo collega se fraintese quelle parole. Alla fin fine sapeva del soprannaturale tanto quanto del Talamasca, del quale argomento non avrebbe di certo rifiutato una lezioncina; ricordando poi lo scherzetto che gli fece Asia in bottega, possibilità di finire lì dentro erano pari a zero, data l’inesistenza di capacità in grado di far lievitare oggetti, se non con altri e magici, di sua creazione. E comunque il suo mestiere, quel che era, gli piaceva così com’è e gli andava più che a genio; non c’erano dunque i presupposti per cambiamenti così radicali, ma solo il forte bisogno e l’importante necessità di potersi mettere in guardia da quelli che apparivano più che mai come pericoli sempre in agguato, trappole e tranelli in cui gli era facile cadere, come sentenziò lo stesso vampiro quando andò a sfidargli quello sguardo vecchio qualche millennio. Attese pertanto, in rispettoso silenzio, quale decisione Haru avrebbe preso riguardo a tutto ciò, che provato a vedere dal punto di vista della rossa, non doveva essere tanto splendente e luccicante.
     
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  8. °°°Haru°°°
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    Richiuse la porta dietro di se non appena l'ospite varcò la soglia e mosse i suoi primi passi all'interno della sede, avanzando nell'ampio ingresso.
    Era ormai mattina inoltrata, la luce entrava dalle alte finestre, rifletteva sul marmo bianco tirato perfettamente a lucido e illuminava decisamente bene tutta quella zona, le luci erano spente.
    Dopo aver chiuso la porta avanzò anche lei nell'ingresso, non disse ancora nulla, lasciò a Romeo il tempo di guardarsi attorno, di prendere anche confidenza con il luogo in cui si trovava.
    Come sperava fu lui stesso a spiegare il motivo della sua visita, era li per essere 'istruito' sulle faccende del mondo soprannaturale che viveva parallelamente dall'inizio dei tempi con il mondo che tutti conoscevano, in cui tutti vivevano. A quanto pareva era stato Asterios stesso a consigliare a Romeo di farsi una cultura su quegli argomenti, come mai?
    La sua espressione non rimase immutata, le sopracciglia si sollevarono in segno di sorpresa, si mordicchiò anche leggermente il labbro inferiore.
    A una persona comune non serviva conoscere certe cose, un umano vive decisamente meglio all'oscuro di faccende troppo grandi per la sua stessa natura. Se un umano avesse prove certe di esistenze di alcune creature sicuramente andrebbe a impicciarsi in affari che non porterebbero a nulla di buono, insomma farebbe la fine di tanti osservatori sventurati o troppo esposti.
    Annuì appena, anche se con fare titubante, aveva recepito quale sarebbe stato il suo compito, perche Asterios aveva indicato proprio lei, ma prima di rispondere alla sua richiesta avanzò ancora qualche metro nell'ingresso, passò davanti all'ospite e si voltò solo per fare un cenno con la mano, indicando verso sinistra dove si apriva un corridoio.

    "Se vuoi seguirmi..."
    Aggiunse continuando poi a camminare. Prese il corridoio ed entrò nella prima porta sulla destra, li stava il salotto 'ufficiale' della sede, dove poco prima stava anche Haru. Sul tavolino al centro della stanza erano sparsi documenti vari, tavole di anatomia umana e libri vari su Leonardo Da Vinci. Si apprestò a sistemare il disordine, impilò i libri e ripose i documenti e le tavole in apposite cartelline contrassegnate.
    Invitò poi Romeo a prendere posto sui divani, cosa che fece anche lei.

    "Dunque come prima cosa vorrei che ti rivolgessi a me senza tante cerimonie, dammi pure del tu."
    Accavallò le gambe e si portò la mano sotto il mento in un atteggiamento pensieroso.
    "Il mondo soprannaturale è troppo ampio per essere conosciuto in tutte le sue sfaccettature, io stessa ho parecchie mancanze! Vorrei principalmente sapere perche Asterios ti avrebbe consigliato di cercarmi per renderti partecipe di queste questioni. Lo conosco piuttosto bene e so che non darebbe il mio contatto a tutti, se l'ha fatto vuol dire che un motivo valido c'è..."
    In sostanza 'dimmi chi sei e cosa vuoi di preciso'. Probabilmente se fosse stata Miyu al posto suo avrebbe risposto esattamente con quelle parole.

     
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  9. ~ Romeo.
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    Chi sono



    Il botta e risposta continuava senza troppe riforme, se non per quanto spettava allo scenario, ai punti di vista, di certo resi migliori dall’ingresso nella Sede, in cambio di un definitivo abbandono, trionfale secondo il punto di vista dell’uomo, dell’intermezzo composto di un bottone, una scatolina metallica e l’obiettivo di una telecamera, con quest’ultima che aveva spinto gli iniziali ingranaggi della loro discussione, solo e soltanto in un’unica direzione, almeno per quel che riguardava il legame visivo. Adesso che poteva guardare dritto in quegli occhi cangianti, concentrati su qualsiasi cosa usciva da quella bocca spagnola, e solo dopo veloci ed accurate analisi mentali, ebbene Romeo si ritrovò a preferire di gran lunga quella modalità, oltretutto provando un lontano e neanche tanto rumoroso desiderio di sfasciare il citofono presente di fianco al cancello: infatti, come da una parte capiva e giustificava i mezzi di sicurezza adottati dagli Osservatori, dall’altra rifiutava ancora, ma forse al limite dell’inconscio, di aver dovuto parlare attraverso un microfono, quando nel frattempo si stava perdendo un dialogo ben diverso e di elevata qualità, se solo avesse saputo con chi lo stava instaurando. Tutto ciò per dire molto semplicemente che quella chiacchierata gli stava davvero piacendo, non solo per quelli che potevano essere gli argomenti trattati, in realtà ancora in alto mare, ma principalmente per via di colei con cui si stava intrattenendo. Gli piaceva così tanto che provò anche un vago e lontano sentimento di arrabbiatura nei confronti di sé stesso, per il solo fatto di aver rimandato a lungo quella visita; eppure sapeva fin troppo bene quali erano stati i motivi che l’avevano spinto ad allungare i tempi d’attesa di una Haru che alla fine nemmeno sognava di dover garantire un incontro ad uno che nemmeno conosceva. Tuttavia, dopo due lutti, un viaggio ed un rapporto indescrivibile per quanto confusionario con una persona, che oltretutto poteva apparire da un momento all’altro, si rendeva ancora una volta conto di trovarsi proprio lì, accorgendosi anche che la cosa gli dava una dolce soddisfazione. E occorre dire che fino ad una quindicina di minuti prima, qualcosa in più, qualcosa in meno, nemmeno conosceva quella donna. Merito suo, allora? Forse, o forse quel periodo strano, privo di appagamenti, o delle stesse semplici cose che avevano caratterizzato la sua vita da un po’ di tempo dopo il suo arrivo in città, si poteva pertanto definire concluso, sconfitto e gettato nelle fauci di un passato che non arrecava più fastidio, se non dolore.
    La replica di Haru non tardò ad arrivare: anticipata da un’alzata di sopracciglia, atta a rendere ancora più grandi e d’impatto quelle sue due perle, rese leggermente più scure dal controluce, la reazione fu quella di sorpassarlo di lato, proseguire per neanche un metro sul pavimento latteo dell’ingresso, e infine voltarsi, pregandolo con un cenno e poi a parole, di seguirla. Quella figura che prendeva il nome di Romeo, diventata per un po’ una statua, ruotò per poi accodarsi dietro la giovane. La rossa lo guidò prima lungo quasi tutta quella stanza di benvenuto, per poi curvare a sinistra e imboccare un corridoio, nelle cui fattezze, nel cui arredamento, nel cui complesso non si separava da quello a cui un po’ s’erano abituati gli occhi oceanici dell’Artigiano, ma nemmeno si poteva dire che lo somigliasse in tutto e per tutto. Una via di mezzo adatta ad introdurlo in una nuova stanza, piena di luce e di cose diverse da guardare. La focalizzazione primaria per l’uomo si attaccò con le unghie a quei due divani, singoli e separati, ma formanti una sorta di ‘L’, il cui spazio vuoto era riempito da un basso tavolino di legno. Osservò poi come la luce entrava da finestre simili, se non le stesse adocchiate lungo tutta la facciata dell’edificio: dovevano sicuramente bastare ad evitare l’accensione di qualche lampada artificiale anche durante la mezz’ora successiva del tramonto. Come di giorno, quel posto doveva essere uno spettacolo anche verso la sera, per poi brillare di luce propria durante la notte, trasformandolo in un faro in mezzo ad un mare nero di vegetazione, alti alberi prima di tutto. E mentre era intento a guardare l’arredamento di quella stanza, quasi gli sfuggirono i suoni provocati da una Haru intenta a mettere ordine su quel tavolo, su cui aveva intravisto qualche attimo prima, numerosi fogli bianchi, ma ricchi di segni, scritte, immagini forse. Un attimo dopo parvero apparire dal nulla cartelline e quant’altro per contenere quei numerosi documenti, che uno sopra l’altro e in ordine, furono celati in quei contenitori di certo più maneggevoli dell’avere a che fare con fogli svolazzanti. Fu chiaro, ma solo dopo qualche secondo di ritardo, che la sua visita aveva sì fatto una vittima: qualunque cosa rappresentasse tutto quel materiale, di certo la sua presenza era stata artefice di una qualche interruzione, che però non fu fatta pesare. Al contrario, la donna lo invitò a sedere, imitandolo qualche istante dopo. Romeo scelse il divano più vicino alla porta, Haru quello che dava le spalle alle finestre. Neanche il tempo di accavallare le gambe ed avvolgere un braccio dietro lo schienale, per una postura più comoda sul sofà che lo era già di per sé, l’ospite fu preso di mira da un discorso molto dettagliato, immediatamente dopo la richiesta di usare un più colloquiale ‘tu’, quando del ‘lei’ era stato fatto forse un eccessivo abuso. Così, dopo una veloce premessa che vide come protagonista la stessa Haru, la giovane Osservatrice non perse tempo e mise i paletti laddove le sembrò opportuno: inteso quale sarebbe stato il compito che avrebbe avuto in quella faccenda, fu chiesto a Romeo, senza numerosi giri di parole, la motivazione che lo aveva spinto, sotto consiglio di Asterios, a bussare quella mattina al citofono un po’ odiato della Sede del Talamasca. Dunque il perché di quella necessità, per ottenere quali scopi, o vantaggi, e forse in maniera più personale, cosa ne riceveva l’intermediario e l’iniziatore che vestiva i panni di un tizio sopravvissuto a tutto, per molti e molti anni. Si capiva inoltre, da parte della donna, un modo per proteggere possibili interessi, che potevano rischiare di essere compromessi.
    Col sapore ancora in bocca delle parole precedentemente dette, a Romeo non fu difficile far trovare pace ai pensieri e ragionamenti che immaginò essere nati sotto quella chioma infuocata, e che ora forse lampeggiavano vistosamente, in cerca di attenzione e di un modo per spegnersi. Ricollegandosi a quanto detto neanche troppi minuti prima, lo spagnolo provò a facilitare quel compito domandato, dai caratteri di sicuro ancora troppo poco articolati.
    - Vedi Haru, tu ed io abbiamo molto in comune, circondato ovviamente da numerose differenze. Come Artigiano di Armi Magiche, forse ho avuto più io a che fare con creature sovrannaturali, che non tu. Ma al contrario di te, fino a qualche tempo fa, e ancora oggi volendo, non sapevo e non so con chi ho a che fare, e tanto meno non so come comportarmi. -
    Si fermò ancora una volta, consapevole di aver già detto abbastanza su cui riflettere, almeno prima di consegnare altro con quella voce, che non tanto faceva pensare alla Spagna visto i tantissimi anni trascorsi a Londra, ma che suonava comunque come una novità da non poco all’interno di quelle mura. Cambiando già postura, abbassando le gambe e sovrapponendo le mani sul grembo, l’alchimista provò per qualche istante a domandarsi se davvero in casa ci fossero solo loro due, o invece si correva il rischio di essere sentiti, considerando una certa centralità della stanza, calcolata ovviamente approssimativamente. Ancora una volta, però, evitando di cedere la palla ad Haru e rischiare di spezzettare troppo il proprio discorso, oltre ad allungarlo troppo, andò a rompere il silenzio di nuovo, curvando leggermente il busto verso l’interlocutore, lontano e seduto sull’altro divano.
    - Questa necessità che si è venuta a creare e di cui mi chiedi spiegazione, ha trovato origine quando ho pensato bene di guardare dritto negli occhi al nostro caro Asterios, durante una compravendita. Non so nemmeno descriverti le conseguenze di quel mio gesto, né so se davvero ci furono. So però che se mi trovo qui, un motivo ci deve essere. -
    Un lungo respiro, un sorriso stentato più che ostentato. Si ritrovò ancora disteso lungo lo schienale, leggermente curvato verso Haru, dalla quale voleva sapere al più presto pareri ed opinioni, addirittura preparato a fare le lui le domande, che invece in quel contesto erano prerogativa dell’Osservatrice, che dal canto suo le sapeva ben nascondere in constatazioni, ricche di puntini sospensivi.
     
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  10. °°°Haru°°°
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    Non dovetti aspettare troppo tempo per avere risposte alle mie domande, Romeo si identificò come artigiano di armi magiche, come essere simile a me.
    Effettivamente era proprio cosi, entrambi avevamo a che fare con il mondo del soprannaturale, lui creava cose che non erano 'accettabili' nel modo di pensare tipicamente umano, io invece al posto di crearle le studiavo. Studiavo creature soprannaturali, eventi strani, apparizioni e anche le stesse armi che creavano quelli come lui.
    Nella nostra biblioteca, proprio in quella sede, non erano pochi i manuali che parlavano di armi e oggetti con proprietà magiche. Li avevo letti e studiati, avevo richiesto anche particolari documentazioni sui metodi per riuscire a distinguere un'arma magica da una normale, da una attenta analisi sarei in grado di stabilire il genere di arma magica, il suo utilizzo e gli effetti che potrebbe produrre in azione. Ovviamente non conosco i metodi per crearle da zero ma gia sapere qualcosa di concreto a proposito del lavoro di Romeo era un passo avanti.
    Romeo doveva si avere a che fare con parecchie creature, le persone comuni non vanno a comprare oggetti magici genericamente, se lo fanno li cercano principalmente in quei negozi di truffatori pseudo-alchimisti. Quello che mi stranì fu il fatto che lui non era a conoscenza della loro esistenza!
    Corrucciai appena le sopracciglia senza volerlo, e avanzai leggermente con il busto e il capo verso dove stava l'ospite.

    "Dunque... dimmi se ho capito bene o ho frainteso le tue parole. Tu costruisci armi magiche, crei pozioni, lavori con pietre dagli immensi poteri soprannaturali ma non conosci nulla delle creature a cui presti i tuoi servigi?"
    Chiesi direttamente, la questione mi sembrava un po insensata, avevo gia incontrato una persona che lavorava nel soprannaturale come risvegliante ma che di fatto di soprannaturale non sapeva nulla a parte il suo lavoro... Sinceramente non pensavo di incontrare altra gente del genere.
    " E ti sei reso conto di questa cosa quando hai guardato negli occhi Asterios e probabilmente ti sei fatto incantare dallo charme vampirico... giusto?"
    Continuai. Ora dovevo valutare effettivamente da che livello partire con lui.
    Avere giusto quel punto d'inizio per iniziare a buttargli li qualcosa, perche spiegargli veramente tutto in una manciata di ore era impossibile, io studio da anni e ancora ho parecchie buche!

    "Vorrei sapere almeno da cosa cominciare, quali creature conosci, quali sono quelle con cui sei certo di aver avuto a che fare... Potrei iniziare a parlarti di quelle e poi magari se ti interessa qualcosa di particolare... Beh, insomma... vedi tu!"
    Mi strinsi nelle spalle. In quel momento però mi resi conto di non aver ancora offerto niente a Romeo, una cosa imperdonabile per me.
    "Oh, devi perdonarmi... gradisci qualcosa? Un the, un caffè, bibite?"

    SPOILER (click to view)
    Scusami per essere passata a una narrazione in prima persona a metà giocata >_< ma ultimamente mi viene piu spontaneo scrivere cosi, scusa anche possibili ed eventuali miscugli tra prima e terza persona @_@
     
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  11. ~ Romeo.
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    Inattesi ricordi



    La figura dello stupido: ecco riassunta in poche parole la situazione spalancata agli occhi di Romeo in seguito all’osservazione fatta da Haru, anticipata da una variazione nell’espressione facciale dell’Osservatrice, sorprendentemente incentrata, come successo alcune volte in precedenza, nel taglio occhi; nello stesso istante, lo sguardo della donna riusciva ad esprimere qualcosa, ma a celare molto altro, di gran lunga più importante dell’accorgimento per merito dello spagnolo, conscio di esser sembrato ancora più strano con le sue parole. Anche volendo, però, la faccenda non cambiava, quella era e quella sarebbe rimasta, a meno fino a quando quella conversazione non avesse iniziato a dare dei frutti, cosa ancora non certa: la sua presenza al Talamasca non imponeva ancora l’assoluto convincimento di terminarla armato di nuove e vitali informazioni. Inoltre, lo stesso Artigiano sapeva fin troppo bene quanto assurda la sua figura stava apparendo agli occhi di chi ancora non si faceva capace di un fatto, che dall’inverso punto di vista sarebbe stato più che normale. La sua istruzione, difatti, non aveva previsto apprendimenti con oggetto il soprannaturale in generale, ma semplicemente era stata edificata nell’acquisizione di numerose nozioni, tutte incentrate sulla creazione di oggetti e sul come renderli magici. Ciò non significava che nessuna parola era stata spesa a riguardo dei clienti: sapeva di dover avere a che fare con personaggi a volte bizzarri, a volte anche fastidiosi, a volte propensi a raccontare un mucchio di cose su sé stessi, ma di difficile comprensione e più rapidamente catalogabili come fesserie; sapeva comunque accoglierli, mettersi a loro disposizione, soprattutto era bravo nel capirli, nel decifrare discorsi spesso confusionari, fino a trasformarli in concetti su cui poteva basarsi per poter lavorare, sapendo di dover soddisfare completamente la richiesta fattagli. Per di più andava sottolineata la sua vita precedente all’ingresso in quel mondo chiamato Nouvieille: costretto a vivere lontano dalla propria famiglia, dalla propria patria, si era ritrovato come tutori due zii, validissimi nell’insegnargli il mestiere, ma forse giustamente premurosi nel tenerlo lontano da tutta una serie di cose che potevano apparirgli troppo sconvolgenti, o peggio, altamente pericolose. Aveva infatti imparato l’Artigianato di oggetti magici soprattutto guardando, anziché studiando: per anni assistente vuoi di uno zio, vuoi dell’altro, aveva avuto a che fare con numerosissimi clienti, la cui natura, forse sovrannaturale, era sempre rimasta celata dietro un comportamento tipico, umano, forse dietro richiesta dei suoi stessi parenti, col solo scopo di evitargli una vita già di per sé difficile. Non dovevano però aver minimamente pensato che un giorno il piccolo Romeo sarebbe cresciuto, che si sarebbe sentito stretto tra quelle vecchie mura londinesi, condividendo lo spazio con chi gli era col tempo diventato collega, decidendo così alla fine di chiudere baracca e baracchini a Londra, per riaprirli sul continente.
    Ed eccolo invece in quella stanza, a sentir dire da Haru parole che si era già fin troppe volte ripetuto a mente, dopo le scoperte abbastanza recenti. Addirittura sembrava che la rossa lo stesse canzonando, per non dire che lo stesse prendendo in giro, evidenziando le sue capacità, ma considerandole però un qualcosa che secondo l’ottica dell’Osservatrice, dovevano combaciare per forza con la conoscenza di spiriti, vampiri, angeli e via discorrendo. L’irritazione però non salì mai a galla, forse inibita proprio dal fatto di trovarsi in terra straniera e di essere completamente dipendente da quella giovane donna, la quale tuttavia non stava facendo altro che cercare di capire bene la situazione, per aiutarlo probabilmente. Romeo si limitò così ad annuire, dopo il primo discorso, e a fare appena di no con la testa quando Haru suppose che tutta quell’incredibile questione era conseguenza di quel faccia a faccia avuto con Asterios, di quella sorta di suicidio nel subire un qualcosa che chiamò charme vampirico, probabilmente un potere specifico della razza d’appartenenza del proprietario del Ritual. Non gli diede in ogni caso tempo di dire qualcosa, o di correggerla almeno, che continuò, visibilmente presa dalla circostanza nella quale si era imbattuta: collegandosi alle parole precedenti, l’Osservatrice volle anche sapere fin dove si spingeva la conoscenza dell’Artigiano, sempre se di conoscenza si poteva parlare e sempre se questa esisteva in fin dei conti; una lista di personaggi andò per questo motivo a materializzarsi nella testa del bilbaino, affiancati dalla razza d’appartenenza. Nel frattempo saltava all’occhio il fine di tutto quel parlare, stante appunto a significare, come morale della favola, che la ragazza l’avrebbe aiutato. Contento di ciò, stava per rispondere, ritrovandosi però davanti un’offerta di carattere prettamente preferenziale e alimentare, potendo di fatto scegliere cosa chiedere ad un bar immaginario sorto a due passi dalla rossa: ci pensò velocemente su, ma posticipò la cosa a dopo; altro aveva la precedenza, il tutto raccolto in un bel po’ di parole, pronte a togliere qualsiasi dubbio maturato nel suo interlocutore. Parallelamente, spazzò via con un gesto puramente astratto, il collegamento che l’episodio da solo gli faceva notare, costringendolo a pensare per qualche istante al mestiere di una collega di Haru, per fortuna ancora non apparsa. Quando alla fine aprì bocca, la voce aveva stranamente perso qualche tono, risultando più bassa e non sempre diede l’idea di rivolgersi a colei che era pronta ad ascoltarlo, ma al contrario quella di parlare a sé stesso, spostando ogni tanto lo sguardo da Haru al resto della stanza, e viceversa.
    - Quel che hai detto è vero in parte. Le mie recenti scoperte non sono iniziate con quell’episodio di cui ti ho parlato, però sono proseguite con esso. Prima che Asterios mi rivelasse la sua reale natura, prima ancora di commettere quello che mi sembra ancora un grave errore, ho avuto modo di conoscere uno spirito, un fantasma: il signor Adi, questo è il nome con cui lo chiamo, è stata la prima creatura con cui ho avuto a che fare consapevole di ciò, ma non immediatamente. Puoi infatti immaginare il mio spavento nel vederlo attraversare con una mano il bancone del mio negozio. Dopodiché siamo diventati buoni amici, lo considero il mio migliore cliente. -
    Fermò il discorso: voleva controllare di star seguendo bene tutto il filo logico dei suoi pensieri. Poi continuò.
    - Subito dopo c’è stato Asterios e tramite lui sono venuto indirettamente alla conoscenza che esistono anche i licantropi e il loro principale punto debole: l’argento. Ma soprattutto ho tra i clienti un Angelo, un Caduto. Infine, a parte un buon numero di incontri con dei tuoi colleghi, solo una ninfa si è rivelata a me come tale. -
    Aveva riassunto tutta la sua vita di carattere soprannaturale in due atti, accorgendosi di non aver saltato niente e nessuno, a parte il dovere di rispondere all’offerta fattagli.
    - Ah, se c’è una cola fredda, prendo quella, se no va bene un po’ d’acqua. -
    Il bar di Haru poteva essere fornito di tutto, anche di alcolici, ma non era quello il momento e il luogo adatto per quel genere di cose. Forse dopo quella chiacchierata, che si augurava la più lunga possibile, si sarebbe diretto in qualche bar, a rimuginare sopra una birra o qualcosa di simile.
     
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  12. °°°Haru°°°
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    Ascoltai con estrema attenzione quella lista di personaggi con cui aveva avuto a che fare.
    Gli spiriti erano la mia specialità, oltre ai vampiri ovviamente, ma generalmente mi occupavo di esseri semplici, spiritelli dispersi nel mondo umano che vagano in cerca della luce. Quello con cui aveva avuto a che fare Romeo doveva essere uno spirito di un livello decisamente piu alto. Soltanto quelli con una forte coscienza di se stessi riescono a manifestarsi in forma umana. Per presentarsi poi in un negozio di armi magiche e comprare qualcosa, oltre che alla coscienza e alla parvenza umana doveva avere anche materialità!
    Per i licantropi la situazione gia cambiava... mi interessavano relativamente poco e non avrei potuto istruire granchè bene l'artigiano. Ovviamente le basi le conoscevo perfettamente, ho anche incontrato due 'esemplari' di quella specie. In ogni caso considero i licantropi un po come considero i Mutanti, ovvero esseri umani con dei geni deviati. Non sono una cima in chimica o materie scientifiche, a mio parere però creature come loro andrebbero studiate proprio sotto quel punto di vista piuttosto che sotto il ramo dell'occulto.
    Quando parlò dell'angelo nero arricciai appena il labbro inferiore.
    Ne conoscevo solo uno, attualmente residente in città, Raven. Un nome, un programma! Sperai che non fosse proprio lui il cliente. In ogni caso gli angeli neri non erano proprio i clienti ideali da accogliere nel proprio negozio!
    Di Ninfe invece non ne avevo mai incontrate ma qualcosa sapevo su di loro.
    Prima di continuare con il discorso decisi di andare a prendere la cola che aveva richiesto Romeo e anche qualcosina per me.

    "Una cola fredda, torno subito!"
    Mi alzai e a passo rapido mi diressi verso la cucina. Preparai un vassoio con due bicchieri con ghiaccio e limone, una lattina di cola e una di the, entrambe fredde di frigorifero. Aggiunsi anche un vassoietto con qualche biscottino, Romeo non li aveva espressamente richiesti ma agli ospiti offriva sempre qualcosa da sgranocchiare.
    Tornai da lui e appoggiai il vassoio sul tavolino centrale, accanto alle varie cartelline e ai libri di anatomia che avevo messo in ordine poco prima. Un chiaro invito a servirsi quando preferiva bere o buttare giu qualcosa.

    "Hai detto anche che gia conosci qualche osservatore, chi?"
    Mormorai mentre mi siedevo di nuovo sul divano dove stavo anche prima. La mia era pura curiosità, nulla di che.
    "Per il resto... potremmo partire dagli spiriti, che ne dici? Diciamo che sono piuttosto esperta in quella branca del soprannaturale, ci ho lavorato per parecchio tempo... Quel certo 'signor Adi' aveva un corpo, vero? Un corpo fisico intendo."
    Ripescai dalla mia memoria un po i maggiori gruppi di spiriti di cui conoscevo l'esistenza.
    "Principalmente gli spiriti sono divisi in tre grosse famiglie: gli spiriti puri, quelli intermedi e quelli maligni. I piu comuni sono spiriti senza coscienza, quelli che non sanno di essere morti, non hanno consistenza, non hanno forma e solo quelli con un'alta percezione riescono a vederli o percepirli. Quelli che possono materializzarsi non sono molti e possono essere per esempio Dame Bianche, Poltergeist, Far Darring, Cugnet, Berretti rossi o Crocchiaossa. A parte le dame bianche tutti gli altri sono spiriti intermedi oppure maligni... Quindi non devi aver avuto a che fare con un simpaticone..."
     
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  13. ~ Romeo.
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    Catalogo Spiriti



    Attese per circa un minuto il ritorno di Haru: dopo la lunga carrellata di creature, forti nell’essere più che interessanti per un’Osservatrice, quest’ultima si congedò, palesando l’andar a prendere quanto chiesto da Romeo comunicandolo prima a voce, poi uscendo dalla stanza, lasciandolo solo con i suoi pensieri. In quel brevissimo arco di tempo la coscienza dello spagnolo vagò verso di tutto, dalle cose più banali, a quelle forse utili, senza però mai prendere in considerazione seriamente quanto gli stava accadendo. Tutto avveniva non tanto con estrema velocità, ma in maniera tale da rendere quella conversazione tanto interessante, quanto una vera e propria divoratrice di minuti: la cognizione del tempo era stata persa parecchi istanti prima, e non a caso poco gli importava, difatti bastava guardare i polsi spogli di un orologio. Restò per questo motivo a guardare un quadro appeso ad una parete, in una posa di manifesta concentrazione, per tutto il tempo necessario alla donna di trovargli la bibita: un braccio fu lasciato disteso sul grembo, l’altro dritto, col gomito su una gamba, mentre i denti mordicchiavano l’unghia del pollice. Più provava a capirlo, più quel quadro non gli diceva niente, ma soprattutto ancor di più la testa viaggiava per fatti suoi, senza filtro od ostacoli. Lo sguardo blu di Romeo si staccò solo quando la sagoma di Haru gli passò davanti: la ritrovò nell’atto di poggiare sul tavolino quanto chiesto e parecchio di più, tanto da spingere in automatico l’Artigiano a dirsi tra sé che non c’era affatto bisogno. Oltre alla cola, un tè freddo faceva compagnia a ghiaccio, qualche fetta di limone, ma soprattutto alcuni stuzzichini che sarebbero scesi alla grande con qualche copioso sorso della bevanda nera e gassosa.
    Quando la decisione sul da farsi stava prendendo forma nella testa dell’iberico, l’immediata domanda della rossa fece sfumare tutto, obbligando Romeo a tornare in una posa più comoda per parlare, oltre che appunto ragionare su quanto c’era da dire. Soffermandosi sugli occhi mutevoli di Haru, l’alchimista la fissava e allo stesso tempo lasciava scorrere davanti agli occhi le immagini archiviate in memoria di coloro cui si stava facendo riferimento; per una seconda volta, nomi e volti che rappresentavano quell’abitazione, finirono per trasformarsi in parole, poi in discorsi, infine in voce, partendo dal primo incontrato, finendo anche per tutt’altri motivi sull’ultima conosciuta.
    - Il primo è stato Peter Hundred: l’ho conosciuto in Biblioteca, s’interessò molto alla mia professione e ricordo che mi chiese pareri su certe opere di William Blake; una chiacchierata interessante direi. Sulla seconda ho dei dubbi, poiché non si è presentata come Osservatrice, ma come semplice cliente; credo però che si tratti di lei in base a certi nominativi ricevuti da Asterios. Si chiamava... si chiamava... ah sì, Kimberly Hastur. -
    In realtà ricordava molto bene sia il nome sia il cognome, ma un po’ per il nome successivo che avrebbe citato, un po’ perché davvero aveva qualche dubbio sulla reale natura di quella ragazzina, per la quale nutriva molta apprensione e che sperava di averla armata a dovere, ebbene un piccolo vuoto di memoria gli parve dovuto. Il tutto, comunque sia, fu lungo poco più di un respiro e infatti continuò con quel suo discorso.
    - Per concludere, recentemente ho avuto modo di conoscere molto bene Asia; è stata mia cliente e forse, se non fosse stato per certi impicci avuti di recente, attraverso lei, tu ed io ci saremmo conosciuti molto prima. Ma questa è un’altra storia. -
    Archiviò anche quella faccenda, citando una certa questione che fino alla partenza per la Scozia gli aveva premuto molto, ora invece non aveva probabilmente alcun significato. Non sapeva comunque cosa aveva fatto intendere, e cosa no, ma in realtà poco gli interessava e riteneva di aver detto quanto bastava ad appagare quell’ovvia curiosità sbocciata nell’ultima domanda di Haru. Soddisfatta probabilmente, lasciò che il silenzio divorasse ancora la stanza, ma soprattutto lasciò Romeo alle prese con le vivande, sulle quali si avventò, ma con molta delicatezza: prese due biscottini e mentre se li infilava in bocca, aprì le due lattine, andando a riempire i due bicchieri precedentemente colorati di limone e ghiaccio; porse infine il bicchiere di tè all’Osservatrice, iniziando poi a sorseggiare la propria bibita. Fresca, gustosa, scese giù per la gola appagandolo completamente, ma soprattutto facendo sparire ogni sensazione di calura semmai provata fino a quel momento; in realtà la faccenda che stava vivendo era così particolare che si era dimenticato in quale stagione si trovavano, ma forse l’abbigliamento scelto bastava ad evitare brutali e imbarazzanti sudate.
    Non vuotò neanche metà del suo bicchiere; questo rimase sospeso, come una nuvola nell’aria, in mezzo al discorso che colpì l’uomo dritto alla concentrazione, la quale, toccata, gli garantiva una buona stretta al bicchiere e gli evitava rovesci spiacevoli. L’argomento che andò a trattare Haru forse mise solo da parte quello precedente che la riguardava, o forse aveva davvero solo e soltanto intenzione di parlare di quello nuovo: gli spiriti, citati proprio dall’ispanico, finirono col contrapporsi tra i due. Premettendo una certa affinità con queste creature, la rossa dimostrò ciò completamente, parlando per un bel po’, facendogli anche una domanda, ma senza dargli il tempo di rispondere. Dopodiché, come se stesse leggendo in un testo rimpicciolito e nascosto sotto quella voluminosa chioma di capelli ardenti, l’Osservatrice andò a sviscerare una serie di concetti, tutti molto interessanti: passando per una suddivisione tripartitica della razza degli spiriti, la giovane citò anche quelli che dovevano essere particolari specie, dai nomi stravaganti, anche di difficile memorizzazione in effetti, che probabilmente Romeo avrebbe dimenticato abbastanza in fretta. Al contrario, immagazzinò con scrupolosa attenzione le caratteristiche principali di quelle creature, già considerando di doverle mettere in pratica in caso di una nuova visita da parte del signor Adi.
    Quando Haru finì, fu di conseguenza il turno di Romeo per parlare.
    - Il signor Adi è una persona... uno spirito, pardon, fin troppo simpatico, una creatura davvero squisita, che si manifestò a me in fattezze umane ogni volta che ho avuto modo di lavorare per lui. E’ l’immagine sbiadita di un clochard, ma sa essere raffinato a modo suo; in poche parole, è tutto tranne che maligno. -
    Si espresse con convinzione, ma non tanto per correggere la donna: sentiva che dire quelle cose era giusto nei confronti di quel suo cliente affezionato, che oltretutto si era rivelato utile in una certa faccenda di vicinato. Terminò con occhi fissi su Haru, prima di passare lo scanner al bicchiere che reggeva ancora in mano: lo guardò per un qualche istante, poi lo vuotò lasciando sul fondo solo il ghiaccio e la piccola fettina di limone.
     
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  14. °°°Haru°°°
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    Potevo dire che Romeo avesse conosciuto una buona fetta del Talamasca di Nouvieille.
    Peter Hundred non era piu in sede da tempo, Asia probabilmente era partita per uno dei suoi viaggi e anche lei non si faceva piu vedere da un bel po.
    Kim invece era sempre li, come me.
    Non mi misi certo a pensare ad ipotetici risvolti pseudoromantici tra Asia e Romeo, lui non mi diede alcun modo di immaginare come stavano le cose tra lei e lui... e sinceramente non sarebbe comunque stato il mio primo pensiero. Sono la dirigente della sede e dovrei anche occuparmi di dirigere gli osservatori che sono qui a Nouvieille, ma come posso farlo se sono la prima ad andare contro il regolamento?
    Lasciai correre il discorso, magari ci saremmo tornati piu tardi.
    Romeo aveva gentilmente aperto anche la mia lattina e versato il the freddo nel bicchiere, lo presi ma ancora non bevvi nulla.
    L'artigiano mi rispose, negando la mia tesi a proposito dello spirito nel suo negozio. Rimasi interdetta per qualche attimo, cercando di trovare una soluzione plausibile.

    "Non uno spirito maligno?"
    Arricciai leggermente il labbro inferiore ed alzai lo sguardo al soffitto, prendendomi un paio di secondi prima di continuare a rispondere.
    "Non saprei... probabilmente dovrei vederlo o almeno percepirlo per riconoscere la sua natura. Chissà, magari un giorno finirà sulla mia strada..."
    Mi chinai verso il tavolino e presi un paio di biscottini. Prima di mangiarli continuai, cambiando discorso.
    " A proposito dei vampiri invece? Cosa ti piacerebbe sapere?"
    Mangiucchiai il primo dei due biscotti, una classica frolla cosparsa di zucchero e con una goccia di marmellata d'albicocche al centro.
    "Sono parecchi in città, probabilmente è la razza piu diffusa ma fortunatamente non sono caotici... non troppo almeno! Quelli che conosco sono piuttosto tranquilli. Come puoi ben immaginare Asterios è uno di quelli."
    Avvicinai il bicchiere alle labbra e bevvi un piccolo sorso, giusto per liberarmi la bocca dai residui del biscotto.
    "Di licantropi invece ne ho incontrati solo due, non posso certo dire di conoscerli come conosco i vampiri ma se ti interessa qualcosa a proposito della loro natura sono piu che disposta a rispondere alle tue domande. In ogni caso loro sono piu pericolosetti rispetto ai vampiri.. specie nelle notti di luna piena."

     
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  15. ~ Romeo.
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    Vampiri, licantropi



    I cubetti di ghiaccio rimasti sul fondo del bicchiere a sciogliersi, emettevano per riflessione un caleidoscopio sottile e lieve, grazie alla copiosa luce presente nella stanza. Sotto di essi, la fettina di limone appariva depressa, se non devastata da un sabato sera protratto fino a tarda domenica mattina, magari in un locale dove quel gioco di luci era all'ordine delle serate. Un paragone che forse falliva considerando il giorno odierno, su cui comunque lo spagnolo non metteva mano sul fuoco per quanto riguardava la certezza: esistevano sì calendari nel suo negozio, com’anche nel suo appartamento, e difatti sarebbe apparsa ancora più strana la cornice di uno con la sua professione, se di quelli ci fosse penuria, o penuria di attenzione, quando già appariva del tutto anormale la sua visita in quel luogo. In realtà era il suo modo di fare strano, fatto di conteggi e sistemi tutti particolari e tutti brevettati, in grado comunque di garantirgli una buona, se non ottima puntualità. Oltretutto bisogna sottolineare il fatto che nessuno si era mai lamentato dei tempi di consegna e proprio a ciò preferiva dare estrema importanza.
    Il contenitore di vetro non più pitturato di nero, ritornò sul vassoio, accanto agli stuzzichini, i quali furono nuovamente assaggiati, stavolta con più lentezza e calma, ciò volutamente fatto per accompagnare l’attenzione dovuta alle constatazioni successive di Haru. Con il tè ancora integro nel bicchiere, la rossa diede ovvia dimostrazione di star soppesando le ultime parole dell’Artigiano, quasi come se quest’ultimo avesse detto oscenità, o discorsi talmente campati in aria da non riuscire a capire se stesse facendo sul serio o stesse scherzando. Almeno questa fu l’idea iniziale di Romeo quando nuovamente riportò i propri occhi a contrastare quelli di lei, un attimo dopo veloce nell’esordire in quella che dette tutta l’aria di essere una domanda retorica: ancora non poteva capacitarsi del fatto che tale signor Adi non fosse maligno, sicuramente poiché troppo legata a regole e sistemi di valutazione forse fin troppo ritenuti infallibili; poteva anche trattarsi dell’eccezione che conferma la regola, ma probabilmente sarebbe stato più semplice dire che entrambi avevano ragione. Infondo, tanto Romeo poteva stare nel giusto, avendo incontrato quello spirito fin troppe volte, quanto Haru con la sua professione, i suoi studi e tutto l’ambaradan che quelli si trascinavano dietro.
    Le parole successive di lei probabilmente furono frutto di una verifica simile a quella appena attuata dall’uomo; infatti, dopo un breve momento di raccoglimento, stranamente rivolto verso il soffitto, quasi ad emulare allievi di una scuola nel bel mezzo di una prova d’esame, Haru non si permise di smontare pezzo per pezzo quanto detto dall’Artigiano, né tanto meno si avviò in una serie infinita di arringhe atte solo a provare che lei aveva ragione e l’uomo no. Ciò che fece fu quello di avvalersi dell’ovvietà, cioè puntualizzare sul punto che la vedeva non soggetta a continue visite della creatura di cui si parlava, al contrario di Romeo, ma comunque annunciando la possibilità che questo potesse accadere in futuro. E conoscendo un po’ gli Osservatori, lo spagnolo sapeva perfettamente che quel futuro non doveva esserlo così tanto.
    Una questione fu messa da parte, intervallata dalla scelta facile di una delizia in mezzo a tante altre. Ma prima di assaporare il dolcetto, fu immediatamente posto in essere un nuovo argomento, decisamente più interessante rispetto a quello precedente, ma solo per via del fatto che l’uomo ne sapeva troppo poco e tanto invece voleva conoscere, a differenza di fantasmi dei quali si poteva anche definire il primo della classe, conscio in ogni caso del fatto di star esagerando. I vampiri finalmente si ritagliavano la loro spettata fetta in quella chiacchierata da salotto sovrannaturale, aspetto comodamente attribuibile al Talamasca. Dopo un paio di domande, alle quali Romeo preferì rispondere in seguito, lasciando tempo e modi alla donna di dire quanto voleva, la stessa partì con una rapida esposizione della razza di Asterios, confrontandola poi con quella dei mannari, dei quali fu nuovamente sottolineata una minor conoscenza, il tutto alternato finalmente dalla degustazione vuoi del frollino, vuoi del tè. Quando terminò, fu chiaro per Romeo che era nuovamente il suo turno.
    - Non nego che mi faccia felice sapere che i vampiri siano tipi tranquilli, come mi dispiace non poter dire lo stesso dei licantropi, che saprei almeno come tenerli lontani, o almeno spero. -
    Faceva forse bene a sperare: in base a certe conoscenze, dicerie, informazioni nate e maturate nel corso del tempo, tutte cose però sempre ritenute come appartenenti ad un mondo prettamente folcloristico, ebbene non aveva fatto i conti con la famosa Luna piena, che un bel po’ lo spaventava, soprattutto non sapendo cosa essa realmente potesse significare. Ma per quanto tutto ciò fosse vero, Haru lì che ci stava a fare?
    - Per rispondere alle tue domande, ti dico molto semplicemente che vorrei sapere tutto il necessario per non commettere errori come quello fatto da me in presenza di Asterios. Come ci si comporta, ecco, con loro? Un qualcosa che non mi dispiacerebbe sapere anche a riguardo dei licantropi, che come hai detto tu, sono molto più pericolosi. -
    Aveva sì dato importanza al fatto che il suo interlocutore non fosse esperto di quella razza a dir poco preoccupante, ma già aver avuto modo di incontrare due esemplari, metteva la rossa su un gradino parecchio più in alto di quello su cui sostava da tantissimo tempo Romeo. Tant'è vero era parecchio convinto che l’esperienza di Haru, in quel caso, valesse tanto quanto studi approfonditi, a quanto pare mancanti, su quelle creature conosciute come licantropi.
     
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28 replies since 28/4/2010, 17:32   385 views
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