The Beginning of a New Dream

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    Dietro di me, sulla destra, sento il distinto suono del motore acceso della Mercedes. Punto il naso verso il veicolo giusto qualche secondo, piegando quanto basta il collo: gli enormi fari bianchi mi sembrano due enormi occhi fatti di luce, che mi fissano senza battere ciglio. Nei fasci di luce si distingue il pulviscolo, un’infinità di minuscoli puntini bianchi, alzatisi da terra al mio arrivo, o forse solo quando alla fine ho frenato nei pressi del cancello. Le ruote hanno slittato appena, ma non perché corressi, o perché non avessi scorto l’ostacolo di ferro: c’è un po’ di terriccio a terra, come posso notare guardando in giù e strofinandoci il piede; non a caso ci troviamo dentro l’importante macchia verde di cui dispone Nouvieille, così come ho potuto constatare venendo qui. Credo basti un po’ di vento, o semplicemente non passi nessuno per molto tempo, a far formare questo sottile strato di polvere, terra e foglie secche sull’asfalto, un mix micidiale se si aggiunge una bella pioggerella: allora sì che sarei finito dentro il cancello. Mi raccomando velocemente di fare più attenzione dalla prossima volta, di limitare il peso del piede sull’acceleratore da adesso in poi quando mi troverò nei pressi della Sede del Talamasca.
    Ebbene sì, sono arrivato a destinazione, la mia nuova Casa, luogo dove trascorrerò il mio più prossimo futuro. Si innalza di fronte a me l’ingresso, perfetto nel suo anonimato, come infondo vuole la tradizione. Chiunque, persino io passandoci distratto, scambierei questo posto per qualsiasi cosa, dall’abitazione di un privato facoltoso, ad un centro termale sofisticato, o addirittura un club d’alto livello per soli ricchi con in banca cifre con così tanti zero, da sembrare le “O” di Google quando fai una ricerca. Tornando all’ingresso, non posso nascondere che ha un che di spettrale, a guardarlo bene, considerando l’ora abbastanza tarda, il cielo funesto e gli abbacinanti fari che fanno risplendere le cancellate nel loro ferro battuto. Se faccio troppo caso alla mia ombra ingigantita che copre quasi tutto, non mi sorprenderebbe esser finito in un film di John Carpenter, senza che me ne accorgessi. E a questo punto mi pare lecito chiedermelo: dov’è la nebbia assassina? La smetto subito con qualsiasi accorgimento cinematografico in stile horror, chiudendo il discorso ringraziandomi di non essere passato allo splatter: sai che bello vedere questi bei mattoncini bianchi chiazzati di rosso sangue e di carne spappolata!
    Ho freddo. Ecco, ho esagerato, come al solito. Infilo la giacca nera, che la sola camicia bianca di popeline non basta a tener lontano questo improvviso gelo, che forse sento solo io. Ho stretta al collo anche una cravatta, di quelle strette e sottili, nera e annodata col solo nodo che sono in grado di fare, il più semplice; indosso anche un pantalone classico di cotone in tinta con la giacca, mentre il pugno nell’occhio sono le Converse ai piedi, rosse e bianche. Il resto delle mie proprietà è nell’auto, tutto nelle quattro valigie, più una borsa a tracolla e quella da trasporto per il mio portatile.
    E’ da meno di venti secondi che fisso il citofono, incassato nel muretto, alla sinistra del cancello. L’ora tarda mi fa titubare, anche se a dire il vero non dovrei preoccuparmi: a parte il fatto che qualcuno deve sicuramente aver avvisato gli inquilini delle Sede nouvieillliana del mio arrivo, ma di certo a quest’ora, qualcuno sveglio deve assolutamente esserci, o almeno così dovrebbe essere. E’ vero, la Sede di Londra è l’unica che ho frequentato, la Casa Madre; è vero, mi sconvolgerà non poco scoprire che qui sarà tutto completamente diverso, ma almeno mi auguro di trovare qualcuno a ricevermi, mica sto chiedendo un’accoglienza con fuochi d’artificio, vialetto illuminato da candele e tanta gente sorridente che applaude la mia venuta. Non sono l’ospite a sorpresa, forse sarò solo lo scorbutico che si presenta alle… che ore sono? Tiro fuori il cellulare e mi accorgo che manca poco alla mezzanotte, “l’ora delle streghe”. Rimando ad un’altra volta qualsiasi elucubrazione sull’argomento, decidendomi a pigiare il bottone che sta lì, che m’aspetta, solo per essere pigiato; quale altro fine può mai avere un citofono? Triste la vita dei citofoni!
    Attendo un suono simile ad una cornetta che si alza, o qualsiasi cambiamento nell’apparecchio che mi fa intuire che dall’altra parte c’è qualcuno che mi sta rispondendo. Non ho idea di quanto tempo ci sia voluto, ma fatto sta che non appena succede, senza neanche dare il tempo di chiedere, di domandare, di parlare, o forse di pensare alle solite cose che si dicono al citofono (il “chi è?” universale, insomma!), parlo io, presentandomi e cancellando via una buona quantità di interrogativi.
    «Robbie Duff-Sugar, novizio Osservatore da Londra» poche, essenziali parole, per farmi aprire questa cancellata e finalmente varcare la soglia del soprannaturale tenuto d’occhio, studiato, osservato. Senza attendere alcuna risposta, faccio dietrofront, salendo in auto, pronto a portarla oltre il cancello, che mi auguro si apra da un momento all’altro.


    CITAZIONE

    In attesa di Kimberly.


     
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    La sede comincia a popolarsi, e io non posso che esserne felice. Sì, gli osservatori di Nouvieille sono quattro gatti in confronto di quelli di Roma o Londra, ma ho qualche dubbio che riuscirò mai a raggiungere l'obbiettivo di superare le dieci persone in sede. Quindi... quattro osservatori - cinque, contando anche me - è già un ottimo risultato.

    Come al mio solito, sono nella 'sala da the', seduta comodamente su una sedia, e con un libro aperto davanti a me. Sul tavolo, accanto al libro che sto leggendo, ce n'è solo un altro, cosa che è inusuale... se si parla della sottoscritta. Solitamente, prendo almeno quattro o cinque libri dalla biblioteca, e cerco le informazioni un po' su tutti. Questa sera, però, mi sono volutamente trattenuta: quando si aspetta un nuovo collega, sarebbe meglio mantenere la sede in ordine, libri compresi. E, visto che io sono la responsabile di questa sede, ci si aspetterebbe che sia io quella più attenta a queste cose. Peccato che non sia per niente facile. Rifletto. Nonostante tutto, mi sento sempre come se non fossi all'altezza di questo compito. Ma credo che sia normale: Haru era la migliore, in confronto a lei io... Haru... chissà come sta... se è ancora viva. No, non ci devo pensare. Devo concentrarmi sui libri e su Robert Duff-Sugar, che dovrebbe arrivare a momenti. È quasi arrivata la mezzanotte... massimo l'una dovrebbe essere qui, da quanto mi è stato detto, ovviamente.

    Non che io mi fidi più di tanto degli orari dati dalla casa madre. Può succedere qualsiasi cosa... un aereo che parte in ritardo, ad esempio. Ma non ha importanza. Non ho problemi a stare alzata di sera tardi o di notte. È peggio quando il nuovo collega arriva alla mattina (cosa che ho fatto anche io, in effetti): in tal caso, devo sperare che il giorno di arrivo non coincida col mio orario di lavoro al museo.

    Mi rendo conto di essermi lasciata prendere dai miei pensieri, e di aver smesso di leggere. Torno a chinarmi sul libro e faccio appena in tempo a rileggere le prime parole del paragrafo che non ho completato... prima che il suono inconfondibile del citofono mi interrompa. Mi alzo, prendendomi solo il tempo di sistemare la mia lunga gonna viola scuro, che son già riuscita a stropicciare. Quando non sono in sede preferisco vestirmi con jeans e magliette, anche perché non sempre la gonna lunga è conveniente... soprattutto se si è inseguiti da qualche creatura affamata, ma qui mi posso permettere di vestirmi come meglio preferisco... quindi gonna lunga, maglietta lilla con le mezze maniche e... pantofole.

    Raggiungo l'ingresso e alzo la cornetta del citofono. Appena la porto all'orecchio sento una voce maschile che si presenta. È arrivato. Penso, ma senza esserne poi così sorpresa. Non sono molti che suonano il campanello a quest'ora della notte. Non poteva che essere lui.
    "Benvenuto." Rispondo semplicemente, mentre premo il pulsante per l'apertura automatica del cancello. Dopotutto, ci sarà tempo per le presentazioni.
     
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    Non so perché, ma improvvisamente il sediolino del lato guida della mia auto è diventato scomodo. Ho sempre trovato questo “tesoro” molto confortevole, oltre che utile, ma adesso sembra cambiata, come se avesse perso, del tutto improvvisamente, quel comfort a cui mi ero tanto abituato e affezionato. Dopo aver cambiato una decina di posizioni, alla fine mi rendo conto che è solo un po’ di tensione tutta mia e che l’auto non c’entra nulla. Intanto l’elegante e ombroso cancello si sta spalancando di fronte la mia Mercedes, dentro la quale fino a qualche attimo fa c’era una piacevole musica di sottofondo proveniente dallo stereo Blaupunkt. Eppure, per quanto piacevole, giro la manopola del volume portandolo a zero, così da sentire appieno anche da dentro l’abitacolo, il motore che freme di marciare; sento, come sempre, anche alcuni suoni stranissimi, che normalmente non avverto per via della musica fin troppo alta, decisamente spacca timpani. Sono solito, infatti, ascoltarla a massimo volume quando dalla radio, o da un CD, parte un pezzo che mi piace e mi gasa troppo, tanto da influenzare persino il mio modo di guidare. In genere sono un tipo parecchio accorto, ma quando vedo che è tutto sotto controllo e la situazione attorno a me lo permette, non mi dispiace accelerare un pochino. C’è sempre e comunque qualcuno che fa di peggio, è certo.
    Ecco, come sempre accade, divago a non finire con i miei pensieri. Tutta colpa di quest’improvvisa ansia, decisamente illogica e irrazionale, alimentata da quell’odiosa luce ad intermittenza giallo canarino, che lampeggia in alto alla destra del cancello, segnalandone l’apertura. Con tutta la luce che fanno i fari della mia macchina, quella piccola lucina è capace di mettere a fuoco un secondo sì e un secondo no il mio viso, così come posso notare guardandomi nello specchietto retrovisore. In altre parole, già sto odiando il cancello automatico della mia nuova Sede.
    Metto la prima ed entro, conviene a me e conviene al cancello con quella sua luce lampeggiante da strapazzo. Percorrendo il vialetto, che lentamente si curva sulla sinistra, mi accorgo di non vedere praticamente nulla, eccetto molti, tanti, troppi alberi e parecchio “verde” in giro. A quanto pare la Sede di Nouvieille è germogliata, altro che edificata! Tra alberi, cespugli, prati ben tenuti, mi ritrovo, quasi senza accorgermene, di fianco ad un edificio illuminato, coperto nella visuale da una tettoia sotto la quale pochi altri veicoli sono parcheggiati, immagino quelli degli Osservatori che qui già ci abitano. Pochini, direi. Mi sembra di scorgere anche una moto sportiva, ma il buio e il colore ombroso della carrozzeria, non mi rendono certo.
    Spengo il motore, infine, portandomi giusto le chiavi e la borsa a tracolla, dentro la quale ho varie cose che preferisco portare sempre con me, documenti a parte. Molto semplicemente mi sento più sicuro così.
    Evito di mettere l’antifurto all’auto, dalla quale mi allontano, controllando che sia tutto apposto, che soprattutto non intralci niente e nessuno. Voglio fare bella figura, praticamente. Dentro ci lascio anche le mie quattro valigie e il PC, che casomai ripasso a prendere dopo, a meno che qui non abbiano il maggiordomo, a guardar la villa. E già, la Sede di Nouvieille è una villa, una bellissima villa in stile vittoriano, che per via dell’orario e delle molteplici luci artificiali provenienti un po’ dappertutto, mi si presenta totalmente tinta di nera; probabilmente di giorno è al contrario di un bel grigio. Passandoci davanti, per giungere all’ingresso, noto anche che le imposte sono di un bel bianco perlaceo, come la porta che mi attende in cima alle scale, queste che d’un tratto compaiono tra due muretti di cespuglio. Mi accorgo, salendole, che su di un lato della facciata la Sede è completamente avvolta di rampicanti, vittoriosi contro un giardiniere assente, o forse esuberante; mi pare anche che non servirà aspettare ancora troppo tempo per vedere le piante vincere totalmente sulla facciata, ricoprendola.
    Sono arrivato in cima alle scale. La porta immacolata che mi si staglia di fronte, è ancora chiusa, ma un vetro a forma di occhio, posizionato in verticale, mi apre la visuale incorniciata di una limitata zona degli interni dell’ingresso, in cui scorgo qualcuno che giunge ad aprirmi, o almeno credo. Trovo giusto il tempo di grattarmi appena la testa e di sistemarmi la giacca, per infine guardarmi nel vetro che ho di fronte.
    Da adesso in poi, stiamo a vedere.
     
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    Sento il rumore della macchina che percorre il viale, per poi fermarsi. Premo il pulsante per far chiudere il cancello, in modo da non lasciare l'accesso alla sede spalancato. Se non lo chiudessi, qualcuno potrebbe accedere senza permesso alla tenuta... e non ho voglia di spaventare a morte qualche ladro da quattro soldi. Perché dubito fortemente che chiudere il cancello possa fermare qualche creatura malintenzionata... anzi, so che non servirebbe... visto che le sicurezze della sede son già state violate in passato. Ora abbiamo fatto qualche miglioramento, ma - alla fin fine - quando si tratta di creature sovrannaturali, la miglior difesa della sede siamo noi osservatori... sempre che non facciamo una brutta fine nel tentativo di proteggerla, ovviamente.

    Apro la porta, accorgendomi di essermi persa nei miei pensieri. Il mio collega è già lì davanti, quindi mi sposto di lato, in modo da permettergli di passare, e nel frattempo affermo: "Benvenuto Robert. Sono Kimberly Hastur, la responsabile della sede. Entra pure." Sì, lui si è presentato come Robbie, quindi teoricamente potrei chiamarlo con quel diminutivo, ma... Robert è Robert: quel nome non si tocca! Il mio Robert - il defunto osservatore italiano Roberto Catiana - mi avrebbe appeso per i piedi al lampadario se l'avessi chiamato Rob o Robbie. Quindi... non ho intenzione adesso di iniziare a usare diminutivi del suo nome. Come minimo, se lo facessi, risorgerebbe dalla tomba per farmi smettere. E, nonostante tutto, non mi piacerebbe rincontrarlo come non morto.
     
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    Ci siamo. A partire dai prossimi respiri, i prossimi passi, i prossimi sguardi, le parole che da qui in poi pronuncerò, i pensieri che invece celerò, inizierà ufficialmente la mia nuova vita nel Talamasca di Nouvieille. Mi guardo indietro, simbolicamente, rivedendomi all’età di tredici anni, con bagagli e tutto, partire alla volta di Londra e della vita obbligata che mi attendeva nella capitale londinese. C’era mio padre con me, anche lui è un Osservatore, e ricordo che mi parlava del treno che avevamo preso, poi della metropolitana londinese e di come fosse all’avanguardia, e allo stesso tempo antica e vasta, seconda sola a quella di Shanghai. Mi parlava del giorno della sua inaugurazione, più di un secolo fa; mi parlava delle sue numerose stazioni e di tanto altro ancora, che adesso ricordo a malapena. In questo momento mi rendo conto, per l’ennesima volta, che allora non volle darmi ansie anticipate, preoccupazioni inadatte a quella mia giovane età, preferendo parlarmi di altro, per distrarmi dalla destinazione di quel dì: la Casa Madre di tutti gli Osservatori.
    Senza fretta e spalleggiata, è iniziata la mia carriera alla mercé del paranormale e ora, con la stessa calma di quando ero soltanto un adolescente, sto per cominciare un nuovo capitolo, dall’insolito titolo “bella ragazza dai capelli biondi che mi apri la porta”. Un titolo che palesa molto, ma non posso fare a meno di scannerizzare la tipa che mi ha spalancato la porta d’ingresso della Sede, e immagino anche il cancello, che adesso penso si sia già richiuso. Un bel tipo, dalle misure tutte al punto giusto, anche se in realtà spicca di più la chioma per le tonalità che di regola fanno impazzire un po’ tutti i maschietti: bionda, la ragazza tiene i capelli sciolti e mossi, che le incorniciano un viso simpatico e a tratti dolce, dove spiccano i begli occhi cerulei e il sorriso, grande, gioviale e contagioso. Una rapida occhiata all’abbigliamento mi suggerisce un bel contrasto di viola ad opera di una gonna lunga e una maglietta tendente al rosa.
    In realtà do peso al suo stare sulla porta, un po’ da parte, a suggerirmi di entrare. Le parole che mi rivolge, con voce cordiale ed educata, sottolineano questo e mi informano di molto altro. Si chiama Kimberly Hastur e lì dentro rappresenta la serietà e l’affidabilità, essendo la responsabile della Sede. Mi vien subito da pensare a quanti anni possa avere e paragonandola a me, direi che al massimo è più grande di solo qualche anno. Veramente tutto questo non mi sorprende più di tanto, visto che tutto gira attorno all’esperienza, e non tanto all’anno di nascita: non sono pochi i casi a Londra di Osservatori giovanissimi e molto rispettati, e di altri, con qualche capello bianco, magari entrati nell’Ordine soltanto da pochi giorni. Fanno ovviamente testo a parte gli Anziani, dalle identità più che segrete, ma forse anche per loro vale lo stesso.
    Mi sbrigo a varcare la porta, entrando per la prima volta in una Sede che non sia quella centrale. Ancora non faccio caso a com’è dentro, ma non mi sfugge una luminosità sorprendente, la cui contemplazione rimando di solo un pochino di tempo. Guardo invece Kimberly e le rivolgo subito la parola, intravedendo occhi abbastanza stanchi e collegando la cosa all’orario che le ho fatto fare nell’attesa del mio arrivo.
    «Grazie. Mi scuso anticipatamente per l’orario che si è fatto, ma quando organizzi tutto in fretta, è facile imbattersi in contrattempi, di ogni genere.» Le parlo con tutta l’educazione che riesco a trovare a quell’ora tarda della sera, di dovere nei confronti di chi ora è responsabile di tutto ciò che farò da adesso in poi. Ne approfitto però subito, porgendole un primo interrogativo, ma notevolmente banale. «Mi domandavo: l’auto sta bene sotto il porticato che ho trovato qui dietro, o devo spostarla da un’altra parte?» Almeno faccio notare subito di essere uno che abbraccia le regole e le norme vigenti, simili o differenti che siano da quelle a cui sono stato abituato in terra britannica.
     
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    Appena è entrato, chiudo la porta, confinando l'aria fresca della sera all'esterno. Non è che faccia propriamente freddo, dopotutto siamo ormai in primavera, ma è tardi e il sole è calato da un po'... quindi la temperatura non è certo quella di questo pomeriggio. Appena torno a guardare Robert, non posso fare a meno di notare che mi sta osservando. Questo, ovviamente, non mi disturba, anche perché io sto facendo la stessa cosa. Siamo due estranei che dovranno vivere sotto lo stesso tetto e che si incontrano per la prima volta... anche non considerando il fatto che siamo osservatori del Talamasca, quindi i ficcanaso per eccellenza, un po' di curiosità è normale, in queste circostanze.

    "Non ti preoccupare, qui siamo tutti abituati a stare svegli fino a tardi... come, d'altronde, tutti gli osservatori." Affermo tranquillamente, senza preoccuparmi minimamente del fatto di stargli dando del tu. Ha praticamente la mia età - ok, qualche anno in meno - e dovrà vivere in questo edificio. Sarebbe abbastanza ridicolo se cominciassimo a darci del lei, soprattutto visto che in questa sede ci vivono quattro gatti. Un certo tipo di distanza sociale è comprensibile nelle case madri o nelle sedi che hanno almeno una cinquantina di persone, ma qui a Nouvieille sarebbe semplicemente controproducente. Sì, le gerarchie ci sono e bisogna rispettarle, ma potrei dire che qui siamo quasi una famiglia. "Per l'auto, non dovrebbero esserci problemi." Dico, rispondendo alla sua domanda. "Per sicurezza puoi chiedere anche agli altri, ma se desse fastidio, al massimo, ti chiederanno di spostarla." Detto questo, mi chiedo che fare. Solitamente, l'orario di arrivo dei miei nuovi colleghi è ben diverso e mi permette di far fare loro il giro della casa... o un salto in cucina.

    "Se vuoi, posso portarti direttamente a scegliere la tua camera, oppure - nel caso tu avessi fame o sete - possiamo fare prima un salto in cucina. Potrei anche farti fare il giro dell'edificio, tanto - nonostante l'ora - in questo momento siamo gli unici in sede... quindi non rischiamo di disturbare nessuno." Propongo.
     
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    Accompagno con gli occhi la porta, mentre questa compie il proprio arco al di sopra di un immacolato e lattescente pavimento di marmo bianco, ricco di venature nuvolose, un po’ di tutte le sfumature. E’ una superficie liscia e specchiante quella su cui sto in piedi, riflettente fin dove può ogni cosa ci passi sopra, regalando la visione di un mondo capovolto, in verità l’altra faccia della stessa medaglia.
    Quando l’uscio si chiude, occupando perfettamente il rettangolo della soglia lasciato vuoto, la voce carezzevole di Kimberly mi distoglie da qualsiasi argomentazione mi sta passando per la testa in questo momento, ricevendo al contrario rassicurazioni dovute alle mie scuse in fatto di ritardo: è vero, ogni Sede esistente sulla faccia di questo mondo, per quel che si conosce, non dorme mai; a Londra è fin troppo facile imbattersi in colleghi in piena notte. Il Talamasca è un organismo vivente, mi vien da pensare in più di un’occasione, un corpo che respira, che pensa, che parla, e che sanguina anche. Una cosa è certa: anche quando dorme, è una macchina che lavora comunque, senza sosta. Non esistono orologi per gli Osservatori, seppur io, nel mio piccolo, ho una fissazione per l’orario; ma se la faccenda è importante, si sta svegli anche fino all’alba, quindi rientra pienamente nella normalità il mio trovarmi qui a quest’ora della sera.
    Mi giungono ulteriori garanzie: l’auto, secondo colei che da meno di un minuto è la mia superiore, non dovrebbe dar alcun tipo di problema lì dove l'ho parcheggiata. A ricordarlo, quel porticato mi è sembrato fatto apposta per metterci i propri veicoli sotto, al riparo da ogni agente atmosferico. L’ulteriore mancanza di un numero spropositato di mezzi di locomozione, eccetto uno o due, mi aveva già convinto che lasciarla lì, dove ora sosta, non avrebbe di certo causato guerre fratricide dentro al Talamasca. Semmai accadrà qualcosa, vorrà dire che mi scuserò ed eviterò. Che ci sia un garage sotterraneo da qualche parte? Non mi resta che scoprirlo, o aspettare di visitarlo.
    E’ difatti questa l’idea che frulla nella testolina di Kimberly, sotto tutti quei boccoli di grano. Mi propone varie idee, delle alternative per spendere i primi momenti lì dentro. Mi chiede innanzitutto se preferisco andar subito a sistemarmi in quella che sarà la mia nuova camera: il numero forse eccessivo di valigie che ho in auto, incluso il loro peso spropositato (infondo mi sono trasferito da Londra, non sono certamente venuto a fare la villeggiatura), mi fa scartare a priori questa proposta, rimandandola a dopo, scaricando casomai la ragazza dal dovermi controllare fino alla fine, dandole modo di andarsi a riposare. Orario presto o tardi che sia, non mi pare giusto farla gironzolare insieme a me per tutta la casa, che ho in mente, in verità, di conoscere con calma e da solo, se possibile. La seconda alternativa è l’andare a rifocillarsi, scoprendo così quella che è la cucina della Sede. O forse preferisco iniziare il tour della Casa, approfittando della presenza di solo noi due all’interno dell’edificio, indi nessuno a cui arrecare eventualmente disturbo ciondolando di qua e di là?
    L’idea della cucina, per me, ma anche per Kimberly, è quella che ritengo più fattibile per il momento. In realtà non ho per niente fame, ma qualcosa da bere per intrattenermi con la ragazza in due chiacchiere, la vedo un’ottima idea. E nel frattempo posso pensare a che fare dopo, anche se ringraziarla, permettendole di andare a dormire, ha già l’aroma della scelta che andrò a compiere, preoccupandomi da me e con tutta calma, del trasferimento dei miei effetti personali nella camera che lei vorrà assegnarmi, o che io intenderò scegliermi, non mi è ancora chiaro. Ma non doveva esserci un maggiordomo?
    «Sinceramente, non ho molta fame, ma qualcosa da bere la prendo volentieri.» Le comunico, con l’allegria stampata in faccia, mescolata alla perfezione con una stanchezza non poco apparente. «Così possiamo fare un po’ di conoscenza.» Mi appare corretto dirlo, infondo è un buon modo quello di condividere qualche decina di minuti bevendo qualcosa e scoprendo l’essenziale dell’altro, in vista di una più che prossima collaborazione.
    Infilo poi le mani in tasca, pronto a seguirla, lasciando che mi faccia strada.
     
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    Come - in effetti - un po' mi aspettavo, ha scelto di fare un salto in cucina. Dopotutto, è il luogo più adatto per rifocillarci dopo un lungo viaggio... anche se, vista l'ora, una dormita potrebbe avere un effetto migliore. Ma noi osservatori siamo troppo curiosi per permetterci di andare a dormire appena arrivati in un posto nuovo. Devo ammettere che, nonostante la tarda ora, mi sarebbe dispiaciuto non poter scambiare quattro chiacchiere con Robert. Ho letto tutta la documentazione su di lui che mi ha inviato la casa madre, ma leggere di una persona è molto diverso da parlarle. Sulla carta non si possono scrivere molte cose, come - ad esempio - non si può descrivere il carattere di una persona... se non ricadendo nelle limitazioni del linguaggio scritto. La cosa migliore è vedere con i propri occhi... ed è anche per questo che noi osservatori non ci limitiamo a studiare sui libri ma ci avviciniamo - alle volte troppo, almeno nel mio caso - alle creature sovrannaturali.

    "Mi farebbe piacere." Dico, esprimendo almeno in parte il mio desiderio di conoscerlo, di soddisfare almeno un poco la mia curiosità. Devo ammettere di non essere mai stata brava con le relazioni interpersonali, tanto che ancora adesso non posso dire di avere chissà quanti amici. Ma sono di sicuro migliorata molto in questi anni: quando sono arrivata in questa città ero un disastro, adesso invece mi ritrovo a essere la responsabile di una sede del Talamasca. Probabilmente, il mio Robert starà ridendo come un matto, mentre mi osserva da lassù. "Vieni, la cucina è da questa parte." Continuo, cominciando a camminare in direzione della cucina che, trovandosi al piano terra, raggiungiamo in quattro e quattr'otto. "Cosa preferisci bere?" Domando, una volta che abbiamo varcato la soglia della stanza in questione. "La dispensa è ben fornita, quindi dovremmo avere un po' di tutto."
     
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  9. A Beautiful Lie
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    Kimberly è d’accordo: si va in cucina a fare due chiacchiere, bevendo qualcosa. Mi fa strada, incamminandosi verso l’interno dell’edificio, dirigendosi verso destra dopo aver sorpassato la rampa di scale che sicuramente porta al secondo livello della Sede. Il tragitto da compiere, visto a posteriori, non è lunghissimo, eppure non posso fare a meno di prestare massima attenzione ad ogni dettaglio che arriva a me. Il pavimento conserva la lucentezza del marmo bianco dappertutto, andando poi a cozzare alla meraviglia con quello che è l’arredamento: la mobilia è in legno scuro, cospicue lampade e luci varie dipingono la zona come tantissime stelle, su un cielo di latte macchiato d’oro. Qua e là, difatti, motivi floreali esprimono un carattere lussuoso e un po’ stravagante, a dire il vero, accendendosi di un giallo carico, ma il contesto generale è ben rappresentato nello stile vittoriano proposto ovunque. A far da cornice, oltre ad un po’ di pollice verde riscontrabile attraverso numerosi vasi, dalle più svariate dimensioni, contenenti piante e fiori di ogni tipo, non mi sfugge, alzando di poco la testa, l’affacciata quadrata che dal secondo piano permette una visuale completa dell’ingresso.
    Svoltiamo in un corridoio: alle pareti, anch’esse bianche, quadri di ogni genere e corrente artistica stanno appesi, accentuando un certo sfarzo qui dentro presente, forse esagerando. Il corridoio termina e restando dietro di Kimberly, entro nella porta a sinistra, quella della cucina, non elemosinando però occhiate nella stanza oltre la soglia che si apre a destra: scorgo quella che ha tutta l’aria di essere una raffinata sala da pranzo, con tanto di tavola nera imbandita e circondata da poltroncine, anziché sedie, da far concorrenza a quelle che si possono fotografare qua e là nelle regge più note di tutta l’Europa. Ecco, mi sembra d’esser finito a Versailles.
    Più di un lampadario enorme cascante dal soffitto e forse un camino, non riesco a vedere, anche perché mi ritrovo dentro la cucina. I colori chiari non spariscono, anzi, qui si accentuano ancor di più, sfumando laddove serve in tonalità leggermente più scure, ma non troppo: il classico del legno si sposa con un grigio dalla luminosità a dir poco massima, dando come risultato una simpatica cucina attrezzata di tutti quelli che sono gli elementi necessari a preparare ogni tipo di pasto. Oltre, verso le finestre, da cui proviene una scarsissima luce esterna dato l’orario, in realtà risparmiata da quella massima presente nella stanza, scorgo un tavolo più semplice e ammodo, circondato da sedie che nulla condividono con i piccoli troni adocchiati soltanto un attimo prima.
    Kimberly mi fa presente dell’esistenza di una dispensa molto attrezzata, che a guardar dove mi trovo, non si direbbe, essendoci più che altro l’essenziale e non di certo il regno di quel che può diventare un ristorante di successo. Che si stia riferendo alla porta chiusa che vedo qui? Probabile, ma preferisco risponderle senza troppe domande, le cui risposte penso di poter ottenere aspettando e stando a guardare. Quindi, cos’è che preferisco bere? L’orario tardo mi suggerirebbe qualcosa di caldo, meglio di no il caffè, a rischio di non dormire questa notte; un tè? No, non è l’ora giusta. La camomilla potrebbe avere effetti micidiali se miscelata con la stanchezza che avverto un po’ ovunque, fuori e dentro di me. Qualcosa di fresco, sì!
    «Una birra qualsiasi, fredda possibilmente.» Che mi sia giocato la mia bella presenza? Mi auguro di no, infondo che sarà mai una birra?! E poi una cola non mi andava, figuriamoci un succo, o altro di simile. Svio immediatamente la faccenda verso altro. «In quanti siamo, all’incirca, in questo distaccamento?» Non vado alla ricerca di numeri precisi, considerando che alla Sede centrale, dalla quale ho assunto ogni abitudine, era impossibile contare quanti fossero gli Osservatori in attività al suo interno: gente che parte, gente che torna, gente che scompare per tantissimo tempo, per riapparire improvvisamente senza che nessuno se ne sia accorto; di certo a Londra erano tanti, qui ne prevedo pochi, anzi pochissimi, ma non m’interessa sapere al momento tutto di loro, incluso il numero che vanno a totalizzare.
     
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    Alla mia domanda, lui risponde con la richiesta di una birra. Non andando matta di alcolici, non ho la più pallida idea di che birre abbiamo in sede e - cosa più importante - se ne abbiamo qualcuna in frigo. Mi avvicino al frigorifero, aprendo lo sportello proprio mentre Robert mi fa una seconda domanda, quella che fanno un po' tutti appena arrivati. Uno sguardo veloce al frigorifero mi fa scoprire una lattina di birra mezza nascosta tra le altre bibite. Sollevata dalla scoperta che qualcuno - in sede - beve la birra (o ha pensato che sarebbe stata una buona idea averne una in frigorifero, nel caso qualcuno sentisse il bisogno di berla), la prendo in mano, per poi chiudere lo sportello e voltarmi verso il mio nuovo collega. Insomma... se non l'avessi trovata in frigorifero, l'avrei di certo trovata nella dispensa, ma non sarebbe stata fresca. "Siamo pochi." Rispondo, mentre recupero un bicchiere pulito e lo poso, assieme alla lattina, sul tavolo. "Oltre a te e me ci sono altre tre osservatrici. Siamo in quattro gatti, insomma." Affermo, decidendo di evitare di sottolineare che lui è l'unico osservatore maschio attualmente a Nouvieille. In proposito si potrebbero fare molte battutine, ma io non sono quel genere di ragazza. No, io sono colei che si caccia nei guai... e che è - a detta dell'unico cacciatore che conosco - 'troppo buona'. Ne è passato di tempo da quando me l'ha detto, ma non posso non continuare a pensare che ha ragione: sono troppo buona... anche con chi mi vorrebbe solo dissanguare o mangiare. "Ma Ayame, quando è arrivata, mi ha fatto notare che la situazione non è poi tanto male: essendo in pochi c'è lavoro per tutti. Tante creature da osservare, e pochi osservatori... almeno così non ci si 'contende i vampiri'. Ma, d'altra parte, si potrebbe dire che c'è fin troppo lavoro, fin troppe creature sovrannaturali in questa città. Qualche osservatore in più, quindi, fa sempre comodo." Affermo, tralasciando il fatto che sto cominciando a pensare che il via vai che c'è in questa sede, sarebbe paragonabile a quello di Londra... se solo ci fosse più gente che arriva. La maggior parte degli osservatori che arrivano a Nouvieille, per un motivo o per un altro, si trasferiscono presto.

    Improvvisamente mi viene voglia di un the... del mio adorato the. Se non fosse così tardi e non volessi fare quattro chiacchiere con Robert me ne preparerei uno, ma ora non è il caso. Così mi limito a recuperare la bottiglia di the alla pesca dal frigorifero... assieme a un altro bicchiere. Non è la stessa cosa, ma a mali estremi... estremi rimedi.
    "Siediti pure." Dico, tornando al tavolo e sedendomi io stessa... per poi non riuscire a trattenere una domanda: "Com'era a Londra? Quando mi sono trasferita qui da Roma ho sentito molto la differenza... potremmo dire che Nouvieille è un luogo piuttosto tranquillo, se non considerassimo le creature sovrannaturali." Ripensare al giorno in cui sono arrivata qui mi fa una strana sensazione. Di colpo, tutto quello che ho scelto di dimenticare mi ripiomba addosso: Roma, Arawn, Roberto... ma anche Lia... e Haru. Un ricordo porta dietro l'altro... ricordi tristi, malinconici, ma anche splendidi. Ricordi che, nonostante tutto, sono per me preziosi.

    Ed eccomi! XD Nel conto degli osservatori ho calcolato anche quelli che son stati 'eliminati' nel censimento di oggi... mi sembrava giusto farlo, visto che questa role è stata aperta prima del censimento. XD (Ok, lo ammetto... sarebbe troppo triste dire che siamo solo in tre. -.-)
     
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    E come immaginavo, la stupisco con la birra che le ho chiesto. La prossima volta chiederò dell’acqua tonica, andrò certamente sul sicuro.
    La seguo con lo sguardo mentre si porta al frigorifero, di cui spalanca la lunga anta che lo tiene fresco e sigillato. Subito la luce proveniente dall’elettrodomestico disegna una linea pallida sul pavimento e su Kimberly, sottile all’inizio, sempre più spessa quando tutto l’arco dell’apertura è stato compiuto. Tengo le braccia incrociate e sto attento a quel che fa la giovane, in cerca di una birra dentro un frigo che da lontano mi dà l’impressione di esser stato vuoto solo quando è stato comprato. Sembra volerci un po’ e forse perché di birre non ce ne sono. Sto per cambiare idea, sto per dirle che qualsiasi altra cosa va bene, ma fermo la mia lingua quando la mano di lei si inoltra di parecchio dentro quella scotola fredda, tirando fuori… una lattina di birra.
    Avrei preferito di gran lunga una bottiglia, mi fa strano vedere le birre dentro barattoli di certo più congeniali per cole, aranciate, tè freddi. Mi devo accontentare, è chiaro. Ma non posso fare a meno di guardare un po’ preoccupato la lattina saltata fuori da chissà dove, dentro il frigorifero che un attimo dopo viene chiuso.
    Mi dimentico della birra. Kimberly mi comunica quel che da solo avevo già intuito da un po’ e ovvero che lì dentro non siamo in tanti, anzi, più precisamente, oltre a noi, la Casa è abitata da altre tre Osservatrici. Non so che pensare, devo essere sincero. Da una parte mi intriga dover trascorrere del tempo tra colleghi esclusivamente femminili, sempre che restino a lungo e tutte, e sempre che ci si incontra, tra un impegno ed un altro, tra queste mura che condivideremo. Dall’altra, invece, sono un po’ teso e immagini a dir poco preoccupanti di ore trascorse a mettersi smalto, pettinarsi i capelli, parlare dei ragazzi… Cavolo Robbie, non è un college questo!
    Kimberly arriva prontamente in soccorso, distogliendo la mia attenzione da qualsiasi altra cosa malvagia che può finirmi tra i pensieri. Scopro così il nome di un’altra collega: si chiama Ayame e basta questo nome mai sentito in vita mia a farmi immaginare una qualche Osservatrice orientale, quasi certamente non europea. Una veloce toccata e fuga nel domandarmi quali creature sovrannaturali abitino l’estremo Oriente, che mi ritrovo a dover valutare il parere di questa tipa a proposito della scarsità di membri a Nouvieille: poche persone vuol dire tanto lavoro a disposizione, tanto lavoro a disposizione vuol dire creature per tutti, soprattutto i “vampiri”. Ora, che ci sia la fila di contendenti per fare quattro chiacchiere con un succhiasangue, ebbene questa è la cosa più spaventosa che abbia mai sentito. Certo, i vampiri sono affascinanti, di natura ne sono affascinato io stesso, ma lo sarebbero per chiunque, se sapessero di avercelo davanti… quindi no, vi lascio tutti i vampiri e statemi bene, non voglio fare nessuna fila perché mi interessa altro. Tutto questo ovviamente non lo dico, seguendo il discorso portato a conclusione dalla biondina, che promette comunque parecchio da lavorare, perché di creature ci sono in abbondanza. Non a caso, prima di spedirmi qui, più volte mi hanno avvisato che Nouvieille ha qualcosa di particolare, di strano, che attira un’infinità di anime non propriamente umane. Una testa in più, di conseguenza, non può che far comodo.
    Annuisco, per il momento, non mi vien nulla da dire, ma molto a cui pensare. Mi metto in cerca della mia birra e la trovo sul tavolo, verso cui nel frattempo ci siamo lentamente spostati, affiancata da quel che forse salverà la mia bevuta: un bel bicchiere di vetro. Non tutto è perduto!
    Un attimo dopo ci ritroviamo seduti: su invito di Kimberly ho preso la prima sedia che mi è capitata a tiro, iniziando poi a giochicchiare con la linguetta della lattina e intanto la ragazza si trascina di nuovo verso il frigorifero, tornando con una bottiglia di tè freddo alla pesca e un secondo bicchiere. D’accordo, non può diventare un ristorante di lusso, ma questo posto potrebbe benissimo trasformarsi in un bellissimo bar, se solo prendesse delle bottiglie di birra, anziché queste… com’è che si chiama? Diavolo, queste birre tedesche, dannate loro e questi loro nomi già strani di per sé, per di più scritti da un aramaico, o un arabo. Ra… Reic… Reichelbrau, credo. Speriamo sia buona. Tirò su la linguetta, senza mancare di far quel tipico rumore del sottovuoto che torna a respirare, con l’immancabile nota metallica di sottofondo. Sto per versarmela nel bicchiere, quando la voce di Kimberly m’interrompe.
    Mi chiede di Londra, al che vorrei subito ribadire “in che senso?”. Ma aspetto, seguendo il filo del discorso: mi parla di lei e di quando si trasferì da Roma. Roma, prima o poi ci andrò, anche lì il Talamasca ha una Sede.
    In effetti sì, le differenze le riscontri sempre quando ti trasferisci in un posto nuovo e come era valso per la biondina, per quel che mi ha detto, lo stesso vale per me. Nouvieille: mi ci vorrà del tempo per abituarmi, ma non c’è male. Tranquilla dice? Beh, vedremo, quando ci sono troppe creature in giro, non c’è da star tanto tranquilli.
    «Londra è come sempre: grigia e bagnata.» Parto con una battuta, a cui sorrido anch’io, mentre intanto mi verso il giallognolo liquido gassato e schiumoso nel bicchiere, dalla lattina che via via diventa sempre più leggera. Come mio solito, riesco a non far fare tantissima schiuma, ma giusto appena. D’aspetto è tra l’invitante e il rivoltante. L’assaggio comunque. C’è di meglio, ma può andare. «Trasferirsi non è mai facile e piacevole, soprattutto per un abitudinario come me.» Mi porto pollice e indice della destra alla bocca, asciugandomi le labbra e togliendo eventuali residui di schiuma. «Ma fa parte della vita, no? Mi aiuterà sicuramente a crescere e a maturare.» Faccio un altro sorso e potrei persino dire che mi sta piacendo, questa “Rec-comecavolosichiama”.
    «Creature… creature… com’è la situazione qui a Nouvieille?» le chiedo infine, cambiando postura per trovarne una più comoda; sono molto interessato a quel che sentirò tra poco.
     
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    Non posso fare a meno di sorridere alla sua battuta su Londra. Fredda e bagnata... Ripeto nella mia mente, ricordandomi il mio giretto per Londra di anni fa, quando ancora lavoravo a Roma sotto la supervisione del mio Robert. Appena tornata in sede, ovviamente, Robert mi aveva fatto una ramanzina da non poco. Non solo ero andata a Londra senza di lui, ma anche senza il suo permesso. Per non parlare del fatto che ero riuscita, ovviamente, a cacciarmi nei guai! Robert aveva dovuto chiedere un favore ad un amico osservatore di Londra per farmi riportare a Roma quasi di peso. Essere letteralmente buttata fuori dalla casa dei miei zii da un demone non era bastato a farmi capire che era meglio girare alla larga. Mai ficcare il naso nelle faccende della famiglia della mia madre adottiva, meglio non cacciarsi nei guai con un gruppo di streghe. Anche se... No, non chiederglielo... tu non devi ficcare il naso... non devi farlo... ascolta le sue parole... e matura anche te, stupida ragazzina che non sei altro! Penso, sgridandomi da sola, e quasi mordendomi la lingua pur di evitare di domandare al mio nuovo collega se ha mai sentito qualcosa sulla famiglia Hastur. Pensa ai vampiri, agli angeli, ai risvegliant... no, ai risveglianti no... a qualsiasi cosa, ma non a quella famiglia di streghe! Sei riuscita a resistere fino ad adesso senza chiedere informazioni alla casa madre... puoi continuare così. Certe cose è meglio non saperle.

    "A dir la verità... ci son così tante creature e di... diciamo... razze diverse che quasi mi stupisce il fatto che la loro esistenza non sia già diventata di dominio pubblico." Rispondo, riportando la mia attenzione al Robert che è di fronte a me e prendendomi una breve pausa per bere un sorso di the, che nel frattempo mi sono versata nel bicchiere. "Ma son troppo furbe per farsi notare, come in qualsiasi altro luogo. Se nascono faide tra loro, sono abili a evitare di avere testimoni." O di lasciarli in vita. Completo nella mia mente, convinta che anche lui sia consapevole dei 'rischi del mestiere'. Essere osservatori del Talamasca significa essere i ficcanaso per eccellenza, e a molti non umani questo non piace. "Non credo che ci sia una vera e propria razza dominante, ma è probabile che si siano in qualche modo divisi il territorio. Altrimenti non mi spiegherei come facciano a vivere nella stessa città, nonostante Nouvieille non sia proprio di piccole dimensioni." Mi fermo un attimo, per bere un sorso di the e schiarimi le idee. In effetti... non so nemmeno io cosa dirgli. È difficile fare un discorso generale quando di solito si studia il particolare. E bisogna anche considerare il fatto che molte creature preferiscono la solitudine... o, nonostante amino stare in mezzo alla gente, in un certo modo se ne distanziano. "Ma credo che il modo migliore per farti un'idea sulla situazione della ctà sia quella di dare una sbirciata all'archivio, anche se - in effetti - non saprei da cosa consigliarti di iniziare."
     
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    E’ chiaro che ci sta pensando. Non le ho posto una domanda semplicissima, del tipo quali sono i colori della bandiera del Regno Unito, o che giorno viene dopo il sabato. In effetti non sono stato molto preciso in quello che ho chiesto, troppo generale, troppo vago. Però, riflettendoci su, non mi pare un granché difficile: c’è una bella differenza dal “tutto tranquillo” a “guerra in corso, morti per le strade, sangue dappertutto”. Da quel che ho potuto constatare venendo qui dall’aeroporto, opterei per la prima.
    Poi la risposta arriva. Nouvieille sembra scoppiare per quante creature la vivono, o l’attraversano soltanto. Così tante che secondo Kimberly fa davvero strano che la loro esistenza non sia nota a tutti. Certo è impossibile sapere quante ne siano realmente, o in che punti nevralgici della società sono andate a scaldare una qualche sedia importante. Già immagino, che ne so, che il Sindaco è un Mannaro, o il Capo della Polizia uno Stregone vecchio di qualche secolo. Un bell’interrogativo questa città, un po’ come quello che mi viene in automatico a veder la giovane versarsi il suo tè freddo alla pesca e domandarmi del perché non l’abbia scelto anche io: è il mio gusto preferito quello, subito seguito da quello verde, escluso a priori quello a limone! Che schifo!
    Non distolgo lo sguardo, mentre, tra un sorso e l’altro, mi continua a parlare della città. Come dappertutto, anche qui i simpatici “animaletti sovrannaturali” sanno mandare avanti le loro vite nel totale riservo. “Furbe” per Kimberly; fin troppo secondo me, pericolose per questo. A quanto pare non sono note faide in corso, o in passato: l’esperienza è troppo e dalla loro parte per farle trapelare ai comuni mortali, che potrebbero sempre fraintenderle per battaglie tra gang, infondo.
    Nulla a che vedere con Londra, questo è certo: persino le creature londinesi hanno assunto quel carattere, quell’atteggiamento “british”, che difficilmente accade qualcosa fuori dal comune, in patria. E meno male, direi! I lavoretti sono sempre fuori città, luoghi sperduti tra le infinite brughiere anglosassoni; le creature di città sono di tutt’altra pasta, gente di alto rango, ma pur sempre creature e per questo pur sempre pericolose.
    Proseguendo con Nouvieille, pare non ci sia una razza predominante sulle altre, il che è molto bello sentirselo dire. Una grande torta, quindi, in cui probabilmente ognuno si è ritagliato la sua fetta per andare avanti a campare. Fa molto “io non do fastidio a te, tu non dai fastidio a me”. Molto bello, l’Eden sulla Terra certo, ma non dura a lungo, sennò non sarei qui, e tanto meno non ci sarebbe un distaccamento del Talamasca.
    Kimberly conclude con un consiglio: potrei conoscere molto, ma molto di più, andando a ficcanasare nell’archivio, dove di certo potrei trovare tanto, tantissimo. Fa molto depliant, è vero, ma già alla parola “archivio” credo di aver tradito tutto il mio interesse, tutta la mia eccitazione, al pensiero di quel luogo pieno di libri, volumi, documenti vari, e tante, tantissime parole da leggere e memorizzare. L’orario non è dalla mia, lo so bene, ma almeno dare un’occhiata mi sembra il minimo per soddisfare in piccolo questo bisogno sempre più crescente. Non mi sorprenderei se Kimberly avesse visto nei miei occhi due cuoricini lampeggianti.
    Lascio perdere la birra, lascio perdere Nouvieille, stringo tra loro le mie mani, poggiandole sul tavolo, a mo’ di preghiera, anche se lo faccio senza accorgermene e senza volerlo. Un riflesso, forse, fatto sta che esprimo la mia richiesta.
    «Pensi che a quest’ora si possa dare giusto un’occhiata all’archivio?» le dico, per poi aggiungere per correggere ogni possibile interpretazione falsa di quelle mie parole. «Non che voglia chiudermi lì dentro già da stasera, ma mi piacerebbe vedere com’è…» concludo.
     
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    Alla parola 'archivio' il suo interesse aumenta a dismisura. Non posso fare a meno di notare la sua espressione e i suoi gesti, che già da soli mi basterebbero per capire che non vede l'ora di fare un salto in archivio... anche se non avesse espresso questo suo desiderio ad alta voce. Eh... l'archivio. Mi dico, pensando a quante volte passo ore al suo interno. Tra la biblioteca e l'archivio non saprei dire qual'è il più interessante. Ognuno dei due ha i suoi pregi... tutto dipende da che tipo di informazioni sto cercando.

    Lascio perdere il mio bicchiere di the e mi alzo. "Certo, ti porto a dargli un'occhiata." Affermo, per nulla dispiaciuta dalla cosa. Io sarei in grado di addormentarmi tra i libri o tra i fascicoli dei rapporti, per quanto mi piace studiare tutto ciò che riguarda il sovrannaturale. Se non avessi una biblioteca così fornita in 'casa', passerei buona parte del mio tempo nella biblioteca civica, anch'essa molto interessante... soprattutto per quanto riguarda il reparto dell'occulto. Posso dire con certezza che sono un topo di biblioteca... oltre che una ficcanaso del Talamasca. Sono un osservatopo. Penso, divertita dalla cosa. Chissà dove ho già sentito quest'espressione.

    Mi avvicino alla porta della cucina, controllando che lui mi segua. "Si trova nella seconda sala della biblioteca, quindi potrai dare un'occhiata anche a quella." Aggiungo, mentre varco la soglia e comincio a percorrere il corridoio, dirigendomi - assieme a Robert - verso il lato sinistro dell'edificio. Supero le scale ed entro nel salotto. "La biblioteca si trova dopo i due salotti, questo e quello minore... che chiamiamo comunemente salotto di lettura, vista la sua vicinanza con la biblioteca." Dico, mentre attraversiamo il salotto color crema e entriamo nel salotto di lettura. "Quando è stata costruita la sede questa stanza era utilizzata come biblioteca, ma poi l'edificio è stato allargato e sono state aggiunte le stanze che attualmente fanno da biblioteca." Attraversiamo velocemente anche il salotto di lettura, per poi entrare nella prima stanza della biblioteca, dove decido di fermarmi, per dare la possibilità a Robert di guardarsi per bene intorno. "La biblioteca è composta da tre stanze. In questa ci sono per di più volumi di discipline umanistiche, come l'arte e la letteratura. La seconda, invece" Spiego, indicando la porta presente nel lato destro della stanza. "fa da archivio, mentre la terza contiene libri sul sovrannaturale."
     
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    Non occorre pregarla più di tanto. Per di più è alquanto istantaneo il responso positivo alla mia richiesta. Ne sono contento, già stava crescendo dentro di me il livello dell’inopportunità, tant’è che sentivo l’acqua alla gola. Tutta impressione mia, è ovvio. Kimberly è forse una delle persone più gentili che io abbia mai conosciuto, anche se l’ho incontrata neanche dieci minuti fa. E’ tutto vero quando si dice che alcune persone ce l’hanno di natura certi modi, certi atteggiamenti, sia che si parli in senso negativo quando si sfocia nella maleducazione, sia quando al contrario si dà mostra della propria gentilezza e si sprecano le buone maniere.
    Ci ritroviamo così in piedi, prima lei, che affatto infastidita afferma di portarmi a dare un’occhiata a quest’archivio, subito dopo io, di riflesso, che inizio a seguirla, tutto contento. Ci lasciamo alle spalle il tavolo, le sedie, le nostre fredde bevande che forse non rivedremo più, o forse le ritroveremo oramai calde e imbevibili. Pazienza, quella birra non mi farà incriminare. Sono innocente, Signor Giudice!
    Seguo Kimberly, prima alla porta della cucina, sulla quale si ferma, per farmi annotare mentalmente che l’archivio si trova subito dopo la Biblioteca, il che implica la visita anche di questa. Annuisco, soddisfatto: due a zero per Robbie, palla al centro. Le sto dietro, mentre percorriamo lo stesso corridoio fatto all’andata; questa volta non do troppa importanza alla sala lussuosa che prima mi aveva colpito. Ai piedi delle scale, proseguiamo e provando ad orientarmi con quanto visto sin’ora e in base all’idea che mi sono fatto della Casa, l’impressione che ho è che ci stiamo dirigendo verso l’altro lato dell’edificio, rispetto a quello dove stavamo neanche un minuto fa.
    Imbocchiamo un nuovo corridoio e come in precedenza, due porte reclamano una scelta: una a sinistra e una a destra. Uguale a prima, entriamo nella stanza che va verso l’interno dell’edificio, ma non posso fare a meno di dare un’occhiata all’altra, che se ho capito bene come funziona, affaccia anch’essa sul giardino esterno. Il bianco è ciò che mi colpisce, anche se l’illuminazione non è poi così tanta. Un salottino davvero carino, o almeno è ciò che credo aver visto di sfuggita; un tavolo immacolato, circondato da quattro sedie di simile lattescenza, è ciò che credo occupi la gran parte dello spazio lì dentro. Gli darò poi un’occhiata migliore, quando avrò tempo; ora, invece, presto attenzione ad un altro salottino, dall’aria decisamente più vissuta. Sul crema, è arredato principalmente da due enormi divani, un tavolino e un camino niente male in fatto di misure, eppure proporzionato alla stanza. Deve trattarsi del reale living della Casa, piccolo sì, ma abbastanza grande per accogliere i non tantissimi Osservatori che abitano questa Sede.
    Dando ascolto a Kimberly, che mi fa da guida nel giro della casa, scopro di trovarmi in uno dei due salotti della Casa, al quale segue quello battezzato “salotto di lettura”, per via della vicinanza alla Biblioteca. Faccio ancora di “sì” con la testa, troppo impegnato a memorizzare tutto quel che vedo e quel che sento.
    Credo già di vederlo, l’altro salottino e difatti, varcando la soglia, ci finiamo dentro. Ascoltando la mia “Cicerone”, vengo a conoscenza del fatto che inizialmente, quella stanza era l’originale Biblioteca della Sede, ma che dopo ristrutturazione, è stata spostata più avanti, creando quel luogo utile agli Osservatori per immergersi nello studio e nella lettura. Qui la fanno da padrona alcuni divanetti in pelle, come lo sono alcune poltroncine e infondo, una libreria minuta, ma bellina e ordinata.
    Superiamo anche la sala di lettura e ci ritroviamo dentro la Biblioteca. Qui Kimberly si ferma e mi dà spiegazione di ciò, dovendo sottolinearmi che quel servizio di cui possono usufruire i detective del paranormale, si compone di tre stanze: la prima, quella in cui ci troviamo, tratta principalmente discipline di stampo umanistico, soprattutto l’arte e l’architettura. Intanto che l’ascolto, mi guardo in giro: la stanza è veramente grande, ma soprattutto altissima. Il legno la fa da padrone, come giusto che sia. Sono letteralmente circondato da librerie gigantesche, cariche da scoppiare di libri, volumi e quant’altro esiste per esser principalmente letto. Mi accorgo di girare su me stesso, mentre butto lo sguardo dappertutto. Incredibile: mentre fisso gli occhi su una cosa, subito dopo qualcos’altro reclama la mia attenzione e vado avanti così un bel po’, con bocca aperta, naso all’insù e pomo d’Adamo in bella vista, sulla mia gola, che va su e giù ogniqualvolta sento la necessità di dover deglutire, rischio il soffocamento con la mia stessa saliva.
    E’ ancora Kimberly che mi riporta alla realtà. Il discorso si sposta sulla seconda stanza, che le vedo indicarmi e che rappresenta il motivo per cui io mi trovo qui: l’archivio di cui si è già parlato. Subito dopo, mi viene anticipato l’esistenza della terza stanza, totalmente riservata al soprannaturale.
    Facendo due conti col passato, riconosco lo stile del Talamasca, seppur le differenze ci siano, come giusto che sia. La scelta di Nouvieille inizia a piacermi sempre di più, potendo difatti chiudermi a lungo qui dentro, fino a consumarmi, o a consumare la Biblioteca stessa. La sfida è lanciata, ci vedremo presto!
    «E’ incredibile come le risorse del Talamasca riescano a creare qualcosa di così… bello!» per correttezza, a sentire l’educazione che preme, riporto lo sguardo su Kimberly. «C’è davvero moltissimo da leggere. Questo posto fa proprio al caso mio. Se dovessi sparire, ricordati di dare innanzitutto un’occhiata qui dentro: va a vedere che mi trovi sepolto sotto una tonnellata di libri.» le dico divertito anch’io dall’idea di quella sepoltura che a mente già definisco “degna” per me stesso.
    Guardo poi la porta che mi è stato fatto capire porta all’archivio. Non credo serva aggiungere ulteriori parole per far intendere di voler dare un’occhiata anche lì dentro.
     
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22 replies since 1/10/2011, 16:51   297 views
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