{ Quest: Colpo grosso al Talamasca } - Capitolo 1 - Ospiti inattesi

Quante volte usava quel potere che proveniva dalle Tenebre più oscure? Quanto realmente ne conosceva le potenzialità? Forse ancora non così a fondo da capire come usarlo per risparmiare tempo. Ma grazie al patto con un Diavolo riteneva di avere ancora molto tempo per approfondire quello studio, e anche di fare mille scoperte inerenti a quella cosa, così come di affinare il metodo d'impiego. Ciò che interessava in quel momento a Daisuke era di uccidere quel mostro, o almeno provarci (o forse sperava anche solo di ferirlo a morte), e di fuggire con Jaqueline il più velocemente possibile. Avevano davvero poco tempo per mille ragioni e ora, in quella forma, doveva agire in fretta prima che ricominciasse a prendere egli stesso consistenza, perché in quel caso sarebbe stato un gran guaio visto che l'aracnide gigante gli stava venendo incontro. Soffiava dalla rabbia (era rabbia, lo avvertiva come forti vibrazioni nel cervello e nell'animo), e aveva anche tentato di bloccarlo sputandogli contro quella cosa viscida che doveva essere quella roba che l'aveva tenuto attaccato al pavimento fino a poco prima. A quel punto, anche lui aveva soffiato prima di spostarsi velocemente verso un lato del mostro, arrivando a sfiorargli il lato del torace e, una volta lì, con gelida decisione e fermezza, decidere di trapassare quello strato di pelle che assomigliava ad una corazza rudimentale. Per lui però, in quella forma che non era nemmeno gassosa, in quel momento non c'erano barriere e si era ritrovato a sgusciare tra costole, polmoni e un organo palpitante che doveva essere il cuore. Lì all'interno del corpo di quel mostro aveva avuto un momento di sbandamento, esattamente come la volta in cui aveva fatto la stessa cosa con il corpo del poliziotto sotto la chiesa sconsacrata. Aveva sbattuto gli occhi spiritati mentre la sua forma felina si trasmormava in un qualcosa di indefinibile che finiva in tante lunghe lingue di fumo nero che si insinuvano tra gli organi del petto. A volte si divertivano a passarci attraverso come lunghe lame affilate, provando un inappagabile e immenso piacere nel sentire quei tessuti cedere sotto al suo potere. E proprio quando l'animo si era esaltato al massimo, nei suoi occhi era apparso un guizzo di sadismo e follia e così una delle tante lingue aveva preso la forma originaria della sua testa per mirare dritta al cuore con le fauci aperte e i lunghi canini sfoderati come fossero stati pronti ad addentare quel cuore e farlo a brandelli.

Da quando era in possesso di quel corpo mostruoso aveva perso la percezione del tempo e soprattutto di cosa stesse accadendo al di fuori di quelle vestigia mostruose, sperava solo che Jaqueline fosse uscita da lì dentro perché a breve anche lui avrebbe tentato di fare la stessa cosa. E doveva farlo se voleva sopravvivere a quell'attacco di cui ancora non aveva piena conoscienza della sua durata. La cosa però non lo spaventava così tanto anche perché oramai il suo animo era esaltato da quello che stava compiendo: una tortura vera e propria a qualsiasi organo fosse dentro quel corpo, e lo faceva con un sadismo tale che se si fosse rivisto nemmeno si sarebbe riconosciuto. Forse quel potere stava solo mettendo a nudo i lati più nascosti e sconosciuti dell'animo di Daisuke.
Una volta snudate le zanne, queste si erano chiuse con forza su quell'organo che doveva fungere da cuore, era l'unico che emanava vibrazioni vitali, era l'unica cosa che si muoveva in modo concitato sotto alle sue torture, era l'unico che reagiva anche al dolore trasmesso dagli altri organi feriti; in un certo senso era andato per istinto, un istinto predatorio molto radicato in lui, quell'istinto che lo aveva portato ad aggredire con i denti quello che doveva essere il cuore. Lo aveva fatto con ferocia, e una volta strette bene le mascelle si era dato lo slancio verso l'alto come per strapparlo dal resto del corpo (tenendolo saldo tra i denti) e risalire attraverso il collo e uscire dalla bocca con tanto di cuore, o quel che era, tra i denti.
Non aveva idea della devastazione lasciata all'interno di quel corpo, ora mirava alla finestra da cui era entrato, e doveva farlo in fretta perché avvertiva che le molecole che componevano la nube quale era cominciavano a lavorare per avviare il processo inverso, ovvero ridargli l'aspetto solido di sempre.
Si era indirizzato più veloce che poteva verso l'unica uscita, senza guardarsi alle spalle, senza ripensamenti di alcun tipo, senza curarsi di nulla se non della propria vita e, perché no, del trofeo che teneva tra i denti.

Era riuscito a saltare fuori attraverso la finestra, mentre la sua figura di piccolo gatto nero fatto di fumo stava velocemente modificando la consistenza delle sue molecole per tornare ad essere una grande lince in carne e ossa, e pelliccia, poco prima che le zampe anteriori affondassero nell'erba del giardino, più o meno nella zona da dove erano entrati.
Eretto sulle zampe posteriori, ora si ergeva in tutta la sua altezza che superava i due metri, gli occhi dorati e selvaggi fissavano avidi la scena di quel mostro mentre moriva per mano sua. A volte a Daisuke bastava così poco per dire che la vita è bella! Eppure il suo sguardo attento aveva notato un piccolo dettaglio: il cuore che con tanto impegno aveva tentato di strappare per portarsi appresso era rimasto lì, non era riuscito a fregarselo.
"Piccolo un corno! Mi hai fregato il cuore!"
Parlava con quel cadavere mostruoso come se questo potesse ascoltarlo, e in un certo senso ignorava Jaqueline che gli stava dietro ad un paio di passi di distanza. Non era cattiveria, ma la sua indole veniva fuori tutta quanta quando le sue vestigia erano una pelliccia maculata.
"E me lo andrò a riprendere!"
Aveva fatto per tornare dentro quando Jaqueline gli aveva detto di avercela fatta e di andare via. Si era voltato e l'aveva guardata con aria interrogativa come a volerle chiedere il perché di quelle intenzioni.
"Non vuoi vedere cosa c'è oltre il nascondiglio di quello schifo? Io sono venuto qui per cercare materiale sul mio conto, qui ha vissuto gente che ha parlato con me, che conosceva la mia natura mannara e che, al cento per cento, ha scritto qualcosa su di me e la mia licantropia. Se qualcuno scopre qualcosa, dato che troveranno cadaveri esattamente come ne abbiamo trovati noi, sono fottuto".
Si era fatto molto vicino alla finestra osservandone gli infissi per trovare un modo che gli permettesse di rientrare senza restare nuovamente attaccato con le zampe al pavimento. Voleva trovare quelle scartoffie, e perché no, voleva portarsi via quel cuore a tutti i costi.

La prima domanda era stata la seguente: "Come entriamo?". Già, come avrebbero potuto fare per entrare senza rischiare di restare nuovamente attaccati? I suoi occhi attenti fissavano la finestra e oltre, come fossero in cerca di qualcosa che potesse ispirare a far qualcosa.
"Non è l'unica entrata, la biblioteca non è piccola e oltre a questa, ci sono altre finestre, ma metterci a rompere prima le telecamere di sorveglianza delle altre e poi i loro vetri credo sia solo una perdita di tempo"
Aveva alzato gli occhi al cielo, questo era ancora scuro, ma sapeva bene che la notte non era eterna e che tra non molto il sole avrebbe iniziato il suo viaggio per spuntare ad oriente.
"Non abbiamo molto tempo, non mi sento tranquillo"
Ad un certo momento si erano ritrovati entrambi a guardare di nuovo la finestra ed era stato in quel momento che la Mannara gli aveva chiesto se aveva un accendino. Già, un accendino. Strano che un fumatore come lui non ne fosse provvisto in quel momento, e di quella cosa se ne era reso conto solo in quel momento.
"Avevo deciso di non portare né sigarette né accendino pensando che tutto avrei potuto fare qui, tranne che prendermi dieci minuti per una sigaretta"
Aveva risposto con voce piatta, mentre la sua mente stava già elaborando altro da aggiungere.
"Inoltre vedi? I mobili sono tutti in legno, è pieno di materiale cartaceo, se dessimo fuoco qui dentro succederebbe il finimondo, rischieremmo di restarci abbrustoliti pure noi e, non ultimo, un incendio in piena città non è mai una cosa che passa indifferente. Dobbiamo usare questi!"
Aveva con sé i suoi Kunai, erano tre di cui uno lo teneva lui stesso tra le dita della grande zampa anteriore. Con un cenno del capo le aveva indicato il suo zaino come a dirle di prendere gli altri due perché c'era del lavoro da fare.
"Vediamo se le lame riescono ad aprirci la strada. Prendi gli altri due come questi che hai nello zaino e proviamo a vedere se riusciamo a romperla"
Senza pensarci troppo, aveva cominciato a sferzare colpi su quello strato di ragnatela che il ragno gigante gli aveva sputato appresso poco prima che cadesse a terra in agonia, se quel velo di ragnatela avesse ceduto, allora tutto sarebbe stato più facile.