Lavorando a Teatro

Post di lavoro autoconclusivi per tutti i dipendenti

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    Agli occhi degli uomini, la vita passa dal buio all'oscurità. Agli occhi degli dei, la vita è una morte...

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    Mi guardo allo specchio del camerino e controllo che il vestito sia a posto. Porto l'abito tradizionale delle donne greche: indosso un chitone completamente bianco, una specie di tunica - nel mio caso - di finto lino, e sopra di esso porto un peplo color zafferano. Per questo spettacolo i miei capelli son stati tinti di nero, quindi spiccano molto meno del solito.
    Devo ammettere che questo abbigliamento mi fa diventare un po' nostalgica. Non ho passato molto tempo nell'antica Grecia, questo è vero, ma ci ho comunque passato qualche mese col mio creatore. Un bel periodo. Lui era Ade e io Persefone, o almeno così credevamo noi oltre che i nostri fedeli seguaci. Rifletto. Allora era tutto più semplice: noi eravamo divinità della morte e come tali avevamo tutto il diritto di uccidere.

    Allontano dalla mente questi pensieri. Sono pericolosi, potrebbero distrarmi e rovinarmi l'esibizione. Non che gli umani noterebbero la differenza... ma io voglio essere perfetta. Quindi devo concentrarmi sulla mia parte.
    Questa sera sarò nientemeno che Elena. Un personaggio interessante, soprattutto per le varie versioni esistenti sulla sua storia. Oltre che una dea, ovviamente. Una delle dee più amate di Sparta.
    L'opera rappresentata è un classico, l'Elena di Euripide. Qui la vicenda di Elena come è conosciuta dai più viene completamente screditata e ribaltata. Elena non è stata rapita da Menelao, Elena non ha tradito il suo popolo e neppure scatenato la guerra di Troia. Elena è stata rapita da Era, desiderosa di vendetta dopo il giudizio di Paride, ed è stata portata da lei in Egitto. Al suo posto è stato lasciato un fantasma in tutto e per tutto simile a lei, e Menelao ha rapito proprio questo fantasma. E la guerra di Troia è giustificata con una decisione di Zeus: la Terra era sofferente per i troppi uomini che l'abitavano, dunque era necessaria una grande guerra che eliminasse questo eccesso e che - perché no? - permettesse allo stesso Zeus di sdebitarsi con Teti, rendendo suo figlio Achille un eroe.

    Sono felice di indossare un abito greco. Anche se la mia stessa presenza dimostra come questo spettacolo sia moderno - le donne greche non potevano certo recitare, gli attori erano tutti uomini - almeno riprendiamo lo stile greco di vestire alla maniera tradizionale, senza preoccuparsi del fatto che la vicenda sia ambientata in un altro luogo, in questo caso in Egitto. Non son sicura che qualcuno in quest'epoca possa innamorarsi della trama e delle battute di questo spettacolo, soprattutto nel punto in cui Menelao e Elena si incontrano e lui si rifiuta di riconoscere lei (è identica a Elena, parla come Elena, ma non può essere Elena: lei è imprigionata sulla mia nave), ma non ha molta importanza.
    Quello che è importante, per me, è perdermi in questo spettacolo, immedesimarmi completamente nel mio personaggio... e ricordare un mondo ormai scomparso.
     
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  2. ~Camael
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    La sera della prima era arrivata.
    In camerino, di fronte allo specchio circondato dalle luci, l'Angelo accarezzò lo spartito con un sorriso dolce da essere quasi materno.
    Era una serata importante, dedicata interamente ad un compositore e musicista moderno, Gershwin. Il concerto prevedeva l'inizio con un suo classico, Rhapsody in Blue, e proseguiva con altri pezzi ed altre opere meno conosciute.
    Il primo pezzo oiginale prevedeva un assolo di pianoforte, mal'organizzatore della serata aveva preferito fare le cose in pompa magna. Aveva convocato l'intera orchestra ed il direttore con i quali lavorava e suonava abitualmente Camael, voleva fare le cose veramente in grande: ad ognuno dei musicisti sarebbe stato confezionato un abito anni '20 per rendere l'atmosfera ancora più celebrativa, inoltre aveva deciso di convocare un corpo di ballo che avrebbe danzato e recitato gestualmente sulle note dei vari pezzi. Aveva indubbiamente pensato le cose in grande.. c'erano voluti diversi mesi per dare forma al tutto, ma ora eccoli finalmente lì!

    Camal si sottopose con pazienza alle mani delle truccatrici, le quali ebbero ben poco da truccare -la sua pelle era liscia e con un colorito bello uniforme!- e delle costumiste, che gli fecero indossare il suo abito di scena. Non aveva il ruolo "principale", ma la sua parte era piuttosto importante e sarebbe stato sotto i riflettori per buona parte del tempo. Non che amasse stare al centro dell'attenzione, ma era così felice quando faceva scappare dalle note la sua felicità, la sua gioia di esserlì ad alleggerire i cuori degli uomini!
    Indossò un elegante abito bianco dal taglio classico e un po' retrò, con scarpe bianche, giacchetto con bottoni in madreperla, gilet bianco chiuso sopra una camicia nera ed un fazzoletto di seta bianca arrotolato al collo. Prese un bel respiro e quando

    L'orchestra prese posizione sugli spalti di legno, posizionati a mo' di teatro greco, mentre Camael andò al pianoforte, posto alla base degli spalti, nello spazio in cui lui avrebbe suonato ed il corpo di ballo avrebbe accompagnato le melodie. I ballerini si misero in posizione, respirando intensamente, mentre i musicisti cominciarono ad accordare gli strumenti, Camael compresp, diffondendo nell'aria le note scordate ed insicure che riempiono l'attesa prima dello spettacolo. Il direttore d'orchestra si sistemò al suo posto, in piedi di spalle al pubblico, nel lato più estremo del palco.

    Infine, il sipario si alzò e il pubblico applause. Il direttore d'orchestra s'inchinò. Camael respirò intensamente e mosse un poco le dita, sentendo l'Amore pronto a esplodere in un tripudio di musica tutto dedicato a quelle cento e passa anime venute a bearsi il cuore di melodie.

    Tutto cominciò con un lento, dolce, quasi sensuale assolo di clarinetto...

     
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    Lo spettacolo di questa sera è particolare e per questo un po' mi affascina, anche se non è un'opera antica. E' una commedia moderna, 'Sei personaggi in cerca d'autore' di Pirandello, un dramma che non mi attira come le tragedie greche o romane, ma che ha la bella qualità di riuscirmi a coinvolgere comunque. Probabilmente, se in questi secoli di vita non avessi imparato l'autocontrollo, rischierei di scoppiare a ridere in scena. Peccato che non ho conosciuto Pirandello, se potessi tornare indietro nel tempo lo farei per incontrare lui. Penso, considerando che il metateatro - ossia il teatro nel teatro - mi piaceva già nelle opere di Plauto, più precisamente nello 'Pseudolo'. Ma nell'opera che sta per andare in scena, il metateatro di Plauto è moltiplicato almeno per mille.

    Mi domando cosa stanno pensando gli spettatori entrando nel teatro e trovando il palcoscenico con il sipario alzato, senza quinte e scene, al buio e completamente vuoto. Apro la mia mente, sfiorando quella di alcuni dei presenti. Qualcuno prova stupore, un altro invece conosce già l'opera quindi non è stato preso di sorpresa, un altro ancora non vede l'ora che inizi lo spettacolo perché 'prima inizia prima finisce'. Quest'ultimo è solo un ragazzino, ma mi sta già antipatico. Se lo spettacolo non stesse per iniziare lo morderei seduta stante. Ma non voglio rischiare di sporcare l'abito.

    In questo preciso istante le luci in sala si spengono e gli spettatori ritardatari si sbrigano a trovare un posto a sedere. E' ora. Penso, concentrandomi sul mio ruolo.
    Un mio collega, vestito da macchinista, entra nel palcoscenico e recupera da un angolo in fondo alcuni assi. Si avvicina al pubblico, li posa e comincia ad inchiodarli. Non c'è bisogno che io lo veda per sapere quello che sta facendo: con tutte le prove che abbiamo fatto lo spettacolo lo saprebbe a memoria anche un bambino. E questa è una buona cosa: così è difficile che i miei colleghi umani facciano qualche errore.
    "Oh! Che fai?" Sento arrivare dal palco. E' il 'direttore di scena' che è entrato attirato dalle martellate del 'macchinista'.
    "Che faccio? Inchiodo."
    "A quest'ora? Sono già le dieci e mezzo. A momenti sarà qui il Direttore per la prova."
    "Ma dico, dovrò avere anch'io il mio tempo per lavorare!"
    "L'avrai, ma non ora."
    "E quando?"
    "Quando non sarà più l'ora della prova. Su, su, portati via tutto, e lasciami disporre la scena per il secondo atto del 'Giuoco delle parti'."
    Ora il macchinista esce di scena, sbuffando, e cominciano ad entrare gli altri attori della compagnia, a gruppetti. Si saluteranno, alcuni si dirigeranno ai camerini, altri si lamenteranno della loro parte, altri ancora inizieranno a fumare. Penso, aspettando con pazienza il mio turno.
    "Via, smettetela! Ecco il signor Direttore!" Esclama il direttore di scena, vedendo entrare il 'Capocomico'.
    "Lettere?" Domanda quest'ultimo.
    "Nessuna. La posta è tutta qui." E' il 'segretario' ora che parla.
    "Porti in camerino." Poi, rivolgendosi al Direttore di scena: "Oh, qua non ci si vede. Per piacere, faccia dare un po' di luce."
    "Subito."
    "Su, su, cominciamo. Manca qualcuno?"
    "Manca la Prima Attrice."
    "Al solito! Siamo già in ritardo di dieci minuti. La segni, mi faccia il piacere. Così imparerà a venire puntuale alla prova."
    Sorrido leggermente, poi entro di corsa in scena, tutta vestita di bianco, un grosso cappello in testa e un cagnolino (finto) tra le braccia.
    "No, no, per carità! Eccomi! Eccomi!" Esclamo.

    Sì, ci sarà da divertirsi.

    SPOILER (click to view)
    Poteri usati:
    CITAZIONE
    Lettura dei pensieri:
    Altro potere psionico che permette al vampiro di entrare silenziosamente nella testa altrui e leggerne i pensieri. Se la persona puntata dal vampiro ha la possibilità di chiudere la mente allora verrà difficile poterlo fare, e allora il vampiro troverà altre strade.
    Antico: riesce a leggere la mente di 4 persone, in un posto chiuso parecchio ampio e anche con rumori alti. All'aperto riesce a sentire i pensieri altrui sino a 12/15 metri di distanza da lui.
     
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    "Ecco a voi Suor Esthel Blanche! La santa di István in persona!"
    A queste parole salgo sul piccolo finto-palchetto realizzato sul palco del teatro. Son vestita di bianco, con un abito che ricorda molto quello delle suore, anche se più elegante, e una grossa croce decorata sul petto. Per l'occasione i miei capelli sono stati accorciati, lasciando due ciocche lunghe davanti. Un velo - sempre bianco - li ricopre in parte. Non mi preoccupo troppo per i miei capelli: torneranno lunghi in fretta, d'altronde quando son 'morta' i miei capelli erano lunghi quindi rimarranno lunghi per l'eternità. Per la prima volta il ruolo che mi è stato assegnato mi rende un po' perplessa. Una suora? Io? Anzi... una santa? Qui c'è qualcosa che non quadra. Ma ormai mi sono abituata a questa stranezza. Dopotutto questo non è il primo spettacolo basato sui romanzi di Sunao Yoshida che viene realizzato in questo teatro.
    "Ah.. ehm... dunque..." Inizio, appositamente titubante. In questo momento la mia parte è quella della ragazzina tornata in patria che ha scoperto da poco di essere stata acclamata santa in sua assenza. E tutto questo per aver ucciso un methuselah - un vampiro, in altre parole - che poi aveva capito e imparato a rispettare. Un'altra cosa che non quadra: una vampira che fa la parte di una ragazzina che ha ucciso un suo simile? E solo perché ho i capelli rossi come lei!
    "Buonasera... a tutti voi... che questa sera siete venuti... wow... in così tanti... per... per me... cioè...vi sono... molto, molto grata..." A questo punto, fingendo una tremenda agitazione, faccio 'involontariamente' cadere i fogli del discorso. Involontariamente nella finzione, ovviamente. Nulla di grave, perché - come il pubblico ben presto scoprirà, se non l'ha già capito - sia l'elevazione di Esthel al ruolo di santa, sia il discorso, sono stati preparati da Monsignor D'Annunzio per portare la gente di István a dichiarare guerra a Tara Methuseluth, l'impero dei cosiddetti 'vampiri'.
    E ora è giunto il momento che Esthel si rifiuti di essere una bambolina nelle mani di Monsignor D'Annunzio e trovi il coraggio per dire quello che veramente pensa.
    "Chiedo scusa a tutti voi, per avervi costretti ad assistere a una scena simile. Parlare davanti a così tanta gente mi ha messa un po' in agitazione. Mi è stato spiegato che questa sera sarà rappresentata un opera su di me, e voi tutti siete venuti ad assistervi, nonostante i vostri numerosi impegni. Io ho fatto ritorno qui, alla mia terra natale, per esprimervi la mia gratitudine. Già... io mi trovavo qui con l'intenzione di ringraziarvi... fino a poco fa. Ma ora ho cambiato idea. Questa sera vorrei pregare insieme a voi tutti per le povere anime dei sventurati il cui sangue è stato versato su questa terra. Sia per gli umani che per i methuselah."
     
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    "Vieni, o fida Euriclèa: sorge ora appena l'alba; e sì tosto a me venir non suole il mio consorte." Comincio, iniziando l'atto primo con queste parole. Stiamo rappresentando la tragedia 'Mirra' di Vittorio Alfieri. Il mio ruolo è quello di Cecri, regina di Cipro e sposa di Ciniro. Questa sera non faccio la parte della protagonista, anche se mi avrebbe affascinato, ma il mio ruolo mi piace comunque. "Or, della figlia nostra misera tanto, a me narrar puoi tutto. Già l'afflitto tuo volto, e i mal repressi tuoi sospiri, mi annunziano..."

    Ora è il turno della mia collega, un attrice umana che fa la parte della nutrice di Mirra.
    "Oh regina! ... Mirra infelice, strascina una vita peggio assai d'ogni morte. Al re non oso pinger suo stato orribile: mal puote un padre intender di donzella il pianto; tu madre, il puoi. Quindi a te vengo; e prego, che udir mi vogli."

    "E' ver, ch'io da gran tempo di sua rara beltà languire il fiore veggo: una muta, una ostinata ed alta malinconia mortale appanna in lei quel sì vivido sguardo: e piangesse ella!... ma, innanzi a me, tacita stassi; e sempre pregno ha di pianto, e asciutto ha sempre il ciglio. E invan l'abbraccio; e le chieggo, e richieggo, invano ognor, che il suo dolor mi sveli: niega ella il duol, mentre di giorno in giorno io dal dolor strugger la veggio."
    Mi piace far la parte della madre preoccupata. Vorrei poter fare così anche con Kimberly, anche se certo non mi piacerebbe se lei si trovasse nelle condizioni di Mirra. Chissà... se io sono sua madre, sarebbe Arawn - il mio creatore - suo padre, quindi l'uomo di cui dovrebbe innamorarsi, se si trovasse al posto di Mirra. No, una situazione simile non mi piacerebbe. Arawn è mio... e Kimberly anche.

    "A voi ella è di sangue figlia; a me, d'amore; ch'io, ben sai, l'educava: ed io men vivo in lei soltanto, e il quarto lustro è quasi a mezzo già, che al seno mio la stringo ogni dì fra mie braccia... ed or, fia vero, che a me, cui tutti i suoi pensieri solea, tutti affidar fin da bambina, or chiusa a me pure si mostri? E s'io le parlo del suo dolore, anco a me il niega, e insiste, e contra me si adira... Ma pur, meco spesso, malgrado suo, prorompe in pianto."
     
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    Lo spettacolo è iniziato da poco. Stiamo rappresentando un'opera ispirata al romanzo "The Summer Tree" di Guy Gavriel Kay. In questo momento non sono io al centro della scena, ma un mio collega. Questo non mi preoccupa per niente, visto che non recito certo per la gloria. Il mio unico interesse è quello di divertirmi, migliorarmi e... sentirmi un'altra persona anche se solo per la breve durata dello spettacolo.
    Questa sera sono Kimberly Ford, una ragazza andata con degli amici alla Seconda Conferenza Internazionale di Studi Celtici che è miracolosamente riuscita a avvicinare - o meglio... è stata avvicinata da - Lorenzo Marcus, la 'star' della conferenza. Insieme ai 'miei' amici, ora mi trovo nella suite del signor Marcus e sono abbastanza sconvolta, visto che ho appena scoperto che Lorenzo Marcus in realtà si chiama Loren Manto d'Argento e che proviene da - come lui stesso ha detto - un mondo diverso dal nostro.

    "Ci sono molti mondi..." Inizia... Loren. "e tutti sono trascinati via dalle correnti e dai vortici del tempo. E' raro che i loro cammini si incrocino, e perciò, di solito, ciascuno di essi è ignaro dell'esistenza degli altri. Solo su Fionavar, il primo mondo che fu creato, e di cui tutti gli altri sono un'immagine imperfetta, si tramandano le arti che permettono di superare l'abisso tra i mondi... ma anche laggiù, con il trascorrere del tempo, è stata dimenticata gran parte dell'antica sapienza. Abbiamo già valicato molte volte quell'abisso, io e Matt Soren, ma sempre con una certa difficoltà perché troppe sono le conoscenze perdute, anche a Fionavar."
    "E come avviene l'attraversamento?" Interviene l'attore che interpreta uno degli amici di Kim, Kevin.
    "Avviene grazie a quella che potremmo chiamare sbrigativamente 'magia', anche se si tratta di qualcosa di più di un semplice incantesimo."
    "La sua magia?"
    "Sì, io sono un mago. L'attraversamento è stato opera mia. E sarò io a farvi ritornare, se verrete con me."
    "Che assurdità!" Sbotta Dave. Una reazione normalissima per un umano che non ha mai conosciuto il sovrannaturale. In questa scena mi piace parecchio quel personaggio, è molto realistico. "Magia. Abissi tra i mondi. Mi faccia vedere qualcosa di concreto! Si fa in fretta a parlare, e io non credo neppure a una sola parola di tutto questo."
    C'è un attimo di silenzio, poi Loren interviene. "Ha ragione. E' troppo facile. Allora, guardi."
    La tenda divisoria dietro di noi si spalanca, lasciando vedere un paesaggio. Ci sono bastioni, torri, un giardino... un castello, insomma. Tutti noi facciamo una faccia stupita e esclamiamo commenti di stupore. Ovviamente, in tutto questo non c'è niente di spettacolare, ma l'idea è dare al pubblico l'impressione che il paesaggio si sia materializzato per ordine del mago.
    "Paras Derval. A Brennin, il grande regno di Fionavar. Osservate le bandiere nella piazza d'armi davanti al castello. Le hanno issate per i festeggiamenti imminenti, perché l'ottavo giorno dopo il plenilunio, questo mese, terminerà il cinquantenario del regno di Ailell."
    "E noi?" Chiedo. "Come ci può riguardare?"
    "Metran, arcimago di Ailell, ha deciso che il miglior omaggio che il Consiglio dei Maghi potesse fare al sovrano e alla popolazione fosse quello di portare a Brennin cinque persone di un altro mondo, una per ogni decennio di regno, e di farle partecipare ai festeggiamenti."
     
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    "Fratello, dove hai preso quel calderone?" Domanda l'attore che impersona il 'mitico' Matholuch, che per me mitico non è poi così tanto. Per me è reale, come tutti i personaggi dei 'racconti' della mia infanzia. Questa è una scena di banchetto, dove Matholuch, Branwen sua moglie, e Bran il Benedetto non mangiano soltanto, ma - come anche si fa in quest'epoca, anche se forse un po' di meno - parlano tra di loro.
    "L'ho preso da un uomo che veniva dalla tua isola, fratello." E' la semplice risposta di Bran.
    "A un irlandese?"
    "Quali fossero le sue origini non lo so; Llassar - la Fiamma - è il nome ch'egli usa sulla terra, e in effetti è molto simile a una fiamma.Venne qui con la sua donna, Kymideu Kymeinvoll, dopo che erano fuggiti dalla Casa del Ferro che la sua gente aveva arroventato attorno a loro. Mi meraviglia che tu non sappia niente di questa storia, fratello."
    Matholuch sorride. "Sì, so tutto, perché come Sommo Re ordinai io che venisse arroventata attorno a loro. Non c'era altro modo, per uomini nati da donne, di difendersi da quei due e dalla loro prole. Avrei dovuto riconoscerlo subito, quel Calderone; ricordo che l'avevano, la prima volta che li vidi."
    "Racconta."
    "Un giorno, mentre ero a caccia, persi non so come la strada e rimasi diviso dai miei compagni. Continuai a cavalcare ma, da qualsiasi parte mi dirigessi, non facevo che addentrarmi sempre più nella foresta. Non c'erano che alberi, alberi dappertutto; niente animali, niente uccelli, nemmeno il canto di un grillo. Soltanto il verde e una grande immobilità, come se la terra stessa trattenesse il respiro sotto le piante e l'erba, in attesa di Qualcosa che doveva avvenire. Come se tutto ciò che aveva gambe o ali fosse fuggito prima che quel Qualcosa potesse accadere."
    "In verità," Intervengo io, fingendo un leggero imbarazzo e rivolgendo lo sguardo verso Matholuch. "devi aver corso un grande pericolo."
    Matholuch scoppia a ridere e mi batte su una mano. "Non è il caso di preoccuparsi, ragazza mia, visto che ora sono qui con te. Ma in quel momento mi sentivo davvero come un pesce preso in una vasta rete, poiché gli alberi erano diventati talmente fitti che non scorgevo nemmeno il cielo tra i rami. Mi rallegrai quando, sul far della sera, vidi davanti a me un luccichio d'acqua, attraverso i cespugli. Questo voleva dire la possibilità di dissetarmi, e uno spazio aperto. Ma mentre mi dirigevo vero l'acqua, un gran vento si levò e cominciò a ululare, spazzando il cielo. Il mio cavallo e io continuammo ad avanzare, mentre i rami si spezzavano e cadevano tutt'intorno a noi. Poi udii un potente schianto seguito da un tremendo tonfo, come di molti alberi finiti nell'acqua, e compresi che quel luccichio dove essere un lago profondo.
    Sbucai finalmente all'aperto, e vidi le acque del lago ribollire come se una tempesta infuriasse sotto la superficie, oltre che sopra. E un istante dopo vidi che era veramente così; che Qualcosa stava per emergere dall'acqua.
    Vidi sorgere dal lago un'enorme testa d'uomo... ammesso che si potesse chiamarlo uomo. I capelli giallastri grondavano acqua, la faccia era larghissima. Grossi ciuffi di pelo gli sporgevano da ciascuna narice e frangiavano tutt'intorno le labbra grossissime; pelacci ispidi rosso fuoco, che avevano l'aria di poter ardere tutto quello che sfioravano, ed era un peccato che non avessero bruciato tutta la faccia. Così vidi per la prima volta Llassar, la Fiamma, e la vista di lui era ancora più terrificante del fuoco, da cui egli prendeva il nome."
     
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    Devo ammettere che, negli ultimi tempi, non sono molto concentrata quando lavoro. Continuo a tormentarmi con quello che è successo con la dragonessa, con il mio dannato orgoglio e con la convinzione di non essere più quella di una volta... ho perso la convinzione nelle mie capacità, nella mia forza, nelle mie potenzialità. Ma, d'altra parte, ora mi sento più vicina a quest'epoca. La mia età, i miei poteri... non li vedo più così distanti da quelli degli altri. Sì, c'è una differenza enorme, ma ora so che esiste chi ne prova ancora una superiore. Come una certa mummia di cui, un po', temo di essermi infatuata. Una vampira antica incantata da una mummia... ci sarebbe da scrivere un articolo di giornale.
    Su un giornale che pubblichi fatti 'anormali', come gli incontri con gli ufo, temo.

    Però, questo non significa che io sia peggiorata chissà quanto nel mio lavoro. Sono brava, dannatamente brava, innaturalmente brava... ma non vado più alla ricerca di quella perfezione che solo un'Antica può desiderare.

    "Da quando siamo felicemente arrivati a questa tanto decantata Firenze, non si vede altro che salamelecchi e sviolinate." Affermo, interpretando la parte della Signora Sarti nella 'Vita di Galileo' di Bertolt Brecht. " Tutta la città sfila davanti al famoso occhiale, e io, poi, ho voglia a pulire i pavimenti! Se queste scoperte fossero di qualche importanza, i primi a saperlo sarebbero i reverendi Padri. Quattr'anni son rimasta a servizio da Monsignor Filippi, e mai che sia riuscita a spolverargli tutt'intera la biblioteca! Volumoni fino al soffitto, e mica libriccini di poesie! E quel bravo monsignore, a furia di star seduto davanti a tanta scienza, s'era buscato due libbre di ascesso sul sedere, e vuoi che un uomo così non sappia il fatto suo? Anche oggi, con questi visitatori, faremo una tal figura, che domani non avrò nemmeno il coraggio di guardare in faccia il lattaio. Sapevo quel che dicevo, io, quando gli raccomandavo di preparare a quei signori, prima di tutto, una buona cenetta: di metterli davanti a un bel piatto d'abbacchio, prima che cominciassero a sbirciare dal tubo. Ma sì!" A questo punto mi metto a imitare l'atteggiamento e la voce del mio collega che interpreta Galileo Galilei. "Ho pronto ben altro, per loro!" La mia imitazione viene interrotta dal rumore di qualcuno che bussa. Mi avvicino alla finta finestra, facendo finta di guardare dallo spioncino. "Santo cielo! C'è di già il Granduca! E lui è ancora all'università!"
    Vado immediatamente ad aprire la porta, mostrando una certa agitazione. Subito entra in scena un altro mio collega, vestito in modo elegante. E' - o meglio, interpreta - Cosimo de' Medici, il Granduca di Toscana. Al suo seguito ci sono il ciambellano e due dame di Corte.
    "Voglio vedere l'occhiale." Afferma subito... Cosimo, e il suo ciambellano si affretta a smorzare l'entusiasmo del suo signore: "Vostra Altezza dovrà pazientare fino all'arrivo del signor Galilei e degli altri dottori dell'università." Poi, rivolgendosi a me. "Il signor Galilei desiderava mostrare ai signori astronomi le stelle da lui recentemente scoperte, dette medicee."
    "Loro non ci credono all'occhiale, non ne vogliono sapere. Dov'è?" Obbietta Cosimo.
    "Di sopra, nella stanza da lavoro." Rispondo io. Alla mia risposta, sua... altezza sale di gran fretta le scale, seguito dall'anziano ciambellano che si ferma solo un momento per dirmi: "Devo salire anch'io. Sono venuto ad accompagnarlo solo perché il precettore è ammalato."
    "Non può succedergli nulla, a Sua Altezza. C'è di sopra il mio ragazzo." Lo rassicuro io.
     
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    "Che ti piglia?" E' la domanda che il fantasma del passato rivolge al povero Scrooge.. se si può definire 'povero' un uomo come lui. Non posso fare a meno di trovare antipatico quel personaggio, proprio per il suo credersi chissà chi. Ma c'è una cosa che mi piace molto dello spettacolo che stiamo mettendo i scena: Scrooge alla fine capisce di star sbagliando... di aver sbagliato per tutta la vita, e cambia. Il mio creatore riuscirà a raggiungere questa consapevolezza? Il mio timore è che la risposta sia no, per quando speri che una notte gli dei riescano a mettergli un po' di sale in zucca.
    "Niente di speciale." Risponde Scrooge.
    "Eppure qualcosa hai."
    "No, solo, in questo momento, mi piacerebbe dire una parola o due al mio impiegato. È tutto qui."
    "Il mio tempo sta precipitando. Presto!"
    A queste parole del 'fantasma' le luci si spegono per qualche istante. Appena si riaccendono altri due personaggi sono comparsi in scena... Un mio collega che interpreta Scrooge da giovane e - finalmente! - io, ossia la sua fidanzata... ops... forse sarebbe più corretto dire sua ex. Oh, se qualcuno mi trattasse così finirebbe molto male! E' una fortuna per Scrooge che lui è solo un personaggio letterario. Non posso fare a meno di pesare, divertita, tralasciando il piccolo particolare che - seguendo questo ragionamento - Arawn avrebbe il diritto di farmi fuori per aver osato lasciarlo. Ma in tal caso sono io la vittima, non lui. E nessuno riuscirà a convincermi del contrario... credo.

    Abbandono questi ridicoli pensieri, ritornando con l'attenzione al presente, mentre lo Scrooge più maturo afferma con voce stupita: "Ma quello sono io e quella è…"
    A questo punto mi rivolgo allo Scrooge giovane che è di fronte a me. "Non importa. A te importa ben poco. Un altro idolo ha preso il mio posto, e se esso potrà solo rallegrarti e confortarti come ho cercato di fare io, non avrò di che lamentarmi in avvenire."
    "Quale idolo ha preso il tuo posto?"
    "Un idolo d’oro." Ribatto.
    "Ecco la giustizia del mondo! Ci si accanisce tanto contro la miseria, e non c’è nulla che sia condannato, a parole, con tanta severità come la ricerca della ricchezza?"
    "Tu hai troppa paura dell’opinione del mondo, tutte le tue speranze sono state sacrificate alla speranza di tener lontane le sue critiche. Ho visto le tue aspirazioni più nobili cadere una a una e alla fine ti sei lasciato dominare completamente dall’interesse. Non è forse vero?"
    "E con ciò? Se sono diventato più saggio, che conta? Non sono cambiato nei tuoi riguardi." Scuoto la testa, con un espressione il più possibile triste. "Lo sono forse?"
    "Il nostro legame è vecchio, risale a quando eravamo giovani e poveri, ma rassegnati e contenti d’esserlo fino a che con la pazienza ed il lavoro fossimo riusciti a migliorare la nostra situazione. Tu sei cambiato; quando ci siamo fidanzati tu eri un altro uomo."
    "Ero un ragazzo."
    "La tua stessa coscienza ti dice che non sei più quello che eri. Io invece sono rimasta la stessa, e mi rendo conto che tutto quello che ci prometteva felicità quando avevamo gli stessi sentimenti è diventato presagio di infelicità ora che siamo diversi. Quanto sovente e con quanta pena abbia pensato ciò, non voglio dirtelo. È sufficiente che vi abbia pensato e che sia in grado ora di renderti la tua libertà."
    "Te l’ho forse mai chiesta?"
    "A parole, no, mai."
    "E in quale modo allora?"
    "Mutando il tuo carattere, il tuo umore, la tua atmosfera di vita, le tue speranze, tutto ciò che una volta rendeva il mio amore bello ai tuoi occhi. Se nulla mai ci fosse stato tra noi, dimmi, mi sceglieresti ancora, cercheresti ancora di conquistarmi? Oh, no, certo."
    "Sei tu che lo dici."
    "Sarei felice di poter pensare differentemente, il Cielo lo sa; ma se mi piego all’evidenza, capisco quanto forte e irresistibile essa debba essere. Se tu fossi libero oggi, domani, ieri, non credo che sceglieresti una ragazza senza dote, tu che nelle confidenze che mi fai, mostri di misurare ogni cosa al metro dell’interesse. E ammettendo anche che tu, per un momento, tradissi i principi che ti guidano, non so forse con certezza che presto te ne pentiresti? Ne sono sicura: ed è per questo che ti rendo la tua libertà, di tutto cuore, per amore di quello che un giorno sei stato per me."

    Detto questo esco di scena, seguita dal mio collega che interpreta il mio ex-fidanzato. Ma non mi allontano del palco, visto che la mia parte non è finita.
    "Spirito non mostrarmi altro. Riportami a casa. Perché ti diverti a torturarmi?" Sento la voce arrivare dal palco.
    "Ancora un’altra ombra."
    "No, basta! Basta. Non voglio vederla, non mostrarmi altro."
    Nuovamente la luce si spegne e ne approfitto per rientrare sul palco e sedermi su una sedia già posizionata, con un bambolotto in braccio.
    La luce si riaccende ed un mio collega entra in scena con dei pacchetti in mano, dicendo rivolto a me: "Ciao, amore. Ho visto un tuo vecchio amico, oggi, nel pomeriggio."
    "Chi era?"
    "Indovina?"
    "E come potrei?" Mio 'marito' sorride, allora io proseguo, ridendo: "Un momento... lo so: era il signor Scrooge?"
    "Proprio il signor Scrooge. Sono passato davanti alle finestre del suo ufficio e, dato che non erano chiuse e dentro c’era una candela accesa, non ho potuto fare a meno di vederlo. Il suo socio è in punto di morte, mi hanno detto, ed egli se ne stava seduto in quella stanza solo. Assolutamente solo al mondo credo."

    Edited by Neris la vampira - 10/12/2010, 15:18
     
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    Osservo seria il palcoscenico, rimanendo però nascosta 'dietro alle quinte'. Per quanto mi piaccia molto recitare, questa sera non riesco proprio ad essere allegra. E credo che nemmeno gli spettatori ci riusciranno. Quello di oggi è uno spettacolo impegnativo, che fa riflettere sulla natura stessa dell'essere umano. È tratto dal libro 'First they killed my father' di Loung Ung, una storia vera che racconta quello che è successo tra il 1975 e il 1979 in Cambogia, sotto i Khmer Rossi.
    In questo momento sul palcoscenico si svolge un'azione all'aperto: la piccola Loung sta giocando in cortile con un'amica quando in città entrano - su dei camion - dei soldati vittoriosi.
    "Cosa succede? Chi sono queste persone?" Chiede l'amica.
    "Non lo so. Vado a cercare papà, lui lo sa di certo." Risponde Loung, uscendo di corsa dal palcoscenico, per poi rientrarvi col padre.
    "Papà, chi sono quegli uomini e perchè tutti li acclamano?"
    "Sono soldati e la gente li acclama perchè la guerra è finita."
    "Cosa vogliono?"
    "Vogliono noi."
    "Per che cosa?"
    "Non sono brave persone. Sono gente che distrugge le cose."

    Le tende si chiudono e i tecnici ne approfittano per cambiare la scenografia, rendendo il palco la rappresentazione dell'interno di una casa. Insieme ad altri colleghi - tra cui il 'padre' di Loung - entro nel palco. Naturalmente i miei capelli sono stati tinti di un castano scuro quasi nero. Sarebbero stati sicuramente poco realistici se fossero rimasti del mio rosso acceso.
    Le tende si aprono, e io comincio a mettere vari oggetti in una valigia. 'Loung' entra in... casa e afferma, con un tono stupito.
    "Cosa succede? Dove dovete andare tutti quanti?"
    "Dove sei stata?" Esclamo io, che recito la parte di sua madre."Dobbiamo lasciare subito la casa, sbrigati, vai a mangiare!"
     
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  11. Angelo ~
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    Oh, il teatro, quale posto più adatto per sfogare i propri sentimenti?
    Centinaia di persone e di caratteri da interpretare ed altrettanti abiti da indossare.
    Nessun limite alla passione, alla rabbia e alle altre emozioni, nascoste sotto il sottile velo che divide la realtà dalla finzione.
    Il teatro, lo amava molto più del cinema Vincent.
    Il teatro è vivo, lo senti e lo percepisci, quando reciti non puoi sbagliare, non puoi reiniziare tutto.
    Il cinema, invece è freddo, senza sentimenti, e con persone che per lo più han solo un bell'aspetto.
    Questa volta era il turno di interpretare l'Iliade di Omero, a Vincent toccava il ruolo di Achille, forse il più importante. Nel suo camerino, non si nemmeno guardava allo specchio, sapeva già di esser pronto e perfetto per interpretare quel ruolo. Indossava una tunica rossa con ricami dorati ed un cinturone di cuoio a cui legata portava una spada di ferro lunga 70 centimetri. Non gli avevan però permesso di indossare la sua adorata fascia, e per quel motivo si rattristò un po'. Si sentiva pronto per quel ruolo, in particolare per la prima scena.
    La Menin di Achille, l'ira dell'eroe greco che sfociava dura nei confronti di Agamennone, il quale aveva ferito il suo onore, la sua gloria provocando così la sua ira. Che stupido che era stato Agammenone, come pensava di poter sconfiggere i Troiani domatori di cavalli, senza il luminoso Achille, principe del più potente popolo della Macedonia, i Mirmidoni? Agammenone in quel contesto per poco non perì sotto la spada di Achille, fu, infatti, la stessa dea Atena a fermarlo.
    Vincent pensando ciò, sfiorava la spada, una spada finta, non avrebbe tagliato nemmeno il burro con quella. Ma dopotutto non doveva usarla per combattere, nemmeno per fingere di farlo, l'avrebbe semplicemente estratta aspettando l'intervento della bella Atena, la Dea della Sagezza, alleata degli Achei e sua protettrice in diverse occasioni. Lo spettacolo stava per iniziare, apatico come al solito, uscì tranquillamente dal camerino dirigendosi verso il palco, dove centinaia di persone eran venuto per assistere allo spettacolo. Tra i tanti anche qualche piccolo bambino, che fremeva, pensando di poter vedere le scene di guerra tipiche dei poemi omerici. Anche se di combattimenti in realtà ce ne sarebbero stati veramente pochi, e quelli si sarebbero finiti per annoiare, era infatti impossibile poter interpretare scene come quelle in un teatro. Ma la bellezza di tale spettacolo non risiedeva nei combattimenti, ma sfociava negli animi accesi e focosi delle persone che recitavano. Lo spettacolo stava per iniziare le luci si spensero ed il narratore introdusse lo svolgimento dei fatti.
    Cantami, o Diva, del pelide Achille
    L'ira funesta, che infiniti lutti indusse agli Achei..


    SPOILER (click to view)
    Narrato - Pensato - Parlato- Parlato Altrui- Aedo

    Non trovavo definizione migliore di Aedo, chiedo venia xD
     
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    Finalmente! E' questa la parola che mi risuona per la mente, per quanto... beh... un poco mi senta in colpa per star esultando così. Non ho la più pallida idea di perché Selene se ne è andata, non so neppure se è ancora a Nouvieille... so solo che il posto di proprietaria del Teatro è tornato a me. Come dev'essere, d'altronde... Non posso fare a meno di pensare, senza fare caso di quanto questa affermazione sia ridicola. Perché questo posto dovrebbe appartenermi? Beh, lo sento mio... non basta come risposta?

    E' tardi e il teatro è chiuso. Nonostante questo io sono ancora qui. Sto gironzolando per i locali controllando che sia tutto a posto e, in un certo senso, riappropriandomi mentalmente dell'edificio. Da quando sono tornata a Nouvieille mi sono costretta a vedere il teatro come una proprietà di Selene, per quanto io non ci sia mai riuscita veramente. Ma un poco me ne sono allontanata, e adesso mi sembra giusto riavvicinarmi a questo edificio, magari imprimendogli ancor di più la mia impronta. Impronta che gli ho già impresso quando ho scelto il suo attuale nome: Théâtre des Vampires.

    Chissà come mi sentirò quando dovrò abbandonare Nouvieille. Mi chiedo, preoccupata dal mio legame troppo forte con questa città... e con questo teatro. Ora come ora, sarei in grado di pensare che potrei rimanerci per l'eternità, ma quando il proprio aspetto non cambia questo non è propriamente possibile. Beh... magari per allora mi sarò stufata di questo luogo. Mi consolo, sfiorando la tenda di quello che è tornato ad essere il mio palco personale. Il problema è che non so cosa mi succederà se mai abbandonerò questa città. A Nouvieille sono 'rinata', potrei dire, ho ritrovato la mia pace.
    E' inutile pensare a cose così tetre in questo momento. Dovrei festeggiare. Ma come? E con chi? Mm... non sono sicura che Kim gradirebbe se la svegliassi nel bel mezzo della notte per un motivo così futile. Sempre che stia dormendo, ovviamente. Poi... dovrei entrare nella sede del Talamasca per farlo... no, quest'idea non è fattibile.
     
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  13. Ardeth Bay
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    Il trucco era perfetto: indossava una parrucca e una barba grigia, un'abbondante mano di trucco, avevo reso la sua pelle, normalmente eburnea, grigia e rugosa come quella di un vecchio. Indossava una camicia celeste, pantaloni e giacchetta porpora con decorazioni verdi, un cappello, sempre rosso, con una piuma di struzzo verde. Alle mani aveva alcuni anelli d'oro con numerose gemme e una catena d'oro. Si guardò compiaciuto: costumista e truccatore avevano fatto un lavoro eccezionale, l'avevano reso un perfetto Shylock, e con la sua immensa conoscenza dell'opera trattata lo spettacolo sarebbe stato sicuramente un successone.

    Ancora due minuti e tocca a te, preparati!

    L'aiutante del produttore fece in tempo a bisbigliargli quelle parole prima di sparire dietro una tenda che separava il cubicolo di Aurelio da quello dell'interprete di Antonio. Il vampiro si alzò: era il suo momento. Si avviò con passo sicuro verso il palco.

    Tremila ducati.... Sta bene.

    Per l'appunto signore; per tre mesi

    Per tre mesi.... Sta bene.

    Si signore, e Antonio farà da garante.

    E Antonio farà da garante. Sta bene.

    Il timbro della voce era perfettamente impostato, il tono sufficiente di chi si finge solo vagamente interessato mentre in realtà, in cuor suo, non aspettava altro quell'occasione. Ora lui non era più il millenario vampiro Aurelio: ora era il vecchio usuraio Shylock, odiato da tutti per la sua professione e la sua religione. E l'odio che gli veniva scaricato addosso lui lo scaricava sugli altri, ricoprendoli di insulti, aumentando i tassi d'interesse a livelli insostenibili, tramando contro tutto e tutti. Lo spettacolo andava avanti con un ritmo sempre più concitato, il pubblico pendeva dalle labbra degli attori e l'apice venne raggiunto durante il monologo dell'anziano vampiro:

    A farne esca per i pesci. Se essa non potrà alimentare altro, alimenterà per lo meno la mia vendetta. Egli mi ha vituperato, mi ha impedito di guadagnar mezzo milione, ha riso delle mie perdite, si è burlato dei miei guadagni, ha insultato il mio popolo, osteggiato i miei affari, ha raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici. E per qual motivo? Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre degli stessi cibi, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non si cura con gli stessi rimedi, non è riscaldato e agghiacciato dallo stesso inverno e dalla stessa estate come lo è un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci oltraggiate, non dobbiamo vendicarci? Se siamo simili a voi in tutto il rimanente, vogliamo rassomigliarvi anche in questo. Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua mansuetudine? La vendetta! Se un ebreo è oltraggiato da un cristiano, quale può essere, sull'esempio cristiano, la sua tolleranza? Ebbene, la vendetta! La malvagità che mi insegnate la metterò in opera e sarà difficile che io non abbia a superare i maestri!

    Proseguì nel discorso aggiungendo sempre maggiore crudeltà nella voce, mantenendola costante, da quel momento in poi, fino alla fine quando, al momento della sentenza del doge, la sua voce si incrinò, colma di sommo dolore per l'inganno in cui era stato tratto, costretto a perdere tutto e a divenire ciò che odiava di più: un cristiano. E i sipari si abbassarono per l'ultima volta. Fuori uno scroscio di applausi senza sosta. Il vampiro era più che soddisfatto, la sua abilità era sempre la stessa, anche se era molto che non recitava. Si inchinò rispettosamente davanti alla platea e poi, molto discretamente, si allontanò con gli altri per andare a cambiarsi. Il suo successo in quella città era ormai garantito.
     
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    Sono seduta davanti alla scrivania, sfogliando lentamente e svogliatamente un libro preso in biblioteca: Il labirinto d'amore di Boccaccio, meglio conosciuto come il Corbaccio. Per quanto io lo stia sfogliando, in realtà non lo sto realmente guardando: sì, i miei occhi fissano le pagine scorrere, ma senza concentrarsi sulle lettere... ma concentrandosi sulla carta, sulle sue increspature e imperfezioni, sul logoramento dovuto all'uso... e sulle rare strappature. È terribilmente affascinante osservare le vicissitudini del libro, tanto che mi viene la tentazione - per un millesimo di secondo - di utilizzare i miei poteri per vedere quello che il libro ha vissuto: per vedere la sua storia e i volti delle persone che l'hanno letto.

    Allontano dalla mia mente questa tentazione e poggio il libro di fianco a una piccola pila di fogli, ognuno dei quali è riempito da una minuta calligrafia... la mia. Nonostante io abbia scritto quelle pagine velocemente, riescono comunque a trasmettere qualcosa di inumano. Le lettere sono troppo precise, quasi tutte sono delle stesse dimensioni e sono ben impilate in riga. Non ce niente da fare... è difficile ricreare l'imperfezione umana quando si va di fretta. Penso, divertita. Poi... forse, forse... a volte mi piace mostrare quanto io non sia umana, almeno a me stessa. Ricercare l'umanità ma nel frattempo distaccarsene deliberatamente. Arawn potrebbe avermi contagiato, avermi trasmesso parte della sua pazzia. Chissà...

    Rileggo nella mente le prime righe del testo, le parole che l'attore che personificherà Boccaccio dovrà dire rivolgendosi al pubblico: "La mia camera è testimone di quanto io abbia sofferto a causa di una donna e della sua cattiveria. In questa stanza ho pianto a lungo, perso nella mia disperazione, desiderando la morte. Dopo aver sparso molte lacrime mi sono addormentato e ho sognato. Mi son trovato in una foresta, inizialmente un luogo piacevole ma, a mano a mano ho proseguito il cammino, è diventata sempre più oscura, piena di nebbia e di spine. Spaventosi versi arrivavano da tutto intorno a me, e io non riuscivo più a vedere dove stavo andando e non avevo idea di come tornare indietro. Ero solo, perso in quella terribile selva e attorniato da bestie spaventevoli. Poi, tutto ad un tratto è apparso lui...".

    "Mah..." Affermo ad alta voce, pronunciando quella parola che parola non è che, e che ancora mi pare quasi aliena. "Potrebbe anche andare bene per la serata degli uomini... ma devo anche trovare qualcosa per la serata delle donne. Non voglio certo privare il sesso femminile dell'opportunità di sbeffeggiare per bene i maschi."

    In effetti, il Corbaccio è perfetto per realizzare una serata dedicata agli uomini. Nella descrizione della donna amata e dei suoi misfatti, Boccaccio riesce a presentare in modo piuttosto disdicevole tutto il sesso femminile. Questo potrebbe essere classificato come il libro anti-femminile per eccellenza. Come donna un po' mi sento offesa. Ma è abbastanza divertente, di conseguenza posso anche perdonarlo. Anche perché è difficile vendicarsi su un morto. Rifletto, semi seria. Sempre che Boccaccio non sia 'rinato' come spirito, vampiro, mummia... o un'altra di quelle che Kim chiama 'creature sovrannaturali'.
     
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    Sto considerando seriamente l'idea di fare serate tematiche, dove vengono recitate le opere di uno specifico autore. Ad esempio, tutti i martedì potrebbe essere rappresentata un'opera di Goldoni. Naturalmente, abbiamo già lavorato sui classici della letteratura europea, ma - questa volta - mi piacerebbe presentare tutte le opere principali dell'autore scelto, e non una sola. Mi son già stilata un elenco delle opere di Goldoni più interessanti, sia di quelle che sono maggiormente considerate dalla critica letteraria, che quelle che piacciono a me. Ovviamente, il progetto non partirà subito, sia perché devo controllare e, nel caso fosse necessario, rielaborare i testi (e sarebbe poco umano se facessi tutto in poche notti!), sia perché devo lasciare il tempo ai miei poveri attori di imparare la parte ed immedesimarsi nel personaggio. Dopotutto... alcuni di loro sono umani, e non sarebbe possibile per loro imparare tutto in una notte.

    A quest'ora della notte il teatro è chiuso e la maggior parte delle luci sono spente. Diversamente dal solito, non sono nel mio 'ufficio', ma mi trovo nel mio palco personale, dove mi sono piazzata con un libro sulle commedie di Goldoni, un quaderno per gli appunti e una penna. La luce del mio palco è accesa, non per mia necessità reale, ma solo perché non mi dispiace stare in un luogo illuminato... ed osservare il buio del resto del teatro. È un contrasto affascinante quello tra la luce e le tenebre... ed è quasi divertente che io, la 'principessa delle tenebre', sia illuminata, mentre il resto del teatro - una costruzione umana - sia immersa nell'oscurità.

    Riporto l'attenzione sul libro, e mi metto a rileggere - questa volta con una lentezza quasi umana - 'La locandiera'. È una commedia molto interessante, un'opera che ruota attorno alla protagonista - la locandiera Mirandolina - e ai suoi nobili corteggiatori, che lei tiene a distanza. Altrettanto interessante è il cavaliere di Ripafratta, un uomo che si considera nemico delle donne e dell'amore. Mi fa sorridere leggere una delle sue prime battute: «In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? Che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomo una infermità insopportabile.»
    Definire la donna come un'infermità insopportabile non è una novità e, per quanto riguarda me, potrei anche dar ragione al fittizio cavaliere... per quanto, più che un'infermità, sarebbe più corretto definirmi la morte. La parte divertente di questa battuta è che, durante la commedia, Mirandolina si impegnerà per far innamorare di sé il 'povero' cavaliere e, una volta riuscita nell'impresa, lo allontanerà da sé, trattandolo bruscamente e sposando il servitore Fabrizio.
    Mirandolina è un personaggio molto particolare: non vuole sposarsi, ma le piace essere servita, vagheggiata, adorata. Non può semplicemente sopportare che il cavaliere non la guardi, che la disprezzi. Anche quando si sposa con Fabrizio, lo fa più per proteggere se stessa dal gioco pericoloso che ha portato avanti, rifiutando di trasgredire i valori e i ruoli sociali del suo secolo.
    Ma - forse, forse - i personaggi che mi piacciono di più sono Ortensia e Dejanira, due comiche che - alla locanda - riescono a farsi passare per delle nobili: la palermitana Baronessa Ortensia del Poggio e la romana Contessa Dejanira dal Sole. Mirandolina le scopre subito, ma le appoggia comunque, in modo che possano distrarre i suoi corteggiatori mentre lei cerca di trascinare alla passione il cavaliere.
     
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