Vestigia

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    Pazzo Furioso

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    Per Olve, fu una visione davvero strana.
    Era la sua prima volta, in questo senso. Non aveva mai visto un vampiro nutrirsi, nonostante si sia circondato di nonmorti di vario genere: sapeva dei ragazzi del rudere, era a conoscenza delle loro abitudini, ma non pensava potesse essere una cosa così intensa. Anche se, ne era sicuro, per loro sarebbe stato diverso, visto che si trattava di succhiasangue relativamente giovani. Julian, all'inverso, era un vetusto draco, con bei secoli alle spalle... Doveva avere una visione molto diversa della cosa. Ed era incredibile vederlo così da vicino. Per Olve, il cibo era una cosa prettamente biologica e animalesca, un bisogno da soddisfare. Poi, ovviamente, si poteva giocare su altro, sul "capire" e sul diventare intenditori di cibo, quel particolare cibo. Quello a cui stava assistendo, invece, sebbene avesse degli evidenti punti in comune, sembrava una cosa più "spirituale". Già solo il modo in cui la vittima si era rassegnata al suo destino, sembrava una cosa particolarissima e unica. Importante, anche, era l'espressione e il modo di nutrirsi di Julian. Era completamente assorto, concentrato quasi, in un'estasi che sembrava religiosa, da un certo punto di vista. Forse avrebbe persino potuto attaccarlo, senza temere ripercussioni, ma non vi era alcun motivo di farlo. Peraltro, gli sembrava tremendo interrompere una cosa così pura e perfetta. La ragazza, dal canto suo, non si muoveva, a malapena respirava. Era sul punto di lasciare per sempre l'altro mondo e non era sicuro se lei lo sapesse o no. Forse stava solo dormendo. Io sono morto, eppure perchè non riesco a ricordare com'è stato? Se l'era chiesto molte volte. Era morto su quelle alture, secoli fa, lasciandosi andare e scegliendo la morte anzichè quell'esistenza vuota e vana. Semplicemente si era lasciato andare. In seguito, si era svegliato, radicalmente diverso, con la fame addosso e l'odio verso il mondo che era rimasto esattamente dov'era. Cosa che lo costringerà, tempo dopo, a scegliere "un'altra morte", questa volta poco più di un coma. Le cose non erano affatto cambiate nei secoli, ma ora, inspiegabilmente, sembrava aver scelto di vivere.
    E la situazione sembrava davvero troppo gustosa, per non sfruttarla... Ma, in che modo? Nella sua testa andava delineandosi un piano o, meglio, un gioco che era possibile fare coi risultati di quella serata così particolare. Ci si tuffò, in quei pensieri, mentre osservava la bevuta del suo "collega" (si poteva dire?) poco distante. Infine si mosse, dirigendosi verso il ragazzo, unico tra due ragazze, una morta, l'altra (forse) pure. Si stava dimenando, con la sua arma conficcata nel petto. Un lago di sangue e urina.
    Stava piangendo.

    Olve impugnò la parte legnosa della sua arma e, facendo forza con l'altra mano sul petto dell'umano, la tirò via, rilasciando un getto di sangue che ebbe modo di evitare cautamente, aspettandoselo. Non era il caso di farsi beccare pieno di sangue, di notte. L'urlo che l'uomo rilasciò, tuttavia, era smorzato, fiacco. Forse lo stress gli aveva fatto mancare la voce, come se gli avesse danneggiato le corde vocali. Oppure, nel panico, il suo corpo si era rifiutato di agire correttamente. Olve leccò il sangue dalla lama, prima di concedersi il dessert, piluccando ancora un pò dal corpo della ragazza, quella già morta da un pezzo. Poi prese il ragazzo per la caviglia, trascinandolo verso il luogo del banchetto: era il modo più facile per spostarlo senza sporcarsi. Una volta arrivati, lo sollevò, stando attento al minimo contatto, costringendolo ad osservare. Se fiati, ti sgozzo. Aveva detto. Sarebbe morto in ogni caso, ma è incredibile vedere in che modo i mortali si aggrappano alle speranze. Se gli avesse detto "morirai comunque tra un minuto", l'altro avrebbe reagito allo stesso modo, sperando in un miracolo che, in un minuto, non sarebbe mai avvenuto. Sperava che quella crudeltà gratuita potesse scuoterlo, ma non avvenne niente. La cattiveria è sopravvalutata. Pensò, prima di farlo cadere a terra in posizione fetale. Quella era un'idea giovane, per cui passò subito a quella un pò più precedente, quella "nata" prima di staccare la sua arma dal corpo di quel poveretto. A tal proposito, la sua ascia era stata occultata e ora giaceva nei meandri del suo cappotto. SI concesse un altro attimo per riflettere.
    Sapeva come i vampiri "procreavano", sapeva che erano in grado di contagiare altre creature col loro "morbo", o qualunque cosa fosse. Non aveva mai assistito nemmeno ad una cosa simile e non sapeva come funzionava. Non lo aveva nemmeno chiesto ai suoi ragazzi, dato che gli importava poco, in quei momenti. Ma ora, invece, era diverso: l'eccitazione della cosa lo stava spingendo verso lidi inesplorati e verso comportamenti bizzarri che non credeva potessero essere possibili nelle sue condizioni. Una parte di lui gli diceva che stava esagerando, l'altra, invece, continuava a dirgli "e se fosse?". Poteva fare un tentativo e, in caso di diniego, dedicarsi ad altro.
    Si avvicinò al vampiro, senza entrare nelle immediate vicinanze. Prese fiato e parlò, lentamente e senza inflessione nella voce. Il volume era tale che solo loro due, e probabilmente la ragazza (se fosse ancora viva), si sarebbero sentiti.
    Julian... Disse.

    Come funziona, invece, la "vampirizzazione"? Era solo questa la sua richiesta. Se il vampiro avesse accettato, e avesse anche capito la richiesta sottintesa, forse avrebbe contribuito alla creazione di un vampiro. Non aveva ambizioni di famiglia e figli, e quella poteva essere la cosa più vicina ad esse, eppure l'idea gli pareva sempre meno idiota. Il suo "Rudere" era popolato esclusivamente da maschi, cosa sarebbe avvenuto se l'avesse lanciata lì in mezzo? Di nuovo, curiosità. O forse, sempre in un affermativo, l'avrebbe voluta tenere per lui, come era più probabile. Non avrebbe avuto nulla in contrario a lasciargliela. In quanto mummia, non aveva lo stesso potere ed era la seconda volta, quella sera, che si sentiva invidioso di quella specie di nonmorti. Del resto, anche lui usciva quasi esclusivamente di notte, preferendola al giorno. Forse, inconsciamente, lo era pure lui.
    Oppure, semplicemente, non sarebbe avvenuto nulla di tutto questo e si sarebbero separati di lì a poco, con un bagaglio di esperienze, si spera, per entrambi. Poi disse, di nuovo. Vuoi anche questo quì?
    Si era riferito al ragazzo. Di nuovo, sarebbe sicuramente morto, il dubbio, semmai, era sapere chi l'avrebbe ucciso e come. E, magari, cosa ne sarebbe stato del suo cadavere. Olve si sentiva appagato, dal punto di vista della fame, quindi, sicuramente non si sarebbe soffermato troppo sul mangiare ancora. Faceva parte del suo modo di nutrirsi: il giusto, magari indugiando in qualche "peccato di gola", ma senza riempirsi troppo. Era un'abitudine che aveva mutuato dalla vita militare: essere troppo pieni e gonfi rendeva più deboli nel caso di un'invasione del loro campo o in caso di assalto al nemico. Nutrirsi era indispensabile, era indispensabile, quindi, farlo correttamente.
    Poi osservò i dintorni, localizzando i sacchi di cui Julian aveva parlato prima. Presto, sarebbero stati molto utili. Le precauzioni non sono mai troppe. Pensò. E lui era uno che aveva fatto del basso profilo in società uno stile di vita. Lo aveva aiutato tantissimo, quella cosa, a non cadere nelle trappole della giustizia mortale. Ma anche "immortale".
    Il modo migliore pareva farli a pezzi. Tronco, gambe, braccia, testa. Magari fare il tronco in due, ma non più di quello. Infine, collocare i resti in quei sacchetti e lasciare i suddetti in qualche edificio fatiscente. Un buon piano, decise. Prima o poi sarebbero stati scoperti, ma sarebbe avvenuto non prima di molto tempo. E loro non si sarebbero fatti trovare facilmente, avendo tutto quel tempo a disposizione.

    Natasha, dal canto suo, stava "sentendo" tutto quanto. Le sensazioni che gli mandava il suo corpo erano nuove e, allo stesso tempo, tremende. Sensuali, ma dolorose. Non era ignorante in fatto di esperienze sessuali, e aveva anche provato qualcosa "di estremo", per così dire. Probabilmente, quello che stava vivendo, era ascrivibile a qualcosa di simile ad un'eventualità di quel tipo, ma molto, molto più forte. Poteva sentire ogni molecola di sangue che lasciava il suo corpo, poteva sentire il caldo abbraccio del predatore che la teneva in un modo così forte da assopire ogni volontà di difesa. L'impotenza che trapelava dalla scena, invece, era assolutamente tremenda ed era probabile fosse già impazzita. Mai si era sentita così in balia degli eventi o delle circostanze, delle persone. Non aveva potere più su nulla. E molto presto avrebbe lasciato quel mondo, in un modo dannatamente strano per una ragazza della sua età. Tutto perchè quella sera erano avvenute delle cose anzichè altre. Tutto perchè avevano avuto quella conversazione sul dove stare quella notte. Ma, ormai, si era arresa al suo fato, non stava lottando. Non ne aveva la forza, dopotutto. Anche nel pieno delle sue condizioni fisiche, sarebbe morta ugualmente. Inoltre, si era concessa quasi con abnegazione. Olve le aveva tolto il bavaglio, simbolo di costrizione sociale e lei aveva tenuto fede a quel patto, offrendosi come sacrificio ad una divinità. Succedeva spesso, ai tempi del vichingo. Nei giorni sacri si sacrificavano nove esemplari di tutto ciò che c'era. Nel caso degli umani, tuttavia, si trattava di persone che avevano scelto di essere sacrificate. Non c'era coercizione, solo volontà di onorare gli Dei nel modo migliore e più personale possibile, con la propria vita. Li si stordiva, con droghe e idromele, prima di gettarle in pasto alla morte. E questi perivano contenti, intontiti. Non era troppo diverso da quello che stava avvenendo in quel momento. Anche Natasha era inebetita, ma da cause diverse, anche se il risultato era ormai uguale a quello che Olve conosceva già. Uppsala. Ricordò. Aveva assistito a molte particolari cerimonie, in quel sacro luogo. Ne aveva nostalgia. Forse aveva nostalgia di tutto quel mondo, era più puro e più facile da vivere, sebbene lui si stesse sforzando di vivere a quella guisa, per quanto in un mondo radicalmente diverso.
    Forse si sarebbe assopito di nuovo, di li a qualche tempo, annoiato, come aveva già fatto. Oppure avrebbe vissuto "avventure" entusiasmanti che lo avrebbero fatto ricredere su quello che credeva di sapere sulla noia.
    La Luna, in alto, osservava tutto, silente.

    Cosa avrebbe fatto Julian? Chi avrebbe ucciso quello rimasto? E chissà come sarebbe finita quella serata, così strana e violenta. Una serata che aveva insegnato ad un vichingo di più di mille anni che sapeva ancora pochissime cose. Che poteva colmare il suo vuoto e la sua angoscia universale con la conoscenza. Insieme, magari a qualcos'altro.
    Qualcosa come il giocare con la vita degli umani, come fossero giocattoli.
     
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    Per Julian il vampirismo non era nulla di poetico, non era affatto quella cosa romantica che viene mostrata nei film e in special modo in quelli moderni. I Vampiri erano sempre stati mostri, e tutt'ora lo erano, e per quanto i mortali volessero perseguire quel sogno di immortalità e potenza passando attraverso i sentimenti e l'amore, Julian sapeva che non era così. Mai nessun Vampiro aveva portato con sé un mortale per puro e semplice, profondo, amore per l'altro, altrimenti non lo avrebbe reso tale. Mai nessun Vampiro avrebbe potuto condannare a una vita tale, fatta di sangue, morte e violenza, solo per amore e affetto. Ciò che spingeva ogni Vampiro a procreare era puro e semplice egosimo. Egoismo e basta. D'altro canto non si poteva chiedere nulla da esseri che scelgono di uccidere per anni, secoli, millenni persino, pur di vivere per un tempo a essi stessi sconosciuto, ed è per questo che tutto ciò che mostravano i film sui Vampiri era pura e mera menzogna. Tipico dei mortali, in fondo, mascherare tutte le loro paure, persino quelle inconsce, con qualcosa di 'bello', di tenero se vogliamo, ma non era questo per caso il motivo per cui molti di loro cedevano alla tentazione di accettare l'Abbraccio? Era la finta felicità di una vita lunghissima da passare accanto a chi si ama, ma poi ci si accorge che tutto ha un prezzo quando è troppo tardi. Perché se non hai mai ucciso da vivo e ti ritrovi a camminare da morto, devi fare una scelta tra uccidere gli altri per sopravvivere, oppure lasciarti morire.
    Questo è il Vampiro.

    Ed era proprio questo che si stava manifestando agli occhi della Mummia, ovvero l'essenza più pura di ciò che muoveva le redini della vita di un Vampiro: l'egoismo, quello più freddo e calcolatore, quello che non si cura se chi sta prosciugando è una persona brava e per bene, oppure sia uno della peggior feccia. Alcuni suoi simili sceglievano i secondi trovando scuse discutibili, ma in fondo si trattava solo di seppellire colpe e delitti, e non ultimo il proprio egoismo. Appunto.
    Julian non era uno di quelli, Julian uccideva per fame, per necessità, per quell'egoismo che sapeva albergare dentro di sè, perché gli era stato fatto il dono di sangue e lui aveva scelto di non buttarlo via, nemmeno quando il suo creatore l'aveva messo davanti al fatto che per mangiarsi gli anni, i secoli che gli spettavano avrebbe dovuto far di sé un efferato assassino. Eppure Julian non era malvagio, non nel senso umano e mortale del termine, Julian era come un predatore che uccide quando è necessario per preservare se stesso. Era megli dire che ha un animo imperturbabile, freddo e calcolatore, la Morte lo aveva reso tale spogliandolo di ogni briciolo di quell'essenza tipica dei mortali, facendo sì che non si ponesse alcun dilemma sulla scelta delle vittime perché, di fatto, lui non sceglieva. Uccideva e basta. Eppure, nonostante l'estasi del sangue, riusciva a rendersi conto di quel gli succedeva attorno, diciamo che era come se vedesse ma non guardasse, come se sentisse ma non ascoltasse, tuttavia si rendeva conto molto bene che la vita che teneva tra le braccia, con stretta ferrea e decisa, stava per giungere al capolinea. Nello stesso momento alle sue orecchie era giunta quella domanda che Olve, forse con troppo ardire, aveva posto: come funzionava la vampirizzazione?
    A quel pensiero, i suoi occhi già rosso ardente si erano fatti più animaleschi, o forse stavano semplicemente rappresentato ciò che è il Vampiro nella sua vera natura: non solo predatore, ma anche l'egoista di cui si è parlato prima. Ora il suo ego si sentiva più che eccitato e incitato dalla domanda di Olve, e quando si era staccato dal collo della giovane donna aveva posato lo sguardo selvaggio su quelli dell'altro non morto, senza rispondere, senza dire nulla che in quel momento, tra l'altro, sarebbe stato solo fuori luogo e inadeguato. Seduto a terra con le gambe piegate su un lato, teneva Natasha morente tra le braccia, la quale lo guardava con gli occhi già coperti dal velo della morte che glieli rendeva incapaci di muoversi e opachi, spenti. Eppure qualcosa in lei doveva essere scattato, perché aveva lentamente sollevato il braccio per sfiorare le labbra macchiate di sangue del Nosferatu, che l'aveva lasciata fare attendendo che lei tornasse col braccio al proprio posto. A quel punto, quando alle sue orecchie giungeva un battito del cuore che annunciava la morte della giovane, il Vampiro si era morso il polso e senza profferire parola, aveva accostato quella ferita alla bocca della mortale. Sembrava lei volesse attaccarcisi, ma non avevaa le forze e forse nemmeno Julian voleva che accadesse. Chissà perchè, poi. Piuttosto aveva lasciato che il suo sangue immortale, goccia dopo goccia, le toccasse le labbra semichiuse e colasse viscido e denso sulla lingua, fino a scendere nella gola. In quei momenti di spasmo, che annunciavano che il momento della morte per lei era arrivato. Ancora pochi attimi e lei sarebbe morta, morta per poco però, perché quel sangue che aveva scaldato gli ultimi momenti di vita di Natasha l'avrebbe riportata in vita dopo tre giorni.

    "Lei non è morta, tornerà tra tre giorni, bellissima e terribile"
    L'asppetto di Julian era rinnovato, si poteva dire fosse bello, di una bellezza fuori dal comune concetto dei mortali perché i suoi occhi erano brillanti, i capelli sembravano avere vita propria, pure la pelle, seppur pallida, pareva essersi inspessita e aver preso un colorito meno mortifero, stessa cosa la consistenza fisica non così ossuta come si era presentata fino a poco prima. Insomma, il sangue mortale aveva fatto ancora il suo miracolo, e Julian era tornato ad essere presentabile anche grazie al fatto che i lunghi incisivi avevano lasciato il posto a quelli normali e innocui.
    "Verremo a trovarti, se mi dici dove sei, oppure decidiamo un posto e te la presenterò da immortale". Nel frattempo guardava quel ragazzo, unico mortale vivo tra i tre, non sapeva cosa farci onestamente, e l'unica scelta rimasta per lui, era quella di annientarlo. Sarebbe potuto andare al pronto soccorso nel tentativo di rubare la speranza di sopravvivere, ma non era leggenda la storia che si diventa folli dopo aver visto un qualsiasi non morto nutrirsi di mortali, perciò la via era una soltanto: ucciderlo.
    Aveva cominciato a fissare intensamente il povero ragazzo, il quale era del tutto ignaro di quanto gli stava per accadere. Per la precisione, Julian gli fissava la testa perché senza dire nulla stava concentrando una forza ben precisa che gli avrebbe piegato il collo in modo deciso e netto, come se a prendergli il capo ci fossero state due mani invisibili per fargli fare un giro 180° e spezzargli l'osso del collo. Una morte veloce e forse anche indolore, visto che il ragazzo era già ferito al petto e aveva perso quella razionalità che gli avrebbe permesso di percepire il dolore fino in fondo.

    "Ora dobbiamo solo occuparci di ciò che rimane, e poi mi occuperò di lei". Si riferiva ai corpi dei due giovani, dovevano essere eliminati come avevano già deciso di fare con il cadavere della prima ragazza uccisa e dilaniata da Olve, ora i corpi erano tre e dovevano fare anche abbastanza in fretta.
    Natasha invece doveva essere seppellita da qualche parte, forse l'avrebbe portata con sé nella cripta della chiesa sconsacrata, il posto perfetto per far nascere un nuovo Nosferatu.


    CITAZIONE
    - Controllo oggettivo della gravità:
    Questa abilità permette al non morto di esercitare il proprio controllo sulla gravità, diminuendo la forza di attrazione per sollevare sé stesso da terra o altre persone od oggetti, allo stesso modo di aumentare la forza di attrazione per trattenere una persona oppure un oggetto a terra ed impedirgli di volare o spostarsi autonomamente (e se si tratta di un oggetto, di essere portato via, rubato o spostato). Questo potere permette al non morto di spostare il bersaglio oppure l’oggetto sul quale esercita il proprio controllo, non solamente verso l’alto alleggerendolo o verso il basso appesantendolo; in povere parole, questo genere di controllo della gravità può essere simile alla telecinesi. Gli permette anche di spostarlo lateralmente o diagonalmente, diretto verso un corpo d’attrazione di dimensioni uguali o maggiori a quello del soggetto su quale esercita il proprio potere. Un corpo schiacciato a terra può essere spostato lateralmente, un corpo sollevato da terra può essere lanciato verso destra, sinistra, verso l’alto ed anche diagonalmente o fatto precipitare nuovamente verso il basso in più direzioni.
    - Durata dell’abilità: 3 turni
    Turno I di III

    - Paralisi cerebrale:
    Questo è un potere mentale che consente al vampiro di bloccare le funzioni cerebrali legate all’iniziativa e alla formulazione di pensieri, dialoghi e frasi perciò molto utile per bloccare a sua volta altri poteri mentali di natura simile (ad esempio lo charme, telepatia) o incantesimi nel caso in cui vengano lanciati ed il vampiro abbia capito l’intenzione dell’incantatore. Per attivare la paralisi cerebrale basta un secco gesto della mano rivolto verso il bersaglio, il quale avvertirà una breve ma intensa scossa al cranio che genera forti dolori prima di paralizzare le suddette facoltà del cervello. Quando la vittima viene colpita e paralizzata, il cervello reagisce come se vi fosse un blackout dove ogni intenzione, qualunque essa sia e a prescindere a chi è rivolta, si ferma inducendo la vittima a fermarsi, a balbettare, boccheggiare, rendendolo sì capace di sentire qualsiasi tipo di suono, quindi anche la voce del vampiro, ma di non ascoltarla né di capire cosa gli viene detto. Non capisce cosa gli sta succedendo e nemmeno cosa gli accade attorno, avverte solo un lieve ma costante ronzio in testa che esplode in una potente e martellante emicrania quando il potere smette di agire, sia per volontà del vampiro sia quando ciò avviene spontaneamente.
    - Durata dell'abilità: max 3 turni
    - Raggio d’azione:
    Anziano: fino a 10 metri
    Turno III di III
     
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    Si era trattato di uno spettacolo bellissimo e, a tratti, commovente. Questo pensò Olve, riflettendo su cosa avrebbe detto una "persona normale", assistendo a quel bizzarro rituale. Un cambiamento di specie, di chimica e, forse, pure di anima. Natasha l'umana era morta: era stata sacrificata sull'altare della morte, in pasto al Dio dell'Oltretomba. Non avrebbe più visto la luce del sole (o forse si, al cinema) e non avrebbe più trovato gusto nel cibo degli umani. Tutto quello che sapeva della vita avrebbe perso significato: abitudini, nozioni e qualche ricordo. Era diventata, nolente o volente, un predatore, la cui vita era scandita dalle scadenze che Julian aveva bene espresso quella sera. Ne sarebbe stata all'altezza? Di certo, avrebbe vissuto brutti momenti, da quel punto in poi, alle prese con un nuovo corpo e un nuovo appetito. Una nuova pubertà. Si ritrovò a riflettere. Quell'età particolare in cui il tuo corpo ti è estraneo e vicino allo stesso tempo. Perr i maschi aveva un certo "corso" e regole, diverse, da quel che sapeva, rispetto a quelle delle femmine, eppure sospettava che le cose fossero simili. Come simile, supponeva, poteva essere quell'ennesima transizione. Julian l'aveva mutata e probabilmente si sarebbe occupata di lei, anche se gli aveva chiesto dove si trovava, per poterli andare a trovare, magari. Si chiese se fosse una buona idea, se era il caso di turbare la sacralità di quel luogo tanto intimo. Decise, tuttavia, che se si era "fidato" tutta quella sera, allora poteva continuare su quella strada. Cosa poteva andare storto? I ragazzi sapevano difendersi, c'era lui stesso e magari una presenza femminile, la prima, avrebbe portato nel rudere sbocchi e novità inaspettate. Avrebbe osservato con piacere quegli sviluppi umani e sociali e avrebbe messo alla prova il sedicente malessere e nichilismo che i ragazzi sembravano dimostrare con le loro (non) vite. Quanto al resto, per quanto Olve si sentisse partecipe della cosa, come se avesse contribuito a quella "figlia", non aveva idea ("novello padre", potremmo dire) di quale fosse la cosa da fare in quel momento. L'avrebbe di certo lasciata con Julian, che sapeva benissimo cosa fare, mentre lui avrebbe provato a riflettere sull'accaduto. Come era apparso più volte, quella sera, era impellente il bisogno di nascondere i cadaveri. Motivo per cui la mummia si diresse verso i sacchetti precedentemente menzionati, prendendone una manciata.
    Poco dopo, si portò vicino alla prima vittima di quella sera, la ragazza piangente. La portò vicino agli altri cadaveri, avendo cura di sporcare il meno possibile, o nulla. Squadrò il terreno e i sacchetti.
    Poi iniziò il lavoro sporco.

    Prese un paio di sacchetti, adagiandoli per terra ben srotolati, la loro funzione sarebbe stata quella di "tovaglia", avrebbero protetto il pavimento e la strada, minimizzando le macchie di sangue. Poi si diresse al mucchio di corpi, prendendo la ragazza di colore. La sollevò come un fuscello, mostrando per bene il proprio vigore e forza fisica, poi la adagiò su quel "letto".
    In campagna, non troppo lontano da quì, c'è il mio "Rudere". Prese il suo coltello da sotto il cappotto, mutandolo all'istante nella sua arma d'elezione. Se segui la strada principale che porta fuori città, quella lì... Indicò. ... Prima o poi vedrai comparire molti alberi e piante, segno che sei vicino alla campagna. Non sapeva il grado di preparazione del vampiro rispetto alla città, motivo per cui decise di essere molto chiaro, per evitare spiacevoli incidenti.
    Segui quella strada fino al primo bivio che vedi, nella selva. Poi dirigiti verso Ponente. Ora le cose potevano dimostrarsi un poco complesse, da spiegare, ma Olve ci provò ugualmente.
    Dopo circa duecento metri, sulla destra, vedrai un sasso dalla forma spaventosamente rotonda. I sassi non erano quasi mai perfettamente rotondi. Cento metri dopo il sasso, dirigiti di nuovo a Ponente. In pochi minuti troverai la costruzione ergersi al tramonto. Il primo colpo segnò l'inizio della mattanza: la testa della ragazza era stata recisa dal corpo. Si dedicò al resto, decidendo di staccarle tutti gli arti. Partì dalle spalle. Con la sua ascia, tranciò l'articolazione della spalla destra, poi fece lo stesso con la sinistra. Essendo stato sempre un uomo d'arme, sapeva perfettamente dove colpire, e come, per fare un lavoro pulito, ordinato e il meno faticoso possibile. Aveva staccato arti prima, anche da umano. Per lui, era come fare una passeggiata: gli richiedeva la stessa attenzione. Magari gli piaceva un pò meno, ma solo perchè amava troppo camminare. Poi fu il turno delle gambe e, due tonfi dopo, rimase solo il tronco, pur con i sacchetti messi sotto completamente sporchi di sangue. Ma il lavoro non era finito.
    Olve, all'altezza del gomito, tranciò le due braccia e fece lo stesso con le gambe, colpendo l'incavo delle ginocchia. Infine prese un sacchetto vuoto e pulito e, dopo che l'ebbe aperto, lo riempì di quei dieci pezzi di carne. La misura sembrava fatta apposta per quel tipo di lavoro, o forse Olve aveva fatto tutto istintivamente, avendo visto le misure dell'involucro.

    Si tratta di una costruzione antica e imponente. Continuò, legando la parte superiore del sacchetto su se stessa. In passato è stato un tempio, poi diventato monastero. Una vita lunga per innumerevoli "facce". Tempo fa mi sono "svegliato" lì, e lì sono rimasto. Decise di non entrare nei dettagli, con quel particolare discorso. E' un posto divertente, pieno di spiriti e fantasmi della peggior risma e le cui notti non sono mai silenziose e piacevoli.
    Sistemò un altro "tappeto", preparandosi ad "operare" il ragazzo, ormai morto. Iniziò, come prima, dalla testa.
    Ora è un ritrovo di ragazzi sbandati che passano il tempo a suonare. Giovani nonmorti, anche vampiri, che passano il loro tempo, riempiendo di rumori e cacofonie, quegli antri infestati. Evitò di dire che si trattava dei "suoi ragazzi", e non per sua ammissione (bensì, per loro scelta), anche se un ascoltatore attento avrebbe colto "qualche" dettaglio, magari dal tono della voce.
    Spiccò le braccia, le gambe e iniziò a tagliuzzare gli arti. In quel frangente una goccia di sangue gli arrivò sulla faccia, ma continuò come se nulla fosse. Considerò se fosse una cosa utile tagliare a due anche il torso, dato che era più grande dell'altro, ma decise di no. Sarebbe stato più lungo e faticoso. E avrebbe sporcato. A differenza delle articolazioni, un busto era pieno di ossa e organi, senza contare quanto era spesso. Avrebbe tentato di farne a meno. Potresti farla venire qualche volta, se ti va. Non ci sono ragazze in quel posto e ritengo potrebbe essere divertente vedere cosa potrebbe capitare. Quest'ultima cosa, la disse sogghignando.
    Il corpo entrò perfettamente nel sacchetto, il chè significava che aveva fatto un bel lavoro. Ora ne rimaneva soltanto uno. Scegliendo un terzo appezzamento di asfalto, prese altri sacchetti per fare un ultimo "pavimento" da sporcare e vi adagiò la sua prima vittima. E di nuovo, iniziò dalla testa, poi spalle, gambe, gomiti e ginocchia. Avrebbe dovuto arrotolare i capelli di questa sulla sua testa, data la loro lunghezza. Mai facile. Pensò, anche se non aveva avuto intoppi finora e quel particolare evento non avrebbe richiesto troppe attenzioni.
    Legò anche l'ultimo involucro con un nodo all'estremità superiore, dopodichè pulì l'arma sul tappeto e la ripose, trasformata, nei meandri del suo cappotto. Dopodichè si stiracchiò, facendo sgranchire e "crocchiare" le sue membra. Poi raccolse i pavimenti sporchi, li arrotolò su loro stessi in un unico mucchio e li mise in un quarto sacchetto. Ce ne erano ancora tanti, ma li avrebbe lascati lì dove li aveva appoggiati: ennesima spazzatura in quel regno di rifiuti e ricordi dimenticati.

    Se dovessi farti vedere in un momento in cui non ci sono, dici che ti mando io. Gli avrebbero creduto, dal momento che i ragazzi conoscevano benissimo Olve e i suoi modi. Erano molto simili, in verità. Anche se, più probabilmente, lo avrebbero ignorato, come avrebbero fatto con qualunque cosa diversa da loro stessi. Si tastò e osservò i vestiti, notando che era riuscito a non sporcarsi (al netto di quell'unica goccia di sangue che iniziò a leccarsi in quello stesso momento). Davanti a lui, vi erano quattro sacchi, di cui uno palesemente più piccolo.
    E, ora, cosa farai con lei? Che succederà da questo momento in poi? La curiosità era palpabile e non voleva perdersi niente di quell'argomento così affascinante e misterioso. Avrebbe messo alla prova le poche cose che sapeva e che aveva imparato dai ragazzi. Alcuni di loro dormivano in un feretro ed era sicuro si trattasse di vampiri: era abitudine anche di quel vampiro? E quanto al resto, come aglio e simboli sacri? Del resto, era anche possibile che le stesse sue fonti potessero essere "un pò carenti", data la giovane età. Quanto sapeva, lui, della propria condizione? Non così poco. Questo perchè aveva vissuto a lungo, ma era sicuro di non sapere tutto al riguardo: conosceva lo stretto indispensabile per riuscire a non avere problemi.
    Conosci qualche luogo in cui possiamo scaricare questi pacchi? Forse se ne sarebbe portato un paio per il viaggio di ritorno: non tutti erano vampiri, a casa. Avrebbe portato loro la cena: quale miglior modo per disfarsi di qualche corpo? Anche se la strada da fare era parecchia. Si, aveva senso chiedere qualche consiglio al compagno di quella notte così particolare.
    Guardò Natasha. Sembrava come svenuta, come una marionetta a cui avevano tagliato i fili, completamente inerte e indifesa. Si chiese se avesse potuto mangiarla, se il suo corpo l'avrebbe accettata. Poteva forse nutrirsi di suoi "similI"? Se anche fosse stato possibile, sarebbe stata un'evenienza molto rara, dato che uccidere umani, nove volte su dieci, era più facile che uccidere un "mostro". Era anche più ferrato sulla selvaggina e su come cacciarla. infine, ripensò a quei tre giorni, tre come il famoso mito di Cristo che, come il nobile Balder, sarebbe risuscitato. Chissà cosa sarebbe successo a Natasha, in maniera specifica. Era cosciente? Dormiva? Forse era in coma. Forse stava vivendo un sogno bellissimo. O un incubo terribile. O un visionario e curioso amalgama delle due cose.
    Tutte queste cose pensava, osservando quel corpo.

    Tutto quello che era accaduto quella sera, che si fosse trattato di loro o dei ragazzi, era avvenuto "per caso". O forse no, non aveva senso. Un demiurgo, oppure le Norne, avevano cospirato affinchè avvenisse, Ma perchè, a quale scopo? Quante altre cose simili stavano avvenendo in quella città, quella stessa notte. E quante, nel mondo.
    Olve si sentiva un burattino in mano a un'intelligenza superiore. Eppure, questo non cambiava di nulla la sua condizione. Però, doveva ammetterlo, si era divertito. Un minimo, ma lo aveva fatto.
     
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    "Solo coloro che amano i gatti conoscono il piacere di una borsa dell’acqua calda, musicale, in pelliccia e che non si raffredda mai." (Susanne Millen)

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    Ciao Trono, ti piacerebbe proseguire? Sarei intenzionata a metterti la risposta questa sera.
    Chiedo scusa per il ritardo...
     
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    Ho letto solo ora.
    Certo che vorrei proseguire! Decidi tu se quì o altrove! Non ho preferenze, ma la role sembrava divertente e mi dispiacerebbe terminarla precocemente!
     
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    Era la prima volta che faceva di un mortale un vampiro e sebbene si sentisse alla pari dell'onnipotente per il fatto stesso di aver messo in atto una trasmutazione del tutto innaturale, non aveva completamente le idee così chiare su cosa avrebbe dovuto fare dopo. Si sarebbe aggrappato ai vaghi ricordi che aveva dei suoi momenti successivi al trapasso, di ciò che il suo creatore gli diceva e gli mostrava, ma soprattutto ciò che gli aveva fatto fare. Era certo che le prime due cose di cui si sarebbe occupato era dirle cosa era successo, trovando semmai l'espediente della salvezza, e come sopravvivere. Solo fatto ciò avrebbe avuto le idee chiare sul futuro di Natasha, anche quello più prossimo.
    E se lei non fosse stata in grado di sopportare nemmeno un omicidio? Sarebbe stata al pari di una belva affamata e lasciarla incustodita sarebbe stato pericoloso per lei, ancora affatto in grado di domare gli istinti della fame. In ogni caso, non valeva la pena fasciarsi troppo la testa prima di farsi male, lei stava 'dormendo', si sarebbe svegliata tre giorni dopo e solo allora avrebbe deciso nel dettaglio come muoversi e, soprattutto, cosa fare di lei nel caso non fosse stata in grado di sopportare la Notte Eterna.

    Alzatosi in piedi, teneva la futura vampira in braccio, pareva svenuta e persino i segni del morso erano spariti e questo era un enorme vantaggio che avrebbe potuto sfruttare per non destare sospetti, nel caso fosse stato necessario. Ma era notte tarda, era un qualsiasi giorno lavorativo e la vita notturna di Nouvieille non si protraeva così a lungo come nei week end, almeno questa era stata l'impressione che aveva avuto sin da quando aveva cominciato a girarla e osservarla inosservato.
    Aveva osservato Olve operare con minuzia sui tre cadaveri, gli occhi che guardavano senza provare alcuna pena né misericordia, come se quelle scene fossero state quelle di un qualsiasi flim splatter per le quali non ci si scandalizza in quanto pura finzione. L'unica cosa che faceva la grande differenza tra la finzione e la realtà, era l'odore acre del sangue, il suono reale delle ossa che cedevano sotto l'arma che cadeva senza tentennamenti di Olve. C'era ovunque odore di cadavere ancora troppo vivo per rilasciare ventate di morte putrefatta, ma anche in quel caso non sarebbe stato un grosso problema per Julian.
    Mentre seguiva quella macabra esecuzione, aveva fatto sue tutte quelle informazioni su come trovarlo, in qualche modo l'avrebbe trovato, ne era certo.
    "La porterò quando ci sarai tu, presumo ti sia molto curioso di vederla mutata nel suo aspetto". In quel momento aveva abbassato lo sguardo sulla sua creatura, gli occhi avidi di vedere anch'essi come sarebbe stata Natasha dopo il risveglio. Ne osservava i dettagli, le unghie scure, le labbra impallidite dalla massiccia perdita di sangue, la pelle ancora morbida ma già abbastanza tiepida, il petto sodo e a punto completamente inerme, privo di quel battito vitale che, diversamente, glielo avrebbe fatto gonfiare e sgonfiare ritmicamente. Poi aveva osservato le labbra appena schiuse, notando solo in quel momento la dentatura robusta che aveva, e allora sì che aveva sorriso soddisfatto pensando a quanto taglienti e penetranti sarebbero stati quegli incisivi una volta in grado di avere la sua stessa conformazione appuntita come la propria.

    "Sembra dormire...". La voce bassa di Julian aveva pronunciato quel pensiero ad alta voce, senza pensare affatto alla presenza dell'altro Non Morto. Ma in fondo, non era così? Non sembrava dormire? Forse era davvero così, lui di certo non ricordava quel lasso di tempo trascorso tra la sua morte, che non rimembrava nemmeno troppo bene se non nelle generalità, e quello della sua rinascita. Anzi, a dire il vero, aveva ricordi migliori di quel secondo passaggio che del primo. Contava poi così tanto essere al corrente di quei fatti? Forse no?

    "Lei adesso ha bisogno di un posto sicuro e riparato dalla luce del giorno, ma so già dove portarla. La notte del risveglio le porterò una o due persone affinché possa nutrirsi subito", aveva spiegato al Risorto, mentre il suo sguardo serio strisciava da un sacco all'altro, riempiti da cadaveri fatti a pezzi. "Sarà la prima cosa che vorrà e dovrà fare".
    In quel momento stava valutando che forse portarsi quattro sacchi con pesi non indifferenti sarebbe stato un po' un problema per Olve, ma soprattutto anche un po' sospetto agli occhi di qualche curioso di troppo. E non è che avrebbe potuto fermarsi e uccidere ogni qualvolta qualcuno avesse visto, proprio come era successo poco prima con le loro vittime, perciò aveva pensato di offrirsi per aiutarlo a sbarazzarsi almeno della metà del fardello.
    "Se vuoi posso darti una mano, a dividere l'onere del peso". Natasha l'avrebbe portata su un braccio, e con la mano dell'altro avrebbe trasportato due dei quattro sacchi dei quali dovevano sbarazzarsi per forza di cose. "Due posso portarli via io e nasconderli dove dormo. Lì non ci entra nessuno e ho un fedelissimo guardiano che non permetterebbe mai a degli sconosciuti di introdursi fino a lì". Aveva preferito non dire troppi dettagli, era nella natura del Vampiro farlo, perché se una qualsiasi Mummia o un qualunque Risorto potevano star vigili di se stessi durante il giorno, un Vampiro era potenzialmente sotto continuo pericolo durante il corso del suo sonno diurno. Per questo semplice, ma vitale motivo nessuno di loro rivelava troppo facilmente il luogo dove dormivano. Era già sua idea, infatti, rendere indipendente la propria abitazione dal nascondiglio diurno, solo così sarebbe stato davvero al sicuro. Ora che dormiva nella cripta di una chiesa sconsacrata non gli restava che restare sul vago.



    CITAZIONE
    - Controllo oggettivo della gravità:
    Questa abilità permette al non morto di esercitare il proprio controllo sulla gravità, diminuendo la forza di attrazione per sollevare sé stesso da terra o altre persone od oggetti, allo stesso modo di aumentare la forza di attrazione per trattenere una persona oppure un oggetto a terra ed impedirgli di volare o spostarsi autonomamente (e se si tratta di un oggetto, di essere portato via, rubato o spostato). Questo potere permette al non morto di spostare il bersaglio oppure l’oggetto sul quale esercita il proprio controllo, non solamente verso l’alto alleggerendolo o verso il basso appesantendolo; in povere parole, questo genere di controllo della gravità può essere simile alla telecinesi. Gli permette anche di spostarlo lateralmente o diagonalmente, diretto verso un corpo d’attrazione di dimensioni uguali o maggiori a quello del soggetto su quale esercita il proprio potere. Un corpo schiacciato a terra può essere spostato lateralmente, un corpo sollevato da terra può essere lanciato verso destra, sinistra, verso l’alto ed anche diagonalmente o fatto precipitare nuovamente verso il basso in più direzioni.
    - Durata dell’abilità: 3 turni
    Turno I di III - Interrotto

    Per me possiamo restare qui, ma volendo possiamo andare a concludere, sempre con calma, alla chiesa sconsacrata, visto che è lì che Julian vuole portare due dei tre sacchi. Volendo possiamo farli prodigare a procurarsi il legname per costruire un piano dove mettere Natasha (in eternal sleep _\m/). Dimmi tu!

    PS: perdona errori e quant'altro, sono troppo stanca per pensarci troppo XD
     
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    La mummia assistette a tutto il rituale, e quanto avvenuto poco prima e poco dopo, in assoluto silenzio e contemplazione. Sembrava, in realtà, una cosa molto complessa ed era avido di sapere. Sembrava esserci tutto un regolamento, un modo di fare quasi codificato. Se fosse stata una "cosa umana", avrebbe pensato di poterne leggere un manuale in qualche oscura biblioteca occulta.
    Infine, dopo tutto quanto era accaduto, Natasha sembrava dormire, assopita, indifesa. Julian l'avrebbe portata nel suo nascondiglio, pronto a prepararle la sorpresina del suo risveglio. Perchè, sicuramente, una bella sorpresa sarebbe stata. Quanto al resto, poteva immaginarlo: si sarebbe creato il solito problema relativo ai nonmorti tutti. Uccidere o non uccidere? Che scelta effettuare? Natasha sarebbe stata in grado di passare una (non) vita all'insegna del sangue? Da quel poco che Olve aveva visto, e dal (relativamente) tanto che sapeva sulle persone, non aveva un'idea generale. Dal vestiario e portamento sembrava la tipica persona che altri avrebbero invidiato e/o odiato poichè considerate "fighette" da alcuni o "radical chic" da altre. Eppure, questi comportamenti apparentemente fastidiosi, il più delle volte, nascondevano dei disagi interiori ed esistenziali reali e dolorosi. Era, insomma, molto più probabile che una persona malvista avesse reali problemi dentro di sè, che l'inverso.
    O almeno questa era l'opinione di Olve, un individuo sociopatico e poco amante della compagnia. Aveva anche continuato a farsi qualche filmino sul portarla nel suo edificio e farla conoscere ai ragazzi. Avrebbe davvero giovato una presenza femminile? Era un interrogativo interessante, che, forse, avrebbe scatenato degli eventi che, magari, avrebbero aiutato a scuotere la Mummia dal suo incredibile torpore.
    Quanto al resto: Olve sarebbe stato "entusiasta" (per quanto poteva esserlo, ovviamente) di vederla. Non esisteva una parola, in nessuna lingua che conosceva, in grado di esprimere cosa provava. Continuava a mandare via il pensiero che fosse figlia sua, perchè non era vero, eppure se ne sentiva responsabile e non sapeva decidere se la cosa gli piacesse oppure no. In uno slancio di umanità incredibile, decise che era il caso di esprimersi. Forse perchè era la prima volta che aveva "dato vita" a qualcosa o quantomeno aveva contribuito. Se fosse un vampiro, o fosse rimasto umano, sarebbe più felice? Probabilmente no, certi problemi erano immortali come la malvagità, ma sarebbe stato un piacevole diversivo.
    Inoltre, sentiva che quella serata stava per finire.

    Osservò i pacchi: erano quattro. Julian il vampiro si era offerto di aiutarlo portandone metà. Credo sia un'ottima idea e te ne ringrazio. Allora faremo così: due li porto io e due tu. Disse. Oltretutto, credo che li porterò da me. Sono sicuro che qualche ragazzo sarà felice della cena. SI accorse molto tardi di averlo detto, e non pensato come credeva di aver fatto. Osservò la luna, splendida e splendente. Eppure, Hati, il lupo che inseguiva la luna, sembrava in procinto di chiudere un'altra nottata per lasciare il posto a Skoll, suo fratello. Probabilmente, se fosse stato un poeta, avrebbe sfruttato quel momento per appuntarsi qualcosa. Ovviamente, non lo fece.
    Ci tenevo a ringraziarti per la piacevole serata. Credo sia il caso di salutarsi. Forse, l'alba non era poi così lontana. Questa sera ho imparato molto, su di me e sugli altri. Sui vampiri e sui piaceri che uno come me non potrà mai assaporare, ma che potrà sempre vedere da lontano, provando comunque un gusto strano. Era probabilmente il discorso più lungo che aveva pronunciato quella sera. Siamo esseri diversi e tuttavia accomunati. Entrambi amanti della notte, quel magico momento della giornata che è sempre teatro delle cose migliori. Io, come immagini, non possiedo la tua stessa afflizione e posso camminare durante il giorno. Eppure, non lo faccio quasi mai. Il viavai delle persone, i rumori, la totale assenza di calma e contemplazione me lo fanno disprezzare. Con le dovute eccezioni. Perchè stava facendo quel discorso? Questa è stata una di quelle notti che mi ha ricordato il perchè alcune cose hanno il potere di farmi stare meglio, invece di altre. Ed è stata un'ottima festa di sangue. Si osservò, cappotto, pantaloni e maglietta, e si tastò i capelli. Dopo aver constatato che non vi erano tracce di sangue sul suo corpo, prese in mano i sacchi. Uno nella destra e uno nella sinistra. li sollevò e li posò sulla sua schiena, senza sforzo apparente. Probabilmente, li avrebbe potuti portare tutti, ma gli era sembrato scortese rifiutare l'aiuto offertogli. Certe volte, non gradire i regali è più pericoloso che non farli. Rimaneva solo una cosa. Se vorrai continuare questa vicenda, dimmi pure cosa, dove e come. Sarò lieto di parteciparvi. Enunciato ciò, avrebbe aspettato qualunque cosa l'altro avesse intenzione di dirgli, per qualunque periodo di tempo. Quando sarebbe terminato tutto, si sarebbe congedato. Buonanotte, allora. Ci rivedremo, se le Norne lo vorranno. Nel pronunciare le ultime parole, si chiese in cosa credesse il vampiro. Se credeva in qualcosa. E chissà se la sua condizione era in grado di fargli mutare la percezione che aveva della sua eventuale fede. Argomenti per un'altra sera. Pensò. La fretta non faceva parte di lui.
    Poi si girò e andò via.

    Passando per il quartiere abbandonato, camminò molto lentamente cercando di assaporare le morti, le battaglie e il sangue che lo avevano riempito, nel tempo. I ricordi e i mortali che vi erano passati. E, come ogni volta che visitava un luogo che aveva avuto una storia degna di essere conosciuta, si sentiva un pò smarrito e non sapeva se era suggestione o no. Magari, camminando casualmente, era entrato in una dimora leggendaria senza saperlo (e, quindi, senza provare nulla). Questo voleva dire che la suggestione e l'ispirazione personale erano il vero carburante che faceva scaturire quelle sensazioni. Ma, in quel luogo, la cosa sembrava più forte. Visione personale o no, quel posto grondava epica. Aveva provato una cosa simile solo in un altro posto, "qualche vita fa". Era una tomba, un tipico sepolcro pagano risalente almeno a quella che i mortali chiamano "Età del Ferro".
    Le spoglie dei defunti, all'epoca, erano conservati in grandi strutture a forma di tumulo (magari in collina). La forma rotonda di quelle costruzioni doveva ricordare il ventre della madre, che, da che mondo e mondo, era foriero di vita. I suddetti posti, curiosamente, erano aperti, dotati di cancello che copriva un'apertura. L'interno, almeno di quello che vide Olve, era pieno di suppellettili, armi, oggetti, vestiti e armature del defunto: in quel caso un condottiero antico e amato. Ormai poco si ricordava di lui, se non che era orbo da un occhio ed era impareggiabile nell'uso della lancia. Olve, in quel budello, aveva vissuto un'esperienza strana, ma se vogliamo controllata. Quegli anfratti erano concepiti per risvegliare le memorie di chi li visitava, in modo da permettere allo spirito dell'antenato di reincarnarsi nel visitatore, che quindi diventava lui (ed era già lui). Gli oggetti, e le eventuali pitture rupestri, avevano lo scopo di sbloccare la mente latente e risvegliare l'antenato mitico. Avveniva quindi che, nell'antichità, ci fosse una certa ricerca per far sì che gli individui migliori si ripresentassero spesso, per guidare la comunità e combattere. Ritualmente, si raccontava, un bambino doveva entrare nella tomba tre volte, ogni sette anni, corrispondenti, ogni volta, alla gravidanza dei famosi nove mesi. Tre, sette, nove, numeri sacri per chi è un adepto degli AEsir. E Olve, quella volta, entrò di nascosto in quella tomba, antica più della vita stessa, e, in quell'oscurità, cambiò qualcosa in lui. Non seppe dire se le leggende erano vere o no, ma ne uscì cambiato. Più cupo? Non saprebbe dirlo nemmeno lui, però poteva essere il periodo della prima caduta nell'apatìa. Non ricordo. Decise. Tutto questo passò per la mente della mummia norrena, mentre camminava tra le vestigia di quel posto dimenticato, seppur pregno di significato.
    Era davvero bello.

    Immaginava le costruzioni che vedeva come le costole di un essere enorme, un animale mitico, nelle cui viscere la mummia stava girovagando, osservando le pitture rupestri e le cose rimaste. Forse, persino quello era un ventre della madre. Ma, questa volta, Olve non ne uscì diverso. Forse perchè l'epifania, quella sera, poteva averla già avuta. E quindi uscì dal complesso urbano, seguendo la strada di casa.
    Camminava a passo spedito, non volendo attirare troppo l'attenzione. Non aveva perso gusto per l'omicidio, ne avrebbe commessi altri volentieri, ma si sarebbe ripresentato il problema del cadavere. E, lì, non si trovava in un luogo desolato e disabitato, ma era tornato nel centro di Nouvielle, città che stava iniziando a comprendere a poco a poco. Anche quello era un posto ricchissimo di leggende e divinità, ma lo avrebbe scoperto col tempo.
    Fortunatamente, quei sacchi erano resistenti il giusto e non sembravano gocciolare per strada. Ed accelerò ulteriormente il passo, incontrando, poco dopo, una persona che veniva in senso opposto. Sembrava un vecchio con un cappotto lungo e un cappello a falde larghe. Aveva un bastone che usava per aiutarsi nel cammino. Olve ebbe un tuffo al cuore, ma durò un attimo: la figura lo aveva superato senza degnarlo di uno sguardo, tanto che si chiese se se lo fosse solo immaginato oppure no.
    Poco dopo, raggiunse la campagna e rallentò il passo, sicuro di rischiare molto meno. Il boschetto in cui stava camminando era generoso di nascondigli e di chissà quali bestie feroci. Terrori senza volto e alieni all'uomo, ma lui non se ne curò. In fondo era già morto: che paura poteva mai provare? Pur in una selva che avrebbe fatto morire di crepacuore un mortale, lui camminava come a casa. E forse era a casa.
    Finalmente, qualche centinaio di metri più avanti, apparve la costruzione. Lugubre, arroccata, infestata. Un monumento a quanto di sbagliato e marcio c'era nel mondo, eppure abitato da personalità non troppo malvagie. La sua dimora (quasi) segreta. E, non appena la intravide, iniziò a sentire le prime chitarre distorte e i caratteristici suoni spettrali. Sembravano calorosi, nel gelo della notte. Come un focolare di casa per il viandante stanco. Spalancò le porte, facendo entrare l'aria glaciale delle tenebre insieme a lui. Fece cadere a terra i sacchi, che fecero un rumore sordo a contatto col pavimento, spaccato in più punti. Inspirò quel vecchiume. In quella decadenza, lui si sentiva quasi un imperatore. Un regnante glaciale senza un cuore, ma che aveva portato dei regali per tutti. Anche se Jul era lontano.

    Sono tornato. Lo sussurrò appena, ma era sicuro che tutti lo avevano sentito. Subito, delle figure tetre e spettrali apparirono dalle scale, dalle porte, da aperture nel muro spaccato. Un piccolo esercito di giovani vestiti di nero e con gli occhi spenti. Pur tuttavia lo guardavano, quasi avidi di sapere. Cosa, non si sa, ma volevano sapere.
    Ho portato la colazione. Disse, infine. Lo era solo per alcuni, in verità, ma era meglio di niente. E, altre volte, aveva fatto regali di ben altra natura. Infatti, nessuno si lamentò. E Olve sparì, salendo le scale come un fantasma.
     
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