Quattro passi al... Ritual

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    Agli occhi degli uomini, la vita passa dal buio all'oscurità. Agli occhi degli dei, la vita è una morte...

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    Il Ritual. . .
    Neris si bloccò, esitante, sulla soglia.
    Non era mai entrata in quel locale. . . anzi, non era mai entrata in alcun locale. . . e non era abituata alla folla e al rumore. Sì, da quando era divenuta proprietaria del teatro, aveva avuto più contatti con la vita di quel secolo, ma non si poteva paragonare la folla presente nel Teatro dei Vampiri con quella del Ritual.
    Ma, se sopravviveva al Ritual, difficilmente avrebbe avuto problemi ad abituarsi alla vita sfrenata di quei tempi. . . se sopravviveva, però. . .
    Guardò il lungo ed elegante vestito nero che indossava, paragonandolo agli abiti che portavano le altre persone. Era passabile.
    Sempre meglio che una veste stile 300 a.C. . .
    Un lieve sorriso comparve sul volto della vampira, al solo pensiero della notte in cui era arrivata a Nouvieille, scalza e abbigliata all’antica, ed aveva incontrato Asterios, il proprietario di quel locale.
    Era cambiata da allora. . . e non di poco.
    Dopotutto, o cambi e ti adegui, o continui a sperare nel ritorno di un passato ormai perso e soccombi. . .
    E questo non valeva solo per i plurimillenari. . . ma anche per i mortali.
    Neris sospirò, poi entrò nel locale, mischiandosi tra la folla.
    SPOILER (click to view)
    Prenotato da Ruffo... (Neris mette in mostra i suoi canini...) Guai a chi risponde... :D


    Edited by Neris la vampira - 25/11/2007, 15:24
     
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  2. Ruffo
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    SPOILER (click to view)
    *alza la mano facendo il gesto delle corna* \m/_ a son chì! - nel dialetto della mia città, sono qui.

    Fffffffffinalmente.
    Ti ringrazio Neris per la tua pasiensa... *si inquina*


    Vecchia vita. Vecchi volti, vecchi posti, vecchi odori. Oh, beh, non tanto vecchi. Solo sei mesi: ma quei sei mesi erano stati tra i più lunghi della sua vita.
    Anzi, tornando al Ritual, si stupì che Asterios non avesse assunto nessun altro al suo posto. Doveva un favore, no anzi due, a quello spettabilissimo Vampiro con la 'v' maiuscola.
    Oltre ad avergli tenuto il lavoro, era stato tra le persone che più s'erano date da fare per ridargli quella parte perduta, strappata dal corpo, la sua anima.
    Che sensazione, rimettersi il grembiule, passare tra i tavoli, essere riconosciuto dalle e dai clienti, e soprattutto dai colleghi che gli chiedevano dov'era stato, cos'aveva fatto.. lui divagava, con un sorriso, dicendo che era stato male e che aveva avuto dei problemi in famiglia, ch'era una cosa privata tra lui e Asterios.
    Servire ai tavoli, passare per le cucine piene di vitalità, e anche sgobbare, non era mai stato così bello ed eccitante.
    Era felicissimo di essere di nuovo vivo, di percepire la realtà attorno a lui e con tutti i cinque sensi. Se pensava a poche settimane prima, si sentiva monco.
    Anche quella sera aveva molto da fare. Aveva sentito che c'era una nuova collega, ma non aveva saputo il nome. Era piuttosto riservata, gli dicevano; parlava praticamente solo col proprietario.
    Ah, se avesse saputo chi era quella collega... gli sarebbero cascate le braccia. Era da un po' che non si presentava al lavoro, gli dicevano. E se avesse saputo anche quello, ebbene avrebbe trovato risposta anche all'ultimo interrogativo. Era colpa sua se quella 'collega' non si presentava da qualche sera.
    Ma lui non sapeva; e, tranquillo, stava seduto al bancone, su uno dei seggiolini girevoli, chiacchierando a tratti col barman e a volte guardando se qualcuno aveva bisogno di lui.
     
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    Poteva sentire il sangue che scorreva nelle vene di coloro che l’attorniavano, il cuore che palpitava forte, la vita che scorreva lentamente.
    Sorrise tristemente, rendendosi conto di quanto brevi fossero l’esistenze degli esseri umani e di come fossero fragili. Come sarebbe stato semplice per un vampiro far terminare bruscamente quelle brevi vite. . . come sarebbe stato facile per lei abbandonarsi al desiderio e placare la sua voglia di sangue. . .

    Si allontanò dall’ingresso, il più distante possibile da una giovane ragazza a cui si era pericolosamente avvicinata, portata dalla bramosia che, anche se per pochi istanti, l’aveva colta piuttosto profondamente. Spaventata dall’intensità della sua reazione, si guardò attorno alla ricerca di un posto tranquillo dove riflettere su quanto era accaduto. . . e su quanto aveva rischiato di accadere. . .
    Si avvicinò al bancone, seguendo l’odore delle bevande che vi venivano servite, sperando che in quel luogo sarebbe riuscita a ritrovare la calma perduta.

    Si sedette accanto ad un alto ragazzo dai capelli bianchi, immersa nei suoi pensieri.
     
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  4. Ruffo
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    Passava tranquillamente la punta del dito indice destro sul bordo di un bicchiere. Osservava tutto. Il modo in cui la luce vi si rifletteva, le ditate non solo sue, i piccoli graffietti e la composizione del vetro. Era meraviglioso, il lavoro umano. Qualcosa di cui nemmeno gli stessi mortali si rendevano conto.
    Avrebbe continuato quello studio del bicchiere, se un profumo - o meglio, quella che lui aveva catalogato come 'puzza' - non gli fosse giunto alle narici, facendogli voltare il collo verso la donna pallida ed eterea che gli stava al fianco.
    Quell'odore l'avrebbe riconosciuto ovunque... Era lo stesso che avevano tutti i vampiri che aveva conosciuto, e non erano pochi. Il suo migliore amico, poi, era un vampiro! E lo era anche il suo capo. Riconosceva quella specie ovunque andasse.
    La donna, però, sapeva nasconderlo molto bene, seppure ogni volta che vedeva qualcuno passarle accanto sembrava virare l'attenzione su un mucchio di carne e sangue in movimento.
    Smise di toccare anche il bicchiere.
    "Serve qualcosa?" le domandò, cortesemente. Posò le mani sul bordo dello sgabellino, e con un piede lo fece ruotare, in modo da starle di fronte.
    Le fece un sorriso, per parere il più possibile cordiale.
     
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    Avrebbe dovuto aspettarselo, da troppe notti non cacciava, preferendo evitare di bere sangue. . . sangue sia umano che animale. L’ultima volta che aveva ucciso era stato dopo la sua avventura oltre alla porta dimensionale, dove, nell’Annwn, era entrata in contatto con la luce di Rhiannon, la Regina di quella dimensione. Le tornò dolorosamente alla memoria l’espressione di Arien quando, tornate a Nouvieille, si erano salutate. L’angelo sapeva quello che stava per succedere, eppure non l’aveva fermata, comprendendo il suo bisogno di sangue. E lei aveva ucciso. . . un’altra volta.
    Le diveniva sempre più difficile farlo. Sì, poteva dirsi che uccidendo i malviventi, gli assassini, i violentatori, faceva solo un favore all’umanità, ma si rendeva anche conto che pure lei, in quanto vampiro, era un’assassina. Eppure continuava a farlo. Continuava a farlo, anche sapendo che Arawn, il Signore dell’Annwn, la osservava, come un padre interessato alla sorte della propria figlia. . .

    Notò che il ragazzo accanto a lei la fissava, come in attesa di una sua risposta.
    Doveva averle fatto una domanda, una domanda che lei, immersa nelle sue riflessioni, non aveva sentito. Si voltò verso di lui, un po’ confusa.
    “Scusami, hai detto qualcosa?” chiese.
     
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  6. Ruffo
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    Si sent' profondamente ebete: erano trascorsi solo sessanta secondi e poco meno, ma la donna dai capelli ramati, scuri, non si decideva a voltarsi.
    Il sorriso cordiale e professionale sulle sue labbra stava sparendo per lasciare spazio ad un'espressione lievemente delusa e indifferente. Quand'ecco, si voltò.
    La guardò un attimo, lunghissimo, negli occhi verdi.
    Capelli rossi - anche se scuri - ed occhi verdi, incarnato chiaro: i tratti somatici che lo facevano letteralmente impazzire. Non per nulla, Gaelle aveva proprio quell'aspetto, in sostanza.
    Eppure, quella donna forse immortale aveva un che d'evanescente. Pareva sul punto di svanire in caligine da un secondo all'altro.
    Con uno sforzo titanico, riuscì nuovamente a sorriderle.
    "Le avevo solo chiesto se necessitava di qualcosa" disse, cortesemente e in modo tranquillo, "Ma la confusione che sta facendo la folla evidentemente non gliel'ha fatto sentire".
    Ecco una cosa che aveva imparato da un pezzo: sul luogo di lavoro era sempre meglio dar la colpa a terzi che non al diretto interlocutore.
    Anche perché sentiva che una parola sbagliata avrebbe potuto determinare la sua sorte.
     
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    La confusione che stava facendo la folla? No, non quello il motivo per cui non aveva sentito, e, probabilmente, anche lui lo sapeva.
    Un lieve sorriso spuntò tra le sue labbra.
    “Magari un bicchiere d’acqua. . .”
    Non che potesse berla l’acqua, ma aveva notato che tutte le persone al bancone stavano bevendo qualcosa. . . e lei non voleva rischiare di attirare l’attenzione non ordinando nulla. Il bicchiere d’acqua sarebbe rimasto pieno, ma, almeno, avrebbe potuto far finta di star bevendo qualcosa.
     
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  8. Ruffo
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    "Come desidera".
    Il suo tono fu calmo, e seppe nascondere i dubbi in lui nascenti.
    Insomma.. pareva una vera vampira, sul serio: eppure chiedeva un bicchiere d'acqua.
    Glielo portò. Imparava a non fare troppe domande. Spesso la curiosità ammazzava il gatto, e lui non voleva essere ammazzato. Ne aveva passate tante, troppe, in quegli ormai due anni, per fargli desiderare di sapere.
    Le porse il bicchiere con un sorriso.
    "Ecco a lei..." si chiedeva, nuovamente, dentro di sé, se veramente quella donna dai tratti quasi irlandesi fosse una vampira, oppure un'umana emofila, con la pelle chiara.
     
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    Scusa se ho risposto solo ora, ma ho avuto una settimana piena di verifiche... e, nel poco tempo libero che mi rimaneva, ero troppo fusa per poter scrivere... :blink:

    “Grazie” rispose, prendendo tra le mani il bicchiere e posandolo delicatamente davanti a sé. Si chiese se avesse dovuto portare il bicchiere alla bocca, fingendo di inghiottire il liquido trasparente e inumidendosi solamente le labbra, ma non le sembrò il caso. Non c’era nessuno che la osservava, se non si contava il ragazzo accanto a lei.
    Posò nuovamente lo sguardo su di lui, scrutandolo attentamente con i suoi profondi occhi verdi. Poi si girò ad osservare la folla, pensierosa.
    “Questo è davvero un bel locale. . . un ottimo luogo dove passare la notte” disse, convinta della veridicità della sua affermazione. Sicuramente, in quel posto si sarebbe trovata bene, appena si fosse abituata alla folla e alle sensazioni che la presenza di tante persone le dava.
     
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  10. Ruffo
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    La osservò non bere. I sospetti striscianti diventavano realtà. S'era una vampira, una creatura sveglia all'imbrunire, non ne aveva paura. Comandava il fuoco, e quel posto non era proprio vuoto di persone che potevano aiutarlo.
    Oltretutto, non sembrava così stupida da ammazzarlo davanti a tutta quella gente.
    "Sì, è un bel posto dove passare le sere... almeno, è diverso ed alternativo rispetto alle solite discoteche. Il proprietario tenta sempre di proporre qualcosa di diverso, dalle nottate a tema alle entrate semi-gratuite" disse, poi la sua espressione divenne quasi ironica, tale e quale il suo tono di voce, "E sono in quelle notti che noi, il povero staff, ci diamo da fare. Insomma, certe volte c'è il pienone.. Fortuna che c'è il buttafuori, in questo caso si evitano molti sboroni" disse ancora.
    La guardò di sfuggita.
    I capelli rossi e gli occhi verdi gli ricordavano quelli di Gaelle, eppure l'accento di quella donna non era morbido, con un modo di pronunciare alcune lettere che riportava alla parlata francese; semmai aveva qualcosa di più duro, il tipico accento forte degli irlandesi.
    Lui, da bravo inglese, sapeva differenziare i modi più diversi del parlare la lingua anglosassone, riconoscendo la provenienza di una persona.
    "Lei non è di qua, vero? Mi sembra irlandese".

    SPOILER (click to view)
    Non preoccuparti ;) avevo letto nella discussione della sezione Off-Topic che saresti stata via, perciò non mi aspettavo una risposta immediata.
     
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    Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa... :Pucc4:

    “No, non sono di qua. . .” rispose.
    Tacque un attimo, riflettendo sul perché il ragazzo avesse detto che lei le sembrava irlandese. Magari per il colore dei suoi capelli, oppure per il suo accento. . . dopotutto l’irlandese derivava dalla prima branchia delle lingue celtiche, tra cui vi era anche il gallico.

    “Sono nata in Gallia qualche millennio fa” sussurrò.

    Non sapeva perché l’avesse detto. . . forse perché era un po’ malinconica. Sperò che il ragazzo non avesse sentito, dopo tutto l’aveva solamente bisbigliato e il locale era piuttosto rumoroso.
    Ma, se aveva sentito, era meglio non lasciargli il tempo per rifletterci sopra.
    “Il mio nome è Neris”
     
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  12. Ruffo
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    Fa niente! Piuttosto...

    “Sono nata in Gallia qualche millennio fa” sussurrò. ---------> il mio nickname su msn è stato per un mese Conquistatrice della Gallia o_O


    Ecco che i sospetti, come quasi sempre, diventavano realtà. Oramai non era più un ragazzo ma un uomo, certe cose le aveva imparate...
    "Carne stagionata" sogghignò. Sì... una vampira antica.
    Non si pose nemmeno la domanda se conoscesse o meno Asterios, era già praticamente sicuro della risposta. L'Antico era per tutti i vampiri della città un vero e proprio punto di riferimento...
    La Gallia, l'antica regione della Francia -se le sue conoscenze geografico-storiche erano esatte-: eppure aveva giurato che fosse irlandese, aveva tratti e accento tipicamente irlandesi.
    Quel nome, poi, aveva davvero qualcosa di celtico: bastava pensare che tra i più comuni che i celti davano ai loro figli -e figlie- c'erano Cruinna, Finn, Cail, Sive, Cormac e molti altri. Neris suonava davvero come un nome celtico.
    "Credevo fossi irlandese, Neris... sempre se posso darti del tu" probabilmente non avrebbe dovuto, dato ch'era molto ma molto più antica di lui.
     
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    La fissa, sconvolta...
    "Ecco chi ha raso al suolo il mio povero villaggio!!!"
    Un lieve sorriso le compare sul viso, rivelando i suoi canini accuminati.
    "Mi è sempre piaciuto il sangue dei conquistatori..." commenta, divertita.

    Aveva sentito. . .
    Neris sospirò.
    Non che avesse molta importanza. . .
    “Dammi pure del Tu. . . anzi. . . lo preferisco.”
    Chiunque fosse, quasi certamente sapeva qualcosa sui vampiri. In fin dei conti, lavorava nel locale di Asterios.
    Probabilmente, neanche lui era umano.

    “Magari, il secolo che ho passato in Irlanda mi ha cambiato più di quanto immaginassi. Forse è per quello che ti sembro irlandese, o forse no. . .” disse, un po’ perplessa su quella questione.
    Una cosa era certa: se si era sbagliata e lui era un umano e non credeva nel paranormale, l’avrebbe scambiata per pazza e, probabilmente, l’avrebbe fatta buttare fuori. Ma, se, come lei confidava, lui non era umano, il suo comportamento avrebbe potuto dargliene una prova.
    “Potrei sapere il tuo nome?” proseguì tranquillamente, come se avesse appena accennato ad una vacanza di qualche anno, non di una di un secolo.
     
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  14. Ruffo
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    Ma certo!
    Chi non si fa una vacanzina di qualche secolo in un paese all'epoca quasi tagliato fuori dal mondo, la cara Irlanda? Amava più la sua Londra, col Tamigi, i palazzi del Governo, le tradizioni 'castelli per aria' della famiglia reale, i colleges, i parchi verdi, la pioggia, la pioggia, la pioggia, l'umidità che a lui, incredibilmente -solo grazie al fuoco che aveva dentro- non arricciava i capelli finissimi.
    Le fece un sorriso. Ne era convinto, stava parlando con una vampira. Ma non voleva metterla a disagio, facendole capire che lui sapeva. A volte, e l'aveva provato sulla pelle, non era piacevole.. tutt'altro.
    "Non scandalizzarti per il mio nome" disse, tranquillamente e con garbo, "ma qui ne ho sentiti di peggiori, il mio è niente".
    Ogniqualvolta doveva dire il suo nome ad uno sconosciuto era come se fosse in procinto di rivelargli chissà che: eppure era solo un nome. Certo, per quei 'tempi moderni', impregnati dell'antico più che mai, un nome del genere suonava strano.
    "Dante" disse, "mi chiamo Dante".
     
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    “Un bel nome. . .”
    Era un nome inusuale per quegli anni, ma era sicuramente più semplice ed elegante di Salicogenna, il vero nome di Neris. La vampira aveva visto con i suoi occhi quanto fosse difficile per gli umani pronunciare il suo vero nome. Era per quel motivo che l’aveva cambiato. Era molto più semplice presentarsi come Neris che come Salicogenna. . . almeno, così non doveva insegnare l’esatta pronuncia a tutti coloro con cui entrava in contatto e non si ritrovava costretta a spiegare il suo significato. E a subirsi le seguenti battutine.
    Dopotutto, non era più considerato molto normale chiamarsi Figlia del Salice. . . perciò poteva capire perché Dante aveva avuto timore che lei si scandalizzasse per il suo nome.
    Sorrise.
    “Non ti preoccupare. . . non mi scandalizzo per così poco. . .”
     
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