• {Creature Antiche Vivono Ancora GDR} • Gioco di Ruolo by forum a carattere Horror-gotico moderno

Posts written by 'Raven'

  1. .
    Avevo visto la frazione di secondo in cui la sua mano aveva tentato di bussare di nuovo alla porta, aprendo. Tutto troppo veloce, e il suo spostamento troppo lento, comunque, perché avesse possibilità di sfuggire alla dirompente forza dell'acqua che gli avevo scagliato addosso, merito di uno dei poteri più miti e anche più sottovalutati dall'avversario di cui disponevo. Ma fu abbastanza quel suo passo indietro per interagire in maniera diversa con il bozzolo liquido rispetto a quanto previsto: invece che afferrarlo solamente, venne avvolto quasi del tutto, testa, braccia e torso. Solo i piedi rimasero fuori, agitandosi. Immaginai che il trattamento non gli piacesse, non più di quanto piacesse a me, ma non avevo potuto fare di meglio pensando con quanta più velocità potessi al come intervenire.
    Rimasi solo un attimo ad osservarlo avvolto, occhi e bocca chiusi a litigare con l'acqua, l'ansia che mi occludeva la gola, mia come se fosse sua. Nonostante la mia capacità di autocontrollo, stavo sfiorando il limite del panico, e l'unico modo che avevo a disposizione per non toccarlo era agire.
    Ora.
    In una manciata di istanti l'acqua subì uno spostamento dettato da un rapido gesto della mano all'indietro, entrando oltre la porta e volando velocemente verso il letto matrimoniale della stanza, lei ed il suo contenuto. Richiusi la porta subito dietro il ragazzo intrappolato, con un tonfo sordo che mi risuonò per le orecchie e svariati giri di chiave, e mi riappoggiai al legno di schiena. Le mie mani tremavano, instabili, mentre respiravo affannosamente e non per la stanchezza: ero privo del pugnale di Ael che non avrei mai pensato di dover usare quella serata, e non avevo nulla più dei miei poteri e di un corpo essenzialmente distrutto dal pestaggio. In compenso, la stanza era sparsa di vetri rotti, e volendo potevo cercare qualcosa sui corpi dei due idioti ancora svenuti a terra... così come avrebbe potuto fare lo sfortunato orientale, ovviamente.
    Inspirai a fondo, ma questo non mi aiutò a calmare il tremore. Non erano passati che pochi istanti e già sapevo di dover liberare il ragazzo, o l'uomo - non sapevo dirlo - prima annegasse, o almeno me ne resi conto nella concitazione dell'intera situazione.
    Non ancora.
    Mi passai una mano tra i capelli, le ossa doloranti e incurante di sporcarmi del sangue che comunque non mi avrebbe intaccato, e repressi al contempo quella sensazione che oscillava tra lo smarrimento e l'angoscia. Potevo riprendere il controllo. L'avevo già fatto mille altre volte. Ero Darshan, non il timido ragazzo della porta accanto. Sapevo come affrontare gli imprevisti. Avevo tirato fuori uno spirito della natura da un tizio ancora meno raccomandabile dello stesso spirito, firmato un patto per guadagnare un potere immenso, e messo al tappeto due maghi senza alcun incantesimo. Avevo viaggiato ovunque, avevo protetto qualcuno e ferito molti, attaccato creature e fatto il piantagrane nelle migliori e peggiori bettole per poi sfigurare a vita qualche povero sciocco. Avevo ucciso qualcuno, anche, ma solo per stretto bisogno. Avevo curato altri, e raggirato, in cambio di qualcosa. Vivevo una doppia vita, come molti a Nouvieille, e avevo fatto molte altre cose che persino il mio mentore si sarebbe solo sognato la notte.
    E allora perché le mani non smettevano di tremare? Perché sembravo tanto turbato?
    Mi morsi un labbro, così forte da lasciare il segno, stringendo i denti e lasciando che il dolore mi aiutasse a riguadagnare la calma: non appena sentii il mio respiro farsi meno concitato, avanzai, la destra in avanti di nuovo ammantata di sangue, e sciolsi il bozzolo d'acqua che conteneva il mio nuovo ostaggio. La mia sinistra con l'occhio ben visibile sul dorso, invece, restò attaccata al mio petto, chiusa a pugno mentre osservavo l'aura del malcapitato: atipica, non umana. Dorata? Ma non di quello stesso oro che si doveva ad una qualche benedizione o vicinanza divina. Forse, più giallastra, virante verso il bruciato. Mi feci un'idea di cosa fosse, allontanando qualsiasi tipo di sorpresa.
    Prima i maghi. Adesso questo. Qualcun altro ad unirsi al teatrino? E la cameriera mitologica, il portinaio risorto dove stavano?
    Gli concessi a malapena il tempo di sputare quello che aveva ingollato dell'acqua che ormai copriva il pavimento e le lenzuola sul quale l'avevo lanciato, prima di spingere la destra in avanti a minacciarlo ad una minore distanza, senza volontà di afferrarlo. Grosse gocce di sangue colarono copiose dal palmo sulle lenzuola, che iniziarono a corrodere, sollevando un filo di fumo.
    Non so chi sei, né cosa vuoi gli intimai, facendo uno sforzo immenso perchè la voce non mi tremasse, concentrato sui suoi movimenti per prevenire una qualsiasi mossa. Sembravo, di nuovo, quel ragazzino spaventato su cui di solito facevo conto per gabbare chi mi stava attorno... con l'unica differenza di non star fingendo, non del tutto. Ma possiamo metterla a questo modo: posso farti tanto male, se mi costringi. Tutto quello che voglio è occuparmi dei miei affari e andarmene. Mettiti di mezzo o fanne parola con qualcuno, e ti posso assicurare che passerai il resto della tua vita a fare la spola tra i chirurghi estetici. Intesi?


    CITAZIONE
    Potere complementare
    Elemento: Acqua
    Mago o Stregone complementare: ?
    Ciclo generativo-creativo
    Questo potere complementare permette a Dast di manipolare una limitata quantità di liquidi, potendoli direzionare o far passare da uno stato all'altro (gassoso, liquido, solido) a piacere. Ad esempio, potrebbe farsi scudo da un'onda o da una massa d'acqua, o ghiaccio, in arrivo manipolandola per allontanarla da sé, o facendola evaporare. Potrebbe far emergere dell'acqua da una falda vicina, per svariati scopi, o ghiacciare il getto di una fontana per ricavarne un'arma di fortuna, o ancora direzionarlo su un nemico.
    Agisce su qualsiasi cosa sia liquida e non solo sull'acqua (linfa, sangue, liquidi in generale), ma sempre a condizione che essa contenga una parte d'acqua a livello chimico, e che sia esterna ad un corpo vivente, sia esso di animale, umano o pianta. Di conseguenza è utilizzabile anche sul proprio sangue una volta spillato dalle ferite. Non agisce sull'acqua o sul sangue presente nei tessuti organici. E' un potere prettamente difensivo.
    3 turni

    Turno II

    Controllo del Sangue: Il sangue di Dast è corrosivo per natura, e agisce da acido di media potenza su ogni elemento che ne venga toccato - tranne il possessore - creando danni da bruciatura di media entità. Oltre a questo, Dast ne ha un parziale controllo: può decidere se espellerlo direttamente dai pori della pelle e da quale parte (palmi, occhi, naso, tutto il corpo) potendo crearsi uno scudo acido addosso o potendo in questo modo attaccare a mani nude. Queste qualità corrosive non spariscono quando esso cade a terra, quindi, nel caso sia spillato in grandi quantità fino a creare delle pozze, potrebbe diventare una pericolosa trappola per gli avversari.
    I danni ricevuti dal sangue acido proseguono per 3 turni dal momento in cui lo si tocca, dopodiché perde il suo effetto.
    3 turni (Controllo)
    3 turni (Danni)

    Turno II

    Calice di Rubino:
    Sembra un semplice ciondolo a forma di globo rosso, mentre quando viene attivato assume la vera e propria forma di un grosso calice incastonato di rubini. Non è importante che il possessore lo abbia in mano, quanto che sia poggiato su una superficie o a terra: una volta posizionato questo oggetto si fissa, rendendo impossibile ogni tentativo di spostarlo o farlo cadere. Il suo potere è di permettere a Dast di produrre continuamente sangue nel proprio corpo, rendendolo in grado di potenziare il potere di Controllo del Sangue, purchè rimanga sempre entro i 5 metri di raggio dal calice.
    Non può essere disattivato prima della fine della turnazione.
    3 turni
    Turno II

    Vera Vista: (patto)
    Angelo Nero: Raven
    Potere: La Vera Vista permette a Dast di percepire e vedere, sotto forma di luminescenza colorata, la magia in tutte le proprie forme. Il patto ha agito sia sugli occhi, che sul terzo occhio sul dorso della mano. Con gli occhi, ha semplicemente una vista acutizzata (pari a dieci decimi). Il vero potere del patto risiede nel terzo occhio sul dorso della sua mano: se usato per guardarsi attorno, tramite esso Dast è in grado di vedere le auree di qualsiasi creatura non umana e di riconoscere il suo allineamento tramite il colore. Inoltre può vedere quali oggetti sono magici e la loro natura generale (utilizzabile per attaccare, difendere, guarire), e individuare i luoghi con forti concentrazioni magiche, ottime per dei rituali.
    L'occhio funziona in qualsiasi condizione di luce o buio. Il potere cessa quando viene coperto, motivo per cui Dast lo avvolge sempre nel fazzoletto.

    La comprensione della magia e della sua funzione avviene tramite colore:
    chiaro = magia/oggetto/potere curativo (auree tendenti al bianco),
    medio = difensivo (azzurri, verdi, colori pastello),
    scuro = attacco (rossi, marroni, blu..).
    bianco = auree/oggetti e poteri sacri / di angeli bianchi
    nero = auree/oggetti e poteri maledetti / di angeli neri.
    [Passiva]
  2. .
    Non è una bolla, è un bozzolo completamente composto d'acqua (quindi "pieno") che però è stato mirato più o meno dal dorso in giù, quindi nel tentativo di "afferrare" Dairo a torso e gambe al massimo ;)
  3. .
    Mentre finivo di fumare la sigaretta ed elaborare il mio piano, un'altra serie di pensieri cercava insistentemente di entrarmi da un lato del cervello e di uscirne dall'altro. Desideri a cui non avrei voluto dare ascolto, ma che rimanevano lì come una mosca ronzante e molesta.
    Perché dei maghi mi avevano cercato, trovato, e quasi ammazzato? Sicuramente facevano parte della frangia estremista, dato avevo conosciuto ancora maghi che non mi avevano procurato alcun fastidio, ma non mi tornava come mi avessero trovato all'Università e anche meno sul come si fossero procurati il nominativo di Kassandra. Davvero i miei occhi si notavano così tanto da spingerli a rintracciarmi senza una vera base di conoscenza e senza avessi mai usato i miei poteri davanti a nessuno, come se peraltro non fossero mai esistite al mondo persone con lenti a contatto particolari o geni recessivi? E, cercando di non considerare l'idiozia di simili individui, si erano appostati? Mi avevano seguito passo a passo per tutta la scuola? Quanti erano, e soprattutto, cosa c'entrava Kass? Forse il mio sguardo ad occhioni acquosi era visibile a miglia, ma perchè non considerarla altro che una semplice compagna di scuola? E le avevano fatto forse del male, l'avevano minacciata per scrivere il biglietto o... peggio?
    Una rabbia sottile come una lama mi attraversava, rendendomi più deciso sul da farsi ad ogni boccata più lunga della precedente. Stregoni, maghi, angeli o demoni, era proprio necessario rendersi la vita così complicata? Per quanto non fossi esattamente la persona migliore al mondo, sarebbe bastato un po' di cervello per capire che lasciare in pace equivaleva ad essere lasciati in pace dagli altri - e rispettare questa semplice regola avrebbe reso tutto più facile. Ma no. Figuriamoci.
    Mi pulii la bocca da uno sbuffo di sangue, inspirando nervosamente l'ultima boccata, guardandomi la sinistra che non teneva la sigaretta. Le unghie consumate a forza di battere sulla tastiera e montare, smontare computer, server e sistemi; rovinate dalle serate passate in camera a ripetere gli allenamenti di kickboxing. Le dita ruvide a forza di consultare pagine e testi, pestare erbe e preparare unguenti con solerzia e costanza, esercitandomi nelle varie combinazioni, imparando a riconoscere la diversità tra foglie, fiori, radici e i loro effetti. I palmi consumati.
    Una delle volte in biblioteca, lei aveva stretto le sue dita sulle mie, con forza, trascinandomi la mano verso uno dei tanti inutili libri di testo. Era stato un gesto involontario, ma che era rimasto stampato nella mia mente, le sue dita così piccole nelle mie.
    Niente da fare. Ero cotto come una pera.

    Sorrisi involontariamente a quel pensiero, mentre una spia mentale mi aggiornava sullo stato delle pianificazioni attuali, quasi terminate: non era inusuale per me riuscire a ragionare a due piani, su due frequenze differenti - una sorta di multitasking che a molti mancava. Gettai la sigaretta dal balcone, sgranchendomi le dita con un rumoroso scrocchiare d'ossa. Adesso che avevo raccolto le forze, l'intenzione era vendicarmi clamorosamente e con qualcosa che sarebbe rimasto a lungo: quale umiliazione migliore di una cicatrice di lunga durata? Perlomeno, non sarebbero più andati in giro con quelle facce da idioti patentati per un po'.
    Staccandomi dal balcone, mi assicurai con una pedata che l'ultimo dei due aspiranti suicidi magici fosse incosciente, incapace di attentare ulteriormente alla mia vita. Una volta sicuro fosse svenuto, feci il giro, infilandogli le braccia sotto le ascelle e unendo le mani sul torace, iniziando a trascinarlo al coperto, via dai vetri e da sguardi indiscreti. Ci volle un po' di sforzo, ma a parte la massa muscolare sicuramente gonfiata a colpi di anabolizzanti, non fu una tragedia portarlo dall'altro che ormai sguazzava con la faccia immersa nel proprio sangue.
    In tutta verità, avrei di gran lunga preferito prenderli entrambi e gettarli nella vasca del vicino bagno per lasciare meno tracce possibile, ma non avevo né voglia, né tempo da sprecare per loro. Non li avrei certo uccisi e ancora più certamente, la scottatura sarebbe stata tale da fargli passare la voglia di sporgere una qualsivoglia denuncia nei miei confronti. E anche se l'avessero fatto, chi avrebbe creduto loro? Persino il più asino tra i poliziotti sarebbe stato in grado di vedere la differenza di larghezza, più che di altezza, tra loro e me, e il fatto che fossi un nervo unico a causa dell'attività sportiva contava poco e niente stando alle apparenze. Volevo rifilargli la giusta punizione e filare via da lì al più presto, semplicemente, e tornare al mio letto, alla mia delusione, al mio impacco di verbena e menta e alla mia bistecca congelata su un occhio o entrambi. In dipendenza dalla copertura visiva, anche alle mie fotocopie universitarie.
    Mi tastai sotto la felpa ormai rovinata, rovistando fino a trovare il globo rosso grande quasi un dito, il gioiello attaccato alla cordicella in cuoio che portavo al collo. Con cura, andai al nodo e lo svolsi, liberando quella piccola palla rossa non più grossa di una biglia. Una scossa di potere e il vero oggetto nascosto dietro fattezze normali si liberò, rivelando la sua vera forma: un calice d'argento incastonato di rubini, a tutti gli effetti una coppa. Lo posizionai a terra, scostando col piede frammenti e sporco. un secondo dopo aveva aderito, inamovibile. Accennai un ghigno mentre lo sentivo iniziare a trasferire energia e potere, più di quanto ne possedessi da solo. Sotto le piante dei piedi, su cui mi molleggiai, per iniziare a risalire lungo le gambe e il torace, fino ad arrivare al resto degli arti. Chiamato a raccolta il mio potere, mi osservai il dorso della mano, laddove l'occhio si era già aperto uno spazio, e i palmi, il pensiero della ragazza ormai lontano: con un sorriso sardonico li osservai imperlarsi di sangue, poi riempirsi fino a colmare la conca della mano... ed iniziare a fluire copiosamente a terra.
    Quello era il mio potere. Sangue, la cosa più atavica, sacra, inevitabile, naturale e innaturale al tempo stesso. Non avrei potuto spillarne in grandi quantità, solitamente, ma il calice mi permetteva di accellerarne il processo di produzione, e quindi di usarlo senza remore e senza svenire di lì a poco.
    Gocce rosse caddero, schizzando sul tappeto vicino, e presero a fumare. Vedete, l'altra particolarità del mio potere non era solo di poter controllare il mio stesso sangue... ma di usarlo per ferire. L'avevo scoperto per la prima volta al mio diciottesimo compleanno, grazie alla grande sorpresa dei miei genitori: una bella separazione, l'inizio della fine di qualsiasi stupida certezza avessi mai avuto nella vita. Così come allora si era preso la tovaglia, le posate e persino il tavolo, adesso si prendeva i fili del tappeto e il pavimento stesso, che si sarebbe corroso pian piano fino a quando non avessi messo fine al potere. Rivoltai le mani con i palmi in basso, gocciolanti e sporche, e le scossi sui miei due ex-carcerieri, sedicenti maghi. I loro vestiti presero a mandare sottili spirali di fumo in vari punti, laddove la stoffa si scioglieva. Mi inginocchiai in mezzo a loro, ghignando.
    Preso, sarebbe stata la loro faccia.

    Bum. Bum. Bum.
    Hey, tutto a posto?

    Avevo i palmi così vicini ai loro visi da poter sentire lo straziante calore emanato dai loro respiri e dalla reazione dell'acido tutt'attorno. Quelle facce comatose non aspettavano altro che gli spalmassi una mano in faccia fino a far staccare loro la pelle dalla carne, strato per strato. Ma no, certo che no.
    Mi fermai col cuore in gola: il rimbombo sulla porta era inconfondibile, e le parole attutite venute dall'altra parte anche. Qualcuno era lì, aveva sentito i rumori della lotta, era accorso o anche solo passato incidentalmente e adesso...

    Adesso tocca anche a te.

    Sospirai, voltando gli occhi al pavimento col mento che arrivava a poggiare al torace. Potevo sentire il mio stesso respiro nelle orecchie, e l'insensata tristezza di dover eliminare qualcuno che non c'entrava nulla. Vero, l'umanità non mi stava a genio in nessun caso, ma preferivo sempre evitare gesti inutili e controproducenti. Come quello. Scossi la testa, e l'orecchino al sinistro prese a oscillare velocemente. Sarebbe stata una cosa veloce, non mortale, e possibilmente poco dolorosa.
    Sfregai le dita tra loro, guidato dal nervosismo e anche da un minimo di delusione per il momento perfetto perso a causa dello sconosciuto dietro la porta. Portai a galla le energie e la maggior parte della mia conoscenza magica per richiamare un altro potere innato, che in genere sfruttavo veramente poco: con un movimento secco di una mano raccolsi l'acqua nelle vicinanze.
    Siccome sapevo c'era un bagno in ogni suite e camera dell'hotel, bastò aumentare la pressione perché le guarnizioni della rubinetteria saltassero, lasciando passare tutto il liquido che volevo al mio servizio. Con praticamente l'acquedotto di Nouvieille ai miei piedi e un controllo quasi totale sui liquidi che mi circondavano, mi fu facile sollevare nell'aria e trasportare qualche litro fin da me, trattenuto e sospeso come se mi fossi trovato nello spazio, piuttosto che sulla terra.
    A quel punto lo diressi alla porta, abbandonando la mia posizione per rialzarmi in piedi e dirigermi ad aprire. Cercai di pulirmi la faccia, ma con tutto quel sangue che mi imbrattava la pelle, riuscì solo a peggiorare la situazione, tra l'altro massacrando la felpa che indossavo. Serrai i denti in un moto di stizza: ormai era irrecuperabile.
    Arrivai all'entrata, misurando il tempo che mi serviva per attuare la mia idea: avrei avuto pochi secondi per evitare una fuga, portare via il testimone dal corridoio e non farmi vedere dall'occasionale cameriera che poteva girare in quei piani. Nel frattempo cercai di distrarre a voce l'individuo dietro la porta.
    ... niente? feci col tono impacciato che mi era più naturale all'Università che in quella situazione. Sforzai comunque la voce per rimanere più fedele possibile alla parte del povero indifeso. Credo... credo di aver rotto un vaso. O due.
    Una scusa sciocca, vecchia e decrepita, ma non mi serviva fosse convincente. Contai fino al tre, poi girai la chiave velocemente e spalancai la porta, sperando l'acido non la corrodesse del tutto.

    Guardai per una frazione di secondo la faccia di chi mi trovavo di fronte, un bel giovane asiatico, coi lunghi capelli biondi. La mia faccia dovette sembrare piuttosto sorpresa, nonchè sporca di sangue e pestata a morte. Comunque, non gli lasciai altro tempo per reagire.
    Bastò la mente e la massa d'acqua in sospensione alle mie spalle si proiettò verso di lui, cercando di avvolgerlo e ghermirlo. Nello stesso momento, con la mano indicai la direzione, facendo un veloce gesto all'indietro: se il bozzolo liquido l'avesse preso, la mia volontà l'avrebbe trascinato all'interno della stanza ed io avrei richiuso la porta come niente fosse.
    In caso contrario, avrei utilizzato il mio sangue, per segargli qualsiasi possibilità di fuga, recuperarlo e nasconderlo nella stanza assieme agli altri due.
    Poi, con calma, avrei deciso il da farsi.

    CITAZIONE
    Potere complementare
    Elemento: Acqua
    Mago o Stregone complementare: ?
    Ciclo generativo-creativo
    Questo potere complementare permette a Dast di manipolare una limitata quantità di liquidi, potendoli direzionare o far passare da uno stato all'altro (gassoso, liquido, solido) a piacere. Ad esempio, potrebbe farsi scudo da un'onda o da una massa d'acqua, o ghiaccio, in arrivo manipolandola per allontanarla da sé, o facendola evaporare. Potrebbe far emergere dell'acqua da una falda vicina, per svariati scopi, o ghiacciare il getto di una fontana per ricavarne un'arma di fortuna, o ancora direzionarlo su un nemico.
    Agisce su qualsiasi cosa sia liquida e non solo sull'acqua (linfa, sangue, liquidi in generale), ma sempre a condizione che essa contenga una parte d'acqua a livello chimico, e che sia esterna ad un corpo vivente, sia esso di animale, umano o pianta. Di conseguenza è utilizzabile anche sul proprio sangue una volta spillato dalle ferite. Non agisce sull'acqua o sul sangue presente nei tessuti organici. E' un potere prettamente difensivo.
    3 turni

    Turno I

    CITAZIONE
    Controllo del Sangue: Il sangue di Dast è corrosivo per natura, e agisce da acido di media potenza su ogni elemento che ne venga toccato - tranne il possessore - creando danni da bruciatura di media entità. Oltre a questo, Dast ne ha un parziale controllo: può decidere se espellerlo direttamente dai pori della pelle e da quale parte (palmi, occhi, naso, tutto il corpo) potendo crearsi uno scudo acido addosso o potendo in questo modo attaccare a mani nude. Queste qualità corrosive non spariscono quando esso cade a terra, quindi, nel caso sia spillato in grandi quantità fino a creare delle pozze, potrebbe diventare una pericolosa trappola per gli avversari.
    I danni ricevuti dal sangue acido proseguono per 3 turni dal momento in cui lo si tocca, dopodiché perde il suo effetto.
    3 turni (Controllo)
    3 turni (Danni)

    Turno I

    [QUOTE][/Calice di Rubino:
    Sembra un semplice ciondolo a forma di globo rosso, mentre quando viene attivato assume la vera e propria forma di un grosso calice incastonato di rubini. Non è importante che il possessore lo abbia in mano, quanto che sia poggiato su una superficie o a terra: una volta posizionato questo oggetto si fissa, rendendo impossibile ogni tentativo di spostarlo o farlo cadere. Il suo potere è di permettere a Dast di produrre continuamente sangue nel proprio corpo, rendendolo in grado di potenziare il potere di Controllo del Sangue, purchè rimanga sempre entro i 5 metri di raggio dal calice.
    Non può essere disattivato prima della fine della turnazione.
    3 turni
    Turno I
    QUOTE]
  4. .
    Non avevo mai dato importanza ad una qualsiasi festività, tranne forse il Capodanno, e sicuramente non a quella grande, tremenda ed esilarante commercialata chiamata San Valentino. Si, capitava una volta all'anno e si, l'aria si riempiva di roselline e il cielo di cuoricini, ma non mi sarebbe mai e poi mai passato per la mente di degnarla anche solo di considerazione. In fondo, sarebbe stato molto da stalker se avessi passato tutto il tempo a inseguire con lo sguardo le coppiette che sprizzavamo amore et giubilio da ogni parte. Semplicemente, tendevo a sorpassare sulla loro esistenza, impegnato nelle solite faccende quotidiane.
    Questo, più o meno prima dell'altro ieri.
    Non vi posso dire quanto sia divertente svegliarsi in un bellissimo sabato mattina col cielo carico di nubi da pioggia, impegnato a dormire beatamente grazie alla mancanza di lezioni all'Università, al suono di un adorabile campanello trapana-timpani. Magari lo sapete anche, com'è. Magari vi succede ogni sabato mattina, per lavoro, scuola, problemi vari. Fatto sta che il sottoscritto non era certo abituato a quel tipo di trattamento, nemmeno da parte del postino che si era già premurato di non passare prima di mezzogiorno da ogni universitario esistente a Nouvieille, specie il sabato.
    Sabato, appunto. Stavo anche sognando qualcosa di bello, quando mi svegliai di soprassalto con un demone per capello (letteralmente) e la faccia di chi aveva fatto un'incidente con l'ambulanza giusto la sera prima. Mi sollevai dalle coperte e a tentoni, nel buio più assoluto, cercai la luce della camera che si accese non appena ne toccai la superficie. Niente di magico, solo pura tecnologia moderna e affidabile: mi stropicciai gli occhi, indossai felpa e pantaloni lasciati a bordo letto e borbottando iniziai a scendere, pronto a dirne quattro all'ennesimo Testimone del Divino Culto di Sbabbarabbagno o cavolate simili. Ore nove e trenta del quattordici febbraio, una gioia.
    Non avevo una buca delle lettere e per nulla al mondo mi sarei comunque diretto fuori, al freddo e al gelo a malapena in maglietta, felpa e calzoni, quindi avevo adottato il classico sistema americano che funzionava tanto bene e andava tanto di moda nei condomini: spioncino, buca nella porta e via. Mi avvicinai all'entrata, blindata per manie di eccessiva sicurezza, e ancora nel dormiveglia e assistito solo dalla luce delle finestre tentai la ricerca dell'antina che oscurava lo spioncino. Insonnolito, guardai fuori senza vedere niente di diverso dal solito, sbuffando qualcosa sull'incompetenza delle persone. Stavo per girare i tacchi e tornarmene a letto, quando calpestai qualcosa: no, non qualche resto delle mele cadute dalla borsa della spesa giusto il giorno prima. Una lettera.
    Mi abbassai a toglierla - o meglio, staccarmela - dal piede con malcelata impazienza. Cos'era stavolta? La banca? Gas? Bolletta della luce? Promozione dalla Ryanair con un viaggio di sola andata per la Scozia? Magari. Quella si che sarebbe stata una sorpresa più che gradita.
    Invece, sulla lettera non c'erano simboli e segni, a parte una scrittura decisa che aveva segnato il mio indirizzo poco sotto al bordo superiore. Aprii, sperando non fosse una nota di debito da quella palestra a cui mi ero iscritto per poi non andare mai, nonostante i buoni propositi. Invece, con mia sorpresa, ne estrassi un bigliettino. A cuoricini.
    Ugh.
    In realtà c'era un solo cuore abbastanza visibile, mentre il resto era semplicemente bianco. Una calligrafia curata aveva scritto poche righe inconfondibili.
    "Hotel Starchild, Suite 27. Mezzanotte. Beviamo qualcosa insieme?" Stringato. Non sapevo se definirlo più un invito ad una serata romantica o ad una nottata... d'altro tipo, nonostante la domanda finale addolcisse il senso generale del testo. Firmato "Kass".
    Sgranai gli occhi, balbettando qualcosa prima che il mio gorgheggiare si riducesse ad una faccia da pesce lesso. Se avessi avuto addosso i miei finti occhiali, mi sarebbero caduti. Per maggiore sicurezza, rilessi.
    Kass.
    Inutile dire come all'improvviso biglietto, giorno, data e persino lo sdegnoso cuore in alto presero un senso: Kassandra era una compagna d'Università di un altro indirizzo, con cui avevo frequentato i pochi corsi di informatica e storia dell'arte che avevamo in comune. Lei non aveva passione per la programmazione e io, d'altro canto, ero svogliato nell'arte: mi si era seduta accanto una volta, e scoperta la reciproca diffidenza verso quelle materie avevamo deciso poi di passare qualche pomeriggio alla biblioteca comunale, tentando di studiare insieme. Alla fine... me ne ero vagamente invaghito, ovviamente senza mai pensare all'eventualità mi ricambiasse. Mi bastava semplicemente osservarla da dietro i libri, mentre scribacchiava o disegnava sui suoi quaderni: non avevo nessuna intenzione di perdere tempo dietro ad una relazione, ma sentirmi interessato mi ricordava che dopotutto, per quanto non mi piacesse, da qualche parte ero ancora un umano, non una macchina impara-incantesimi e sforna-pozioni. Il mio interesse rimaneva imparare e padroneggiare la magia, ma tutto sommato, mi faceva sentire bene il fatto di pensare a qualcosa di normale.
    Come sognare.
    Il bigliettino invece non era un sogno, anche se sembrava piuttosto ambiguo. Per la carità, ero lungi dall'essere casto e puro contando di chi ero dipendente, ma disdegnavo le cose troppo esplicite e volgari. E d'altro canto, era anche vero che mi era stato solo chiesto di bere qualcosa insieme - e magari l'espediente della camera era semplicemente per avere un po' di privacy. Ma una suite?
    Aggrottai le sopracciglia, intuendo qualcosa di strano, troppo rintronato per approfondire. Se era davvero una suite, doveva avere veramente tanti soldi... o tenerci parecchio. Ma, ammisi a me stesso arrossendo, non mi sarei certo rifiutato. Facendo le cose a modo mio, ovviamente.
    D'un tratto, il fatto che fossero le nove di mattina non contava più. E nemmeno la puzza d'imbroglio sotto.

    Avevo atteso tutta la giornata il momento di presentarmi davanti a quella camera, impacciato nella mia felpa più bella - per quanto si potesse definire tale una felpa - in snikers e jeans, con gli occhiali ben piantati sul naso. Il resto della mattinata l'avevo trascorso a radermi, farmi una doccia e scegliere scioccamente il migliore abbinamento per un appuntamento, badando bene di avere il portafogli pieno nel caso scappassero una birra, un bicchiere di vino o qualcos'altro. E no, la classica protezione da circostanza ambigua non l'avevo infilata nella tasca delle monete come ogni bravo ragazzo approfittatore avrebbe fatto, e non per stupidità. Il vero motivo? Non volevo niente del genere, anzi, non me lo aspettavo. Volevo... una serata tra amici? Tra persone interessate, ma non solo a fare quattro salti in padella sul letto? Ecco, la "sua" mancanza mi avrebbe motivato, ed io lo sapevo.
    L'orecchino a cristallo al lobo sinistro ondeggiava lentamente, mentre con una buona dose di imbarazzo bussavo piano alla porta della Suite 27, l'unica stanza al penultimo piano, proprio sopra la camera extra-lusso all'ultimo. Avevo registrato regolarmente il mio nome e avevo scoperto che tutto era già stato pagato, con mio disappunto. Avrei preferito offrire, ma non potevo permettermi di questionare per stavolta. Chissà, magari le avrei lasciato i soldi in una tasca del giaccone, o qualcosa di simile, mi dissi con un sorriso.
    Il resto del pomeriggio l'avevo impiegato nella cosa più assurda del mondo: compere dell'ultimo minuto. Uno stregone impegnato nello shopping avrebbe fatto ridere mezzo mondo, ma bastava guardare il mio guardaroba per giustificarmi: il fatto non avessi mezza maglietta o jeans non slavato dai miei pasticci con la lavatrice o la candeggina era più che sufficiente, per non considerare l'altra metà dei vestiti che avevano a che fare con la mia insensata passione per il gioco di ruolo dal vivo. Fantasy. Medievale.
    Il fatto che poi usassi deodorante da supermercato da due soldi aveva reso necessario l'acquisto di un profumo decente. Per non dire della gentilezza; che magra figura avrei fatto andando là a mani vuole? Così, il fioraio all'angolo di casa era stato preso d'ostaggio per un quarto d'ora dallo studentello del quartiere - ma soprattutto dai suoi dubbi - e costretto a dargli consigli, oltre ad un discreto mazzo di rose bianche pagato profumatamente. Bianche perché... beh, per me il rosso aveva un significato quasi univoco. E non mi ero neanche fermato a quelle: col mio mazzo sottobraccio, l'assalto dopo era stato diretto al bar più vicino, dove avevo... preso delle brioche da offrirle.
    Al posto dei cioccolatini.
    Un vero spirito romantico.
    Già.
    Dall'altra parte della porta arrivarono dei rumori attutiti, mentre mi guardavo i piedi, impegnato a saltellare da un piede all'altro nell'attesa, sollevando di tanto in tanto lo sguardo. Ero impaziente, dal momento non mi capitava tutti i giorni che una ragazza volesse avere a che fare con lo "sfigatello", o meglio definito nerd della classe. Ribussai, un po' più forte, e attesi.
    Quando la porta si aprì, feci in tempo a vedere una figura che non somigliava affatto alla ragazza. Il mazzo di fiori mi cadde a terra, e lo seguii anch'io.

    Credevi forse di passare inosservato?
    Cercai di non salivarmi una montagna di sangue sulla mia bellissima felpa. C'avevo messo ore a sceglierla, sarebbe stato un peccato, anche se ormai era da buttare. Un calcio mi arrivò dritto nelle costole, facendomi sussultare. Con quegli occhi, poi? Ah, già. I miei occhiali. Ridotti in frantumi da qualche parte sul pavimento. Cosa speravi di nascondere con delle lenti finte? Basta guardarti in faccia per sapere di che razza sei. Quella dei "problemi da eliminare".
    Stavolta, fu un pugno nello stomaco. Strinsi i denti, gemendo, legato sulla sedia in legno su cui mi avevano messo, le mani bloccate dietro la schiena e i piedi tenuti insieme da un pezzo di corda da scalata ben fissata alla sedia. Stavo cercando di tirare e allargare i nodi, ma sembrava non ci fosse verso.
    Sapevamo già che uno stregone girava per la scuola. Uno stregone immaturo e pronto ad abboccare al primo biglietto spassionato che gli sarebbe arrivato. Carino, no?
    Non li conoscevo, ma forse li avevo incrociati da qualche parte. Parlavano di scuola - Università quindi - e sembravano anche loro studenti... e comunque avevo una guancia tumefatta per stare a pensarci bene. Sputai la saliva in eccesso sul costosissimo pavimento della suite, sporcandolo di sangue, e tirai su col naso.
    I vostri nomi, Signori?
    Il secondo dei due ragazzi che mi giravano attorno come avvoltoi, nella stanza, si mise a ridere.
    Ma sentilo, ci chiede anche il nome! Che gentiluomo. Oltretutto ha portato da mangiare.
    Stava seduto comodamente sul letto, poco distante da dov'ero, a sbocconcellare una delle brioche che avevo portato. Quell'atto, assieme all'umiliazione di essere cascato nella trappola come uno scemo e al ricordo dei fiori sbriciolati davanti all'entrata, non riusciva a farmi salire altro che rabbia.
    I nomi ripetei con voce affilata, quasi sibilando mentre nascondevo il mio leggero muovermi sulla sedia. Stavo tastandone la resistenza e sembrava cigolare lievemente, segno che era un po' vecchia. Forse, potevo liberarmi. Ma non prima che avessero mirato alla faccia, stavolta.
    Ouch!
    Mi lasciai scappare un lamento uggiolante, degno di un cane bastonato. Così, mentre loro mi ammazzavano di botte mano a mano dopo ore di svenimento e le due precedenti passate a chiedermi chi ero e qual'era il mio scopo (stando all'orologio della camera, erano ormai le cinque), a graffiare il mio spirito ci pensava l'orgoglio. E un naso così dolorante da farmelo pensare rotto - ma almeno avevano avuto la buona creanza di non strapparmi orecchino e orecchia.
    Vuole i nomi, hai sentito? ridacchiò quello sul letto.
    Certo, così può dire a quelli della sua congrega chi siamo, dopo che gli avremo fatto il culo a striscie. Quello che aveva appena parlato, il tipico biondazzo quarterback americano alto e generosamente pompato, mi si avvicinò preparando l'ennesimo pugno. Se davvero ci tieni a saperlo, stronzetto, siamo maghi. E non quei coglioni hippie dei nostri colleghi, che predicano amore e pace.
    Preferiamo fare pulizia preventiva rincarò l'altro. Da esseri tipo te o il tuo capo. Sapevi di stare lavorando per un angelo nero? Ma certo che lo sapevi. Da due come voi non può venire nulla di buono.
    Meglio lavorare d'anticipo.
    Fighette risposi loro, con tutta la noncuranza del mondo. Il biondo troneggiava sopra di me e fece per abbassarsi a prendermi a pugni o per il colletto, e nello stesso momento io mi sbilancia in avanti, col risultato di tornare più o meno a reggermi sulle gambe - unite, ma mie. La mossa successiva? Mi piegai e alzai, dando una poderosa testata al minchione che mi stava rompendo l'anima da poco più di due ore. Un sorriso di soddisfazione mi si allungò da un orecchio all'altro, nel vederlo andare a terra come un sacco di patate. Nel frattempo, il suo amico si era alzato dal letto, pronto a reagire: fece un passo in avanti, ma io avevo già fatto un balzo indietro, di schiena. Sembrava volessi schiantarmi a terra e in effetti era vero: non sulle mie spalle però, quanto sulle gambe della sedia che come avevo previsto, non ressero al colpo, andando in frantumi. Coi piedi liberi, potevo tirare calci.
    Vedo che da bravi fessi, non avete minimamente pensato che potessi darvele di santa ragione.
    La testata doveva essere stata tremenda, perchè dal biondazzo riverso a terra usciva una bella polla di sangue, probabilmente da un naso in frantumi. Mentre quello rimaneva riverso, l'altro si riempì le mani di elettricità e tentò di saltarmi addosso: buona idea, ma avere dei poteri senza saperli sfruttare era tremendamente sciocco. Mi bastò restare disteso e dargli una poderosa pedata nel bel mezzo del torace per togliergli completamente il respiro e lasciarlo stordito, ricacciandolo indietro. Quando lo vidi vacillare dopo la botta al plesso solare, mi risollevai in ginocchioni e poi in piedi, girai la gamba prendendo slancio e gli rifilai un colpo in faccia, sicuramente il più forte - e il maggiormente guidato dalla disperazione - che avessi mai tirato.
    Buonanotte.
    Fu un sollievo vederlo capitombolare violentemente all'indietro contro la porta finestra che dava sul balcone, mandandola in frantumi per il peso. Tra il calcio e quello, il tizio a malapena tentò di rialzarsi, dopodichè ricadde per terra, gemendo dolorante e incapace di muoversi. Nonostante la quasi-caduta per il contraccolpo, mi mossi, rimettendomi con successo in equilibrio e mi ranicchiai, distendendo le braccia più che potevo, cercando di fare passare le gambe per portarle in avanti e slegarle con più facilità. Ci misi qualche minuto, ma riuscii nell'impresa.
    E ora, cosa ne dovevo fare di loro?
    Con un'occhio pesto e l'altro sano, mi guardai attorno, raccogliendo uno dei vetri per liberarmi i polsi. L'operazione mi richiese qualche secondo, dopodichè tolsi le corde agevolmente, dirigendomi sul balcone. Rifilai un'altra pedata al ragazzo, per assicurarmi che non si rialzasse, e infine mi misi al parapetto poggiandomi di schiena, in modo da tenerli sott'occhio. Tastai una delle tasche della felpa ormai da buttare, e ne tirai fuori un pacchetto di sigarette e un'accendino. Una brutta abitudine che mi aveva regalato il Capo.
    Cosa dovrei fare, adesso? Parlai loro a voce alta, facendo scattare la pietra dell'accendino con colpi secchi e accendendo la sigaretta. Dubitavo mi ascoltassero davvero.
    Dovrei uccidervi? Ve lo meritereste, voi non vi sareste risparmiati. Aspirai alacremente una boccata di fumo denso, espirandola col naso. Ma le implicazioni di un'omicidio sono davvero noiose, e sono l'ultima cosa che vorrei prendermi a spalle. Forse.
    Calpestai uno dei vetri che fece un rumore secco, rompendosi di nuovo. Imprecai, su quella terrazza sembrava di stare sul cristallo ad ogni movimento e rischiavo di attirare troppo l'attenzione, nonostante contassi sul fatto le Suite migliori degli ultimi piani fossero vuote. O almeno, lo speravo. Mi mordicchiai un'unghia, l'orecchino che ciondolava tranquillo, prima di riprendere.
    Beh, dato sono per il quieto vivere, immagino farei bene a darvi una lezione. Giusto perchè baldanzosi maghi poco hippie come voi ci pensino due volte, prima di fare stupidaggini. Vi darò... una bruciatina qua e là. Sbuffai una nuvola di fumo, gettando la cenere oltre il parapetto mentre mettevo mano al ciondolo nascosto sotto la maglietta. Che ne dite? Vi dispiace?
    Ridacchiai, sapendo che non potevano rispondermi nemmeno se l'avessero voluto.


    Purtroppo non so come ingrandire il font degli spoiler, devo ancora trovare la parte di codice che lo riguarda! Per il resto, hai fatto benissimo ad aprire qui, mi hai dato idee malsane xD


    Edited by 'Raven' - 24/2/2015, 20:26
  5. .
    Anche Dast ha fatto la sua scelta, Saint Mary. Se per voi non è un problema, mi autoabilito, così da togliervi un pensiero :)
  6. .
    Mio Dio. Se ne esiste uno.
    Sono tre giorni che non dormo, fermo davanti a questo computer dannato che non vuole funzionare, seduto con la mano sulla fronte. Tre giorni che mangio a malapena, mi trascino per casa e l'università nemmeno la vedo, figuriamoci il lavoro. Tre giorni in cui mi sentivo... sento, lontano. Lontano e confuso. Incredibilmente confuso, come se percepissi qualcosa nell'aria in continua pulsazione, intento a premere a intervalli regolari nella mia testa e sul mio cervello.
    Forse, qualche giorno addietro avrei detto fosse l'influenza, dato che col cambio di stagione non era certo una novità me ne uscissi per ultimo a prendermi febbre, raffreddore e il maledetto mal di gola che mi affievoliva sempre la voce. Ma nonostante gli anticorpi da prendere a calci, grazie a qualche farmaco e a qualche intruglio mirato non c'era nulla che non durasse più di uno, massimo due giorni - a meno non dovesse, caso in cui poteva anche durare una settimana. No, sembrava ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato, e che la mia sensibilità fisica e mentale ne risentisse. In malo modo.

    E così, cos'altro mi restava da fare che occuparmi dell'ennesimo computer problematico collegato in casa, con una pila di fazzoletti da una parte, e la tachipirina e un caffè bollente dall'altra? Un modo di occupare il tempo, più che una stretta questione di soldi: in fondo, il mio superiore, col quale avevo un regolare contratto part-time al Moonlight, mi avrebbe pagato comunque i giorni di malattia. No, per ora non mi serviva il denaro in senso stretto. Lo facevo per togliermi quella sensazione che mi vagava al cervello, come di una morsa stretta e pesante che trovavo intollerabile. Presi un sorso del caffè, le occhiaie che minacciavano di arrivarmi dagli occhi al pavimento, digitando alcuni comandi in linguaggio dos sul promt dell'apparecchio quando, con estrema irritazione, capii che si era bloccato. Fantastico. Cercai nervosamente i pulsanti di sblocco, premendoli la prima volta e altre due volte con peggiore insistenza, fino a quando non rinunciai, conscio di dover riavviare e ricominciare la programmazione da capo.
    Da capo.
    Sospirai, stropicciandomi stancamente una palpebra, l'orecchino che tintinnava all'orecchio sinistro. Avrei voluto sfondare a testate un muro al solo pensiero dell'intero lavoro da recuperare, ma ero talmente esausto che anche l'idea di usare un cuscino riuscì ad illuminarmi: mi frugai dietro la schiena, recuperando uno di quelli che avevo piazzato sull'unico divanetto singolo della casa - sulla quale praticamente vivevo da tre giorni a questa parte, attaccato al tavolino col computer posato sopra e ben distante dalla mia solita scrivania - e vi affondai la faccia affogando così la disperazione dell'informatico alle prese con l'incomprensibile intelligenza artificiale di certi apparecchi, che si presentavano di una malvagità pari solo a quella del mio capo.
    E temevo, anche maggiore. Rialzai il volto dal cuscino, la mano già in cerca del tasto di spegnimento della ciabatta posata per terra accanto al mio posto di battaglia, quando vidi lo schermo illuminarsi. Dapprima, pensai con sollievo si fosse sbloccato. Quando poi vidi la schermata farsi nera e riempirsi di scritte di comando provenienti direttamente dal dos, allora capii: un attacco informatico in piena regola, forse da parte di uno dei miei compagni d'Uni intenti a cercare un modo di farsi dar fuoco alla casa o più probabilmente, da un esterno sprovveduto che non sapeva con chi aveva a che fare. Reagii immediatamente, frugando tra le carte sul tavolino per cercare la chiavetta su cui avevo caricato un sofware ad avvio automatico per chiudere le porte d'accesso del computer, quando le frasi che apparivano a schermo presero ad avere un senso compiuto, attirando i miei occhi.

    Signor Eder, perdoni l'irruenza ma conoscendo le sue capacità ho ritenuto opportuno tutelarmi.

    Buon per te, commentai amaramente, spostando la mano su un'altra chiavetta che conteneva diversi trojan compressi in un programma zip da mandare a chiunque fosse stato tanto sciocco da usare un buco di rete per entrare nel computer - fortunatamente, non il mio ma quello di un mio cliente. E non c'era nulla che potesse spingermi a propositi di vendetta più del violare una mia unità di lavoro. Non ti servirà a nulla.

    Il malaware con cui ho infettato il suo pc è di mia creazione e sparirà non appena avrà visualizzato questo messaggio, ha la mia parola.
    Comunque, io e il mio capo abbiamo bisogno del suo aiuto: è in pericolo la stessa stabilità del mondo.


    Il seguito fermò prontamente la mia nuova mossa, del quale ero più che convinto, per ragionare velocemente sulle parole: pericolo? Stabilità del mondo? Per chiunque altro, sarebbe potuto essere l'attacco di un fanfarone in vena di scherzi, ma per un esperto non ci voleva tanto a capire che quella era un'intrusione di servizi segreti in piena regola, guardando i codici usati. Scorsi la schermata controllando, improvvisamente in allerta: per un momento, mi chiesi se al Talamasca avevano per caso scoperto il piccolo programma spia installato nel loro server centrale, ma non mi ci soffermai troppo. Qualcuno sapeva dove vivevo, quali capacità avevo e - eventualità peggiore di tutte - forse addirittura cos'era in grado di fare. Essere uno stregone portava inevitabili vantaggi che io tendevo perlopiù a sfruttare sottilmente: ero sicuro nessuna telecamera mi avesse ripreso durante le rare occasioni in cui avevo sfruttato i miei poteri. Cercai quindi di mantenere la calma, il chè diede il fastidioso effetto collaterale di farmi diventare un pezzo di legno in tensione.

    Venga in Crossbone street stanotte, per favore.
    E cerchi il colonnello Hiller.


    Colonnello. Inevitabilmente, servizi segreti. Lo si poteva leggere lampante come un'insegna al neon con scritto "siamo qui e ti stiamo osservando". La mia mano passò ad una terza chiavetta, sollevando alcuni fogli d'appunti presi all'Università: sofware di locazione.
    Voglio sapere dove sei, prima di fare qualsiasi cosa.
    E perdipiù il messaggio non si era ancora chiuso. Non potevo rispondere, ma potevo tracciare l'esatta posizione da cui mi veniva mandato l'attacco se quello fosse rimasto qualche altro minuto sulle schermo. Infilai nella porta USB del computer la chiave, che avrebbe aggirato l'attacco e agito nel giro di sessanta secondi, e che in altri trenta avrebbe trovato la posizione con un po' di fortuna e un segnale gps da rilevare e sfruttare nelle vicinanze del posto di provenienza. Nel frattempo, presi un foglio di carta e mi segnai la via.

    Crossbone Street, eh?
    Non ricordavo esattamente dove fosse. Avrei fatto le mie dovute ricerche con calma, finito quel delirio: in quel momento, ringraziai di essermi riempito di caffè, e che in cucina ce ne fosse un'altra moka da otto pronta e ancora calda. Ma come sempre, quando una cosa andava storta, inevitabilmente se ne attaccavano altre dieci al seguito: probabilmente da qualche parte nel mondo qualcuno pensò che non avessi ringraziato a sufficienza, e mi sorprese proprio in quel momento.

    Signor Eder, buonasera.

    Mi prese la base del cervello, facendomi sussultare come sempre. Bloccai un insulto a mezza voce e chiusi gli occhi per concentrarmi e instaurare un muro tra me e la presenza molesta che mi si insinuava nel cervello, facendomi tremare. Arrivai a prendere la tazza del caffè, ma le dita mi fremevano talmente tanto da farla quasi cadere. La ressi comunque e iniziai a costruire le mie difese velocemente, mattone dopo mattone, proprio come mi aveva insegnato Ael. Il mio maestro era sempre stato - e scommettevo lo fosse ancora - piuttosto portato per le intrusioni mentali, e di conseguenza mi aveva impartito una buona base di conoscenze con cui potermi proteggere, nel caso. Si trattava sempre del solito trucchetto: focalizzare l'attenzione su qualcosa di semplice e ripetitivo, mantenendo la coscienza delle proprie azioni e dei pensieri al di sotto. In questo modo la mente diventava una strada a due livelli: la superficie, trafficata e difficile da valicare, e l'interno, che conteneva tutto il resto delle informazioni. Ero sicuramente arrugginito, ma potevo ancora schermarmi, anche se qualcosa dall'altra parte sembrava suggerirmi che il tentativo non fosse insinuarsi, tanto più di lasciare un messaggio in maniera piuttosto passiva.

    Sono Myles Warren e, anche se non ci siamo mai incontrati, ho seriamente bisogno del suo aiuto.

    Stabilii il mio muro, senza rimbalzare il pensiero che mi arrivava, cristallino come l'acqua. Era la seconda persona nel giro di pochi minuti a chiedere la mia assistenza, e se per la prima potevo forse tralasciare l'argomento paranormale, affidandomi al fatto servisse un Informatico competente, per la seconda era esattamente l'opposto.

    La pregherei di raggiungermi il prima possibile al monastero di Saint Mary, poco fuori le mura di Nouveille.

    Una seconda richiesta di incontro, che mi provocava irritazione almeno quanto la precedente. Perché avrei dovuto impelagarmi in vari problemi, quando ne avevo già troppi dei miei? Potevo mandare al diavolo una parte e quell'altra e anzi, farla pagare ad entrambi - disponevo dei miei metodi per rintracciare le persone, anche a livello mentale con qualche rito ben mirato. Ma d'altra parte, la mia natura ne avrebbe risentito: benchè non fossi abituato a cacciarmi volontariamente nei guai, avevo il sempre presente bisogno di sapere, ora più che mai, dato avevano attirato la mia attenzione. Per di più, le due parti non sembravano in collaborazione, se a distanza di pochi minuti una mi chiedeva d'andare da una parte e l'altra dall'altra.
    E per di più, c'era una terza cosa a darmi il sentore, a spingermi a non ignorare la questione per quanto spinosa o fastidiosa potesse essere: quella sensazione che sentivo da giorni. Diversa da ogni infiltrazione, e insistente. Sembrava darmi il presentimento che stesse per accadere qualcosa a breve. Considerato questo, dovevo scegliere - preparandomi a perdere la mia quarta notte consecutiva di sonno.
    Apriti cielo.
    E ora la questione: non possedevo il dono dell'ubliquità, e anche ammesso che potessi inviare il servitore evocato dal mio anello ad uno dei due incontri, non sarebbe durato molto - avendo per di più da nascondere le corna. Desideravo disperatamente infilarmi negli affari di entrambe le parti, ma dovevo prendere una posizione. E allora, perché scegliere per la semplice, normale via dell'iper-sfruttato ragazzo comune, quando potevo invischiare le mani nel soprannaturale? Dopotutto, era da una vita che tentavo di sfuggire ad una noiosa esistenza nell'immobilità, viaggiando. Avevo il dono della vera vista, come testimoniavano i miei insoliti occhi e il fazzoletto rosso legato al mio palmo sinistro. Perché privarsi della possibilità di conoscere, e di saperne di più? Era l'obbiettivo a cui stavo dedicando la mia esistenza. Quello, non gli sguardi timidi della mia compagna di banco preferita. Anche se, a doverlo ammettere, mi piaceva la sua presenza e mi piaceva lei... e più di una volta questo mi riportava alla mente i miei genitori.
    Scossi la testa, scacciando via quel pensiero improvviso. Di Dast, loro non ne sapevano più nulla, e anche fosse stato ormai quel ragazzo era un'altra persona. Di Dast era rimasto un nome e nient'altro - ero Darshan oramai, "colui che conosce". Potevo fare grandi cose, piuttosto che rinchiudermi nella banalità del quotidiano. Ero Darshan, e da tale mi sarei diretto a Saint Mary, senza dovermi nascondere dietro vestiti, occhiali e un'identità che sentivo mia solo a metà. Ma proprio in virtù di quella metà, non avrei rinunciato al secondo incontro, se ce ne fosse stata la possibilità, e mi sarei diretto dopo a Crossbone Street. Da banale informatico, come tutti si sarebbero aspettati. Sapere cosa si stava profilando all'orizzonte sui due lati della barricata, piuttosto che da uno soltanto, poteva essere piacevole dopotutto, no? O sicuramente mi avrebbe dato un vantaggio.
    Sorrisi.
    Ingollai quello che rimaneva nella tazza di caffè ripiegando sul tavolino i finti occhiali che portavo solo per dissimulare cos'ero, quasi strappandomeli dal volto. I risultati dati dalla chiavetta arrivarono con un lieve rumore, e li controllai velocemente prima di alzarmi, i muscoli tesi delle gambe che dolevano mentre camminavo fino in cucina a riempirmi una nuova tazza. Mi sarei preso un'ora per imbottirmi di farmaci, farmi una doccia e pestare qualche erba medicinale che mi rendesse un'aria più sana di quella che rispecchiavo, stando al raffreddore, all'influenza e alla febbre. Poi, mi sarei armato di tutto punto. Avrei raccolto il pugnale di Ael, il suo ultimo regalo prima di lasciarmi, e mi sarei avviato al monastero.
    Sarebbe stata una nottata interessante.
  7. .
    Incredibilmente, partecipo anch'io :D
  8. .
    Assente e presente a salti e balzelli per tutto il resto di Dicembre: Varon torna dalla Danimarca, tra parenti e amici mi strattonano qua e là e di conseguenza il tempo che mi rimane è pari allo zero assoluto. Per gennaio torno attivo e pronto ;)
  9. .
    Dovevo immaginare si trattasse di qualcosa del genere. Com'è l'università qui? Non sarebbe male frequentare la facoltà di lettere o di arte...
    Tirai una densa boccata dalla sigaretta, mentre Guènieve sembrava più parlare a sè stessa che a me in quel particolare frangente. L'Università era una delle cose che più odiavo e adoravo allo stesso tempo di Nouvieille, e anche uno dei motivi minori per cui continuavo a restare, piuttosto che andarmene come avevo sempre fatto, a girare come un nomade senza pace per il mondo.
    L'amavo, perchè avevo sempre avuto una particolare propensione verso lo studio, e sicuramente l'Università di Nouvieille poteva darmi quello che moltre altre Università non potevano: corsi di laurea specifici, un'ottima gestionalità delle lezioni e una base di preparazione che altri insegnanti non avrebbero saputo donare ai loro studenti. Poi, d'altro canto, la detestavo, perchè rimetterci piede smuoveva in me i vecchi sentimenti di una volta, quelli che avrei dovuto abbandonare e lasciare indietro. Non importava quanto i miei occhi tenessero un minimo a bada i bulli e la gente idiota, o quanto gli anni di arte da strada mi avessero preparato a ribaltare facilmente l'esito di una qualsiasi aggressione; nè quanto il mio aspetto piuttosto "esotico" e le mie attitudini attirassero ben più di una persona... lì sarei, e sarei sempre rimasto nel profondo, Dast.
    E'... una buona università. Rimasi interdetto nella risposta, temporeggiando. Sicuramente, migliore di tante altre del centro europa.
    Esalai il fumo trattenuto in una boccata amara, torturandomi l'orecchino. Con mio grande sollievo, la conversazione si diresse verso altri lidi più gestibili. O almeno lo sarebbero stati, se in quella particolare situazione, quella particolare domanda non fosse stata posta in quel particolare modo - odiavo quando c'erano così tanti particolari nel mezzo.
    E lo dici perché ne hai perse molte ed è una delle poche che ti resta?
    Osservai distrattamente le nuvole di fumo disperdersi nell'aria, la mia e la sua, simulate in copia dal riflesso della finestra aperta proprio lì accanto. Quello era l'ennesimo argomento scottante - quando si parlava d'opportunità, generalmente ero il primo a starmene zitto - e nella mia vita ce n'erano state molte, troppe, che avevo evitato di affrontare con noncuranza o, più che altro, per paura. Adesso la paura non c'era più, ma restava quel tipico senso di amarezza, quella consapevolezza di come le cose avrebbero potuto andare diversamente anche solo alzando una mano, o facendosi avanti a parlare per primo. Se non fossi stato schivo quant'ero qualche anno prima, ad esempio, avrei forse potuto accorgermi di cosa stavano per combinare i miei genitori, ai loro e ai miei danni. E... erano quella marea di "forse", "avrei potuto", "avrei fatto" che alla fine scavavano nell'animo tentando di dilaniarti con artigli da leone. Le mille possibilità non colte, le mille altre che si sarebbero potute sviluppare.
    Guardai il mio stesso riflesso con un'espressione indurita. Non la stessa scioccata e comatosa di quella sera, sulla carrozzeria della macchina posteggiata del mio maestro, ma in qualche modo simile. Forse per quella punta di tristezza che le accumunava, o forse - ecco, l'ennesimo forse - per la delusione che mi facevano provare. Poi, provando a sostituirla a qualcosa di più accettabile, mi rivolsi a lei con un sorriso storto, più una smorfia che altro, semplicemente senza risponderle. A volte, non serviva parlare.
    Ho passato il Natale e il Capodanno lì per otto anni di fila, quando ero piccola. Sciavo, a Canazei, hai presente, no? Mio padre mi svegliava alle sette di mattina per avventurarci sulle piste. Anche lui era italiano. Luoghi suggestivi, quelli di montagna.
    Questa però non me l'aspettavo: rimasi a guardarla, vagamente sorpreso dal fatto conoscesse un minimo i posti della mia infanzia, nonostante la loro notorietà come località turistiche. Ma sopratutto, sorpreso dal fatto le nostre origini si accumunassero, in qualche modo.
    Era? chiesi, volgendomi discretamente a guardare il giardino illuminato dalla luce mattutina. Potevo essere fastidioso alle volte, ma questa non era una di quelle in cui avrei gradito farlo - e inoltre, come già ripetuto, spesso bastava una parola. Sicuramente era un gran genitore. Commentai con una punta d'amarezza. I miei non mi avevano mai portato da nessuna parte... mi ero sempre arrangiato da solo. E sicuramente non c'è posto migliore di Canazei, in Italia, in cui portare una ragazzina. Sempre che le si voglia far amare l'Italia, beninteso.
    Aspirai ancora, con la sigaretta al limite della durata, e buttai di nuovo la cenere nel posacenese mentre l'ascoltavo ancora parlare, con assoluta vaghezza, dei suoi obbiettivi.
    Forse? Sorrisi davanti alle sue incertezze, voltandomi ad osservarla poggiando la schiena al limitare della finestra. Non credo che avere un obbiettivo condizioni così tanto la vita. In fondo, un obbiettivo è fine a sè stesso, e terminato quello ne vengono altri. Ah, parlavo io! Mister vogliotuttoesotutto, che a carnevale avrebbe potuto travestirsi con grande successo da Fasotuttomì - tipico personaggio carnevalesco dalla provenienza veneziana.
    Ma ovviamente, parlo per me. Non sono il tipo che attende il... cadavere del nemico. Ridacchiai tra me e me, spegnendo finalmente la sigaretta di cui non fumavo il filtro ancora per pochi millimetri. Non sulla sponda del fiume, almeno. Mi levai dalla finestra massaggiandomi con una mano la schiena. La prospettiva di dover tornare in quella terribile posizione chiamata "l'uomo col cacciavite" non era per nulla allettante. Mentre invece, da quel che ho capito, a te i nemici piace osservarli. Magari da lontano, da un bel posto sicuro. Sospirai, volutamente ambiguo, avviandomi di nuovo al cacciavite, e poi ai connettori sulla scrivania.
    Funzionasse sempre così...
    Allora non sarei quello che sono. E non farei quello che faccio. E non vi starei platealmente fregando ogni minuscola informazione dal vostro database.
    Sciocchi.


    Perdona il lieve ritardo, riesco a rispondere solo da lavoro e il maledetto Explorer si chiude ogni tre per quattro *sigh*
  10. .
    Ottimo, almeno non mi sento il solo vegliardo qua dentro :D
    Allora, visto hai detto di voler partecipare al gioco di ruolo ti lascio qualche suggerimento: è importante la lettura del regolamento, perciò dai uno sguardo alla sezione regole del forum e in special modo agli statuti e una volta avuti gli accessi alle razze dai una bella letta anche a quelle. In caso di dubbi puoi usare la sezione Aiuti & Domande [ X ] dove cercheremo di rispondere il prima possibile e al meglio, nel frattempo ricorda che per preparare la tua scheda PG hai tempo circa dieci giorni, ma che in caso di necessità potrai avere una proroga avvisandoci qui.
    Ti lascio in fine il link dello Statuto del nuovo utente per i nuovi arrivati in modo che possa essere subito consapevole dei tuoi diritti e doveri all'interno di questo forum ;)
    Detto questo, vado a darti gli accessi augurandoti una piacevole lettura e buona permanenza!
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    Benvenuto su Creature Antiche Vivono Ancora, giovanissimo Drago!
    E' un piacere averti tra noi marmaglia di gente pazza, tra l'altro sei giovanissimo, ci fai sentire tutti vecchi qua dentro xD
    Detto questo, non hai specificato quindi te lo chiedo: vuoi partecipare al nostro gioco? In tal caso ti posso dare gli accessi alle sezioni ;)
    Nuovamente, benvenuto e nel caso, buona permanenza!
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    La bellezza. La bellezza era traditrice, ingannatrice. Di bellezza ce n'era pieno il mondo, ma quasi tutto ciò che risultava bello finiva per far male. Un'unione definita "per sempre" svaniva. La giovinezza scivolava via come acqua tra le dita. La grazia si perdeva col passare del tempo. Ma senza limitarsi, bastava guardarsi attorno per scorgere tutto quanto il resto: piante e fiori meravigliosi e velenosi, animali dall'aspetto magnifico ma dalle fauci terribili... persino le scaglie del serpente corallo, così incredibilmente colorate all'esterno, suggerivano cosa si potesse nascondere dietro tutto quel fascino e dietro le ghiandole velenifere di un paio di denti ricurvi.
    Certo, parlava di questo il brutto anatroccolo davanti alla meravigliosa ninfa dotata di capacità a me semisconosciute. Dai ricordi che possedevo parevano essere le creature forse più miti di tutte, ma lo sapevo da me, e per esperienza personale, che non tutto poteva essere vero: la mitezza poteva nascondere una potenza tanto disastrosa quanto un uragano, e qualche storiella della mitologia greca che avevo meticolosamente studiato nei miei anni di viaggio avvalorava questi miei pensieri. E seppur bellissima, con quelle onde castane che si muovevano appena sulle sue spalle, risaltate dalla mia ebrezza, cercavo di tenerlo ben presente.
    Dici sul serio? O dea, non dureresti un giorno in mezzo al bosco da solo.. Forse io sarei più brava a sopravvivere..
    La storia dell'orso sembrava averla lasciata sorpresa, addirittura divertita o quasi. Forse dal canto suo aveva ragione, e conosceva meglio le abitudini degli animali a prescindere anche dalla sua natura, ma nella mia testa, ciò che le avevo detto era l'unico modo che avevo e avevo sempre avuto di tirare a campare davanti ai pericoli improvvisi. Alla fine, che si trattasse di un orso oppure no, l'idea era sempre la stessa.
    Correre è la mia specialità.
    Corri più veloce. Quando non sei sicuro, corri. Quando il pericolo supera l'orgoglio, corri. Quando hai l'impressione di non potercela fare, voltati e corri. Anche con strabilianti poteri e finzioni in dotazione, anche a costo di rimetterci un minimo...
    No. Quello era il vecchio Dast che parlava. Non Darshan, lo stregone. Darshan avrebbe detto "và e affronta il nemico", non "voltati e non ti fermare". Quello era lo sfigato, lo studente, l'impacciato con le ragazze, il nerd attaccato ai videogiochi che faceva Lucca cosplay vestito da Stanley, un anonimo personaggio di un altrettanto anonimo gioco per computer che richiedeva al massimo un cartello nero, una camicia bianca e dei pantaloni neri per essere fatto. Facendosi fotografare dal "Sindaco Nerd" della sezione italiana di un blog per altri stessi sfigati impegnati a colorare le stanze di "bianco splendore" davanti a fumetti obrobriosi, in mancanza di carne vera. Santi numi, che orrore. Io l'avevo fatto davvero quel cosplay.
    Darshan invece era... lo stregone. Era l'astuto stronzo che ti raggirava con un sorriso, che aveva saputo farsi dare un potere immenso da uno degli angeli neri più potenti che conoscesse, salvo qualche piccolo errore di percorso tipo l'occhio sul dorso della mano. Che tuttavia, non risultava un grande problema.
    Darshan era quello che non temeva nulla. Che si nascondeva dietro l'aspetto di Dast durante le ore d'Università per mirare ad un lavoro talmente malleabile da potergli permettere di sgattaiolare ovunque, dovunque, in qualsiasi momento - e senza bisogno di teletrasportarsi, pur potendolo fare. Veloce, preciso, e altamente inaffidabile, peggiore di un trapano della Bosh in quanto a pericolosità. Darshan non solo ti forava - con una frase degna di una locandina con la faccia di Bruce Willis - ma volendo, ti avvelenava, fulminava, cuoceva a fuoco lento e infine ti faceva esplodere. O forse tendevo leggermente a sopravvalutarlo. Sopravvalutarmi. Perchè potevo essere come mi descrivevo mentalmente, certo. Il difficile era esserlo, specialmente quando sotto l'effetto di alcool tornavi ad essere il deficiente che eri prima che i tuoi genitori si lasciassero al tuo stupidissimo compleanno della maggiore età, quasi in realtà non avessero neanche loro considerazione di te.
    E all'improvviso il pensiero di aver dedicato più tempo a studio e computer che alle conversazioni con mamma e papà non diventava più tanto brutto o pressante. Ma forse, stavo divagando troppo.
    In ogni caso, io ero. Ero Darshan, come ripetuto dalla ninfa, il nome per l'individuo che avevo scelto di essere. Un nome antico e potente, che solo una persona aveva saputo esattamente decifrare dal Sanscrito. L'amichetta maga del caduto, che ricordavo dallo sguardo a volte sprezzante che mi aveva rivolto, sospettosa del mio operato. Sara. Così diversa nell'espressione da Nais, il cuo viso riluceva di una dolcezza molto poco nascosta. Un bellissimo esemplare della sua razza, come detto prima, da cui qua e là trapelava qualche emozione. L'occhio nascosto sul dorso, la mano immersa nell'erba per non darlo a vedere, puntava verso di lei vedeva, anche dalla distanza, e l'ebrezza non poteva offuscarlo: la sua aura si colorava di ombre, dubbi e incertezze davanti alla mia frase, così buttata al vento davanti a lei, così veritiera.
    Si.. E tu cosa sei? Una sorta di metamorfo?
    Certo, non mi aspettavo tanta onestà. Di solito, determinate creature cercavano di nascondersi agli occhi umani, buone o cattive che fossero. Chissà, forse erano stati proprio i miei, di occhi, a darle un motivo per dirlo tanto schiettamente: illuminati anche in assenza di luce, dotati di una sorta di luminescenza propria durante la notte, e sopratutto non nascosti dai miei soliti occhiali da vista, sembravano indicarmi come un gigantesco cartello lampeggiante a tutti quelli che avessero un minimo di conoscenza del soprannaturale.
    Hey, guardatemi, sono qui e sono ambiguo! Un ottimo fischietto da richiamo per i cacciatori. Per fortuna, almeno durante il giorno si spegnevano un po', altrimenti avrei avuto parecchi problemi all'università.
    Sorrisi, sbuffando con lo sguardo rivolto al basso, la testa ancora appoggiata al tronco con le gambe distese. Inarcai la schiena inspirando aria, con un grugnito basso, e feci scrocchiare un paio di vertebre espirando, rilasciando la tensione che mi irrigidiva muscoli e tendini.
    Magari. Sono un coniglio velenoso risposi, con particolare ironia. Molto, molto velenoso. Che sa correre veloce. E che ci vede molto, molto bene.
    A che scopo vantarsi senza una dimostrazione di vanto vera e propria? Alla fine, era molto più facile così, che continuando a nasconderlo: mi passai di mano il flauto e sollevai la sinistra assieme a tutto il braccio, mostrandole il dorso solitamente coperto, fino ad ora nascosto. L'occhio aveva dimensioni ragguardevoli, e occupava la maggior parte dello spazio, lasciando poca pelle attorno. Con la stessa pupilla verticale, sensibile e delicato, ruotò per un istante in sede sfiorando le scaglie iridescenti che lo circondavano, e poi si fissò su di lei, permettendomi di vederla ancora più nitidamente. Nell'aura, almeno.
    Ma non mordo, non ti preoccupare. Almeno, non adesso. Mi interessa solo... osservarti? Come il lupo cattivo della favola di Cappuccetto Rosso, più o meno. Repressi un singhiozzo causato dall'alcool che andava giù, e in quel momento pensai che forse avrei fatto meglio a bere più vino. Meno gabole. Comprenderti, ecco. La parola giusta. E tu vuoi comprendere me, o sbaglio?
    Un povero umano...
    Sarcasmo velatissimo. Feci una smorfia, storcendo la bocca con un sospiro.
    ...che ha bisogno di altro vino per continuare questa conversazione.
    Mi grattai il collo, mollando il flauto da terra per alzarmi con uno sbuffo sonoro. Forse avevo lasciato la mia bisaccia da qualche parte lì attorno, oppure un po' più indietro, sul limitare di una delle stradine del bosco dove avevo parcheggiato la macchina. Si, quasi sicuramente lì. Lì c'era altro da bere - la scorta della disperazione, come la chiamavo io.
    Tu vuoi conoscermi e io vorrei conoscere te. Vuoi venire o mi servo da solo?

    CITAZIONE
    Vera Vista: (patto)
    Angelo Nero: Raven
    Potere: La Vera Vista permette a Dast di percepire e vedere, sotto forma di luminescenza colorata, la magia in tutte le proprie forme. Il patto ha agito sia sugli occhi, che sul terzo occhio sul dorso della mano. Con gli occhi, ha semplicemente una vista acutizzata (pari a dieci decimi). Il vero potere del patto risiede nel terzo occhio sul dorso della sua mano: se usato per guardarsi attorno, tramite esso Dast è in grado di vedere le auree di qualsiasi creatura non umana e di riconoscere il suo allineamento tramite il colore. Inoltre può vedere quali oggetti sono magici e la loro natura generale (utilizzabile per attaccare, difendere, guarire), e individuare i luoghi con forti concentrazioni magiche, ottime per dei rituali.
    L'occhio funziona in qualsiasi condizione di luce o buio. Il potere cessa quando viene coperto, motivo per cui Dast lo avvolge sempre nel fazzoletto.
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    Lanciai la scatola di cerotti mentre, sorprendentemente, ascoltavo la ragazza ripetere più volte sottovoce il mio nome. Dast. Chissà cos'avevano bevuto i miei genitori poco prima del battesimo, oltre che prima del divorzio: un goccio di erdbeerlikör o nusseler, un bel modo per scacciare il freddo del giorno D'Ognissanti, e una pubblicità della Swiffer, ed ecco fatto il danno. Il perchè avessi preferito cambiarlo nel corso dei miei studi da stregone era quasi evidente, considerando quanto avevo girato e in posti dove l'inglese diventava lingua madre moderna, oltre che fonte di comunicazione e unica risorsa: la pronuncia era fin troppo simile al significato di "polvere", di qualcosa di basso e sporco e infangato che non ero io. Da "polvere" a Darshan, almeno con gli altri miei simili, perchè si sa cosa succede a tutte le età, in un gruppo di studio ristretto di stupidi umani lobotomizzati dagli ormoni e da crisi isteriche: le scuole mi avevano condannato, i sorrisi ironici dei professori mi avevano affossato, e le cantilene dei miei ex-compagni avevano fatto il resto. Per una vita. Persino ora, all'Università di Nouvieille, c'era qualcuno che tentava di giocare con la mia pazienza punzecchiando questo punto dolente - e puramente per il gusto di vedere quanto avrei retto, come nel più tipico bullismo delle mie parti dove, se non eri grande e grosso e biondo, non eri nessuno.
    Fortunatamente dal patto, e da quando mi ero ristabilito a Nouvieille, i miei sguardi e forse la strana forma della pupilla aveva fatto sì da evitare di nuovo certi terribili scherzi ai miei danni. Potevo essere relativamente magro e all'apparenza, indifeso; ma bastava un'occhiata storta e chi doveva capire, capiva l'antifona. O forse, intuiva la diversità che ci separava - quella ben più profonda e bestiale che non erano i miei poteri a dettare, ma la mia singolare scelta.
    Giustamente, tu sei qui per evitare un suicidio di massa, che bravo ragazzo.
    Sorrisi ironico, mentre con un'occhiata individuavo il nastro isolante che mi sarebbe servito dopo, quando fossi tornato alla mia occupazione.
    Bravo ragazzo? Io teoricamente sono qua per guadagnarmi il pranzo. E la cena. E pagare le bollette. E la retta. Se poi gli altri si suicidano, non è certo colpa mia. Al massimo, se lo fanno, posso limitarmi a non rovistare nel frigorifero.
    Il massimo concetto di "bravo ragazzo" a cui potevo arrivare, insomma, tolta l'imbranataggine col genere femminile e un paio d'altre cose tipo essere inseguito da dei piccioni poco contenti del cibo che gli avevo portato, il chè non era nè molto nobile, nè molto da stregone, ma semmai molto da pirla. Comunque, mi diressi alla finestra, dove Guènieve aveva approfittato della precaria seduta dello scrittorio per confezionare due perfette (ma fin troppo sottili, per chi le comprava a pacchetti) sigarette con un tabacco dall'odore particolarmente pungente. Storsi leggermente il naso, guardando fuori e poi tornando a lei, appoggiandomi di schiena ad uno dei vetri aperti verso l'interno.
    Frequenti l'università? Che corso?
    Da quella posizione era facile ammirare le caratteristiche quasi opulente della sala. Marmo, tanto marmo - ripensai a molte delle nostre cave, ai monti dal profilo scavato per ricavare tutta quella pietra da lavorare, solo per abbellire un posto tanto detestabile e asettico come questo. Aggrottai le sopracciglia per un momento, mentre nervosamente mi giravo l'orecchino al lobo sinistro con la mano infazzolettata: scacciai via i brevi ricordi così, rimandandoli indietro da dov'erano tornati e proseguendo la conversazione.
    Si, faccio l'Università qui a Nouvieille. Ingegneria informatica, ma mi occupo più di tecnica. Terzo anno, con un po' di ritardo... Sorrisi brevemente in sua direzione, ma non estremamente convinto. Avevo passato parecchi anni a girare per il mondo e sopratutto l'europa per accrescere un minimo le mie conoscenze soprannaturali, piuttosto che proseguire gli studi elementari, e ora stavo riprendendo solo per avere una copertura e un lavoro sicuro.
    Non che non l'avessi, dal momento Raven, l'angelo nero che gestiva il Moonlight, si era dimostrato fino a quel momento quasi... riconoscente per ciò che gli avevo fatto, dandomi completo accesso all'area e perfino una stanza in cui dormire, in cambio di qualche serata passata a guardare gli schermi delle telecamere e a controllare nessuna creatura facesse casino o mandasse a fuoco tutto. Semplicemente, preferivo però avere la mia indipendenza, com'era stato da quando avevo diciott'anni fino ad adesso. Con un lungo sospiro, cercai di allentare la tensione che mi attanagliava sempre anche solo a sfiorare il ricordo di quei tempi tremendi.
    Come hai potuto vedere, il tabacco era ancora chiuso: non ho il vizio, ma una ogni tanto mi rilassa.
    Accettai benvolentieri la sigaretta, che mi infilai in bocca. Quando mi porse l'accendino, scossi la testa e farfugliando qualcosa di vago presi il mio dalla tasca, accendendo con la mano a fare da scudo alla fiamma come facevo per abitudine, anche in un luogo chiuso. Recuperai un posacenere dal davanzale - ecco perchè sapevo con sicurezza che ci fosse chi fumava, lì dentro - e lo poggiai sullo scrittoio dove entrambi potevamo servircene, inspirando una lunga boccata densa e aromatica.
    Il vizio... appoggiato, stavolta sul fianco, al bordo della finestra, sollevai le spalle. A volte non era un male, anzi, spesso non lo era affatto. Le mie capacità mi permettevano una sopravvivenza media molto più lunga dei miei simili meramente umani, ma c'era chi si ammalava e chi no a prescindere da una sigaretta o da molto altro. Una birra in più poteva farti venire la cirrosi epatica così come no. Una fetta di carne in più, la gotta oppure no. Non si tratta di vizio. Qualche volta è questione di opportunità. Prese e perse.
    Ci fu qualche momento di silenzio, nel quale liberai la sigaretta dalla prima cenere con un gesto del pollice sul filtro. Tirai di nuovo, guardandola fumare tranquilla e riflettere.
    Se non l'avessi capito, sono di Parigi, quindi non proprio dietro l'angolo. Ho passato qualche anno alla sede di Londra, ma non è che mi trovassi bene, ed ho un'indole da vagabonda, quindi ho preferito spostarmi. Nouvieille mi attira, ci sono diverse storie e leggende su questa città, mi piacerebbe saperne di più. Niente di speciale, comunque.
    Un passato poco interessante nasconde quasi sempre qualcosa di molto meno banale pensai, ascoltandola attentamente. Specialmente per un osservatore.
    Forse Guènieve contava sul fatto fossi all'oscuro di cosa davvero si svolgesse in quell'edificio, ma sapendolo dal principio, sapevo anche riconoscere lontano un miglio una storia sfalsata e sopratutto piena di battibecchi familiari. Avevo una specie di radar per queste cose: uno che strillava "cazzate all'orizzonte!" e l'altro che squittiva "litigio familiare". Non erano comunque affari miei, ovviamente, anche se ne sapevo qualcosa... dato era stata quella la causa che aveva fatto scattare qualsiasi potere io possedessi in principio. Notai il suo stringersi nelle spalle, come me poco prima.
    E tu? Hai sempre vissuto qui?
    Come no. Guardando a come Nouvieille attiri come mosche al miele migliaia di creature tra le più strambe a decine, ogni giorno, tutti i giorni... direi che hai il cinquanta percento di possibilità di indovinare.
    No, per mia fortuna. Mischiai una breve risata ad un sopracciglio alzato. O sarei morto di fame prima, a guardare alla generosità dei locali. Ho conosciuto paesi freddi in cui c'era più calore... E in fondo, io provenivo proprio da uno di quelli. Sono italiano... in parte. Alto Adige. Il cantone austriaco-tedesco, se hai presente.
    Magari aveva presente solo le nostre famosissime saune, ma sarebbe andato bene comunque.
    Ho girato un po' per il mondo a scopo formativo prima di decidere di stabilirmi a Nouvieille. Benomale, l'europa è paese, e qua non è diverso da molte altre parti. Ripartire è stato facile. Dovrebbe esserlo anche per te.
    Inspirai e lentamente espirai una nuvola di denso fumo che si andò a disperdere fuori dalla finestra. In realtà fosse stato per me, me ne sarei rimasto volentieri in Danimarca - dove il sussidio era d'obbligo e ti pagavano se imparavi il Danese, e dove abbondavano le leggende sulle creature, di cui molte veramente esistenti. Anche la vita da stregone era più facile in quel luogo, forse perchè combattere il freddo fiaccava le difese degli avversari e anche degli altri praticanti, rendendo facile giocare d'astuzia e rubare qui e là informazioni e molto altro. Non potevo certo dirle che ero capitato lì perchè costretto a seguire il caduto con cui avevo fatto il fatto, no?
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    Perdonate la lentezza dei messaggi, ma con in ballo Lucca e qualche altro progetto diventa difficile riuscire a postare anche da lavoro. Perciò avverto che sarò completamente assente e irraggiungibile da venerdì 31 a lunedì 1. Non appena tornerò farò il possibile per rispondere celermente a tutti quanti ;)
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    Oh, quelle chance!
    Slegata la chioma e tolte le forcine, sembrava molto più una donna normale che non fino a pochi minuti prima, con tutta quell'aria artefatta di perfezione e fragilità che costituivano quasi un criterio di scelta tra gli studiosi del luogo - sempre che di veri studiosi si potesse parlare, a ben guardare che razza di studi facevo io a loro confronto. A questo pensiero, sorrisi involontariamente, continuando ad armeggiare sul filo per metà scoperto che rappresentava sia la connessione telefonica che quella alla rete internet. Non dovevano decisamente essere molto astuti, eh? E anche lei, con quell'aria leggermente più dismessa, in fondo non era altro che l'ennesimo involucro di carne con cui mi trovavo ad avere a che fare. Un gentile, bellissimo involucro, ma pur sempre tale. Come quello di tanta altra gente deliziosa che poi, e tu non lo sapevi, magari finiva a vendersi l'anima per quattro soldi, o per la moglie imbruttita, o per uccidere l'amante chiacchierone. Presi i connettori che mi porgeva e me li misi accanto, guardandola incuriosito inginocchiarsi accanto a me con una gonna così stretta da farle toccare le ginocchia tra loro mentre il mio cervello lavorava a metà da questa, a metà da un'altra parte. Santi Dei. E dire che queste banalità, a sentire il caduto al locale a cui lavoravo, si svolgevano ogni giorno e con seria noia dei dipendenti (demoni o angeli neri che fossero) costretti a far fronte sempre alle stesse richieste.
    Ti chiamerò Dust. Posso darti del tu?
    Immaginai di dover uccidere amanti e sganciare denaro ogni maledettissimo giorno della mia (molto probabilmente lunga, o almeno lo speravo) vita e rabbrividii, nonostante la vicinanza di Gueniève, intenta a sbirciare cosa facevo.
    Ahi..!
    Scintilla. Sibilai e tolsi immediatamente le mani, colpito da una piccola scossa nonostante il manico del cacciavite fosse isolato: probabilmente, perdendomi nei meandri dei miei ragionamenti, avevo messo un dito dove non dovevo. Meglio concentrarsi sul lavoro prima di restarci secco per sbaglio. Mi infilai il dito abrustolito tra i denti, con un'occhio mezzo chiuso. Non faceva malissimo, ma comunque non era proprio un dolorino sorpassabile. Niente che due cerotti non potessero risolvere, comunque.
    Dast. Sottolineai, probabilmente farfugliando a causa del dito ancora tra le fauci in attesa l'acuto dolore diminuisse. Ero cresciuto nella parte più tedesca del Trentino, ma di nozioni sul francese ne avevo ricevute eccome, nonostante fosse una lingua che assolutamente detestavo. Si dice Dast. Con la "a", non con la "u" della pronuncia francese. Tolsi il dito e gli diedi una rapida occhiata, prima di sporgermi verso la cassetta degli attrezzi, rovistando all'interno. Comunque si, puoi darmi del Tu se vuoi. Ti spiacerebbe se facessi la stessa cosa? Estrassi un pacco di cerotti e mi misi a scartarne due o tre da mettere uno sopra l'altro. Siccome ero preciso nel lavoro, ma facilmente distraibile, mi portavo sempre dietro l'armamentario per i piccoli incidenti.
    Difficile, comunque, non essere distratti avendo accanto la signorina. Forse non riusciva a mettermi a disagio come mille altre ragazze perchè, a forza di vedere quelle del Talamasca, ci si faceva l'abitudine sia alla bellezza che alla presenza, ma risultava comunque... distraente? Esisteva come parola? Forse per l'accento, o forse perchè parlava - hey, è dotata di comando vocale! - a dispetto di molti altri osservatori.
    Sarebbe carino se non avessimo la connessione, non immagino i miei colleghi... personalmente, non avrei problemi a stare qualche giorno "scollegata", ma penso che a mia madre potrebbe venire un colpo.
    Oltre ad avere il comando vocale è anche ben collaudata - fin troppo. Qualcuno spera di fulminarmi prima di pagarmi... pensai sarcastico. Bella mossa, spilorci. Bella mossa.
    Temo i tuoi colleghi si sparerebbero piuttosto che restare senza telefono e internet per due giorni... a quanto pare ci passano la maggior parte del loro tempo. Per mandare cose alla Casa Madre, certo, ai capi, ma anche per il messaggino alla mamma e il saluto al fratello della moglie della sorella della cugina, eccetera eccetera. Giusto per farmi intendere.
    Spero che per tutto ciò che fai, ti retribuiscano adeguatamente.
    Le sorrisi ironicamente, senza alcuna convinzione, permettendomi una risata bassa mentre mi sedevo a terra a gambe incrociate, finendo di scartare il primo cerotto e iniziando col secondo. Nel farlo, urtai il cacciavite che avevo posato accanto ai connettori di plastica, e che prese a rotolare dolcemente in sua direzione. Gli scoccai un'occhiata del tutto inutile (essendo un cacciavite inanimato) e mi risistemai gli occhiali. Con i connettori avrei ripreso ad armeggiare non appena avessi risolto col filo scoperto.
    Veramente sono qua da tre giorni e non ho ancora visto uno spicciolo. E sto saltando le lezioni per questo lavoro.. Sia mai che farsela amica o tirarla a compassione non permettesse di ricavarci qualcosina di più. Certo che i soldi non erano tutto nella vita, ma io dovevo pur mangiare - e parecchio, aggiungerei.
    Credi che possa fumare se aprissi la finestra?
    Scartai anche il secondo e il terzo cerotto e me li arrotolai attorno al dito dolente con un gesto che sapeva ormai d'abitudine.
    Suppongo di si. Ci sono dei posaceneri in giro, quindi presumo tu non sia l'unica a fumare, qua dentro.
    Il chè non si direbbe di un posto tanto curanto. E di una ragazza così Bon Ton.
    Assicurai i cerotti, accertandomi fossero ben incollati, e mi alzai, spolverando i jeans dalla polvere di muro e di mattone con la scatola ancora in mano. Avevo duvuto fare un paio di fori per andare a recuperare tutti i cavi che mi servivano. Mi guardai in giro, ma poi automaticamente i miei occhi andarono alle sigarette, ovunque essere fossero.
    Ti spiacerebbe regalarmene una?
    Brutto vizio. Lanciai un'occhio al computer e poi tornai a lei, facendo spallucce. Si, fumavo. E si, non era reato alla mia età.
    Hai voglia di raccontarmi come sei finita qua, mentre ti faccio compagnia?
3203 replies since 20/8/2008
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