Studio legale Avv. Yami

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    Considerando quelle che sono le sue abitudini solite e le sue perenni smanie di protagonismo, si può affermare che il luogo che ha adibito a propria sede di lavoro più considerarsi abbastanza modesto, sia nelle dimensioni che nello stile. Un appartamento abbastanza esiguo, al quarto piano, in un edificio di soli studi, da quelli legali a quelli medici e per qualunque altra professione si voglia.
    La porta in legno scuro porta l’intestazione “Avv. Yami” citando il solo cognome, ed evitando l’uso del nome a causa della poca piacenza di questo da parte del proprietario (che tra l’altro non avrebbe potuto utilizzare alcun nomignolo sulla propria insegna); inciso, inoltre anche in caratteri giapponesi per chi non ne avesse compreso l’origine dal solo suono della parola, e poco, tra l’altro sarebbe importato al proprietario che qualcuno ne avesse ricavato un qualche significato ché avrebbe risposto trattarsi semplicemente del suo cognome, che quello gli era toccato e che quello gli era tenuto, nonostante, quello almeno lo apprezzasse in maniera particolare.
    Appena varcata la soglia ci si trova in quella che apparentemente è una sala d’aspetto, che nonostante probabilmente fosse del tutto inutile in uno studio legale, considerando che non aveva chissà quanti clienti nell’arco della stessa giornata e che per di più alle volte il lavoro lo sbrigava anche fuori dallo studio stesso. In ogni caso aveva voluto averla, e comunque la sala c’era già quando aveva comprato l’appartamento per cui tanto valeva dargli una funzione, utile o meno che fosse. Il mobilio di questa stanza era già presente al momento dell’acquisto, che evidentemente era stato usato precedentemente a uso di studio medico, e lui l’aveva lasciato inalterato con il tavolino in vetro nell’angolo destro e le sedie che seguivano le pareti adiacenti e la scrivania sulla parete di fondo, posto che aveva adibito a un improbabile segretario (un uomo sulla cinquantina dalle origini non differenti di quelle del proprietario) che aveva il compito di prendere le telefonate per lui e di segnare quando i clienti sarebbero dovuti recarsi in studio, banale amministrazione che lo tediava particolarmente e che preferiva affidare ad altri solo perché semplicemente lui non voleva farlo.
    Sulla parete di sinistra, invece, è il bagno, anche quello lasciato così come lo aveva trovato al momento dell’acquisto, anche perché, certo non aveva intenzione di spendere troppo per un bagno che poi non avrebbe utilizzato e che sarebbe servito solo a uso della clientela, che si arrangiassero pure, non era un suo problema. C’era il necessario: carta, wc, lavandino, sapone e asciugamano, alla fine era più che sufficiente.
    L’altra porta, quella sulla parete di fondo porta invece in quello che è lo studio vero e proprio, questo decorato e ammobiliato secondo il suo gusto personale. Un grande tappeto persiano, di ottima fattura, ricopre la parte di pavimento antistante l’entrata. Sul fondo la sua scrivania, con computer, fascicoli del caso in questione (o sui quali comunque sta lavorando), un libro (Il Paradiso di Milton) e l’immancabile portacenere. A desta una vetrinetta contenenti vari volumi e accanto a questa, un’altra porta che porta ad un altro bagno, quello che è rivolto a suo uso personale perché, per nessuna ragione utilizzerebbe l’altro comune alla clientela.


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    Aveva pensato mentre percorrevano la strada che li separava dall'ufficio che l'altro ricordava più cose di quante ne immaginasse. Che poi ricordava di averle dette solo nel mentre che lui gliele riferiva. E in genere lui aveva una buona memoria. Per quanto riguardava il comprare qualcosa, almeno un gelato, lungo la strada, l'aveva preteso, come un piccolo sfizio momentaneo. Dopotutto era estate e faceva parecchio caldo.
    Sulla tematica shopping aveva invece insistito un po' di più. Era curioso di sapere come l'avrebbe conciato, cosa avrebbe voluto fargli indossare e magari anche comprare. Inusuale, strano, erano quelli i termini che gli venivano in mente, se pensava a quel genere di cose. Chi aveva detto che non si divertiva? Era vero che la sera, dopo il lavoro spesso trascorreva le serate fra libri e musica, ma era anche vero che non tutte le sue serate erano di quel tipo.
    L'edificio dove lavorava era ricolmo di targhe che indicavano le varie mansioni che svolgeva chi si trovava all'interno. Medici, avvocati, notai, commercialisti. Aveva girato la chiava nel portone e quindi gli aveva indicato l'ascensore, così da lasciargli intendere che avrebbero usato quello. Non che fosse un problema salire le scale a piedi, ma perché farlo quando la tecnologia veniva in loro soccorso?
    Quarto piano, la serratura automatica era scattata non appena aveva suonato il campanello.
    «Eccoci qui.»
    Aveva usato quelle parole prima di aprire la porta e quindi lasciargli lo spazio per farlo entrare.
    Lo studio era piccolo, probabilmente più piccolo di quanto si potesse immaginare. Nessuna finestra almeno nella sala d'attesa, dei divani e delle poltrone, la scrivania con un segretario che ormai doveva essere prossimo alla sessantina. L'uomo aveva alzato lo sguardo nel vederlo arrivare lì con un ospite era chiaro che stava decidendo se doveva essere un cliente o qualcos'altro anche se doveva sembrare essere propenso più per la prima ipotesi.
    «Buonasera.»
    La voce dell'uomo. Non aveva fatto in tempo a ripeterlo o a propinare un qualunque altro tipo di saluto verso il suo datore di lavoro che si era guadagnato un'occhiata dal suo datore di lavoro «Nessuno ancora?» Non che ci fosse la necessità di ottenere una risposta visto che la sala d'attesa era vuota. L'Angelo nemmeno l'aveva aspettata «Lì c'è il bagno.» Aveva detto indicando la porta alla loro sinistra «E questo è l'ufficio, vuoi entrare?»
    L'espressione sul volto dell'uomo era cambiata. Sorpresa come se fosse appena avvenuto qualcosa che non si aspettava. Forse quell'atteggiamento, quella confidenza nei confronti di quella nuova persona che forse dopotutto poteva non essere un cliente quello. Il fatto anche che gli si fosse rivolto dandogli del tu, e non con il solito atteggiamento informale che riservava a tutti gli altri clienti. Che per una volta, finalmente, Key si stesse comportando come un normale essere umano con una vita sociale? In molti anni che lavorava lì non era mai riuscito a sapere molto sulla vita privata e sulla vita sociale della persona per cui lavorava. Ma se si era aperto solo un qualche spiraglio a una simile idea che già l'angelo sembrava intenzionato a evitare ogni qualunque tipo di contatto sebbene fosse anche consapevole del fatto che quei due avrebbero finito per trascorrere parecchio tempo insieme mentre lui era rinchiuso nell'ufficio con i suoi clienti. E ci sarebbe stata comunicazione, avrebbero parlato, avrebbero discusso. Non era del tutto certo che il fatto che lui fosse presente o meno potesse giovare alla sua situazione. Ma comunque nessuno dei due per quello che ne sapeva era a conoscenza di fatti o eventi che potessero dare di lui un'immagine che andava al di là dei suoi interessi. L'uomo non l'aveva mai visto fare altro che lavorare. Parecchie volte gli aveva detto di prendere una pausa, di staccare la spina, svagarsi un po'. In quel momento gli sembrava strano pensare come anche Daisuke poco prima gli avesse detto una cosa simile. Stava ragionando sul fatto di quanto fosse in effetti stacanovista. Ma loro non sapevano, c'era dell'altro oltre il semplice lavoro. La possibilità di trascinare all'inferno tutte quelle anime. Era quello. Al di lì del denaro, al di là dell'orgoglio personale nel riuscire a risultare vincitore di una causa. Quello.
    Con un atteggiamento infantile, aveva voluto portarselo via nell'altra stanza, nell'ufficio.
    Ma questo sempre che l'altro avesse voluto seguirlo, almeno nell'attesa che arrivasse qualcuno.
    L'angelo sentiva la curiosità dell'uomo alle sue spalle. Lo conosceva e conosceva anche il suo modo di pensare. Non lo aveva nemmeno salutato al suo rientro.
    In ogni caso, malgrado i suoi proposito aveva dovuto fermarsi. Si era dovuto avvicinare alla scrivania e quindi all'uomo per osservare nuovamente il planning, controllare gli orari e focalizzare bene su chi dovesse essere il prossimo cliente.

     
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    Doveva ammettere a se stesso che quel gelato gli aveva risollevato parecchio il morale spazzando via per un po’ quei pensieri che invece erano stati la fetta principale della conversazione fatta con l’altro sino a poco prima allo zoo. Non aveva fatto caso a quanto fosse distante l’ufficio di Key, ma forse a causa del caldo ad averlo affaticato un po’, si era sentito contento quando gli era stata aperta la porta per farlo entrare, ma soprattutto era stato stracontento di aver usufruito dell’ascensore e non delle scale. Lui cercava sempre palazzi dotati di tale attrezzatura tecnologica. Entrato aveva dato un’occhiata generale trovando dentro ad una sala di attesa non tanto grande mentre lui aveva sempre immaginato qualcosa di più spazioso, ma non era quello che contava alla fine anche perché era stato attirato dal forte odore dell’angelo e da un altro che doveva essere la persona che lavorava per lui. L’aveva cercato e aveva trovato un uomo sulla sessantina che aveva salutato e al quale Daisuke aveva risposto con un leggero inchino col capo.
    Salve, Daisuke
    aveva detto, presentandosi anche al signore
    Aveva notato subito dopo il fatto che Key non aveva risposto al saluto dell’uomo e a quel fatto aveva sollevato le sopracciglia un po’ sorpreso, più che altro perché quell’uomo aveva l’aspetto del più innocuo essere sulla faccia della terra, e anche di quello che si fa in quattro per offrire un buon servizio a qualcuno. Erano tutte impressioni era ovvio, ma dopo magari avrebbe dato il suo monito all’altro per essersi comportato in quel modo. Lui era menefreghista in generale, ma pensava che la barca, la sua di barca andava avanti anche grazie al lavoro dei suoi dipendenti e che usare un po’ di gentilezza con loro non faceva mai male. Rimasto lì in piedi aveva seguito con lo sguardo i gesti di Key che gli indicava la posizione di questa o quella stanza, ad esempio il bagno e poi l’ufficio alla cui proposta di entrare aveva risposto positivamente. Eppure in un attimo in cui si era voltato verso l’uomo aveva notato un certo cambiamento nell’espressione del viso, quasi fosse curioso di sapere chi lui fosse, si sentiva in un certo senso osservato anche se non sapeva dire fosse veramente quella la sensazione che aveva in quel momento.
    Va bene, entro
    Aveva risposto a Key prima di voltarsi verso il segretario e fargli un leggero sorriso un po’ infantile
    Ma quando cominci a ricevere i tuoi clienti io esco e resto qui a fare compagnia a questo signore
    Non era stato un sorriso né dispettoso né di chi stava prendendo per i fondelli qualcuno, quel signore lo incuriosiva sul serio e nell’attesa di avere Key nuovamente libero e a sua disposizione magari ci avrebbe scambiato due parole sul serio. Poi era entrato nell’ufficio vero e proprio e si era guardato attorno fermo poco più avanti della porta in modo da dare spazio di entrare anche all’altro. Era un arredamento in un certo senso caratteristico per gli uffici, lo era anche il suo in fondo, però gli piaceva tutto sommato e aveva una voglia matta di sedersi su quella sedia davanti alla scrivania e mettersi a schiacciare un bel pisolino, o al massimo fumarsi una bella sigaretta parlando del più e del meno con l’altro. Alla fine però era rimasto lì e si era girato quando aveva sentito l’altro entrare appresso a lui e chiudere la porta e solo ora che erano soli aveva avanzato un paio di passi verso la tanto agognata scrivania poggiando il gomito allo schienale della sedia dove immaginava sedesse il cliente di turno. Aveva voglia di fumarsi una sigaretta, ma non era il caso farlo in un posto come quello, anche perché per legge era vietato farlo.
    Dovresti essere un po’ più cordiale con il tuo segretario, non credi?
    Alla fine gliel’aveva detto, non con un tono che avrebbe potuto sapere di monito o di ripresa. Era serio, ma non duro o freddo.
    In fondo sta qui per aiutarti a gestire il tuo lavoro e se l’organizzazione va bene è anche merito suo, magari lo paghi il giusto e va bene, ma la gratificazione arriva anche da un buon rapporto con il titolare. No?
    Non voleva affatto fargli la predica anche perché non era proprio da lui assumere certi atteggiamenti da saputello, però quell’uomo aveva salutato e sarebbe stato quanto meno apprezzato ricevere altrettanto, almeno era ciò che supponeva. Per evitare che quello fosse interpretato come un discorso pesante e forse anche poco gradito dall’altro aveva subito pensato di rimediare mentre si metteva la mano nella tasca dei pantaloni.
    Immagino non si possa fumare, ma chiedo lo stesso…
    Aveva domandato senza tirare ancora il pacchetto di sigarette, avrebbe aspettato la risposta dell’altro.

     
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    Se non fosse parso strano ce l'avrebbe quasi spinto all'interno del proprio ufficio pur di non lasciarlo un altro momento lì. Aveva trattenuto a stento una sorta di malcontento quando gli aveva detto che mentre si occupava della clientela avrebbe fatto compagnia al segretario. Non era troppo contento di quel tipo di rapporto, ma non poteva farci niente. Magari avrebbe cercato di ammortizzare la faccenda in privata sede, ovvero quando sarebbero stati rinchiusi all'interno dell'ufficio.
    Eppure l'uomo si era mostrato compiaciuto nel vedere che quel nuovo ospite si rivolgeva a Key usando la forma del tu. Nessuna formalità, la possibilità che dunque si conoscessero e che quella conoscenza non avesse a che fare con il lavoro. Aveva lasciato intravedere un accenno di sorriso, prima di tornare alla sua scrivania, risistemare il planning e controllare le fatture con una maggiore soddisfazione sul volto.
    Era entrato a seguito dell'altro, quindi aveva preferito chiudere la porta. Quello che non si aspettava era quella reazione. Lo aveva guardato con gli occhi spalancati «Mi fai la predica?» aveva domandato sollevando un sopracciglio. Perché? Perché gli stava dicendo quello? Perché gli aveva detto di dover essere più gentile con qualcuno che nemmeno conosceva?
    Aveva tratto un respiro e si era portato alla finestra spalancandola, quindi si era seduto al suo posto dietro alla scrivania sprofondando nella poltrona. Se ne era rimasto per qualche secondo quasi a riflettere con una cartella in mano a mordicchiarsi il labbro.
    «Con lui è così...» non vedeva perché doveva giustificarsi, ma una parte di lui gli stava suggerendo che quella era la soluzione più congeniale a quella situazione. «È bravo nel suo lavoro, ma non è di quel genere la soddisfazione che cerca.» Vero, in un certo senso, perché quell'uomo era lì non tanto per il lavoro, ma per una certa situazione personale, che poi anche quella fosse una triste conseguenza di altro, beh, nemmeno quell'uomo poteva saperlo. «È che alle volte la sua presenza mi soffoca, come se volesse ricoprire un ruolo che in realtà non gli appartiene. Se non ti avessi trascinato qui ci avrebbe riempito di domande e ti avviso, lo farà... Proverà di nuovo a farti delle domande quando sarai fuori di qui. Vorrà sapere chi sei e tutto il resto. Non sei obbligato a rispondere comunque.» Il tono era calmo, alla fin fine non si era alterato, stava soltanto dando una motivazione a quel suo comportamento, che tra l'altro non era mai stato troppo diverso nei confronti di quell'uomo. Non gli importava alla fin fine di lui se non per quanto faceva parte della sua piccola collezione di anime. in pena, quelle cui aveva ridotto l'esistenza a un trascinarsi di giorno in giorno, quelli che avevano perso tutto, o quasi. Oh beh, al diavolo ci aveva provato che poi quei due scendessero comunque alle chiacchiere non poteva farci niente, voleva dire che se ne sarebbe subita un'altra di predica poco più tardi a meno che certo non avesse trovato modo di fargli cambiare idea.
    «Comunque sì, puoi fumare.» aveva aggiunto spostando un posacenere dal suo lato della scrivania al centro.
    Se ne era presa una anche per se stesso.
    Alla fin fine quell'ufficio, un po' come casa sua, era quello che definiva il suo piccolo regno. Lì le regole le stabiliva lui. Poteva concedere che non si fumasse nella sala d'aspetto, ma lì, nel suo ufficio poteva fare quello che voleva.
    «Posso farti una domanda? Perché stiamo parlando del mio segretario?» Giusta osservazione, dopotutto quella era l'ultima delle motivazioni che poteva avere per averlo portato lì. In ogni caso aveva voluto in qualche modo rassicurarlo, forse per evitare che l'argomento potesse presentarsi di nuovo «Se però ci tieni così tanto posso fare un tentativo di mostrarmi più cordiale con lui, va bene?» Aveva preso a sfogliare la cartella sperando che davvero quell'argomento si chiudesse lì una volta per tutte.
    Aveva aspirato dalla sigaretta, allontanando nuovamente lo sguardo dal quell'insieme di scartoffie che si trovava davanti «Piuttosto, cosa ne pensi? Ti piace qui?»

     
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    Un po’ se l’era aspettata una reazione come quella che aveva visto arrivare dall’altro e aveva sorriso appena scuotendo il capo alla sua domanda.
    Predica? No, un semplice appunto, un’osservazione ecco
    Non l’aveva considerata come predica o sermone come dir si voglia, anche perché non era proprio da lui fare quelle cose tanto era menefreghista nei confronti di tutti, salvo casi rari. Aveva solo voluto dirgli che essere un poco più cordiali con i propri dipendenti non costava niente, anche se fosse stata solo per copertura, per facciata ad un dipendente faceva comunque piacere ricevere almeno un saluto e magari anche scambiare due parole col proprio titolare, due appunto, perché tre potevano diventare troppe. Non era il tipo lui da voler instaurare chissà quali rapporti con gli altri a meno che non considerasse qualcuno valido per qualcosa, ma finiva lì. Eppure non negava che a volte aveva trovato interessante e anche piacevole fare due chiacchiere con la receptionist del suo ufficio, o con i ragazzi che lavoravano per lui, almeno serviva anche ad alleggerire la giornata di lavoro. Forse Key aveva una visione diversa di un rapporto di lavoro e forse vedeva quella differenza anche perché era palese che il suo dipendente avesse almeno il doppio della sua età. Forse lo vedeva più come un padre o un presunto tale, o forse non lo vedeva proprio in nessuna maniera se non come quello che in un certo senso gli organizza il lavoro e gli gestisce i clienti.
    L’aveva seguito con lo sguardo fino alla finestra muovendo lentamente la testa nella sua direzione e si era voltato quando l’altro si era seduto sulla sua poltrona. L’aveva guardato con quella cartella in mano senza però dare peso a quella cosa quanto a quanto gli era stato detto dopo. Aveva corrucciato la fronte e inclinato la testa verso la spalla destra trovando in un certo senso curioso il fatto che quel signore fosse lì e a quelle condizioni perché cercava condizioni diverse da quelle ipotizzate da lui stesso, ovvero titolare-dipendente. Ma non aveva fatto domande, lasciando anzi che l’altro proseguisse mentre si godeva l’aria tiepida che entrava dalla finestra spalancata, dato che lui stava proprio in linea con quella. Aveva preferito sorvolare sul discorso del ruolo e tutto quanto preferendo focalizzarsi sulla seconda parte della risposta di Key, anche perché in un certo qual modo voleva rassicurarlo di qualcosa.
    Non ti preoccupare, decido io fino a che punto le persone possono ficcare il naso nei miei affari e se mi chiede qualcosa di me e di te, semplicemente faccio il vago e rispondo a modo mio
    Aveva sorriso col suo solito modo furbo e soddisfatto, prima di proseguire.
    Ma vale anche per tutto il resto. Se ti fidi di me due chiacchiere con il signore le faccio, altrimenti vado a fare un giro approfittando del fatto che più tardi devo andare a prendere qualcosa per la cena per me e per te
    Il suo tono era calmo ed era stato contento che l’altro ne avesse mantenuto uno uguale, in fondo si stava solo parlando e da parte sua quel discorso sul segretario non era certo qualcosa da prendere così sul serio. Infatti aveva scrollato le spalle quando gli era stato domandato il perché si stesse parlando di quell’uomo e aveva tirato fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette dato gli era stato detto che poteva farlo. Si era preso il tempo per accendersene una portandosela lentamente alla bocca, si era anche goduto il primo e profondo tiro e poi era tornato a guardare l’altro ancora seduto al suo posto, dove sarebbe rimasto sino a fine giornata.
    Non era importante parlarne, giusto così perché aveva notato il fatto che non hai risposto al suo saluto e te l’ho detto. Tutto qui
    Altra scrollata di spalle alle parole che erano venute dopo, non si era irritato perché aveva sperato che non fossero state dette per accontentarlo in qualche modo.
    Alla fine sei libero di farlo come anche di non farlo. Mica ti volevo obbligare, figuriamoci. Al posto tuo e qualcuno mi avesse detto qualcosa con quell’intento, l’avrei cacciato fuori a calci
    Tanto per dire che alla fine poteva pure lasciar perdere sia quel discorso sia quell’ipotetico sforzo di essere più cordiale con il suo dipendente.
    Quindi anche per lui quel discorso era finito lì, gli era stato chiesto se gli piaceva quel posto e dopo aver dato un’ulteriore occhiata, veloce e approssimativa, aveva annuito perché dopo tutto non poteva dire non gli piacesse o lo trovasse di cattivo gusto.
    Sì, perché non dovrebbe piacermi? E poi tu in questo contesto ci stai a pennello, quindi va bene no?
    Un modo tutto suo sicuramente di dire che alla fine se ci stava bene lui doveva andare bene al mondo intero, o meglio ancora: se una cosa andava bene a lui del resto doveva fregarsene. Lui almeno ragionava secondo quell’ottica che prevedeva l’appagamento personale e se qualcosa non piaceva al resto lui restava nella più totale indifferenza e continuava a farselo piacere. Non c’era nulla da fare, era egoista anche nelle cose più piccole.



    Edited by Daisuke R. Stark - 1/8/2013, 23:10
     
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    Aveva solo sorriso a quella risposta, non era una predica. Beh, lui stava scherzando se avesse creduto davvero che gli stesse facendo la predica avrebbe reagito in maniera completamente diversa. Eppure lo aveva fatto pensare il fatto che gli avesse posto quella domanda. Come doveva apparire visto da fuori? Era quella forse un'inclinazione? Una crepa sulla superficie dello specchio, un qualcosa che andava a scalfire quella perfetta immagine di se stesso.Ma poi si era anche chiesto come avrebbe reagito quell'uomo ad un improvviso cambio di atteggiamento da parte sua. Ma d'altro canto non poteva rientrare quella nel lungo elenco delle stranezze di Key? Dopotutto, sebbene quell'uomo lo conoscesse orma da quasi una decade di lui non sapeva quasi nulla, mentre lui dell'altro sapeva più di quanto quello probabilmente volesse fargli sapere. Casi della vita, tutto sommato, era certo di restare sotto certi aspetti un grande mistero per il suo impiegato, come un po' per tutto del resto.
    Era rimasto in silenzio, però, per un po' come se si fosse preso una pausa fuori dal tempo e dello spazio, mentre continuava a d ascoltare quello che l'altro aveva da dire sfogliando distrattamente la cartella e spostando lo sguardo da quella al suo interlocutore. «Non è questo...» aveva voluto specificare. Non aveva niente da nascondere tale che i due non potessero conversare. Certo non lo avrebbe infastidito che il suo segretario venisse a sapere che aveva avuto rapporti con un altro uomo, tanto per dirne una. Anzi magari sarebbe riuscito anche a sconvolgerlo con la cosa e quello non gli dispiaceva affatto, ma il contrario. «Non vorrei che ti infastidisse, tutto qui. O ti annoiasse.» O che gli raccontasse delle sue disgrazie o di predica, lì sì che se ne sarebbe guadagnata una.
    Di nuovo aveva scosso la testa quando gli aveva fatto notare quella cosa del saluto. «Non stava salutando me...» aveva tenuto a specificare «L'ho già salutato questa mattina, stava salutando quello che credo, avesse immaginato essere un cliente. Suppongo non si aspettasse che ti avrei fatto entrare subito qui, insomma il più delle volte tengo la mia vita privata separata dal lavoro.» Il più delle volte era in realtà sempre, Insomma, quando mai aveva riunito le due cose? E poi vita privata, ce ne sarebbe stato da dire in proposito.
    Aveva sorriso a quella definizione di sé relativa al proprio contesto.
    «Non lo so... Che io sappia è la prima volta che sei entrato qui. Volevo sapere che impressione ti aveva dato questo posto. Se magari lo avevi immaginato diverso. Cose così. Io sono stato nel tuo ufficio a ripescare le tue chiavi, ma tu non eri mai venuto nel mio studio. E poi non so se tu sia stato da altri avvocati, forse sì. Ma magari in America è un po' diverso, anche se alla fine non tutti gli studi sono uguali, ognuno li arreda come meglio crede, dopotutto.»

    Si era preso qualche altro istante di silenzio mentre guardava l'altro «Piuttosto, davvero non ho pensato a come lasciarti trascorre il tempo, insomma, per alcuni casi potresti anche rimanere qui e lasciare ce ti credano un praticante, ma non posso farlo per tutto. Capirai che ci sono alcuni clienti che preferiscono un po' di riservatezza in più Ma questo qui...» aveva scosso la cartella in modo da mostrarla all'altro «Lui è relativamente tranquillo.» Un piccolo furto in un supermercato. Il ragazzo a quanto sembrava doveva avere tendenze cleptomani, rubava e non lo faceva nemmeno con cognizione di causa. Aveva diciannove anni. Non si sarebbe spaventato a vedere un'altra persona in quello studio e nemmeno avrebbe tenuto troppo alla sua riservatezza. Al diavolo, era un santo stando alla sua clientela media. Quello di dopo invece era uno spacciatore, di quelli che sapevano fare bene il loro lavoro. Lì la situazione rischiava di essere un tantino più complessa. Poi c'erano una coppia di coniugi in via di divorzio. L'ultimo un esponente di un gruppo malavitoso, ben gestito tra l'altro, non era il primo contatto che aveva da parte di quella gente.
    A parte quello aveva dei libri che non erano testi legali. Così per passatempo, ogni tanto ce ne portava qualcuno, oltre all'immancabile Milton sulla scrivania che tanto conosceva a memoria. Avrebbe anche potuto lasciargli uno di quelli, o proprio Milton se voleva.

     
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    Aveva visto il sorriso fatto dopo la sua risposta su quella sua considerazione riguardo l’atteggiamento nei confronti del segretario, ma aveva lasciato perdere nonostante avesse voluto chiedergli il perché di quel sorriso. Certo, gli aveva fatto notare quella cosa perché quel suo modo di porsi l’aveva visto un po’ fuori luogo per uno come lui, o almeno secondo l’idea che aveva dell’altro e quella che questo voleva dare di sé agli altri. C’erano evidentemente un po’ di cose che entrambi preferivano non dire, uno per un motivo e l’altro per altri motivi e forse andava bene così, dopo tutto tra loro due pareva funzionare in quel modo. Riflettendoci delle volte gli veniva da pensare che tra loro si preferisse approfondire discorsi più spinosi e che richiedevano un maggiore impegno e più riflessioni, mentre quelli più superficiali e superflui, come appunto quello lì, stavano bene fatti in quel modo. Stava pesando appunto a quella cosa mentre lo osservava nel suo silenzio anche dopo essersi spiegato meglio ed era rimasto un po’ sorpreso riguardo al fatto che il saluto non era stato fatto all’altro bensì proprio a lui. Gli avrebbe detto che aveva avuto l’impressione contraria, ossia che l’uomo avesse salutato l’altro e che lui invece si era presentato per educazione e non ultimo per evitare di far fare brutte figure a chi l’aveva invitato ad entrare in quell’ufficio. Ma aveva preferito tralasciare quel dettaglio anche perché altrimenti sapeva sarebbero finiti a parlare solo di quello mentre l’altro aveva fatto capire abbastanza chiaramente che la cosa doveva finire lì. Se doveva ammettere a se stesso una cosa era che Key gli piaceva per il suo modo di fare intendere le cose, le sue volontà, senza doversi esprimere troppo, era stato chiaro con i gesti e poche parole e in fondo gli andava bene così, perché dopo tutto anche lui a volte capitava di comportarsi alla stessa identica maniera.
    Comunque non mi annoia e non credo nemmeno potrebbe infastidirmi, e in tal caso saprò cavarmela senza farti fare figuracce!
    Aveva concluso la faccenda segretario a modo suo, alla fine se la sarebbe fatta una breve chiacchierata con l’ometto simpatico e avrebbe rigirato l’intera faccenda in modo tale da rispondere sì alle domande, ma senza far sapere nulla di importante di sé, era bravo a rigirarsi la frittata affinché poi fosse lui a fare domande e gli altri a rispondere, doveva solo vedere se quell’uomo era così ingenuo da cascarci con tutte le scarpe. Avevano quindi abbandonato quel discorso e gli era stato domandato cosa pensasse di quel posto, forse non aveva dato la risposta che l’altro si aspettava e l’aveva capito da quella che a sua volta gli aveva dato. Aveva sorriso e aveva dato un bel tiro alla sigaretta prima di abbassare lo sguardo divertito sull’altro, mentre lo ascoltava la sua testa però già stava formulando le sue frasette e qualcos’altro di caratteristico e tipico dei suoi modi di fare.
    Ovvio che l’avevo immaginato diverso
    Aveva esordito scrollando le spalle con finta indifferenza mentre avrebbe voluto ridacchiare per quello che gli stava per dire.
    Ti avevo prefigurato in un ambiente grande, con una sala d’attesa altrettanto grande e una bella segretaria che ti saluta e ti sorride perché contenta di passare una giornata intera con uno come te, ma alla fine mi piace così
    Aveva aggiunto guardandosi un attimo attorno prima di tornare a prestare la propria attenzione all’altro.
    Così è più raccolto e intimo
    Accennando al suo sorrisetto furbo e sotto i baffi aveva lasciato cadere la cenere dalla sigaretta per fare un altro tiro guardando quel cilindro che era a meno della metà. L’altro intanto pareva essersi ricordato solo in quel momento sul come gli avrebbe fatto passare il tempo fin tanto che si sarebbe occupato dei suoi clienti, oltre alla chiacchierata col segretario, gli aveva proposto di stare lì con lui quando i clienti erano più gestibili facendogli capire che la cartella che teneva in mano era proprio quella di uno di quelli più tranquilli e che avrebbe accettato la presenza di una terza persona, altri invece no. Mentre Key parlava, Daisuke aveva fatto scorrere lo sguardo dalle mani dell’altro al resto delle cose presenti sulla sua scrivania e si era posato in fine sul libro di Milton e lì la sua curiosità si era manifestata anche con un guizzo vivace negli occhi.
    Leggerò qualcosa da qui
    Aveva detto indicandolo, ma senza toccarlo perché preferiva fosse l’altro a darglielo senza che dovesse aspettare e ancor prima dover chiedere palesemente se poteva prenderlo. Era fatto così. Aveva dato l’ultimo tiro alla sigaretta e l’aveva spenta nel posacenere prima di fare il giro della scrivania e mettersi accanto alla sua sedia, in piedi.
    Ti faccio una proposta che non puoi rifiutare
    Mordicchiandosi prima il labbro e guardandolo dalla sua posizione, si era chinato per prendere nella mano il bracciolo della sedia e girarla verso la sua direzione, aveva piegato le gambe finendo in ginocchio davanti a lui e poggiando i gomiti sulle sue ginocchia aveva fatto scorrere le mani sino alla cintola dei pantaloni per afferrarla e stringerla una po’.
    Magari finché non arriva il tuo primo cliente…
    Aveva lasciato la frase a metà mentre giocherellava con il bottone dei suoi pantaloni, lasciando all’altro la totale libertà di pensare quel che voleva anche se la posizione che aveva preso, lì piegato davanti alle sue gambe, poteva lasciare ben poco all’immaginazione. Stava giocando, lo stava facendo a modo suo come sempre, cioè con quel suo modo di fare malizioso e del tutto strafottente, ma era fatto così. Inoltre era vicino il plenilunio, era solo questione di pochi giorni e in quel breve arco di tempo il suo umore era volubile e cambiava repentinamente, così come aumentava la libido, il desiderio sessuale. Vero era che in quel momento non era sua intenzione fare qualcosa, o almeno non con quell’ometto curioso che stava dall’altra parte della porta, ma aveva preferito chiudere del tutto il capitolo che riguardava quest’ultimo a modo suo. Anche perché sapeva che tra non molto Key sarebbe stato impegnato col suo lavoro e non era certo il momento di mettersi a fare certe cose. Eppure aveva mantenuto la sua espressione incuriosita di chi aspetta una risposta e una reazione, ovviamente l’espressione cercava al meglio di far credere avesse fatto seriamente quella proposta.



    Edited by Daisuke R. Stark - 4/8/2013, 23:02
     
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    Quel discorso era stato definitivamente chiuso, Non poteva che esserne felice anche perché poteva diventare terribilmente lungo e lui non aveva alcuna intenzione di passare tutta la giornata a parlare del segretario. E poi cosa doveva incontrare? Quell'uomo apparteneva a un universo completamente diverso rispetto a quello in cui aveva collocato invece Dairo. C'erano differenti ragioni per cui si teneva stretto l'uno e si teneva stretto l'uno e l'altro. Uno lo stava schiacciando l'altro lo stava innalzando che poi il fine fosse lo stesso, ovvero la dannazione, non significava che non potesse essere raggiunto tramite due percorsi diversi. Gli era stato detto che non si sarebbe annoiato e che Daisuke non credeva che l'altro sarebbe riuscito ad infastidirlo. Aveva soltanto alzato le spalle a quel proposito. Alla fine la cosa non lo preoccupava più di tanto. Cosa avrebbe potuto dirgli al massimo? Che lo considerava sfuggente? Che in quasi dieci anni che lavorava per lui non era mai riuscito a infilarsi nella sua vita personale? Che non capiva i tipi di ragionamenti che dovevano articolarsi in quella sua testolina al momento bionda? che in tutto quel tempo che lo conosceva il suo aspetto non era cambiato minimamente? Ecco, quello forse lo preoccupava un tantino di più, ma dubitava che sarebbero finiti a parlare di connotati facciali o comunque dubitava che quell'uomo avesse mai fissato la sua attenzione su quel particolare o qualche accenno in tutto quel tempo l'avrebbe anche fatto... credeva...
    Ma il discorso si era spostato poi sul suo ufficio. Sul fatto che l'altro doveva averlo immaginato più grande «Mi sarebbe piaciuto più grande, ma mi sarebbe stato di poca utilità. Nel senso, tendo a spostarmi, a viaggiare. Una casa è un posto in cui puoi ritornare, ma un ufficio finisci per trovarlo nuovo. Mi sono già allontanato da Nouvieille una volta e per un tempo abbastanza lungo. Se andassi via di nuovo cosa me ne farei di un grande ufficio inutilizzato a parte riscuoterci l'affitto? E poi gli uffici piccoli si affittano prima, quelli grandi danno un maggior numero di complicazioni. Troppo cari, troppe tasse. Quanto alla segretaria posso sempre assumerne una e farle fare i turni. tanto il lavoro qui dentro non manca.» Non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea di mandare in pensione il suo attuale dipendente.Gli serviva che stesse lì e poi, al diavolo, lo sapeva che quell'uomo lo adorava e avrebbe fatto qualunque cosa... o quasi.
    L'aveva visto posare lo sguardo su Milton durante quel discorso e anche l'aveva sentito dire che avrebbe letto qualcosa da lì. «È tutto in versi, ti avviso.» Non aveva potuto trattenere quella considerazione anche perché era ben consapevole che non tutti apprezzavano qualcosa scritto in quel modo «Però a me piace. Lo trovo interessante.» una piccola aggiunta riguardo il suo parere personale a proposito di quel libro di cui aveva più versioni. C'era cresciuto con quel libro seppure non era sempre stato facile metterci le mani sopra. Ai suoi tempi, non era molto apprezzato come tipo di lettura e forse era stato proprio per quello che lui ci si era fissato. "Peccato il finale..." Era stata una sua considerazione mentale all'intero contesto. Non poteva riferirla all'altro.
    Aveva allungato la mano per prenderlo mentre l'altro gli era girato intorno ritrovandoselo poi al suo fianco. Una proposta, voleva fargli una proposta. Aveva girato il capo per guardarlo con un'espressione palesemente interrogativa stampata in volto, mentre lo ruotava nuovamente in direzione opposta nel frattempo che l'altro voltava la sua sedia. Non aveva nascosto una certa soddisfazione nel vederselo quasi inginocchiato davanti, con il libro ancora nella destra lo aveva guardato per qualche istante mentre si metteva lì ad afferrargli l'orlo dei pantaloni. Mentre arrivava il primo cliente. Che strano che gli stesse facendo quella proposta proprio lì, in quel momento nel suo studio, mentre chissà chi, almeno per quanto ne poteva sapere Daisuke, poteva essere già nelle scale ad attendere di poter finalmente entrare e sbrigare le proprie faccende.Aveva posato il libro e la cartella e gli aveva portato una mano sotto il mento a tenergli sollevato un po' il viso così che lo guardasse. «Sai... A questo punto quasi mi dispiace dover soltanto pensare che preso il prossimo cliente dovrà varcare quella porta.» L'aveva indicata con un cenno del capo, quella porta, quindi aveva posato l'altra mano fra i capelli di Dairo accarezzandolo lì, poco sopra l'altezza dell'orecchio «Certo se solo fossi tu il mio primo cliente avrei una buona scusa per lasciarlo aspettare fuori.» L'aveva buttata lì, con il tono un po' di capriccio e un po' di scherzo. Ma se pure, era comunque l'occasione per poter unire l'utile e il dilettevole all'ancora più utile. E per ciò aveva ripreso con quelli che l'altro chiamava scherzosamente grattini come se stesse coccolando un grosso e mansueto gatto e non un uomo di quella che doveva essere la sua stessa età.
    Tentazione.
    Non avrebbe insistito oltre su quell'argomento perché sarebbe sembrato che avesse voluto infilarcisi per forza. Aveva solo gettato l'amo, ma più come se fosse un gioco che come se parlasse seriamente. Perché doveva sembrare un gioco, perché doveva essere come se non avesse avuto nulla a che fare con tutto il discorso pronunciato precedentemente al giardino zoologico, davanti alla gabbia della lince. Allo stesso tempo le carezze volevano distrarlo, fare sì che si dimenticasse di quello che comprendevano quegli argomenti e che invece si rilassasse lasciando anche al pensiero di srotolarsi in maniera più tranquilla, una sorta di piccolo limbo nel quale tutti i problemi del mondo esterno potevano cessare di esistere ammesso e non concesso che avrebbe voluto seguirlo al suo interno. Erano sue le regole di quel posto. Poteva trasformarlo e adattarlo come meglio credeva a chi aveva di fronte. Così doveva funzionare. E anche per quello la mano destra si era spostata dal mento alla schiena dell'altro come se volesse fargli un lungo massaggio quasi cercando di tirarselo più vicino. Ora non gli serviva più che lo guardasse, poteva anche poggiarci la testa sulle sue gambe.

     
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    Aveva tirato fuori il discorso della segretaria tanto per scherzare, non che sarebbe stato geloso anche perché lui per primo faceva come voleva e perché tra loro non c’era in fondo nessun vincolo a tenerli legati. Alla fine trovava più divertente quell’ambiente con tanto di segretario al suo posto, servizievole e devoto al suo datore di lavoro. Riteneva quindi del tutto inutile dilungarsi su quel fatto, anche perché in fondo non c’era nulla da dire o da aggiungere anche perché Key gli aveva fatto un discorso messo più sul lato pratico dell’avere un ufficio piccolo e da quel punto di vista non aveva potuto dargli torto. Aveva preferito fargli sapere come avrebbe passato il suo tempo una volta varcata la soglia di quella stanza indicandogli il Milton che l’altro aveva sulla scrivania. Sapeva chi era l’autore e sapeva bene o male cosa aveva scritto, ma quel libro non aveva avuto modo di leggerlo anche perché dopo tutto non era questo grande lettore, preferiva altro come ad esempio suonare o ascoltare musica, la sua adorata fotografia che da quando stava lì poteva dire senza problemi di aver trascurato del tutto. Eppure aveva scrollato le spalle al fatto che quel libro fosse scritto in prosa, avrebbe letto qualcosa sino a dove sarebbe riuscito ad arrivare anche perché decisamente non aveva voglia di mettersi a fare il topo di biblioteca quando avrebbe potuto fare ben altro.
    Leggerò solo qualcosa, anche perché dopo scendo a prenderci da mangiare. Dimmi piuttosto cosa vuoi
    La cena era importante, anche perché nonostante il gelato preso prima, cominciava ad avvertire un certo appetito, una fame che spesso lo induceva a pensare fosse anche l’avvicinarsi del plenilunio, e come la luna piena in arrivo si divertiva a giocare con lui anche prima modellandogli l’umore, aumentandogli il desiderio sessuale e tanto altro, forse quella fame che poteva definire già quasi tremenda era da ricollegare a quella specie di ricorrenza. Gli veniva ancora difficile gestire tutte quelle cose perché avevano tutte a che fare con una sfera della sua persona che non aveva nulla di razionale. Erano aspetti prettamente istintivi quelli che avvertiva in quelle giornate così strane e spesso si domandava se con il passare degli anni e con una maggiore esperienza alle spalle sarebbe stato capace a controllare anche tutti quegli impulsi. Era per quel motivo infatti che stranamente cercava quel contatto con l’altro, non che generalmente non lo volesse, ma quella volta pareva quasi non potesse farne a meno, come fosse incapace di resistere dal voler sentire la propria pelle a contatto col calore di quella dell’altro, anche se a dividerli c’erano gli abiti che indossavano. Era come se la sua mente venisse annebbiata a sprazzi, come se per brevi attimi la sua razionalità venisse sostituita dalla mente animale che si stava risvegliando piano piano in lui sino a quando non sarebbe stata completamente desta con la Luna piena. Mettersi quindi lì davanti a lui e con le gambe piegate aveva avuto un doppio scopo, uno sicuramente quello di provocarlo in qualche modo ai suoi giochi che si divertiva tanto a fare usando la sua malizia, l’altro quello di cercare quel contatto con lui anche se la posizione e le sue parole avrebbero potuto far intendere davvero altro. Non era sicuro se Key aveva pensato a quella cosa, ma alla fine nemmeno ciò rientrava tra quelle da fare in quella circostanza perciò andava bene in quel modo. E poi quelle avevano bisogno del loro tempo, dell’alchimia del momento e quello non lo riteneva proprio tale, anche perché il pensiero dei clienti che stavano per arrivare gli avrebbe messo addosso una certa ansia. O qualcosa di simile.
    Si era fatto sollevare il viso e aveva puntato gli occhi chiari nei suoi per qualche attimo per poi dedicarsi all’osservazione della sua espressione prima di seguire anch’egli con lo sguardo il punto dove aveva indicato l’altro con quel cenno del capo. Aveva osservato incuriosito la sua mano protendersi verso il proprio viso e con la coda dell’occhio aveva avuto modo di vedere che alla fine quelle dita, quella mano era andata a finire tra i suoi capelli poco sopra l’orecchio. A quel gesto gli era venuto spontaneo piegare la testa verso quella mano puntando il mento un po’ verso l’alto prima di strofinare quella parte sul quel palmo che lo accarezzava dove gli piaceva tanto. Aveva proprio l’espressione compiaciuta, soddisfatta ed un sottile sorrisino sornione sulle labbra mentre lo ascoltava, perché alla fine sentiva e capiva bene ancora ciò che succedeva attorno e a lui stesso. Quelle carezze gli piacevano però, cavolo se le apprezzava, eppure in quello stesso momento riusciva a pensare a come rispondergli senza dargli comunque troppa corda, o troppe soddisfazioni.
    Mi considereresti un cliente solo per non smettere di smuscinarmi i capelli?
    Non stava pensando affatto ai discorsi fatti prima al giardino zoologico, li aveva rimossi o almeno credeva di averlo fatto, ma forse stavano solo dietro l’angolo ad aspettare il momento più adatto per spiccare il salto e tornare a farsi sentire. Per ora si godeva quelle attenzioni anche se comunque non poteva esternare l’apprezzamento come avrebbe voluto.
    E dire che io avevo pensato a proporti altro, ma alla fine va bene
    Gli era venuto spontaneo bloccarsi quando aveva sentito l’altra mano di Key finire sulla schiena, così come naturale gli era venuta curvarla e protendersi ancora verso di lui tenendo le dita ferme e strette al bordo dei suoi pantaloni.
    Va bene così
    Alla fine voleva i suoi spazi, anzi voleva il suo di spazio, quello che aveva deciso di prendersi senza nemmeno chiedere né far intendere. Era nella sua indole prendersi ciò che voleva e come voleva e per quel motivo aveva spinto le ginocchia dell’altro col petto per crearsi appunto quello spazio che doveva essere suo in quel momento perché voleva avere quel contatto che poco prima aveva solo pensato. E ora lo esigeva e se l’era preso anche con una certa prepotenza come avrebbe fatto davvero un gatto per avere la sua razione di carezze. Le mani che teneva ai suoi pantaloni gli facevano da appiglio quando era avanzato col busto e la testa verso l’altro, anche quando aveva cominciato a strofinarsi sul suo ventre e più su. Con la testa prima, poi con la guancia e la spalla assieme, e la zona della cervicale perché in quel momento voleva anche lasciargli addosso il suo odore, quello che nessuno avrebbe sentito se non lui stesso che ne era il possessore. Non erano movimenti veloci, anzi lenti e proprio di chi attraverso quel contatto e quello strofinamento cerca un po’ di calma. A modo suo, come sempre, stava lasciando intendere che il primo cliente avrebbe potuto aspettare qualche minuto in più, il motivo non era certo tenuto a saperlo.

     
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    Lo aveva guardato come se in realtà si fosse aspettato un ripensamento «Se vuoi leggerlo puoi portartelo a casa, tanto io l'ho già letto e comunque ho un'altra copia.» Più di una in realtà. Le collezionava le copie di quel libro, ne aveva quasi di tutte le edizioni. Ecco sì, se avesse voluto dire di avere una collezione era quella delle versioni del "Paradiso Perduto" di Milton. Beh, a ognuno le sue stranezze, no? «Per quanto riguarda il mangiare, mi fido, Scegli tu, tanto io mangio quello che capita, non ho preferenze. A casa il più delle volte mi arrangio io con la cucina, quindi qualunque cosa va bene.» Aveva semplicemente sollevato le spalle a quella considerazione. Era la soluzione migliore lasciare scegliere all'altro, alla fine avrebbe anche capito qualcosa di quali erano i suoi gusti, il che aveva la sua utilità. Anche se per quanto ricordava quando era all'ospedale gli aveva chiesto dei dolci «Prendi anche il dolce semmai.» Almeno avrebbero cenato dall'inizio alla fine «Dopo ricordami ti lascio qualcosa.» L'aveva detto anche un po' distrattamente anche perché ormai stava pensando a ben altro.
    La domanda sul se l'avrebbe considerato o meno un suo cliente solo per continuare ad accarezzargli la testa in quel modo era arrivato proprio nel momento perfetto. Gli aveva sorriso mentre nella sua mente si susseguiva tutta la lunga serie di possibili risposte che avrebbe potuto dare a quella domanda. Un sì, sarebbe stato più che ovvio, ma era troppo scontato. Sarebbe stato, certo, vero solo in parte come poi qualunque altra risposta. «In realtà,» aveva cominciato «troverei qualunque scusa pur di farti diventare sul serio mio cliente, così dovresti venire qui più spesso e potresti metterti lì, dove sei adesso, molto più spesso... Non hai nessun concorrente nel campo lavorativo che vorresti citare in causa?» O comunque, in alternativa c'era sempre il piano B, ma quello non l'avrebbe introdotto lui.
    Aveva continuato ad osservarlo mentre si faceva spazio e sembrava arrampicarsi su di lui come un gatto. Ah, ancora una volta quel paragone, quanto spesso l'aveva espresso. Un gatto. Sì, effettivamente Daisuke era proprio un gatto. Un gatto in tutto e per tutto. Si faceva perfino sgrattinare come un gatto. Stava continuando ad accarezzarlo, aveva perfino stretto la presa dell'altro braccio come a lasciargli intendere che lo voleva lì e che se fosse dipeso da lui l'avrebbe tenuto lì tutto il giorno alla faccia dei clienti. Che poi il ragazzetto cleptomane sarebbe dovuto arrivare fra non molto e forse avrebbe perso gra parte di quello che aveva cercato di tirare fuori fino a quel momento.
    «Vuoi che lo faccia?»
    La domanda l'aveva posta improvvisa dopo tutto quel silenzio che si era creato. Aveva lasciato passare qualche istante come se volesse vedere quale significato attribuire a quell'espressione.
    «Vuoi che chiami fuori e che dica di far aspettare chiunque sia sulla lista d'attesa fino a nuovo ordine?»
    Beh, quella era la sua di proposta che non si può rifiutare, come aveva detto l'altro poco prima. Alla fine non gli interessava nemmeno del compenso, ci avrebbe guadagnato ben altro da tutta quella storia. Come sempre e come in tutti i casi che andava ad affrontare. Era veramente raro che ci guadagnasse solamente in termini di denaro. Ma dopotutto aveva il suo modo di essere convincente e il suo modo di esporre le sue teorie. D'altra parte, se non gli prendeva l'anima, nel senso letterale del termine aveva comunque modo di infilare qualcosa di se stesso nelle esistenze di tutti loro. Clienti onesti, davvero onoesti gli erano capitati di rado, e, per tutti i diavoli dell'inferno, era perfetto così.
    Da Daisuke voleva qualcosa di più. Se ne era interessato da quella notte che aveva trascorso nella sua casa. Voleva essere lui a condannarlo, Lui a sprofondarlo nell'abisso infernale dal quale per qualche ragione e in qualche maniera era saltato fuori, o comunque era saltato fuori quello che doveva essere stato il suo antenato.
    «Tigre...» aveva deciso di rifilargli quel nomignolo, un po' perché ricordava il tatuaggio, un po' per quella strana somiglianza con un gatto che continuava a vedere e che sembrava accentuarsi ogni volta che lo incontrava. Si aspettava quasi che gli facesse le fusa, ma poi non gliele aveva già fatte anche al giardino zoologico? Per un attimo aveva inclinato la testa e si era scostato un po' all'indietro per poterlo guardare meglio. Aveva bussato quindi sulla sua spalla "Terra chiama Daisuke" cercando in quel modo di riportarlo per appena una frazione di secondo nel mondo reale «Che faccio, chiamo?». Che poi, quello significava che avrebbe dovuto almeno liberare una delle due mani.

     
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    I suoi occhi curiosi erano andati a finire sulla copertina del libro quando gli era stato detto che poteva portarselo a casa. Non essendo molto capace di dire grazie sapeva sempre trovare un modo per girarci attorno senza dover pronunciare quella parole, ma forse con Key poteva essere diverso e benché entrambi avessero un carattere forte e fossero dotati di uno spiccato ego, con lui a volte gli capitava di non aver motivo di dimostrarsi tale proprio perché l’altro lo sapeva.
    Grazie
    L’aveva ringraziato e aveva posato la mano su quell’oggetto come se avesse voluto dire che se ne sarebbe ricordato di portarlo con sé una volta che sarebbe dovuto tornare a casa. Ora aveva da pensare alla cena e aveva creduto l’altro gli dicesse di prendere qualcosa di specifico o comunque un genere di pietanze più generico dal quale lui avrebbe potuto scegliere tra varie opzioni, invece Key aveva espressamente detto di fare secondo il suo gusto dato che a lui andava bene qualsiasi cosa. Quello era un po’ un azzardo perché doveva pur esserci qualcosa che all’altro poteva risultare indigesto, difficile da digerire o semplicemente di poco gradimento, ma piuttosto che essere insistente aveva preferito girare la frittata in modo da avere qualche scelta meno ampia.
    Bene, allora visto ho voglia di pesce faccio quello, un contorno e…
    E? Il dolce! Ovvio, anche Key aveva detto di prendere del dolce e a quel proposito lui sapeva già cosa portare, non era la Sacher perché l’aveva presa a pranzo e quindi non gli andava. Forse un bel profiterole, oppure una fetta di Saint Honoré per uno, o magari un bel vassoio di mignon da accompagnare ad una bella tazzina di caffè. Perché no. Era stato qualche attimo a pensare a quelle cose mentre nella sua testa erano passate tutte le immagini di quei dolci, non ultimo il suo tanto adorato tiramisù. E quella poteva essere un’altra opzione, visto che conosceva una pasticceria che lo faceva sia classico che con altri gusti, ad esempio al pistacchio, fragola, nocciola, limone e altro ancora. Si era leccato le labbra solo a pensare a quelle cose e poi era tornato a prestare la propria attenzione all’altro.
    Il dolce ovvio, non può mancare un bel dolce a fine cena!
    Aveva risposto con un certo slancio. La sua golosità a volte usciva fuori senza che se ne accorgesse, ma alla fine non lo riteneva un reato, anzi semplicemente appagante quasi quanto il sesso. Anche se lì c’erano ben altre soddisfazioni da prendersi. Solo per pochi attimi si era soffermato sul fatto che Key provvedesse da sé a cucinarsi e aveva collegato la cosa al fatto che da quanto aveva capito fosse più che benestante anche perché ricordava bene la sua macchina sportiva che certamente non costava nemmeno 50.000 euro, ma molto, moltissimo di più. Aveva sempre che l’altro avesse avuto una governante, o comunque qualcuno che gli faceva almeno le cose che una persona che lavora tutto il giorno non riesce, un po’ come faceva lui. Invece aveva scoperto che probabilmente Key non teneva nessuno in quel senso. Che fosse un tipo al quale piaceva stare sulle sue? Che quando stava in casa doveva e voleva avere la piacevole sensazione di essere lui e lui soltanto a calpestare quel pavimento e a toccare tutto il resto? Forse. E anche l’immagine che aveva avuto quella famosa notte, quando l’aveva immaginato come avvolto da un velo nero attraverso cui poter solo scorgere e non vedere. Ecco, era proprio quel fatto, il percepire soltanto la presenza e la persona di Key che lo incuriosiva a tentare di sbirciare per scorgere qualcosa di più di quanto l’altro permetteva. Era stato un pensiero rapido e veloce, spazzato via quando erano arrivati al discorso dei clienti, ma soprattutto quando la mano di Key si era infilata tra i suoi capelli per la seconda volta nel giro di poche ora. Quel gesto era stato capace di fargli cambiare atteggiamento quasi del tutto e l’altro pareva averlo notato perché oltre a fargli quella specie di grattini, come li chiamava lui, pareva stesse usando anche frasi e parole più adatte alla circostanza. Che Key fosse bravo con le parole non lo negava affatto, quel suo modo di fare, quel suo saperlo ubriacare di parole gli piaceva anche se a volte riusciva a seguirlo non del tutto, ma quella volta sì aveva capito bene cosa gli stava dicendo riguardo al fatto di entrare a far parte di quella cerchia di clienti che vanno da lui per risolvere le loro questioni più o meno personali. C’era un particolare che però non gli era sfuggito. Andare più spesso lì e vederlo poggiare la testa lì dove in quel momento la stava strusciando? A quelle parole aveva alzato i suoi occhi freddi verso di lui e si era bloccato per pochi attimi a fissarlo prima di riabbassare quasi del tutto le palpebre e continuare con quelle manifestazioni di apprezzamento per quelle che ora erano vere e proprie carezze anche sulla schiena. Eppure lo ascoltava nonostante sembrava non lo stesse facendo, capiva e faceva sue tutte quelle parole. Sentiva anche la sua stretta sul braccio, poteva tenerlo così quanto voleva, figuriamoci se si sarebbe allontanato proprio in un momento come quello quando si godeva tutte quelle cose, ma evidentemente c’era qualcosa che aveva a che fare col possesso nascosto in quel gesto dell’altro, mentre lui rispondeva lasciandogli il proprio odore addosso ora anche sul petto e sul collo. E proprio lì si era fermato in un momento in cui la sua parte umana, la razionalità aveva lasciato per un attimo lo spazio a quella bestiale, ricambiando quei gesti dell’altro nel modo più comune a tutti gli animali, o quasi tutti. Gli animali non accarezzano con le zampe, lo fanno con la lingua quando vogliono dimostrare affetto o compiacimento, o ancora quando vogliono dire ‘sì, le tue carezze mi piacciono’ leccano e lui aveva cominciato a fare proprio quello mentre la mano sinistra si era stretta a pugno sull’indumento che l’altro aveva, era solo per frenare quell’istinto di tirare fuori le unghie. Non stava assaporando la sua pelle e nemmeno aveva fatto quella cosa per provocarlo o altro, solo un modo come un altro per comunicargli appunto che apprezzava quelle carezze, eppure tutto era durato poco, pochi secondi perché interrotto, o forse disturbato da quel tocco sulla spalla che l’aveva riportato coi piedi a terra. Ora la sua razionalità umana aveva spazzato via quell’istinto animale rimettendogli all’attenzione dove stava, perché stava lì e cosa doveva fare. Si era quindi separato dal suo collo eppure era rimasto lì vicino mentre gli stava riaffiorando alla memoria quel particolare che prima non gli era sfuggito.
    Potrei passare qui anche se non fossi un tuo cliente
    Si era allontanato ancora un po’ dal suo collo restando comunque col viso rivolto verso il lato sinistro del suo collo dove poco prima aveva leccato.
    Anche se in effetti ci sarebbero un paio di persone da sistemare, ma con quelle basterebbe una bella lettera che dice di pagare. C’è altro
    Ed era tornato il pensiero che aveva creduto di aver messo da parte, quello che aveva solo accennato all’altro prima allo zoo. Ce l’aveva davanti, in una stanza dove erano solo lui e l’altro che ora vedeva più nelle vesti di avvocato che altro, la proposta che gli era stata fatta prima riguardo al caso della madre inoltre aveva ricominciato a ronzargli in testa e ora che si era scostato del tutto dall’altro tranne le mani ancora poggiate ai suoi fianchi, stava seriamente valutando se accettare quella proposta. Si era mordicchiato il labbro quando aveva sentito la sua ultima domanda e aveva alzato lo sguardo su di lui e lo fissava mentre nella sua testa le due voci, quelle della coscienza, stavano combattendo una a favore del sì, quella del diavoletto che lo punzecchiava sulla spalla per spingerlo ad accettare, dall’altra quella dell’angioletto che a sua volta lo esortava a rifiutare perché fare il contrario avrebbe voluto dire commettere un grande, grandissimo errore e rovinarsi. Ma il suo voler essere sopra ogni cosa e la sua volontà di affermare se stesso e cancellare quella parte di passato che lo disturbava stava avendo la meglio e la parte sinistra della sua coscienza era diventata oramai più insistente e pressante, gli stava dicendo che se avesse detto sì a Key la sua vita sarebbe migliorata, lui sarebbe migliorato, sarebbe diventato un altro uomo, veramente libero da tutto, persino dal suo senso di colpa che gli aveva rovinato tutti quei mesi, specie la notte.

    Aveva detto in fine, con tutta la convinzione e la lucidità di cui era capace nei momenti in cui faceva le sue scelte.
    Aveva guardato la porta per un attimo prima di tornare a fissare l’altro.
    Chiama
    Già così si sentiva meglio e un poco più leggero, ma non aveva intenzione di fargli saltare gli altri appuntamenti perciò aveva deciso di fare a modo suo, ovviamente.
    Però rinvia gli altri di poco, mi serve più tempo di quanto tu possa immaginare
    L’aveva pensato prima che voleva il suo di spazio, quello che gli spettava e di certo non si sarebbe accontentato di pochi minuti, nemmeno di due o tre decine di minuti, dopo tutto era esigente soprattutto perché aveva deciso di confessare ciò che aveva fatto.

     
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    "Grazie" La risposta era scontata eppure aveva semplicemente sollevato le spalle «Figurati.» gli aveva detto «Poi però fammi sapere cosa ne pensi.» Lo aveva già detto che ne era ossessionato? Ma poi gli interessava davvero l'opinione che l'altro poteva avere su quel libro. Ancora quell'eterna diatriba su Dio e il Diavolo, inutile dire a quale fazione era vicina la sua opinione. Ma a parte quello. Il diavolo in quell'opera era appunti il Diavolo così come viene rappresentato, superbo, egocentrico, orgoglioso e crudele così come il diavolo deve essere, il diavolo oltre la maschera del tentatore, oltre il viso affabile. Chissà se quello poi era un azzardo lasciarglielo quel libro, alla fin fine dei conti, ma dopotutto cosa ne poteva ricavare? Non avevano già parlato di Dio e diavoli dietro la porta in altre occasioni? Strano però che quell'argomento si presentasse così spesso fra loro due, Il più delle volte non parlava alla gente di diavoli e discorsi simili. Ma aveva lasciato correre senza aggiungere altro concentrandosi piuttosto sull'argomento cena. Pesce... Daisuke aveva proposto il pesce, un contorno e qualche altra cosa che probabilmente si aspettava fosse lui ad aggiungere «Il pesce va bene e anche un contorno non ci sta male.» Non aveva aggiunto altro. Gli aveva detto che avrebbe lasciato all'altro la scelta della cena e l'avrebbe lasciata a lui dalla prima all'ultima portata «Solo che qui non ho posate. Se prendi la macchina possiamo mangiare a casa, la mia è dal meccanico.» E la cosa lo infastidiva anche. D'altra parte era anche vero che aveva pensato di comprarsene una nuova nel frattempo che l'altra era in riparazione, ma lì era anche una questione di principio, alla fin fine. Si era anche portato una mano a sfiorarsi il taglio, o meglio il graffio, istintivamente, senza che se ne rendesse lui stesso veramente conto. Se non altro però doveva ammettere che, almeno lui, la macchina poteva sempre ripararla, la piccola peste, il coniglietto lo avrebbe rivisto raramente. Che poi volendo avrebbe anche potuto restituirglielo, ma voleva quantomeno assicurarsi una certa indennità nei confronti di quel coso prima che gli sfasciasse qualche altra cosa, magari di meno riparabile.
    Ma poi chissà come, chissà perché erano finiti per cominciare a scambiarsi quella profusione di coccole, carezze e grattini vari. Anche quelli con il significato di una malia che doveva servire per trovare ancora un altro spazio all'interno della sua vita personale così come l'altro stava cercando di procurarsene ora lì su quella poltrona e in quella stanza. Aveva lasciato che si arrampicasse su di lui in quella forma di scalata che tutto sommato non avrebbe nemmeno avuto la necessità di fare, considerando che era molto più basso, e aveva preso a.. leccarlo. Aveva per qualche istante assottigliato lo sguardo rima di rendersi conto che si era dedicato nuovamente al lato del collo dove c'era quel brutto segno. Per qualche istante al contatto della lingua con quella parte più ruvida si era perfino irrigidito nella sua posizione. Se proprio doveva leccarlo, non poteva farlo dall'altro lato? Che necessità c'era che dovesse rivolgere le sue attenzioni proprio da quella parte? Era stato anche per quello che gli aveva bussato sulla spalla, anche per avere quella possibilità di farlo spostare dall'altra parte, sull'altra spalla.
    Sì, era vero che poteva andare a trovarlo anche se non fosse stato un suo cliente, ma era anche vero che lui lo voleva proprio come cliente, per tutta quella storia che avrebbe voluto rivangare, strappare al sepolcro in cui era stata nascosta e riportarla alla luce per rigirarla così tale che potesse essere di una qualche utilità anche.
    "Sì"
    Aveva sorriso al solo sentirla quell'affermazione. Non aveva idea se aveva anche deciso di affidargli qualche caso, ma già il semplice fatto che avesse detto di sì era un grosso passo avanti. Sì, perché a quel punto era come se se lo fosse tirato più vicino.
    «Allora chiamo.»
    Aveva fatto per ruotare un po' la sedia così che potesse raggiungere il telefono sulla scrivania. «Non sei più comodo se ti siedi?» glia aveva chiesto nel frattempo mentre passava la cornetta dalla destra alla sinistra per potergli poi fare cenno con la prima alle sue gambe. Certo il problema della differenza di altezza si sarebbe ripresentato e probabilmente sarebbero stati più comodi entrambi se si fossero invertiti i ruoli . Ma non voleva alzarsi e allo stesso tempo non voleva interrompere quelle carezze che ora erano riprese, con la destra sempre, ora sul capo dell'altro dopo che aveva pigiato il tasto unico per mettersi in contatto con il telefono dall'altra parte «Non farmi entrare nessuno finché non te lo dico io...» Poteva trattarsi di due o tre minuti, quindi, ma anche di qualcosa di più come una mezz'oretta, non aveva importanza. Tanto quel ragazzetto lo avrebbe sbrigato in fretta e a dirla tutta quella situazione lo interessava invece molto di più.
    «Dimmi solo quanto tempo vuoi e sono a tua completa disposizione.» solo quello gli aveva detto dopo aver chiuso definitivamente la chiamata.

     
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    Aveva soltanto annuito alla sua richiesta di fargli sapere il parere sul libro che si sarebbe portato via, ma non aveva detto altro perché la lettura non era proprio qualcosa che si poteva catalogare tra i suoi interessi anche se qualche volta leggeva qualche libro più per rilassarsi che per altro. Forse ci avrebbe messo un po’ per leggerlo visto anche il modo in cui era scritto, ma avrebbe trovato qualche giustificazione che non era affatto una bugia, ovvero il tanto lavoro e la stanchezza mentale che si portava dietro da mesi oramai.
    Non aveva affatto pensato allo strano fatto che quando si ritrovavano a parlare tra loro spuntasse sempre qualche discorso inerente al Diavolo e a ciò che ci girava attorno, o forse era lui a non fare certi collegamenti in quel momento e forse solo perché la sua attenzione era tutta incentrata sulla cena che dopo sarebbe andato a prendere e al fatto che Key aveva appena detto di non avere le posate lì e di prendere la macchina. Casa sua non era vicinissima allo studio di Key, avrebbe dovuto camminare un po’ ma non così tanto da prendersi un’ora solo per raggiungerla, quindi aveva acconsentito a quel fatto anche perché avrebbe approfittato per farsi una passeggiata prima di affrontare il vero e proprio discorso con l’altro. Non sarebbe stata una cosa facile e lo sapeva, a parte Alec, Key sarebbe stato l’unico a condividere quel fatto con lui e ciò voleva dire mettersi nella condizione di doversi fidare al 100% dell’altro. E a quel fatto si era silenziosamente domandato se era il caso di farlo veramente. Si poteva fidare di Key? A quella domanda che altro non era stato che la sua coscienza aveva preferito non rispondere perché farlo avrebbe voluto dire farsi ulteriori domande forse anche un po’ spinose e dato di spine su cui camminare ne aveva già abbastanza, non ne voleva altre.
    Se vado a prendere la macchina ci metterò un po’ di più, ma non penso più di quanto tu potrai avere a che fare con i tuoi clienti
    Alla fine avrebbero mangiato a casa di Key e a quel pensiero aveva fatto un sorrisino furbo ma appena accennato, perché farsi vedere soddisfatto di metter piede in casa sua non lo voleva vedere. Era un po’ questione di orgoglio, quella di non farsi vedere in quel modo, anzi era parso quasi indifferente e il fatto che si fosse focalizzato più sulla macchina e il tempo che avrebbe impiegato a fare tutto non era stato per niente un caso, bensì una scelta mirata. Era nel suo carattere essere e fare così, a volte si avvicinava lui alle persone concedendo qualcosa che di solito lasciava nascosto, altre invece si ritraeva soffiando più o meno metaforicamente. In quel caso non l’aveva fatto, ma aveva preferito non farsi vedere troppo entusiasta di vedere casa sua, di coglierne gli odori e i profumi, di poterne osservare l’arredamento e qualche particolare e, non ultimo, di vedere quel famoso Monet di cui Key gli aveva parlato qualche mese prima. Era stato alticcio quella notte, ma quel fatto l’aveva capito bene, anzi benissimo, come altre cose che di tanto in tanto gli riaffioravano alla memoria. E lui per primo si ritrovava a sorridere. Nei momenti successivi, quando si era ritrovato a strofinarsi addosso all’altro era stato uno di quei momenti in cui era lui ad avvicinarsi a chi diceva e voleva lui, era stato lui a cercare il contatto e la vicinanza. Lo scopo era stato per puro gioco ed era finito per essere un breve ma intenso e piacevole scambio di effusioni. Era arrivato persino a leccargli il collo come gesto di apprezzamento e aveva avvertito l’altro irrigidirsi per qualche attimo proprio poco prima che gli picchiettasse sulla spalla. Non si era domandato sul perché di quella reazione silenziosa, anche perché nemmeno aveva pensato a quale lato del collo aveva preso a leccare. Quella cicatrice, quel segno l’aveva visto prima al giardino zoologico e dopo aver chiuso il discorso vista la reazione di Key, aveva rimosso quella cosa. Non c’era stato nulla di calcolato e voluto nella scelta del lato cui dedicarsi, era stato tutto istintivo e dettato solo dalla circostanza e da come aveva ruotato la testa in un determinato momento in cui questa si era trovata tra la parte alta del petto altrui e la base del collo. Era stato solo un caso che fosse finito lì e come tale ancora lo considerava ora che si era separato, anche perché era stato attratto dal sorriso che aveva visto rivolgergli quando aveva detto il suo sì. In quel momento c’era stato qualcosa in lui che gli aveva fatto aggrottare un po’ la fronte, forse era la parte animale in lui ad aver avvertito qualcosa di poco buono, anzi di affatto buono in quel sorriso, come fosse stato su una maschera con una doppia espressione: una col sorriso così come lo si vedeva, l’altra con un ghigno. Un ghigno che Daisuke non aveva visto, ma la lince che lo governava sì. Quel fatto l’aveva stranito, più che altro la sensazione che aveva avvertito l’aveva reso tale come se tra loro fosse calato un velo o qualcosa che in un certo senso voleva dividerli, o meglio ancora come se quel velo volesse tenere lontano chi aveva fatto quel sorriso da chi l’aveva ricevuto e guardato. Aveva guardato la mano dell’altro fargli il cenno di mettersi lì e aveva subito preso in considerazione quella cosa pensando che era meglio se restava dove ora sedeva, lì tra le sue ginocchia con le gambe accovacciata e il lato destro del torace e la schiena poggiata alla sua coscia sinistra. Lasciava che gli accarezzasse la testa anche se in quel momento su di lui non facevano nessun effetto, si sentiva inquieto, abbastanza innervosito senza nemmeno saperne il motivo. Ma poi mentre l’altro aveva parlato con il segretario aveva voltato la testa e lo sguardo verso la finestra per guardare fuori ricordandosi solo in quel momento che forse quel suo cambio brusco di umore era dovuto alla Luna quasi completamente piena che stava cominciando a fare capolino in un cielo ancora colorato con le tinte del giorno. In realtà erano entrambe le cose. Non aveva risposto alla sua proposta di spostarsi sulle sue gambe e non aveva nemmeno fatto alcun gesto per far intendere la sua volontà di restare lì seduto in quel modo e poggiato a lui in quel modo.
    Non lo so
    Aveva cominciato mentre ancora guardava fuori dalla finestra e prima di voltarsi verso l’altro, ma senza guardarlo, bensì facendo scorrere lo sguardo sulle sue mani e poi sulla superficie della sua scrivania, guardando distrattamente le cose che c’erano sopra, ma non era uno sguardo perso il suo, piuttosto quello di chi stava facendo una rapida considerazione sulla risposta da dare.
    Te l’ho detto, ci sarebbero quei due da sistemare visto non hanno ancora pagato il lavoro che gli abbiamo fatto, e… e poi c’è il fatto di mia madre
    Si mordeva l’unghia del pollice mentre pesava bene i suoi pensieri e ciò che poi sarebbero state le parole.
    Ma quello non penso si possa sbrigare in pochi minuti, è un caso difficile o più semplicemente è un caso particolare. Se vuoi occupartene ci sono cose che devi sapere e che non si possono dire adesso e nemmeno in due minuti né dieci o venti
    Gli aveva lasciato intendere che adesso poteva accennare a qualcosa, ma il resto sarebbe stato meglio dirlo e confessarlo in altra sede e visto che dovevano andare a casa sua per la cena, forse quello sarebbe stato il posto ideale.
    Non sapeva se e come andare oltre, perciò aveva preferito il silenzio e lasciare tempo all’altro di cominciare a pensarci. Gli aveva detto che era un caso particolare, forse Key ne aveva visti altri di casi strani, ma non era sicuro sul fatto che questi fossero stati particolari come lo era il suo, di caso.

     
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    Sarebbe andata bene anche prendere un taxi a dirla tutta se all'altro annoiava di arrivare fino alla sua casa. Alla fine era arrivato lì in taxi e potevano anche tornare in taxi senza nessun tipo di problema, alla fine se non l'avesse incontrato avrebbe fatto a quel modo. Ma alla fine il problema non era poi così rilevante e probabilmente anche l'altro avrebbe preferito avere la macchina a disposizione quando avrebbero finito o in linea generale quando sarebbe voluto tornare a casa sua.
    Risolto quel punto si era tutto srotolato velocemente, le carezze e le proposte e alla fine era riuscito ad ottenere quello che aveva voluto fin dall'inizio, ovvero quando la cosa gli era stata accennata al giardino zoologico, poter ficcanasare in tutta quella faccenda della madre. Una parte di lui, ben nascosta dietro lo spesso strato della maschera stava decisamente esultando. L'altra, quella visibile, aveva mostrato un'espressione preoccupata quasi fosse in apprensione per quello che l'altro si stava tenendo dentro e per quel che potesse significare un caso particolare.
    Con le mani di nuovo libere aveva fatto per avvicinarselo di nuovo come se volesse lasciargli intendere la sua presenza in quel momento più che con le parole con una sorta di contatto e tramite anche il calore che un corpo genera quando il sangue corre attraverso di esso. Calore, non è anche quella la chiave un po' di tutto? La vita è calore, dopotutto e ogni tipo di sentimento, umano e non, è calore. E siccome l'altro non si era mosso, siccome l'altro era rimasto a terra in quella sua posizione, questa volta, poteva essere lui ad andargli incontro e portarsi più vicino mentre tutto poteva finire ricollegato alle parole che erano state dette sia in quel momento sia prima. Aveva fatto per spingere indietro la poltrona in modo tale da poter scivolare lui in avanti e potersi abbassare a sua volta sebbene non troppo. L'aveva cinto con il braccio sinistro mentre la destra tornava a farsi strada fra i suoi capelli alla ricerca di quel punto che aveva capito l'altro doveva apprezzare particolarmente.
    Per qualche istante aveva guardato fuori, quasi volesse cogliere quello che l'altro ci aveva visto. Ma lui scorgeva solo il cielo e qualche casa e qualche palazzo di cui alla fine non gli importava poi molto, alla luna, e che fosse piena, nemmeno aveva fatto caso «Sei sicuro di quello che stai dicendo, Dairo? Guarda che non sei obbligato.» Era un azzardo anche se dubitava che Daisuke fosse il tipo che potesse tirarsi indietro una volta presa una decisione, ciò nonostante aveva voluto mettergli su piatto quella possibilità così che non avesse potuto rinfacciargli di non averlo fatto, e perché quella scelta doveva essere intrapresa con consapevolezza affinché avesse un valore e affinché potesse considerarsi stabile.
    «Ti ho già detto che puoi avere il mio tempo. Con un giorno di preavviso potrei liberarmi di un intero pomeriggio di appuntamenti se potesse servirti. Ma allo stesso tempo voglio che tu sia pienamente consapevole che non devi fare assolutamente nulla che tu non voglia, perché è questo il senso di tutto.» Forse risultava un po' ambiguo quel concesso espresso lì in quel frangente. Ed era pur vero che poteva assumere tanti di quei significati diversi e lui stesso l'aveva pronunciato con tanti di quei differenti significati che stare lì a spiegarli tutti sarebbe sembrato impossibile. Il primo era il classico concetto del libero arbitrio, intesto come ne avevano parlato tante volte, il secondo riguardava la consapevolezza della scelta delle proprie azioni, il terzo il fatto che qualunque scelta Daisuke avesse voluto intraprendere sarebbe ricaduta solo su se stesso e la responsabilità della stessa era solo ed esclusivamente sua. Un altro ancora fra i tanti riguardava quell'affidarsi, seppur non del tutto consapevolmente al diavolo, quel Diavolo che aveva lì davanti e che poteva allietare, se così si può dire, le sue orecchie con tutte le parole che avrebbe voluto sentire ma che di fatto restava sempre e comunque un Diavolo, appunto.
    E quel Diavolo, in particolare, non aveva ancora finito. Ormai lo conosceva abbastanza da riuscire a scegliere fra un lungo elenco di parole quelle che riteneva più adatte.
    «Sai,» gli si era avvicinato un po' all'orecchio così da poterle sussurrare quelle parole, un po' come se fossero una specie di segreto che doveva rimanere celato fra loro due soltanto, nonostante in quella stanza non ci fossero altri che loro e le pareti non permettessero ad alcun suono di essere avvertito all'asterno «da una parte mi fa piacere che tu mi abbia accennato a questo, mi lascia intendere che tu abbia fiducia nelle mie capacità. E questo perché sei stato proprio tu. E questo perché io nutro un profondo interesse nei tuoi confronti e questo non capita spesso. E non riguarda il sesso, per quanto anche quello lo apprezzi. Riguarda proprio te come individuo. Vedi, la gente qui dentro entra ed esce e loro sono solo alcuni fra i tanti. Numeri e statistiche, niente di più.» Si era fermato qualche istante come se volesse lasciargli il tempo di valutare quello che gli aveva appena detto. Dunque aveva respirato prima di aggiungere un altro particolare «Ti ho concesso la possibilità di poter entrare in casa mia, sai che nemmeno i giardinieri ci sono mai entrati? E quell'uomo lì fuori, in tutti gli anni che ha lavorato per me non ha mai superato il cancello esterno.»

     
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