• {Creature Antiche Vivono Ancora GDR} • Gioco di Ruolo by forum a carattere Horror-gotico moderno

Posts written by 'Raven'

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    Gli occhiali mi cadevano sul naso, e mentre aspettavo la ragazza, con nervosismo, tentai più e più volte di risistemarli.
    Di solito la gente non faceva un gran guardare negli occhi, ma tutti questi cosi, questi "osservatori", non facevano nient'altro nella vita che divertirsi a vedere se avevi le orecchie troppo appuntite, i canini troppo allungati o le unghie troppo lunghe. Magari quelli più temerari tentavano anche di guardarti nel colletto nel tentativo di captare una non-si-sa-bene-quale presenza di squame, tentativo più che fallimentare col sottoscritto che aveva accuratamente puntato gli occhi per tutto il tempo verso il basso. Ma non adesso, il chè purtroppo mi faceva ripensare al fatto non avessi inspessito abbastanza le finte lenti degli occhiali per dissimulare le pupille leggermente allungate, che comunque non avrebbero dovuto essere un gran problema. In fondo, il mondo, anzi, gli esseri umani erano ricchi di difetti... chi altri ero io - inserire qua risata interiore - se non un povero studentello con un piccolo, insignificante difettino fisico completamente sorpassabile? E poi, suvvia, trovare degli occhi verdi che tendessero al giallo paglierino non doveva essere troppo difficile al mondo. Bastava andare ad un raduno cosplay. O ad un larp, o ad una rievocazione storica abbastanza fantasiosa dove tutti ci tenevano a sembrare estremamente autoritari, fighi e importanti.
    Rimaneva il fatto non potessi certo bendarmi dall'arrivo della ragazza in poi, quindi meglio stare al gioco e defilarsi tranquillo subito dopo la sua entrata, previo averle indicato il numero della stanza e il piano. Sbuffai, pensando tra me e me che in quanto a stile e molto altro, il Talamasca non fosse nient'altro che un hotel: andavano e venivano, andavano e venivano e ti pagavano poco. E non si premuravano nemmeno di nascondere una copia delle chiavi dell'Archivio - brutto vizio. Ma tanto peggio per loro: erano stati talmente educati da evitare persino di darmi una mano a spostare la scrivania col computer vicino all'ingresso e alla centralina, scordandosi sbadatamente anche di cosa potesse mai contenere. Ma cos'avevano per la testa questi umani? Farsi la manicure prima di andare a caccia di mostri?
    Senza contare che, data la media dei candidati, i reclutatori dovevano per forza essere appassionati di Cosmopolitan o gestire come secondo lavoro un'agenzia per modelle. Anche la ragazza in arrivo - l'ennesima, Sylvie Guènieve - aveva quel non sapevo bene di indefinito che la rendeva uguale al modello del classico Osservatore femmina. E non stavo parlando d'ornitologia: se fossero stati intelligenti, quelli dell'Ordine avrebbero convenuto già da tempo nel cambiare il motto da "vediamo, osserviamo e quant'altro" a "siete reclutati, previo ricchezza e bell'aspetto". Anche solo ad osservarla da lontano - cosa che riduceva drasticamente il mio classico imbarazzo verso le donne - sembrava il classico stereotipo da Modelli&Modelle prét-à-porter: la solita pelle pallida e lunare, i soliti capelli neri fluenti, i soliti occhi chiari nella forma perfettamente squadrata od ovale del viso, il solito comportamento d'alta classe e il solito trucco perfetto. Bellissima, certo, in maniera quasi imbarazzante. Tutte bellissime, tanto che a forza di guardarle ci facevi l'abitudine mentale e quasi quasi preferivi la compagna di corso a tanto sfolgorante splendore. E quando non erano more, erano rosse con pallide lentiggini e occhi acquosi. Quando non erano rosse, erano bionde che facevano sponsor alla Colgate - con piccole e insignificanti variazioni nei componenti maschili (quasi assenti) che l'ordine si era accaparrato lottando, probabilmente, contro decine di ragazzine e ragazzini dagli ormoni grossi come api del pleistocene.
    Triste rendersi conto, in quello stesso momento, che se Raven non fosse stato un angelo nero e dotato di una sanissimo cervello, avrebbe fatto parte di questo branco di esseri insensati e dalla dubbia utilità. Tranne che per me, ovviamente.
    Arrivata alla porta, la ragazza si comportò come avevo esattamente previsto, nel più tipico stile "osservatoriale": entrò dandomi una lunga occhiata per poi ignorarmi completamente, restando ad osservare lo splendore del bianco-dorato-mogano tra arredamenti, mura e colonne. Alzai gli occhi al cielo mentre lei non guardava, con un'espressione che nascondeva a forza la scocciatura latente.
    E poi ti chiedi perchè con loro non ti trovi in difficoltà e con le altre si pensai tra me e me, tornando perfettamente composto prima si voltasse, reprimento quanto fossi spazientito. Ero lì per lavorare e per due spicci, e non potevo starmene con le mani in mano tutto il giorno ad attenderla.
    Piacere, io sono Gueniève, e voi siete… ? Non siete un membro del Talamasca, correggetemi se sbaglio.
    O beh. Diretta, niente da aggiungere. Mi porse una mano che guardai con diffidenza, e fu solo per pura e semplice cortesia che mi passai di mano il cacciavite da poco recuperato, stringendo brevemente la sua in un contatto che mi diede più fastidio che altro. Da come si poteva evincere, non ero uno che socializzava spesso, tranne che con determinati tipi di creature.
    Piacere. risposi secco, spostandomi verso la scrivania e la cassetta degli attrezzi, laddove nel muro accanto era aperto un quadrato comprensivo di coperchio di plastica contenente decine di fili e cavi che con cura avevo etichettato "citofono", "telefono", "cancello", eccetera prima di farmi venire il mal di testa a distinguerli. Gli ultimi due su cui stavo lavorando erano particolarmente ostici, perchè collegati al videocitofono.
    Sono il portinaio-tecnico-elettricista-informatico tuttofare del Talamasca. Scelga lei se chiamarmi solo "Fattorino" oppure Dast.
    Nome vero. Mi era uscito automatico. All'università ero iscritto regolarmente, e se dovevo tenere in alto la messinscena mi serviva farlo per bene. Dopotutto ero lo studentello fresco di corso, non il potente stregone. Almeno, per ora. Guardai la lista sul piano della scrivania, di nuovo, e lessi in silenzio il poco che mi avevano lasciato da dirle.
    Non c'è nessun'altro?
    Mentre mi sistemavo in ginocchioni a continuare lo scomodo lavoro alla centralina, tirandomi vicino il resto degli attrezzi, le diedi uno sguardo. Indifferenza completa, ma che sorpresona! In fondo come poteva un'altolocatissima signorina di ventincinque anni apparenti preoccuparsi del lavoratore sottopagato sottoscritto? Lei voleva vedere i suoi compagni, ovviamente, non la donna delle pulizie o il cameriere che le puliva le bricioline dalla sedia. Innervosito, feci girare il cerchio che sostituiva il solito pendente al lobo dell'orecchio sinistro. Poi, dato lei non mi prestava attenzione alcuna, troppo distratta dalle colonne, feci esattamente quello che dovevo fare: continuare a lavorare.
    No. Immagino abbiano cose più importanti da fare.. risposi, velando la frase di sarcasmo. Comunque, mi hanno lasciato detto di dirle che la sua camera si trova ai piani superiori. Se ha delle valigie può lasciarle all'entrata, se ne occuperà chi deve al suo rientro.
    Io, fare il portaborse? Nemmeno sotto due metri di terra. Avevo una dignità, io: ero stato chiamato a fare il tecnico informatico e già mi trovavo ad accogliere i nuovi arrivati, figuriamoci il resto. Non volevo trovarmi all'improvviso ad essere il cuoco della situazione - primo, perchè non mi andava, e secondo, perchè in fondo non volevo ancora avvelenare nessuno. Ma magari lei si sarebbe trovata più a suo agio a fare qualche piccolo lavoro, pensai tra me e me, sorridendo.
    Scusi, le spiacerebbe passarmi i connettori sulla scrivania? Le piccole scatoline di plastica forata, se non se ne intende. Non vorrei dovervi lasciare tutti senza connessione per il secondo giorno di fila.
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    Che fastidio, la testa...
    Perché non mi ricordavo mai di quella sensazione perversa di un post sbornia - a volte con tutti i crismi, a volte leggero - quando decidevo di esagerare oppure, senza deciderlo, lo facevo e basta? Quel sentire il corpo leggero, ma pesantissimo se solo tentavo di muovere un muscolo. Quel leggero girare di testa che sembrava rendere il mondo una mareggiata unica, tutta quella grandezza sconfinata infilata in una grandissima nave gigante in balia delle onde. Altro che "yo-ho, un sorso di rum", ora capivo perché i marinai dei secoli scorsi si riempivano di sardine salate: tra il mare e il bere, sicuramente non doveva essere un grand'affare. Nausee ogni giorno, tutti i giorni. Poveri loro e, al momento, povero me. Che per fortuna ancora non mi sentivo tanto provato da tirar su anima e corpo.
    Nais, leggiadra nelle sue movenze offuscate (per me) dagli effetti del vino, si allontanò come a non voler protrarre quell'insistente disagio che mi avevano procurato la vicinanza e i suoi sguardi. Non troppo vicina, ma non così distante da perdermi di vista e da smettere di osservarmi, negli occhi soprattutto. Che carina, pensai sarcastico. Uno zuccherino. Alleviarmi dall'imbarazzo per poi darmene un altro? Mi poggiai meglio al tronco, raddrizzando la schiena e grattandomi di nuovo la gola, dove la tenue ricrescita della barba iniziava a dare fastidio. Ci mancava solo quello.
    Si, certo, ma contro una mamma orsa che vuole difendere i suoi cuccioli cosa pensi che possa fare una delicata fanciulla come me?
    Le rivolsi lo sguardo solo in quel momento, alzando un sopracciglio, vagamente incuriosito e (questo poco ma sicuro) divertito dalla domanda.
    Correre? Sempre correre?
    Mi tornò in mente Forrest Gump e un sorrisetto mi colorò le labbra. Fu cosa breve quando il mondo ricominciò a sciogliersi nel suo mare, balenando qua e là in preda ad una marea che non esisteva altrove nella mia testa. Anche perché se ci fosse stata per davvero l'acqua, non avrei perso un secondo a farla svaporare.
    Anche io sono un tipo solitario. Non per niente vivo in mezzo al bosco. Alle volte le persone mi spaventano perchè non riesco sempre a capirle. Alcune volte mi rifugio qui proprio per evitare compagnie spiacevoli, per cui ti capisco benissimo.
    Mh. Risposi, mugugnando debolmente. Immaginavo tutti avessero i loro motivi, se non volevano gente tra i piedi, anche se il mio esulava di gran lunga dai soliti. Semplicemente, gli esseri umani occupavano troppo spazio e consumavano troppa aria rispetto a quanto dovevo e potevo respirarne io. Senza contare la loro arroganza. Il modo in cui ti sbattevano le cose in faccia, qualsiasi cosa, con la facilità e il sorriso di chi non sa di provocare danni enormi.
    No, se il mondo doveva girare a quel modo, allora di sicuro, in mezzo a loro, il più arrogante dovevo arrivare ad esserlo io. Così arrogante da poter schioccare le dita ed eliminare tutte quelle terribili seccature, anche qualora fosse sbagliato, sbagliatissimo... far finalmente scomparire qualcuno dei miei sciocchi compagni, magari per un esperimento. O due.
    Mi chiedo quante compagnie spiacevoli potresti avere tu... Allungai una gamba sentendo il muscolo tendere, rattrappito dalla posizione a gambe incrociate, poi scossi la testa. Se vivi qui, puoi sempre rifugiarti qui. Se vivi là... non c'è pace. Mai. Sono tutti un continuo tormento.
    Col veleno che avevo già nel sangue (o meglio, acido), non mi veniva poi tanto difficile diventare velenoso anche a parole. Detestavo chi mi stava intorno, forse salvo per le creature, fosse anche che arrivassero ad umanizzarsi ed amalgamarsi tanto da essere considerati umani. Il fatto non lo fossero, o solo in parte come me, mi rassicurava più dell'essere circondato da normalissimi, noiosissimi, stupidi e instancabili mortali. Tutti presi da qualcosa, senza la vaga idea, senza capire o comprendere cosa si poteva nascondere dietro un velo.
    Banali. Spaventati, talvolta come me - che detestavo la mia paura proprio perché comune alla loro.
    Io ti ho detto come mi chiamo. Ora tu dovresti dirmi il tuo nome.
    Un altro mezzo sorriso.
    Così diretta?
    Nonostante continuasse a guardarmi negli occhi, da quella distanza il fastidio era certo minore, ed io potevo girarmi per non guardarla, anche potendola vedere perfettamente. Comunque, almeno stavolta, non mi sottrassi allo sguardo. Non dovevo certo dirle il mio nome vero, e in fondo, quello da stregone lo era ormai quasi-diventato.
    Io sono Darshan.
    Le feci un gesto, un saluto, con la mano che teneva il flauto ma senza mai mostrare l'occhio sul dorso, il sorriso volpino stampato in faccia. Tutto diventava più semplice quando da semplice universitario passavi ad essere "grandi poteri in un minuscolo spazio vitale".
    E tu sei una ninfa?
    Lo dissi trai denti, ma facendo in modo potesse sentirlo. Un sibilo. La richiesta del nome, per quanto cortese e gentile, mi aveva leggermente infastidito e non mancavo di farlo notare con quella domanda un po' piccata - poteva risultare scherzosa, o ingenua dalla frase, ma non dal tono non molto divertito. Tuttavia non volevo essere scortese con lei... e nemmeno farle sapere che conoscevo molto più di lei del solo aspetto, e dell'apparenza. Doveva risultare banale, come la banale risposta del più comune essere umano che chiedeva alla chimera, buttandola lì, se fosse una chimera.
    Troppa sottigliezza che magari non sarebbe stata affatto percepita, pensai sbuffando.

    CITAZIONE
    Infravisione: Permette, durante la notte, di vedere più o meno bene persone ed oggetti e di potersi muovere con discreta destrezza al buio. Nei primi livelli solitamente vedono meno meglio di uno stregone di livelli più alti, ma comunque la loro vista di notte è superiore al comune essere umano, anche se loro sono tali.
    [Abilità attiva] 3 turni
    3° turno

    Vera Vista: (patto)
    Angelo Nero: Raven
    Potere: La Vera Vista permette a Dast di percepire e vedere, sotto forma di luminescenza colorata, la magia in tutte le proprie forme. Il patto ha agito sia sugli occhi, che sul terzo occhio sul dorso della mano. Con gli occhi, ha semplicemente una vista acutizzata (pari a dieci decimi). Il vero potere del patto risiede nel terzo occhio sul dorso della sua mano: se usato per guardarsi attorno, tramite esso Dast è in grado di vedere le auree di qualsiasi creatura non umana e di riconoscere il suo allineamento tramite il colore. Inoltre può vedere quali oggetti sono magici e la loro natura generale (utilizzabile per attaccare, difendere, guarire), e individuare i luoghi con forti concentrazioni magiche, ottime per dei rituali.
    L'occhio funziona in qualsiasi condizione di luce o buio. Il potere cessa quando viene coperto, motivo per cui Dast lo avvolge sempre nel fazzoletto.


    Edited by 'Raven' - 20/10/2014, 15:09
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    Fare il portiere-barra-tecnico-barra-tuttofare al Talamasca.
    Già questa, di conto suo, risultava come una burla del destino E, assieme, una burla cosmica. E già qui veniva da chiedersi più o meno il livello medio di capacità intellettiva in un'organizzazione che teoricamente avrebbe dovuto studiare, conoscere, capire, prendere e nascondere.E uno. E poi, la seconda domanda che nasceva spontanea, perchè riuscivo a capire che nel nostro mondo tecnologico ai limiti dell'immaginabile la forza lavoro dei tecnici fosse la cosa più indubbiamente utile, specie quando si trattava di informatica se non proprio di centralini e centraline... ma perchè non formare, al proprio interno, una forza lavoro specializzata? Perchè tu, Casa Capitolare da due miliardi e mezzo erotti di euro - dei quali io per la verità vedevo pochi spiccioli, e avrei aggiunto a quel punto quanto fossero pure spilorci - in stile pre-post-inter-vittoriangoticocapitalista e non sapevo cos'altro, perchè proprio tu, con i tuoi capi sconfinatamente ricchi, non potevi formare un tuo osservatore a specializzarsi in un campo in modo da renderti mediamente autosufficiente in tutto? Non intendevo cose sulla linea di "vai a zappare il terreno", ma qualche approccio all'informatica, qualche corso valevole di montaggio e smontaggio, qualcosa che NON fosse solo un oh mi si sono staccate le luci, vado a pigiare il bottone per far ripartire le caldaie, il salvavita, la corrente, il cancello automatico e tutto il resto prima di rimanere con le candele per l'ennesima sera di fine Agosto di fila.
    E terzo, la domanda più importante, vitale; quella che più riguardava tutti i componenti che abitavano in quel lussuoso ricovero per Osservatori in pieno centro Nouvieille - come volevasi dimostrare, sotto gli occhi di tutti eppure perfettamente nascosto in un giardino da duecento ettari che nemmeno il Re di Francia in persona avrebbe potuto mai possedere.... perchè voi, si, voi Osservatori, voi incaricati di redigere ormai in file rtf. o word. le vostre incredibilmente affascinanti relazioni sulle bestie che incontravate, voi, il cui unico lavoro nella vita sembrava quello di mandare lunghe e laboriosissime e dettagliate tesi in formato telematico direttamente ai vostri arcisuperiori. Perchè, in tutta la vostra sacrosanta conoscenza, perchè e ripeto, perchè non riuscivate, nel raggio di trenta chilometri, ad assumere uno e dico UNO, un solo dannato dipendente che non fosse uno stregone incredibilmente bravo con l'informatica - oltre che con l'elettronica, e ad aggiustare scaldabagni, e che accettasse di essere (pergiunta) incredibilmente sottopagato - che avrebbe potuto accedere in un men che non si dica ai vostri preziosi file, per riparare l'ambaradam che una sola sera di temporale estivo vi aveva provocato?
    Forse per i prezzi convenienti - inserirei qui strofinata di unghie sulla maglia - o forse perchè sembrava un povero studente fesso bisognoso di lavoro. E.. va bene, la cosa non sembrava farmi molto onore.
    Ma il fatto che mentre fossi col mio buon cacciavite in mano ad occuparmi della centralina vicino alla scrivania, e che al contempo, a schermo spento, stessi decrittando con un "piccolissimo" programmino l'intero sistema per bucare le difese del firmware del Talamasca e portarmi via un po' di roba utile, quello direi che andava già meglio per la mia reputazione. E mi stupiva che nessuno ci avesse pensato prima.

    Cosa non mi tocca fare per due spiccioli in tasca...

    Decisamente. Una serata al Moonlight o in qualsivoglia altro locale mi ripagavano del mio lavoro in, mediamente, sei ore standard al massimo, seppure i soldi non fossero abbastanza per pagarmi contemporaneamente l'appartamento e la retta universitaria. Il fatto fossi qua, come in tanti altri posti, era una questione di arrotondamenti, anche se il più delle volte riuscivo a cavarmela egregiamente risparmiando persino qualcosa. Ma come fare a risparmiare, a venir pagati una miseria come qua? Col lavoro degli ultimi tre giorni - e si, era da tre giorni che partivo ogni mattina e venivo al talamasca, aggiustando quello e quell'altro - per questi spilorci a cui dovevo risistemare mezzo impianto della corrente, avrei potuto tranquillamente raccattare il doppio facendo il gelataio per le vie della città. O il commesso, o il cameriere in pizzeria.
    Un involontario singhiozzo, l'ennesimo della mattinata, mi partì dalla bocca. Sospirai, avvitando l'ennesima vite, fino a quando il cacciavite non mi scivolò di mano finendo vicino alla porta. Un'imprecazione fece tremare i muri, una di quelle che avrebbe fatto cadere diavoli e santi.
    Almeno, mi rimaneva da guardare il lato positivo: sede vuota, una semplice lista degli ospiti da far entrare che mi guardava in vista da una scrivania poco lontano, e tutto il tempo del mondo per fare i miei comodi e guadagnarci informazioni. E poi, con quegli sporchi duecento euro, mi ci ripagavo l'università. Non da poco conto.
    Mi tirai gli occhiali da vista sul naso, le lenti palesemente finte che però dissimulavano le pupille leggermente allungate e il colore sgargiante delle iridi. Un fazzoletto rosso acceso mi copriva il dorso della mano sinistra, nell'eventualità dovessi usare i miei poteri e quindi nascondere l'occhio che sarebbe apparso, in tutta la sua stranezza, proprio lì dov'era il tessuto. Mi risistemai la maglia blu scuro e, con un grugnito di disapprovazione, mi diressi alla porta a riprendere il mio cacciavite.
    Beeeeep.
    Immaginate la mia espressione in multicolor per due secondi netti. Rimasi in silenzio, poi ringhiai, imprecando tra me e me mentre cambiavo direzione e mi dirigevo, stavolta, al citofono. Scrivania-tasto illuminato-gracchiare di sottofondo.
    Buongiorno, sono Sylvia Gueniève Lévy.
    Si, va bene. Buongiorno anche a lei pensai tra me e me, sarcastico, scorrendo la lista. Sylvia (una ipsilon in un nome? Per davvero?) Gueniève (francese, guarda un po' che accento) Lévy (parente francofona del Levi di "Se questo è un uomo"?). C'era. Pigiai un altro bottone e le aprii il cancello, con un secco
    Buongiorno a lei
    che risultò piuttosto incomprensibile dall'altra parte, probabilmente, avendo ancora da sistemare il citofono per ricalibrarlo adeguatamente.
    Abbassai la testa desolato per un momento, alzando gli occhi al cielo. Tutto per duecento euro. Duecento. Mi pagavano troppo poco. Per fortuna stavo lavorando anche per me, come suggerì il mio sguardo andato al computer apparentemente spento.
    Mi scostai dalla scrivania e, a passo svelto, andai prima a raccogliere il cacciavite e poi ad aprire il portone d'entrata verso l'esterno, attendendo la nuova acquisita di turno.

    Edited by 'Raven' - 16/10/2014, 20:04
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    Pretendere di sopportare la vicinanza altrui quando la realtà era ben diversa era un po' troppo per un me brillo e in allerta, e peraltro dopo una giornata d'inferno e una notte ancora peggiore. Non fosse stato già abbastanza chiaro che la presenza di donne mi metteva in soggezione, ancora di più mi vidi mettere in una posizione di latente disagio quando Nais, questo disse era il suo nome, si avvicinò velocemente all'albero e quindi a dov'ero, toccando il tronco a cui ero poggiato e sedendosi senza una piega.
    Quanta, troppa, disinvoltura. L'ultima cosa che mi sfrecciò davanti fu il suo sguardo incuriosito rivolto dritto ai miei occhi, che sembrava voler verificare se ci fosse in me qualcosa di strano oppure no: sarebbe bastato guardarmi il dorso della mano sinistra, ma ovviamente un paio di occhi luminescenti così anormali, con quella pupilla leggermente allungata in mezzo al tutto quel buio, erano decisamente più facili da considerare. Tuttavia, trovarmi con qualcuno a fissarmi intensamente non era nel mio stile, specie quando quel tipico sguardo era rivolto dal classico bullo all'ancora più classico sfigatello di turno (di solito, il sottoscritto, ovviamente) pronto, in qualsivoglia caso, a prenderle: anni passati lontano dalle scuole, e per uno stregone, a studiare e imparare di per sè a gestire le situazioni non potevano sottomettere quel maledetto istinto che mi era valso un soprannome ben noto. Forse, anche perchè la risposta era molto spesso la stessa, come adesso: attimi di immobilità totale - una statua di pietra avrebbe fremuto di più - e poi lo scatto improvviso.
    Come prima, meno di prima.
    Mi spostai velocemente mettendo una buona distanza tra di noi - mezzo metro o poco più? - sempre rimanendo attaccato allo stesso tronco, ma semplicemente facendone il giro dalla parte opposta. Quasi involontariamente, anch'io mi voltai dall'altra parte, difendendomi dal suo osservarmi con una tecnica comparabile a quella del morto e che funzionava egregiamente davanti a qualsiasi tipo di creatura, femmine comprese: si chiamava "fai finta di niente e osserva un punto a cavolo sulla tua linea di sguardo, e vedrai che non ti noteranno". E in effetti, pur non essendo dotato del mantello dell'invisibilità di Harry Potter e pur mantenendo i miei spessi occhiali (finti), il fatto passassi per un fantasma mai interrogato alla lezione di turno sembrava indicare fosse efficace. Ancora più efficace se, sfortuna volesse, mi fossi trovato davanti ad una creatura ostile e ad una buona distanza. Gli umani non se ne accorgevano nemmeno, ma la maggior parte delle volte in cui evitavano una morte violenta, era per questo. Non vedo, quindi non noto.
    Stavolta la mancanza di quella distanza fondamentale la rendeva un po' più complicata da attuare.
    Si, la mia casa è poco distante da qui. Vivo nel bosco, questa è la mia casa.
    Merda.
    Mi feci distrarre dal suo gesto di allargare le braccia e tornai a guardarla distrattamente, girandomi e arrossendo violentemente per la somiglianza tra i ricordi del caduto e quello che vedevo davanti a me. Solo, non in un fine vestito bianco, ma in semplicissimi abiti che mettevano in risalto gli occhi verdi e le onde castane che le cascavano sulle spalle. Speravo che il suo aspetto fosse distorto il meno possibile dall'alcool, in modo che una volta meno sbronzo non finisse a distrarmi troppo, ma sapevo che alcune creature erano, semplicemente, dotate di una bellezza fuori dal comune.
    Reclinai la testa allontanando di nuovo lo sguardo, distogliendomi da lei con una falsa disinvoltura, mentre l'orecchino ciondolava e l'argento si riscaldava sotto la mano dotata di Vera Vista, passata inosservata. Per fortuna, sospirai tra me e me. Ma senza fazzoletto, se volevo nasconderla ad un'ulteriore controllo, dovevo smetterla coi poteri... quelli che al momento mi tornavano più comodi sulla base di una semplice chiacchierata. Magari, al momento, potevo semplicemente tenerla nascosta dietro la schiena - e la conversazione avrebbe fatto il resto.
    E' una bella casa constatai facendo scivolare gli occhi sull'erba verde e sui dintorni, e per un solo momento su di lei. Te la invidierei. Ma non senza i servizi. Il bagno. Come fai senza bagno?
    Se l'ebrezza non mi fosse stata utile per non avere un diavolo per capello - tanto, ne avevo uno disponibile in ogni momento al Moonlight - mi sarei preso a schiaffoni da solo. Stavo chiedendo come faceva una ninfa - sapevo lo fosse, un po' (soprattutto) dai ricordi del caduto, un po' andando a scartabellare quello che avevo imparato dai libri - a stare senza bagno? Sul serio?
    Oddio... Mi passai la destra sul volto, premendo col pollice e l'indice tra gli occhi. Sono cresciuto troppo bene per tralasciare la presenza di un bagno. Bella scusante. E poi mi chiedevo perché le volte che una ragazza mi andava dietro, mandavo tutto a - dicesi - p*ttane?
    Chiusi gli occhi. Un po' per la grama figura, e un po' perché i ricordi dell'angelo li sentivo pulsare lì, proprio lì dove si accumulava tutto il disagio ogni volta che commettevo un errore. Di quali dimensioni, non faceva differenza.
    Tu invece? Cosa ci fai qui da solo, a parte esercitati nel cuore della notte e nel fitto del bosco? Ci sono degli animali pericolosi da queste parti..
    Oh, gli animali non sono un problema... risposi d'istinto, senza ragionarci troppo. Dopo quella del bagno, di danni peggiori non potevo farne, pensai. E non sono più solo, in un certo senso. Le scoccai un'occhiata veloce, che non era intimorita ma lo doveva sembrare.
    Sono venuto a smaltire una sbornia... una grossa. Problemi all'Uni.
    Ma sì. Applausi, Dast. Lasciamole credere che tu sia ancora quel ragazzino con gli occhiali che tanto ti atteggi ad essere.
    Lasciai cadere la mano sulle gambe incrociate, poggiando la testa al tronco con un grosso sospiro. La musica mi aiuta a non pensare... qua è tranquillo. Lontano dalle persone. Il secondo sospiro, ancora più pesante mentre inclinavo appena il capo, guardandola. Lontano, semplicemente.
    Feci spallucce, rivolgendole un mezzo sorriso.

    CITAZIONE
    Infravisione: Permette, durante la notte, di vedere più o meno bene persone ed oggetti e di potersi muovere con discreta destrezza al buio. Nei primi livelli solitamente vedono meno meglio di uno stregone di livelli più alti, ma comunque la loro vista di notte è superiore al comune essere umano, anche se loro sono tali.
    [Abilità attiva] 3 turni
    2° turno





    Vera Vista: (patto)
    Angelo Nero: Raven
    Potere: La Vera Vista permette a Dast di percepire e vedere, sotto forma di luminescenza colorata, la magia in tutte le proprie forme. Il patto ha agito sia sugli occhi, che sul terzo occhio sul dorso della mano. Con gli occhi, ha semplicemente una vista acutizzata (pari a dieci decimi). Il vero potere del patto risiede nel terzo occhio sul dorso della sua mano: se usato per guardarsi attorno, tramite esso Dast è in grado di vedere le auree di qualsiasi creatura non umana e di riconoscere il suo allineamento tramite il colore. Inoltre può vedere quali oggetti sono magici e la loro natura generale (utilizzabile per attaccare, difendere, guarire), e individuare i luoghi con forti concentrazioni magiche, ottime per dei rituali.
    L'occhio funziona in qualsiasi condizione di luce o buio. Il potere cessa quando viene coperto, motivo per cui Dast lo avvolge sempre nel fazzoletto.


    Edited by 'Raven' - 16/10/2014, 15:43
  5. .
    Ebbro.
    Ebbro di sensazioni trattenute, di sentimenti attorcigliati come una serpe attorno al mio animo, alle viscere, al cuore. Che stringeva, e stringeva, e stringeva ancora più forte, ogni giorno passato a trattenere tutto quello che avevo dentro mentre accrescevo i miei poteri, la mia conoscenza. Ebbro sia del vino, che di quello che faticando ogni giorno portavo sotto la superficie. Cosciente delle creature che mi passavano accanto in ogni momento. Della magia del mondo in ogni singolo istante. Della stupidità del cuore umano in qualsiasi attimo della giornata.
    Questo fardello che mi compressava l'anima sembrava scaricarsi a terra, mentre seduto a gambe incrociate mi godevo il silenzio con gli occhi semichiusi. Dicevano, tutti, che avevo il corpo nervoso e scattante di un coniglio, e la velocità e l'acutezza di un serpente. Dove pretendevano che andasse, lo stress; da dove pretendevano prendessi le energie per sopportare, piegare, spezzare, frammentare e ridurre ad una briciola tutto ciò che contenevo dentro, tra potere e umana emozione? E poi, si chiedevano perché fossi solo. Perché detestassi tanto condividere la mia stessa aria con gli altri, ammorbata dalla loro leggerezza, quella leggerezza d'animo che a me mancava.
    Ero un filo di nervi quietato solo dal vino e dalla musica. Smettere poteva, con molta probabilità, essermi fatale.
    Controllai il respiro, espirando e inspirando lentamente, le mani in grembo che sfioravano appena il flauto stretto tra le dita. Io non vedevo, l'occhio sulla mano non vedeva. In quella penombra, riuscire a sentire tutto e niente era un sollievo che il contatto con la terra e la natura prolungava. La frescura dell'aria, in una estate da considerarsi non troppo torrida, mi sfiorava e sussurrava ad ogni parte del mio corpo di godere di quell'implicita serenità. Più dolce del miele. Più dell'immane quantità di cibo che mi sostentava, e che quel giorno si era ridotto ad un panino mangiato in fretta all'Università, e un altro a lavoro, dove nonostante avessi pieno accesso alla dispensa del Moonlight c'era sempre troppo da fare, per usufruirne.
    Chiusi gli occhi e mi portai di nuovo, lentamente, il flauto alla bocca. E fù lì che vidi quel bagliore familiare che risplendeva, tanto nell'occhio sul dorso della mia sinistra, quanto nella mia mente. Un'aura flebile per la lontananza, ma che sarebbe diventata più brillante se solo avesse fatto qualche passo in più. Di forma umana e dal colore tenue che lasciava intuire molto del carattere e delle attitudini di un essere, in questo caso non - o forse non ancora - ostile.
    Non che temessi qualcosa per davvero: disponevo di potere a sufficienza per difendermi, anche se considerato il luogo in cui vivevo, avrei dovuto procurarmi un'arma. Solo pura precauzione all'interno di Nouvieille: in fondo, il nemico peggiore di tanti era quasi il mio migliore amico, sempre che quella parola fosse comprensibile nel suo vocabolario. Per Raven dubitavo esistessero amici, ma i suoi ricordi parlavano di emozioni diverse: cose che aveva voluto dimenticare. Cose dolorose che vivevano nella mia mente.
    E anche lei vi apparteneva, anche se distante e lontana come fumo disperso nella nebbia.
    La nota si interruppe bruscamente. Aprii gli occhi, raddrizzando la schiena precedentemente inarcata, e l'istinto di alzarmi sulle ginocchia e di fuggire alla velocità della luce, proprio come un coniglio, mi prese per un attimo alla sprovvista. Con un ginocchio poggiato sull'erba e l'altro piegato, pronto a far leva sul piede, mi ritrovai già in procinto di scappare... ma mi fermai di scatto, toccando, quasi aggrappandomi con la destra alla corteccia dell'albero che poco prima mi stava di schiena.
    Piegato, la testa bassa con i soli occhi rivolti a lei, e lo strumento nella mano dotata del pallido occhio che la scrutava.
    Certi istinti rimanevano duri a morire.

    Ti sei perso?
    Inspirai a fondo, stringendo il flauto. Lungo la schiena mi colarono gocce di sudore freddo che vennero subito assorbite dalla maglietta a mezze maniche celeste. Cercai di rilassarmi, e lentamente mi rimisi a sedere dov'ero, osservandola.
    Che bella melodia. Sei bravo a suonare il flauto..
    Un complimento immotivato, ma gentile. Nel buio, nessuno poteva vedermi arrossire di quel lieve imbarazzo motivato ancora più dalla sua voce femminile. Se nessuno l'aveva capito - e in molti l'avevano capito - avevo... più che qualche problema con le ragazze. Specie se carine.
    Avrei voluto parlare, ma non volevo biascicare. Scossi il capo, gli occhi luminescenti nella notte che la scorgevano nel buio meglio di altri, ma pur sempre ingannati dall'alcool. Poi, com'era ovvio che fosse, aprii bocca. Il mio solito tentativo di rovinare tutto, no?
    No, io... ingollai, cercando di non strascicare le parole. ...vengo da queste parti, ogni tanto.
    Aggrottai le sopracciglia, riservandole un'espressione di dubbio molto profondo riguardante la sua seconda frase.
    Mi esercito...
    Si vedeva che non ero molto convinto, oltre che brillo. Scoccai un'occhiata al flauto che non poteva parlare, ma che aveva visto molte più sbausciate che soffi prima imparassi anche solo il Do, proprio come un'infermiera in un istituto per anziani, e poi sollevai leggermente lo sguardo verso di lei, alzando un sopracciglio in un arco accentuato.
    Grazie?
    Mi grattai pigramente la gola, poggiandomi lo strumento in grembo e segretamente scrutandola con la Vera Vista. Dopo un po', piegai la testa, inclinandola. Cercai di guardare meglio il suo aspetto, incuriosito, mentre il lungo pendente di cristallo che portavo all'orecchio sbatacchiava contro la mia spalla, mandando lievi luccichii.
    Tu, abiti qui?
    I ricordi mi mandarono un imprecisato impulso di pericolo. Io non la conoscevo, mentre il caduto si, o vagamente: non dovevo lasciarmi andare all'impudenza, anche se per una sciocca domanda. Ma sembrava difficile evitarmelo, in quello stato - ci mancava solo che iniziazzi a singhiozzare come un dannato alcolizzato dei fumetti.
    Perché sei nel bosco?


    CITAZIONE
    Infravisione: Permette, durante la notte, di vedere più o meno bene persone ed oggetti e di potersi muovere con discreta destrezza al buio. Nei primi livelli solitamente vedono meno meglio di uno stregone di livelli più alti, ma comunque la loro vista di notte è superiore al comune essere umano, anche se loro sono tali.
    [Abilità attiva] 3 turni
    1° turno

    CITAZIONE
    Vera Vista: (patto)
    Angelo Nero: Raven
    Potere: La Vera Vista permette a Dast di percepire e vedere, sotto forma di luminescenza colorata, la magia in tutte le proprie forme. Il patto ha agito sia sugli occhi, che sul terzo occhio sul dorso della mano. Con gli occhi, ha semplicemente una vista acutizzata (pari a dieci decimi). Il vero potere del patto risiede nel terzo occhio sul dorso della sua mano: se usato per guardarsi attorno, tramite esso Dast è in grado di vedere le auree di qualsiasi creatura non umana e di riconoscere il suo allineamento tramite il colore. Inoltre può vedere quali oggetti sono magici e la loro natura generale (utilizzabile per attaccare, difendere, guarire), e individuare i luoghi con forti concentrazioni magiche, ottime per dei rituali.
    L'occhio funziona in qualsiasi condizione di luce o buio. Il potere cessa quando viene coperto, motivo per cui Dast lo avvolge sempre nel fazzoletto.

    Figurati! Se conti che io ti rispondo praticamente nei momenti liberi a lavoro... xD


    Edited by 'Raven' - 15/10/2014, 16:16
  6. .
    Prima il ginocchio.
    Adesso gli occhiali e un sopracciglio rotto.
    Merdaccia e dei santissimi, quanto fa male.
  7. .
    Lieve ebrezza, bel modo di iniziare questa lunga nottata. Un caffè di troppo in pausa all'Università, un paio di erbe nel composto sbagliato, l'insonnia e il micidiale mischione delle tre cose a seguire, con i suoi spiacevoli effetti. Come se già non fossi insonne, e la mia mente non fosse una macchina da traino sempre intenta a macchinare qualcosa, elaborando troppe informazioni. Con uno strumento così esasperante, anche se al mio servizio, non posso far altro che bere per distrarmi, come ho fatto.
    Un bicchiere di vino, o due, o tre.
    La sapete qual'è la storia del pifferaio di Hamelin. Quand'ero piccolo - molto piccolo - si divertivano a raccontarmela sempre. L'invasione di topi, il pifferaio che si presenta e non viene pagato, la vendetta che colpisce quei piccoli sgorbi di pargoli che nella storia originale vengono fatti annegare, uno dopo l'altro, in un fiume.
    Se non eravate in grado di capire quanto avevo bevuto... ecco a voi la soluzione. "Uno tira l'altro". Altrimenti perchè avrei cercato un posto tranquillo in cui smaltire l'alcool di troppo, col mio bel flauto alla mano, sudando come un dannato per metabolizzare quei bicchieri, il tutto raccontandomi favolette vecchie centinaia d'anni? Seduto in mezzo all'erba e poggiato al tronco di un albero, in maglietta e pantaloni in mezzo ai boschi, quasi non riuscivo a distinguere una sagoma dall'altra, concentrato solo a soffiare nello strumento, col labbro lievemente poggiato all'argento per trovare la nota giusta e le mani impegnate sui tasti. Talmente intrizzite dalla posizione da farmi dolere le giunture, nonostante il tempo avesse reso meno difficoltosa quella pratica.
    E con un soffio, alla prima nota il cervello riusciva a spegnersi. E finalmente mi sembrava di respirare un briciolo d'aria, senza più la mente occupata, troppo concentrato a trovare la tonalità giusta, a bagnarmi leggermente le labbra per non perderla. Ogni tanto, fermandomi a strofinare il dorso della mano sinistra, libera dal solito fazzoletto che avevo stretto tanto, quel giorno, da lasciarmene i segni sulla pelle.
    Libero dal tessuto, l'occhio delicato si muoveva, mandando pallide luminescenze - qualcosa che faceva parte di me e che al contempo restava a sè stante, roteando per guardarsi attorno.
    Niente magia a parte quella che tenevo addosso, e quindi, buio. Per lui come per me, che pure con l'ottima vista - questo, dopo il patto - e l'infravisione, rimanevo troppo ammorbato dal vino per vederci effettivamente.
    Dopo l'ennesima nota, mi fermai ad ascoltare, respirando attentamente. Da qualche parte un ruscello scorreva, o forse un torrente d'acqua: un suono lieve che tranquillizzava appena i miei sensi alterati. Non si sarebbe mai detto per uno stregone, ma non disdegnavo affatto la natura: erano più gli uomini a darmi fastidio, specie se non dotati di cervello, che non le foglie o gli alberi. Non più costretto agli occhiali, potevo contarle una ad una per ore. Potevo esplorarne venature e qualità con cui creare e imparare ogni giorno di più. Gestire l'Arte era una questione delicata, da perfezionisti. La natura, più dell'uomo, semplicemente insegnava.
    Senza contare non esistessero fiori e foglie in grado di dirti "sfigato" mentre camminavi in mezzo ad un corridoio, davanti alla ragazza che ti piaceva.
    Sospirai, lungamente, profondamente.
    Ecco, forse, in parte... era anche per quello che mi ero messo a bere.
    Non mi piaceva farlo abitualmente, nè in grandi quantità. Detestavo ubriacarmi e detestavo i postumi, specie quando non ti ricordavi cos'avevi detto alla compagna di turno, tanto poetico da convincerla a considerarti come essere vivente. Quando bevevo, perlopiù era l'aperitivo, un mezzo bicchiere... il vezzo, l'abitudine da universitario che diventava una scusa per socializzare in mezzo ad un branco di idioti.
    Stavolta era uno sfogo.
    Mi riportai il flauto alle labbra, suonando una lunga nota che morì lentamente, lasciando posto al silenzio. In quella solitudine, non potevo negarlo, io mi trovavo... bene.

    Per Nais!
  8. .
    Secondo me la cessione di oggetti ingame viene da sè nel momento in cui due pg decidono di scambiarseli o donarseli in un topic. Poi per il resto il topic può essere sia una "bacheca oggetti" in gioco, sia fuori gioco.
    Comunque, completamente d'accordo con la decisione.
  9. .
    Ho la faccia scarnificata. Metà della mia faccia è scarnificata. Fa male, fa un male cane.
    Fa tutto male, anche il resto. Tutto il lato destro.
    Che diavolo ci faccio a mare?
    Non ricordo.
    Sono un caduto.
    Qual è il mio nome?
    Non ricordo, non ricordo, non ricordo-


    Il dolore, che stupido, terrificante ostacolo. Quasi mi sembrava di essere stato preso a pugnalate con un ferro da lana piantato nelle carni, prima in testa, poi nel braccio, poi nel fianco e più giù, verso il basso. Come se m'avessero fatto dei buchi dai quali partivano lente, striscianti ondate di dolore che come serpenti mi avvolgevano, stritolavano, strizzavano. E allora, il freddo del mare si trasformava nella frescura di qualcosa che lenisce, di acqua salata che entra dalle ferite - ed ecco, il sale, arrivare nella carne e bruciare, bruciare, bruciare ancora di più.
    Ho la febbre. Che novità. Un caduto con la febbre che rantolava in riva al mare. Un caduto che sapeva che il suo nome iniziava per "erre" e niente più. O quasi. Una erre. Una "a". Dopo ogni ondata, un piccolo frammento delle cose che non sapevo andava al suo posto. Un pezzo del puzzle ricomposto che però approfondiva quel buco a cui non si aggiungeva nulla, quel vuoto che avrei voluto disperatamente riempire.
    Magari, immobile, stando fermo, sarebbe passata. Magari sarebbe tornato tutto al proprio posto. Lentamente, forse, il tempo sarebbe trascorso. Qualcuno mi avrebbe trascinato via da lì.
    Ricordavo... Darshan. Un nome e frammenti d'esistenza.
    Uno scoppio, un tonfo. Odore di carne bruciata. Lo stridere di... ruote.
    Dei, la mia testa.
    Tutto troppo veloce. Dovevo riguadagnare i miei ricordi con calma, perché se avessi corso per prenderli... per afferrarli, sapevo mi sarebbero sfuggiti di mano. E avrei solo provato ancora più dolore.
    Rimasi a respirare affannosamente, la testa abbastanza fuori dall'acqua da non venirne sommersa. Abbandonato alla spiaggia, cercai di riposare il corpo e la mente a sufficienza da ritentare i primi sforzi per tirarmi più su, per raggiungere un minimo di mondo civilizzato. Ma qualcosa, come una zanzara ronzante, sembrava minacciare continuamente la mia mente. Un senso di pericolo vasto, ambiguo, pungente. Come l'approssimarsi di qualcosa che richiamava la mia attenzione insistentemente.
    E quell'approssimarsi, come un amo da pesca che attirava lo sfortunato pesce nella cesta, richiamava a sua volta qualcosa in quel vuoto.
    Fame. Una fame accecante, che prometteva appagamento e soddisfazione oltre ogni limite una volta che l'avessi soddisfatta. Che l'istinto suggeriva mi avrebbe risanato e riportato alle forze.
    Nonostante la mia memoria fosse danneggiata, sapevo che a volte il predatore doveva fare la vittima per venire accontentato nella sua caccia. Dovevo solo stare fermo e buono, aspettando la mia occasione e fidandomi di quel sesto senso che mi prometteva d'ottenere qualcosa.
    Passò una quantità di tempo indefinibile. Chiusi gli occhi e forse mi addormentai per un attimo o due, prima che sentissi all'improvviso un colpo al fianco. Alle prime, preso di sorpresa, fui tentato almeno di voltare la testa, cercando cosa mi aveva disturbato. Ma poi, fortunatamente, mi trattenni. Quella cosa che al momento aveva per nome solo due lettere, io, aprì gli occhi e si ricordò che era a caccia, e con le sclere nere guardò il mondò davanti senza muoversi, nella speranza di attirare un'incauta preda. Certo, magari mi stavo sbagliando ed era solo un granchio rotolatomi addosso, o un riccio contro il quale mi sarei infilzato se solo mi fossi girato, con una lista di improperi che avrebbero fatto impallidire i santi ed i martiri. Ma magari, e con molta più probabilità, lì fuori c'era qualcosa di più grande e di maggiormente allettante rispetto al granchio o al riccio crudo. Lo sentivo dall'aria, come fosse una vibrazione sottopelle che, nonostante il dolore, accendeva la spia di una sensazione familiare.
    Richiusi gli occhi e continuai a rimanere immobile, quindi, aspettando il momento giusto. Qualsiasi cosa fosse, intendevo attendere fino a quando le distanze non sarebbero state minime: poi, una volta valutato l'essere, o l'animale, o l'umano, me lo sarei mangiato in un gustoso boccone.
    Intero.
    In fondo, doveva essere almeno l'ora dello spuntino di mezzanotte. O della prima colazione delle quattro. Dover aspettare fino a mattina sarebbe risultato un tantino... seccante.
  10. .
    Da domani 21 a domenica 24 sono in Trentino. La linea dovrebbe prendere con un po' di fortuna, ergo vi saluterò caldamente dalla montagna - si spera.
    Se non torno sappiate che mi hanno ucciso col burro.
  11. .
    Benvenuta!
  12. .
    Assente per un paio di giorni, 14-16, vado in montagna e la linea un giorno si è l'altro no salta. Recupero al più presto :)
  13. .
    Richiedo l'archiviazione della scheda di Rezin. Anche se avevo avvisato della mia lunga assenza, adesso che son tornato al momento è per me troppo pesante pensare di portare avanti due pg contemporaneamente - tra lavoro e altro, il piccione basta e avanza al momento.
    Grazie d'anticipo.
  14. .
    Annaspai, mentre la marea mi spingeva di nuovo in avanti, facendomi scivolare sott'acqua dove i suoni e gli elementi si confondevano tra loro in un indistinto blu notte. Con fatica, risalii, lasciandomi trasportare in parte e in parte muovendo debolmente le gambe, non senza che lo sforzo mi costasse l'ingoiare più acqua di quanta ne avessi voluta nello stomaco. In effetti, quest'ultimo non parve particolarmente allietato dal sale marino e, in un conato, rigettai indietro quello che mi ero involontariamente bevuto... solo quello, dato a quanto pareva non mangiavo da una vita o giù di lì.
    Dopo quelle che potevano essere ore o solo pochi minuti, finalmente, il mare agitato mi rigettò sulla spiaggia con un tonfo, dove la mia faccia, al pari dello stomaco prima, non gradì affatto lo schianto contro la sabbia che formava un melmoso tappeto continuamente modificato dalle onde.
    Rimasi lì a respirare l'aria a pieni polmoni, lentamente, prendendo col respiro tutto ciò che non potevo prendere con la vista annebbiata dall'acqua di mare.
    Profumo di bagnasciuga. Alghe. Salsedine, la stessa che mi impiastrava i capelli rossi alla fronte. Da qualche parte più distante, alberi, erba, terra e salvezza.
    E in sottofondo, un odore metallico più familiare, che però non riuscivo a riportare alla mente cosa fosse. Come... una scia di rame lasciato ad ossidare per così tanto tempo da sentirne il tanfo fin sotto ai denti, dentro il palato, nelle narici e nella gola.
    Ingoiai in fretta quella sensazione, rispondendo con un singulto e un gemito supplicante. Aprii gli occhi irritati e come un bambino cieco, tentai di mettere a fuoco qualcosa che non fosse la mia faccia per metà sprofondata nella spiaggia, le mani strette attorno alla sabbia che iniziava a urticare e pizzicarmi la pelle fin sotto i vestiti.
    Mi mossi, quasi strisciando, rinunciando completamente al gesto pochi attimi dopo, esausto.
    Deluso. Affamato.
    Vuoto.
    Inspirando ed espirando lentamente, facendo attenzione all'acqua che bagnava la riva a ritmo costante, scartabellai di nuovo i miei pensieri controllandoli uno ad uno. Una testa così vuota, leggera, non mi apparteneva e... beh, sapevo già che nel fascicolo mancava qualcosa. O quasi tutto, a parte qualche dato fondamentale a cui non avevo le forze di pensare, adesso.
    Mi chiamo...
    Le mie labbra si mossero debolmente, non riuscendo a completare la frase. Risprofondai nella delusione, mi aggrappai alla sabbia che non offriva nessun appiglio contro l'ennesima ondata maligna e feci leva, cercando di non tornare nell'acqua. La testa mi pulsava.
    Mi chiamo... R...
    Gocce di sangue rotolarono via, trascinate dalla furia dell'elemento che mi aveva gettato sulla terraferma - o quasi. Una mi finì nell'occhio, e vidi rosso per attimi prima che la vista si schiarisse ulteriormente, lasciandomi penetrare almeno una piccola parte di quel mondo buio in cui ero stato immerso e lasciato.
    Una spiaggia. Semplicemente. Spoglia. Probabilmente nascosta in qualche cantone poco frequentato, tutta a favore di qualche bagnante impazzito a cui piaceva farsi bello sotto la pioggia guadagnandoci solo venti centimetri di pelle d'oca come la mia - insomma, tutto ciò che NON speravo affatto. Mai che avessi una botta di culo ogni tanto: con tutte le spiagge di balneazione, proprio l'abbandono totale mi doveva capitare tra capo e collo. Perchè non una miniera in disuso allora? Un manicomio cadente? Il massimo che lì potevi incontrare erano fantasmi o qualche lupo solitario in caccia, ma almeno non rischiavi di affogare.
    Col freddo che mi entrava nelle ossa poi, le ondate sulla mia schiena erano l'unica fonte di lieve tepore, che ben presto si sarebbe, lo sapevo, trasformato nel totale torpore. Non potevo rimanere ancora in acqua, e non potevo allo stesso tempo allontanarmi sulle mie gambe, da solo.
    Cosa fare a questo punto? Ma ovvio, mettersi pancia all'aria aspettando il miracolo di un passante, o qualcosa. Non che ci sperassi davvero, ma avevo quella strana sensazione che qualcuno mi stesse guardando, o fissando, non sapevo di preciso da dove né perché.
    Con tutte le forze di cui disponevo, quindi, mi voltai, finendo a braccia aperte con la schiena contro la sabbia, gemendo per il dolore acuto che si sollevò dalla metà destra della mia faccia - quella in precedenza contro la spiaggia - e dalla fronte. E poi, quel mal di testa, quel tamburellare insopportabile... Dovevo essermi fatto un casino di male, non sapevo come, né dove.
    Dannazione, non sapevo niente di niente!
    Un fulmine illuminò violentemente il cielo, seguito da un rombo che mi fece tremare i timpani. In quel momento, accecato dalla luce violacea, mi sembrò di riuscire a recuperare qualche frammento dalla mia mente confusa: l'immagine di una casacca blu, di un fazzoletto rosso avvolto attorno ad un palmo, un serpente che strisciava da una manica all'altra.
    Che diavolo...?
    Gemetti di nuovo per un'improvvisa, dolorosa pugnalata al cervello, strizzando gli occhi e afferrandomi la testa con entrambe le mani, di scatto, le dita tra i capelli fradici e appiccicosi.
    Dar... ansimai, riprendendo fiato da quel male violento, chiamando chi avevo rivisto nella breve, frammentata visione, sebbene non sapessi neanche di conoscere il suo nome. La bocca secca e impastata mi rese difficile scandire le parole, che comunque mi uscirono dalla gola in un soffio.
    ...Darshan?

    Ma figurati, posso capire gli impegni, non farti problema. Sono io che in ufficio al momento ho poco da fare e quindi rispondo come un treno xD
  15. .
    Freddo.
    Galleggio immerso in un mare di freddo. Sento il fragore delle onde, il loro sciabordio, ma non c'è altro che buio, acqua e freddo. Il sapore di sale mi raggiunge da lontano, ma è la stessa sensazione che si prova ad essere in un sogno. Poco più che reale, poco meno che immaginario.
    Dove sono?
    Ricordo qualcosa, vagamente. Un'enorme schianto. Mani che mi afferrano. Qualcosa che striscia lentamente sulla pelle. Dietro i miei occhi chiusi scorrono ancora ombre e luci che interrompono a tratti il mio stato di incoscienza. Ma basta un movimento improvviso nell'acqua e il mio corpo si rigira, affonda, sprofonda.
    Annego. Risalgo, l'aria nei miei polmoni che mi fa da galleggiante naturale. Abbandonato alla corrente. Un peso morto che non vuole affondare.

    Non avevo nemmeno una vaga coscienza di me stesso, prima riuscissi a trovare un modo di riaprire lentamente gli occhi, trovandomi a guardare un cielo buio. Cos'era successo? Avevo la testa confusa, il sale mi bruciava in bocca, sulla lingua e sulle palpebre mentre tentavo di rispondere alle domande più semplici.
    Chi sono? Cosa sono?
    Mi sembrava di sprofondare, cercando quelle risposte che il mio cervello non voleva darmi, come fosse stato bloccato ogni collegamento tra i neuroni. Le informazioni non passavano - avevo un vuoto, una voragine nella testa - e solo il freddo leniva quella mancanza.
    Mi sentivo pesante. Assente. Incapace di compiere il più minimo sforzo che non fosse aprire un po' di più gli occhi, osservando le nubi e sbattendo le palpebre ad ogni goccia di pioggia che minacciava di infilarmisi in una pupilla. E non era per i vestiti - come se una giubba di pelle leggera, una maglietta bianca e dei jeans potessero fare la differenza - ma, piuttosto, per il tumulto che lentamente mi si risvegliava nell'animo.
    Metà della faccia mi doleva. Bruciava anche quella. Cosa mi ero fatto?
    Provai ad articolare le dita della mano destra, dalla prima falange all'ultima dell'indice. Riuscii solo a muoverlo avanti e indietro, intorpidito dal troppo tempo passato in acqua.
    Chi mi ci aveva messo, qui?
    Dolore. Tanto dolore.
    Voltai il viso dall'altra parte, coi capelli impiastrati sulla fronte, strizzando gli occhi. Avevo visto un brandello di spiaggia, poco lontano, ma non potevo arrivarci... non potevo muovermi. Debole come un verme, dannazione, pensai. Nel suo tentativo di rivoltarsi, sentii lo stomaco brontolare, e solo allora mi accorsi che avevo fame.
    Molta fame.
    Dei, avrei mangiato qualsiasi cosa, dato il mio mondo per un pezzo di carne. Cibo. Avrei addentato anche una pianta, probabilmente.
    Se solo riuscissi ad arrivarci..

    Eccomi :D mi spiace per il post corto ma è solo un'introduzione, ci metterò un po' a sviluppare quello che ho in mente xD


    Edited by 'Raven' - 29/7/2014, 13:40
3203 replies since 20/8/2008
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