Le Valchirie non sono immortali

Giocata per Raven

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  1. 'Raven'
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    Dannato e socialmente troppo espansivo inside

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    Non era raro che la maggior parte degli incidenti capitasse durante il fine settimana, durante il venerdì sera ed il sabato sera, quando qualcuno si dimenticava di premere il freno per stanchezza o per un goccio di troppo. Nouvieille dopotutto era una città come tante altre, dove la popolazione umana - e non solo - si divertiva alla fine dei propri turni di lavoro, festeggiando l'incombente settimana a venire con più alcool che sangue nelle vene. Tutto molto bello, se non fosse stato per il grande incidente in centro di quella sera che aveva coinvolto un numero spropositato di convogli e messo in movimento tutta la macchina sanitaria e di assistenza, tra chi si occupava di tagliare e sfondare le lamiere per liberare corpi più o meno maldridotti e chi si occupava di portarli via per ricucirli o, nel peggiore dei casi, ricomporli e cercare le famiglie. Non che Raven avesse la serata libera in quanto quella settimana era di turno dalle otto di sera alle otto di mattina, e non che gli dispiacesse in maniera così acuta constatato l'orrendo e truculento spettacolo a cui aveva potuto assistere... e tuttavia, aveva sperato almeno di poter visitare il suo locale l'indomani per accertarsi dei lavori di ristrutturazione. In qualità di sanitario invece, con un'emergenza così grande e improvvisa, non aveva dubbi sul tornare a casa: non ci sarebbe tornato. Nella migliore delle ipotesi, le otto ore di turno si sarebbero trasformate in dodici, dopodichè sarebbe crollato mugugnando davanti alla macchinetta del caffè o sul divanetto nella stanza degli infermieri. Nel peggiore, avrebbe dovuto chiamare qualcuno per sistemare casa e locale, arieggiare e fare le dovute pulizie, dopodichè si sarebbe schiantato contro il materasso per le successive ore e tanti saluti a tutti.
    Il problema della stanchezza comunque non si poneva finchè restava in movimento: c'erano stati talmente tanti corpi da recuperare e movimentare sul campo, e talmente tante operazioni chirurgiche tutte d'improvviso una volta tornati in ospedale, che difficilmente avrebbe avuto anche solo il tempo per pensare alla fatica mentale e fisica accumulata. Con un leggero abuso di caffeina e con l'aiuto dei colleghi era riuscito a caricare nelle varie ambulanze almeno una quindicina tra morti e feriti, e il massimo legale di due interventi in rapida successione gli aveva concesso di prendersi una pausa con un lavoro più tranquillo e decisamente meno amato.
    Per quanto chirurgo di pronto soccorso, non molti medici in ospedale amavano avere a che fare con i cadaveri e la loro pulizia e chiusura, specie quando l'intestino stava da una parte ed il resto spiaccicato da un'altra, magari a qualche metro di distanza. A Raven non spiaceva invece stare in compagnia dei morti, silenziosi ed immutabili, e così verso le due - col calare delle emergenze - l'avevano mandato a ricostruire e pulire quelli più gravi, quelli di cui quasi nessuno sopportava lo sguardo assente e le profonde lacerazioni nei tessuti.

    L'obitorio dell'ospedale di Nouvieille non era vasto, ma aveva una buona quantità di celle frigorifere, lettini di metallo e forniture davanti a cui il suo personale nel seminterrato poteva solo impallidire. Due cadaveri di diversa nazionalità e sesso stavano sotto teli di lino che iniziavano a grondare dalla quantità di sangue assorbito, mentre gli altri quattro, leggermente messi meglio, erano stati portati da altri colleghi alle celle e messi lì dentro in attesa che l'angelo nero finisse il suo compito un po' alla volta. Aveva una scrivania in un angolo illuminato della stanza e dopo aver completato i controlli preliminari e visionato i rapporti stesi sull'ambulanza, doveva passare all'ispezione degli effetti personali, recuperare le informazioni sui familiari e contattarli, per poi occuparsi di rimettere assieme i pezzi del puzzle umano, armato di bisturi, pinze, ago e filo. La valutazione che avrebbe in seguito scritto sarebbe valsa come peripezia per le autorità competenti e come autopsia valida, motivo per il quale non solo ricuciva, ma apriva e chiudeva constatando la gravità dei danni e a quali organi.
    Faceva un freddo cane però. L'obitorio era ovviamente tenuto a temperature basse per permettere la conservazione delle salme, e probabilmente anche la sua, motivo per il quale lavorava rattrappito dentro la vistosa divisa rossa con catarinfrangenti sulle braccia e sulle gambe, su cui risultava impossibile distinguere il colore dal sangue effettivo. Con le mani avvolte dai guanti di lattice azzurri tipici del personale e circondato da una quantità assurda di contenitori, lavorava minuzioso all'esplorazione del secondo corpo umano dopo aver finito col primo, borbottando e lamentandosi di quando in quando del freddo che gli entrava nelle ossa, in piedi per metà ma con una gamba ed il piede incastrati nel piolo di uno sgabello imbottito, da modo potesse trascinarlo per sedersi ogni tanto. La tazza di caffè bollente era poggiata sul ripiano del lavandino, ma dubitava che la donna asiatica dai lunghi capelli neri fatta a pezzi davanti ai suoi occhi se ne sarebbe lamentata, così come non si sarebbe lamentata di avere qualcuno con cui parlare. A tutti gli effetti, l'angelo sembrava il classico anatomopatologo alla CSI, leggermente inquietante e forse anche sgradevole agli occhi degli altri per la mancanza di scrupoli verso corpi morti e (quasi) sepolti. Un motivo in più per cui nessuno sarebbe venuto a disturbarlo tranne che in casi di urgenza.

    Erano quasi le quattro - e lui era solo a metà del lavoro - quando sentì un rumore provenire da dietro la doppia porta che dava al corridoio. Guardò l'orologio strabuzzando gli occhi per l'orario, dopodichè si lavò velocemente le mani al lavabo e afferrò la tazza di caffè ormai fredda, sorseggiandola. Arricciò le labbra dal disgusto - ormai tagliate in più punti, perchè passava il tempo a tormentarsele coi denti mentre lavorava - prima di convincersi che poteva prendersi un momento di pausa per scaldarlo. Allora si staccò dal tavolino scansando lo sgabello, lasciando tutti gli strumenti riposti accanto alla testa del cadavere scoperto, e si diresse alla scrivania inondata di scatole e oggetti tra i più disparati sul quale troneggiava il bollitore mezzo vuoto, nel quale riversò il contenuto della tazza.
    Si? Alzò la voce in risposta al rumore appena sentito, mentre pigiava il tasto di accensione, mettendosi a braccia conserte ad aspettare il caffè al sapore di acquaragia. Non gli sembrò di avere risposta, per cui si girò verso la porta, prima dubbioso. Preferì insistere, supponendo di aver sentito un collega bussare.
    Che c'è?
     
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