Lo strano caso del timido luccio e del gatto che gli insegnò a nuotare

Per Jean Claude

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  1. 'Raven'
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    Ad un certo punto, dei passi arrivarono alle mie orecchie. Il silenzio era così denso da permettermi di sentirli facilmente, nonostante fossi alquanto perso nei miei pensieri. Il rumore di scarpe che calpestavano l'erba in falcate regolari mi fece drizzare i capelli e voltare di scatto. Volente o nolente, ero in allerta: il mio istinto mi gridava costantemente nelle orecchie che il mio Sire era giunto fin qui, in agguato da qualche parte, anche se non c'era una reale evidenza. Una sirena d'allarme fastidiosa e pulsante che non smetteva mai di suonare, ancora e ancora.
    Lanciai uno sguardo alla fonte del rumore, improvvisamente irrigidito. I passi si fermarono, poi ripresero in una marcia veloce e cadenzata in un unico punto. Mi rilassai con un sospiro di sollievo, sentendo il tintinnare di una borraccia. Era solo un uomo, il classico tizio impegnato a tenersi in forma o a sciogliere i nervi facendosi una corsetta nell'aria frizzante e gelida del parco. Un uomo in felpa e pantaloni, fatto e finito, probabilmente infreddolito, che beveva tranquillamente facendosi gli affari suoi.
    Fine momento introspettivo? A malincuore. Lo guardai bere lentamente i suoi sorsi e la sua soddisfazione mi sembrò così convincente da farmi desiderare istantaneamente quello stesso goccio d'acqua. Mi leccai le labbra senza volerlo.
    Potevo immaginare davanti agli occhi un'istantanea del suo pomo d'adamo che si alzava e abbassava regolarmente. Dietro agli strati di tessuto. Sotto ad un velo di sudore e pelle...
    Mi riscossi dal mio sogno ad occhi aperti durato una frazione di secondo, chiedendomi se la mia fosse solo sete o quell'altro tipo di sete. In ogni caso, ora volevo davvero quel dannatissimo goccio d'acqua. Uguale al suo. Avrebbero potuto esserci cento, mille fontane, un'oceano di fontane attorno a me. Non m'importava.

    Dovevo fermarlo? Adesso, assolutamente si.
    Indossai la maschera del povero sperduto - meglio che dire accattone, poveraccio, barbone - e mi rimisi la camicia sgualcita di volata, abbottonando giusto le prime due anse. Non mi alzai, ma feci un gesto ampio con la mano per attirare la sua attenzione.
    Per la carità, non che ci volesse un genio dell'osservazione. Ero pallido, smunto, coi capelli bianchi, vestito leggero d'inverno, praticamenticamente un personaggio appena uscito da un penny dreadful dal vago retrogusto di fine '800. Almeno non strisciavo nel fango - non ancora.
    Dobroye... ehm, mister? Il buongiorno in lingua straniera me lo potevo risparmiare, ma l'abitudine mi aveva tradito. Mi morsi silenziosamente la lingua e tornai all'inglese, cercando di parlare in maniera disinvolta e comprensibile, senza accavallare una parola all'altra. Per favore, mi aiuti.
    Sigh. Cento anni e come vampiro fai ancora schifo.
    La tattica era quella base: sono debole, ho fame, ho sete, al fuoco, guardatemi! Qualsiasi cosa per attaccare bottone, per spingerlo a fermarsi. Per spingere quel bottoncino nascosto che gridava "pietà".
    Io... mi sono perso.
    Allora non era un'impressione... fai *veramente* schifo.
    Dopo qualche secondo di circostanza, mi affettai ad aggiungere qualcosa.
    Non vivo qui da molto. Potrebbe... darmi una mano?

    Edited by 'Raven' - 15/11/2023, 20:23
     
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