L'Uomo che sussurrava alle Linci

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    Il sabato era la giornata più bella in assoluto per lui, era a sua completa disposizione dalla prima alla ventiquattresima ora. Quella mattina aveva approfittato per andare in piscina e farsi qualche vasca non solo per rimediare al caldo appiccicoso dell’estate che era arrivata, ma anche perché dopo il fatto della frattura alle costole aveva una voglia irrefrenabile di fare moto e sfogarsi in quel modo. Quando nuotava davvero riusciva a non pensare a niente, riuscendo ad uscire da quella vasca persino rilassato. Per quello si era pure concesso un buon pranzo fuori, in un ristorantino fuori portata dai turisti e quindi dove i cibi erano meno piatti e sicuramente più saporiti di quelli che proponevano i menù turistici. Si era preso un bel piatto di pasta con panna, pancetta e funghi porcini, filetto ai ferri con una bella insalata mista, vino e in fine, dulcis in fundo, la sua fetta di Sacher alla quale non sapeva proprio rinunciare nemmeno in estate. E poi il caffè e il suo solito goccetto di grappa fresca che faceva sempre bene per digerire.
    Era rimasto seduto anche dopo aver pagato il conto, giusto il tempo di fumarsi la sua sigaretta sedendo all’ombra del sole cocente, ma il bello della bella stagione era proprio sedere ai tavolini fuori e gustarsi il proprio pasto in santa pace. E poi si era concesso una bella passeggiata lenta quando i negozi erano ancora chiusi per la pausa pranzo, tranne qualcuno che osava comunque. Gli piaceva l’estate così come gli piacevano le giornate soleggiate e calde, di quel calore che ti scalda sin dentro le ossa dando la piacevole sensazione di un massaggio. Oramai viveva a Nouvieille da più di due anni, ma nonostante tutto non aveva ancora visto tutto di quella città. Di certo non era il tipo da ficcarsi in un museo quando aveva a disposizione una giornata come quella, dove prendere aria e sole era qualcosa che il suo fisico (e anche la sua mente, a dir la verità) ne aveva davvero bisogno. La debolezza delle notti insonni si faceva sentire e stare a casa a far niente non gli avrebbe fatto certamente bene, fortuna che ultimamente aveva cominciato a reagire a quella cosa, ad uscire di più forse anche perché si era preso un bello spavento dall’incidente con la moto. E poi era in procinto di chiudere l’ufficio per ferie e quell’anno si era fermamente imposto di farlo per almeno tre settimane, e forse si sarebbe preso anche un’ulteriore settimana verso la fine di settembre. Dunque era stranamente ben disposto a gironzolare senza una meta fissa solo per il gusto di sgranchire le ossa fors’anche per cercare di sopprimere un po’ quel nervoso che caratterizzava e scandiva le ore delle giornate e nottate antecedenti a quella di plenilunio che si stava avvicinando. Forse era stato l’istinto a condurlo dove era arrivato dopo un’oretta circa di passeggiata, o forse il puro e semplice caso, ma trovandosi davanti al giardino zoologico si era deciso a fare la fila al botteghino e farsi una passeggiata lì, cercando comunque di ignorare le allegre famigliole che felicemente si prendevano gioco di quei poveri animali dai quali lui, in quanto tale per metà, avvertiva provenire un profondo senso di tristezza e nostalgia.
    La libertà, già la libertà secondo un animale è assolutamente diversa dal concetto della stessa che può avere un essere umano, e lui in quanto governato da un felino ne sapeva qualcosa. Vi erano periodi in cui persino le quattro mura di casa sua gli stavano strette e le vedeva come una gabbia, come delle sbarre che volevano tenerlo costretto e sopprimere in qualche modo i suoi istinti di animale, di bestia dall’indole indipendente e libera da tutto e da tutti. Di tanto in tanto si soffermava a guardare quegli animali sentendosi strano dentro come fosse stato in uno strano legame mentale ed emotivo con loro. Tutti lì avevano lo sguardo spento, aveva notato questo fatto e si era domandato l’uomo cosa credesse veramente di essere. Se solo pensava alla sua licantropia e a quanto diverso e superiore si sentiva molto spesso rispetto ad un normalissimo essere umano, gli veniva da chiedersi perché quelle bestie sopportavano una tale umiliazione. Perché sì, arrivato alla zona riservata ai felini, guardandoli uno ad uno negli occhi, tigri, leoni, leopardi e sì, anche una bella lince rossa, aveva visto tanta sottomissione nei loro sguardo. Loro, quelle fiere che in natura sono ritenute pericolose da molte creature umane e animali stavano lì sdraiate a guardarsi attorno, a dormire o semplicemente a far niente solo perché non potevano ribellarsi.
    Pensando a quello si era avvicinato laddove aveva scorto la lince, una bella femmina dal manto castano rossiccio che sdraiava sul ramo di un albero basso, con le zampe grandi e folte che pendevano nel vuoto e la coda corta che si muoveva appena e lenta a denotare proprio lo stato d’animo della bestia stessa. Si era fermato davanti alle sbarre la stava guardando in tutta la sua bellezza, ritrovandosi a sorriderle quando la fiera aveva sollevato pigramente la testa per puntare i suoi occhi dorati sui suoi ed emettendo un basso verso un po’ stridulo, ma che Daisuke aveva colto istintivamente come una sorta di saluto da parte di quella femmina che ora lo fissava dal suo ramo. E aveva fatto anche un passo in avanti per arrivare proprio a sfiorare le sbarre di quell’area circondata per intero da quel metallo, facendo scoccare un paio di volte la lingua sul palato per chiamarla, per invitarla ad avvicinarsi. Anche perché aveva notato interesse da parte della lince, un interesse che aveva manifestato quando aveva sentito quel verso, quel richiamo e il gesto della mano tesa verso di lei oltre quelle sbarre, col palmo rivolto verso l’alto. L’aveva guardato inizialmente un po’ sospettosa per poi puntare il muso verso il basso senza staccare l’oro degli occhi da lui. L’aveva rialzato e poi riabbassato ancora, come a volergli dire ‘vieni tu qui’. Ah le femmine, erano tutte uguali, ma evidentemente quella splendida bestia doveva aver capito che doveva esser lei ad avvicinarsi, dato che il mannaro gliel’aveva detto sottovoce e lei pareva aver capito.
    Io non posso venire da te. Anzi, volendo potrei ma non è il caso. Vieni qui bella
    Le aveva parlato e aveva notato quanto lei lo fissava muovendo le orecchie verso il punto da dove proveniva la voce che le parlava. Come un vero e proprio gatto, aveva fatto passare del tempo assumendo un'aria indifferente a quelle parole, ma poi si era tirata su, si era stiracchiata curvando la schiena per poi fare un balzo per scendere giù. Quel salto agli occhi di Daisuke era sembrato più una danza o una sorta di provocazione, di richiamo o chissà cosa. Ma l’aveva trovata davvero bella e la stava aspettando con quella mano tesa mentre guardava rapito il suo corpo sinuoso e folto ondeggiare lento e pigro verso di lui.

    Edited by Daisuke R. Stark - 9/7/2013, 22:47
     
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    Se fosse dipeso da lui si sarebbe lavorato anche di domenica, ma non dipendeva da lui. Qualche cliente lo aveva anche incontrato la domenica, ma c'era chi quella giornata la considerava a tutti gli effetti sacra e faccende di lavoro non voleva nemmeno sentirle nominare. Lui la domenica da che ricordava l'aveva sempre detestata. Se per altri era un momento di gioia per lui era stato in momento di sofferenza, tra l'altro interiorizzata e silenziata da se stesso per via di quell'orgoglio che gli era sempre appartenuto. Non era mai stato il tipo di persona che si lamentava, soprattutto quando altri avrebbero potuto sentirlo, stava zitto e incassava e valutava la sua rivincita. Di rivincite sull'argomento domenica ne aveva avute un bel po', ma era molto probabile che non avesse mai considerato chiuso quel capitolo che, se gli si fosse presentata l'occasione, se ne sarebbe presa ancora un'altra e un'altra ancora fino al giorno in cui si sarebbe ritenuto soddisfatto. Il sabato, a pari modo, per le ragioni che assumeva nella tradizione religiosa ebraica, lo detestava a pari merito della domenica, ma nessuno lo avrebbe potuto costringere a considerarlo giorno festivo anche quello. Quindi quella mattina aveva lavorato, si era imposto di lavorare e aveva costretto a lavorare anche tutti quelli che erano i suoi dipendenti. E avrebbero lavorato anche quel pomeriggio, verso le diciassette e trenta, diciotto, data la scarsità di clienti nel periodo estivo. Certo, è chiaro che le persone preferiscono godere delle ferie e magari organizzare qualche vacanza, ma chi vuole contestare anche la multa per divieto di sosta lo si trova sempre, oppure ci sono comunque quei casi che vanno ormai avanti da più di una stagione.
    Se ne sarebbe andato a casa per godere della sua pausa, ma era senza macchina e chissà chi avrebbe dovuto ringraziare per quello. Il meccanico aveva quasi abbandonato questo mondo quando si era reso conto in quali condizioni aveva versato quella autovettura anche perché si presuppone che chi compri un'auto costosa poi ci stia anche attento e magari cerchi anche di evitare che oggetti indefiniti le cadano addosso per di più in sequenza. L'unica spiegazione che aveva dato era che l'aveva trovata così, l'altro aveva fatto l'espressione tipica di chi trova impossibile quel tipo di affermazione, anche perché dubitava che una macchina lasciata in mezzo al nulla potesse essere "trovata così" come se fosse stata ripetutamente presa a martellate da un martello gigante. Fatto stava che lui aveva alzato le spalle e gliela aveva lasciata e ora era lì che cercava di riassumere la sua forma originaria, mentre lui era a piedi. Quindi ritornare a casa era stato fuori discussione e se aveva pranzato, ma i negozi erano ancora chiusi non aveva granché da fare. Aveva vagato per un po' e poi si era trovato davanti al giardino zoologico. Se non ci aveva mai messo piede c'era un motivo. Non era un naturalista e non aveva mai nutrito un particolare interesse verso il regno animale, al contrario parecchio astio per quella particolare sensibilità che le bestie hanno nel riconoscere l'animo di chi hanno innanzi. Per ciò l'antipatia poteva definirla reciproca sotto parecchi aspetti. Tuttavia, quel sabato ci si era infilato lo stesso, forse perché non aveva poi granché da fare, tanto per quello che doveva preoccuparsi le bestie erano nelle gabbie e lui lì fuori, dubitava qualcosa avrebbe cercato di trasformarlo in pranzo. E poi a dirla tutta nemmeno ci si sarebbe avvicinato troppo alle gabbie piuttosto avrebbe osservato i visitatori, quelli erano gli esemplari che gli interessavano, quelli coloro che aveva ragione di studiare. Genitori coi figli, coppiette, chi indicava quello, chi quell'altro e lui che si chiedeva cosa ci trovassero di tanto interessante. Aveva notato anche il crescente interesse per i predatori rispetto agli erbivori forse perché i secondi erano decisamente innocui, mentre i primi in libertà avrebbero suscitato timore. Lì erano solo rinchiusi nelle loro gabbie e nemmeno loro sembravano più preoccuparsi del volerne uscire o meno. Quasi fossero rassegnati a quel destino della gabbia, cosa sciocca perfino per un animale. Ma non era affar suo, dopotutto. Aveva scosso la testa e scacciato quei pensieri che nemmeno troppo gli interessavano e aveva ripreso a dedicarsi all'animale uomo, l'animale più intelligente per autoproclamazione. Peccato che l'animale uomo non fosse a conoscenza di tante di quelle cose che avrebbero potuto confutare quella teoria. Lui l'animale uomo lo aveva sempre ritenuto debole, facile da dominare e ingannare. L'animale uomo spesso si conformava all'immagine che era stata prestabilita di se stesso e proseguiva su quella linea. Si era chiesto quanti uomini pensassero con la propria testa lì in mezzo. La maggior parte di loro avrebbero trascorso lì il pomeriggio, sarebbero tornati a casa e avrebbero cenato di fronte all'ennesima manifestazione della tv spazzatura, qualcuno avrebbe pensato al lavoro, qualcun altro sarebbe tornato a letto. Per quanto dovessero essere diversi vivevano tutti le loro giornate allo stesso modo e la cosa peggiore era che anche lui stava entrando in quello strano circolo. L'età forse? Oppure il vivere così tanto a stretto contatto con quella gente a renderlo così simile a loro nelle abitudini?

     
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    Si era chinato e aveva piegato le gambe per accovacciarsi e trovarsi così più o meno all'altezza del muso dell'animale che nel frattempo e con passo felpato si era avvicinato a lui, ma non così prossimo da farsi ancora toccare. Aveva ancora un'espressione sospettosa come se si stesse domandando chi fosse quell'umano che le parlava quella lingua così tanto strana e allo stesso tempo stranamente comprensibile seppur non così chiaramente e nel modo comune a tutti. Gli occhi della lince femmina vedevano una cosa, ma erano il suo istinto e il suo sesto senso a vedere una figura completamente diversa e così tanto simile alla propria. Nella mente dell'animale si era figurato un bel maschio lince, dalla pelliccia non tanto folta ma dei suoi stessi colori che variavano secondo la zona del corpo. A volte erano giallini, altre rossicci con sfumature mielate, mentre quelle del muso (ossia del volto di Daisuke) avevano delle striature nere e bianche. Daisuke invece non immaginava che la lince lo vedesse in quel modo, ma dal canto suo sentiva come una forza uscire da sé e protendere verso l'altro animale, come attirato dalla forza e dal fascino della bestia. Era una sensazione strana, allo stesso tempo piacevole e quasi familiare, come se in qualche modo fosse stato parte di un branco quando in realtà lui un'esperienza tale non l'aveva mai vissuta. Un po' perché le linci tendono a vivere solitarie tranne che per accoppiarsi, e un po' perché non aveva mai avuto occasione di incontrare suoi simili da poterne creare uno.
    Tutte quelle sensazioni e pensieri gli creavano un po' di confusione, allo stesso tempo avevano aumentato in lui il desiderio di avere un contatto con la bestia e quando aveva capito e percepito la diffidenza, anche giusta, da parte di lei si era seduto su un fianco e aveva aspettato guarndandola a volte con la coda dell'occhio e a volte dritta nelle sue iridi dorate. Non era ancora in grado di poter comunicare a tutti gli effetti con gli animali e nemmeno con le linci come lui, ciò che in un qualche modo misterioso riusciva a farli capire tra loro era quello scambio di sguardi e versi, versi che a volte venivano dalla femmina e, anche se più bassi e controllati, anche da Daisuke stesso. E forse era stato proprio quel suo emettere versi bassi e affatto umani a convincere l'animale a fare gli ultimi passi ed accettare il tanto agognato contatto con l'umano che lei vedeva con occhi diversi da tutti gli altri che giravano lì in quel parco. Aveva allungato la testa e aveva annusato la mano prima di poggiare la guancia e concedersi poi una strusciata sul palmo della mano stessa. Daisuke in quel momento non stava affatto pensando che avrebbe potuto prendere una strigliata dal guardiano, sempre se nei dintorni ne girava uno, così come nemmeno calcolava la gente che di tanto in tanto si fermava a guardare la scena e sussurrare che era un pazzo. Lui non era un pazzo anzi, lo strusciarsi della lince sulla sua mano gli era piaciuto e l'aveva anche fatto sorridere prima di cominciare a muovere le dita sotto al mento.
    Finalmente mi degni delle tue attenzioni, signorina!
    Aveva mormorato mentre le faceva i grattini vicino all'orecchio destro e notando gli occhi dorati dell'animale chiudesi quasi a fessura, riconoscendo anche un po' se stesso in quell'espressione goduta. Lui raramente concedeva a qualcuno certe cose, ma solo in quel momento si era domandato quale era la sua espressione quando qualcuno gli faceva quei grattini dietro le orecchie che tanto gli piacevano.
    E a quanto noto nemmeno ti dispiacciono i grattini, mh?
    Visibilmente soddisfatto di sentire le fusa provenire dall'animale che stava coccolando. Sì, stava coccolando quello che era un felino non tanto grande ma comunque potenzialmente pericoloso e che per chissà quale mistero si era fatto avvicinare e accarezzare. Daisuke sapeva il perché, ma certo non doveva dare spiegazioni a nessuno, o al massimo dire che negli Stati Uniti non è poi così scandalo tenere un animale di quel tipo in casa, o comunque avere qualche contatto con loro dato che spesso si vedevano girare anche nei pressi delle autostrade o delle statali.

     
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    Una parte di lui si stava ancora chiedendo che cosa ci stesse facendo lì. Non aveva nemmeno l'abbigliamento adatto per un posto come quello. Era vestito da ufficio, ancora in tenuta da lavoro e tra l'altro con la camicia faceva anche caldo. Aveva tratto un sospiro e sono in quel momento si era reso conto di trovarsi in mezzo ai grandi felini. Come c'era finito non ne aveva idea, stavo guardando la gente e si era dimenticato degli animali. Aveva lanciato uno sguardo di sufficienza alle gabbie, davvero non ci trovava nulla di interessante a vederli chiusi lì, magari se qualcuno di loro avesse messo le zampe fuori, ecco quello sì che sarebbe stato interessante, avrebbe scatenato il panico in quel branco di idioti che era lì a osservare, trangugiare schifezze e ostentare facce estasiate ricolme di gioia. La parte più infantile di lui gli stava già facendo il verso figurandosi quelle scene che aveva in realtà anche dinanzi agli occhi. Si era poi mentalmente ricomposto e scosso il capo e allora aveva notato anche una sua conoscenza non molto distante da lì. Aveva battuto le palpebre un paio di volte mentre metteva a fuoco quell'immagine. È un mondo piccolo. Gli era venuta in mente quella canzoncina irritante e odiosa che pure calzava perfettamente a pennello con quella situazione. Il mondo è piccolo e Nouvieille lo era ancora di meno, facendo parte a sua volta del mondo. L'aveva scacciata scuotendo di nuovo la testa e dedicando nuovamente la sua attenzione a Daisuke. Che diavolo stava facendo? Si era chiesto se forse l'incidente gli avesse fatto battere la testa e avesse perso completamente i lumi della ragione o se al contrario fosse masochista ancora più di lui a rischiare di rimetterci una mano. Tutto sommato non era un problema suo anche se doveva ammettere di preferirlo con entrambi gli arti al loro posto, ma dopotutto sono scelte di vita, no?
    Si era avvicinato ma nemmeno troppo, sene era rimasto nel suo spazio a guardarlo e se Daisuke continuava a giocare con la lince, lui restava a guardarlo tanto per vedere cosa sarebbe accaduto, no, non l'avrebbe distratto, anche se una parte di lui era tentata nel farlo, così era molto più interessante a parte che.... Gli stava parlando o cosa? Aveva piegato il capo e si era sporto per cercare di osservare meglio e poco li interessava se qualcuno vedendolo lì impalato gli avrebbe rinfacciato di non aver chiamato la sicurezza, per il momento aveva altro da fare. E poi chiunque altro la sicurezza avrebbe comunque potuto chiamarla in sua vece. Per cui non si sarebbe mosso, non lo avrebbe interrotto e non lo avrebbe chiamato anche perché nella posizione in cui era, a meno che non si fosse voltato non lo avrebbe certamente visto, al massimo lo vedeva l'animale, ma dubitava che la lince avrebbe avuto qualcosa da dirgli. e poi sembrava impegnata anche lei, sotto chissà quale sorta di incantesimo per starsene buona così a farsi accarezzare, nonostante fosse quello un'animale selvatico e non certo un gatto domestico a cui dare la pappa e lasciarlo stendere sul divano. Certo, un paio di quelle, nel suo giardino, non le avrebbe viste male, magari a tenere lontani i curiosi o qualche ladro attirato da quella... beh come poteva definirla? Il punto era che avrebbe rischiato di farsi divorare il giardiniere, o finire divorato anche lui mentre passeggiava in giardino. Quella prospettiva non gli piaceva troppo a meno che non potesse addomesticarla o meglio farsela addomesticare, ma non sembrava attualmente una soluzione possibile, nonostante avesse Daisuke lì davanti che si stava inconsciamente impegnando e non poco a confutare quella teoria.
    Aveva incrociato le braccia e mosso appena un altro passo, tanto per scansare l'ennesimo turista di turno che l'aveva guardato anche come se il turista fosse lui. Dal canto suo aveva ricambiato con una frecciata rivolta all'interessato che probabilmente lo aveva ignorato. "Idiota." Per poco quello non gli veniva addosso e aveva anche il coraggio di adocchiarlo? Certo mettersi a fare una scenata lì sullo stile di "tu non sai chi sono io" non gli sembrava nemmeno il caso. Tanto appunto, il mondo è piccolo e prima o poi gli sarebbe comunque ricapitato sotto mano, o lui direttamente, o qualche sua conoscenza. Aveva cercato gli occhiali da sole e si era infilato quelli e quindi era tornato a fare quello che stava facendo prima di essere interrotto.

     
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    Al tatto gli piaceva quella folta pelliccia che si faceva passare tra le dita lentamente, e anche alle sue orecchie risultava quasi amabile quel suono che conosceva bene pure lui, solo che un conto era emetterlo e avvertirne le vibrazioni sotto pelle e un altro era sentirle sotto i polpastrelli delle dita. In un certo senso davano più soddisfazioni perché erano capaci di rilassare veramente. E su questo fatto sapeva che diversi studi erano stati eseguiti e che avevano portato ad un'inconfutabile conclusione, ossia che mentre parlare con un altro essere umano poteva mettere in agitazione e rendere anche un po' nervosi in quanto ci si sente quasi sempre in dovere di qualcosa verso chi ascolta, parlare e accarezzare un animale, soprattutto l'ultima cosa, rilassava, abbassava la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. In un certo senso era vero e lo sapeva, perché ripensandoci riusciva a calmarsi in qualche modo quando accarezzava la sua cavia, il suo cincillà o la coppia di pappagalli. Non era affatto un animalista, ma essere in un certo senso parte di quel mondo glielo faceva vedere con occhio diverso, le bestie chi più e chi meno suscitavano in lui un certo rispetto. Era un predatore sì, ma sicuramente diverso da una lince vera e propria come quella che stava carezzando, o da qualsiasi altro felino o mammifero. Lui cacciava l'uomo e questo dipendeva dal suo essere mannaro, ragion per cui non si faceva molto scrupoli ad azzannarne uno vista tra l'altro anche la scarsa considerazione che aveva verso il genere umano.
    Anche la lince dal canto suo mostrava apprezzare la cosa tenendo gli occhi chiusi e il tipico sorriso sornione che fa un gatto quando riceve grattini sotto al mento. Eppure c'era stato qualcosa ad aver disturbato quel suo stato e la sua calma. Aveva riaperto un occhio e l'aveva puntato dritto e fisso oltre la spalla del mannaro posandolo sulla figura che si era appostata lì poco distante da loro. La bestia doveva aver avvertito qualcosa di negativo da quella persona e aveva riaperto anche l'altro occhio per allontanare il volto dalla mano del mannaro e soffiare verso la medesima direzione dove aveva poggiato gli occhi dorati. Daisuke era stato tanto preso da quei grattini che probabilmente non aveva dato peso agli odori che lo circondavano e quindi nemmeno a quello dell'Angelo che gli stava praticamente alle spalle, distante di qualche passo. Aveva però notato il cambiamento di umore della lince femmina e si era voltato quando aveva sentito il suo soffio pensando fosse un guardiano o qualcuno di competenza che era stato chiamato dallo stronzo di turno per allontanarlo da quella gabbia. E invece no, i suoi occhi avevano subito trovato la figura verso cui era rivolta l'attenzione della lince, riconoscendo subito Key. Le sopracciglia si erano un po' sollevate a manifestare una sorta di sorpresa nel ritrovarselo lì, ma soprattutto fermo e in quella posizione intento ad osservarlo. Poi aveva ritratto la mano dalla gabbia tenendola comunque aggrappata ad una delle sbarre. Si fidava di quella bestia, anzi semmai avrebbe anche potuto tentare un modo per placarla perché ora, si stava domandando come mai gli avesse soffiato contro e lo guardasse con il naso arricciato mentre emetteva un suono strano, di gola, molto simile ad un gutturale ringhio.
    Ho il sospetto tu non gli piaccia molto
    E poi gli aveva rivolto un sorriso stanco, strano, eppure uno di quelli suoi che sottilmente vogliono fare una sorta di innocente battuta. Oltre tutto era una maniera tutta sua per salutare le persone che conosceva, non aveva l'abitudine di dire 'ciao', preferiva piuttosto intavolare subito qualche discorso, anche il più banale.
    Era uscito da un po' dall'ospedale, le tre costole fratturate si stavano rimettendo a posto abbastanza velocemente eppure tutti i disturbi che avevano causato quell'incidente ancora c'erano. E si vedeva, era parecchio pallido e in generale non aveva il suo solito aspetto fiorente, lui dal canto suo cercava di coprire quelle cose il più possibile anche se veniva un po' difficile nascondere soprattutto il fatto che in quel periodo difficile per lui aveva perso qualche chilo. Non era secco, ovvio, ma si vedeva soprattutto dalle gambe che quei mesi fatti di notti insonni e tormento avevano portato Daisuke anche ad una certa inappetenza.

     
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    L'animale, il maledetto animale, gli aveva soffiato contro. E così aveva avuto fine il suo momento di osservazione, Daisuke si era voltato e lo aveva trovato lì immobile a guardarlo. «Pare di no.» si era limitato a commentare muovendo però qualche passo verso la gabbia e lanciando un'occhiataccia alla lince che comunque rimaneva al di là delle sbarre di metallo. Aveva il capo un po' inclinato sul lato sinistro, dove era ancora visibile quel graffio dal collo alla clavicola. Certo non era più orrendo come nel momento in cui gli era stato fatto, ma era comunque ancora evidente e la cosa non doveva farli piacere molto dato che tendeva appunto a tenere il collo piegato su quel lato.
    Aveva fissato lo sguardo sulla bestia, c'era tutta la sua superbia nel modo in cui l'aveva guardata, come se in qualche modo avesse voluto suggerirle di starsene al suo posto nella famosa piramide che stabilisce la gerarchia fra le specie. «Uhm... Suppongo che alla fine il problema sia solo suo.» Anche perché finché lui se ne fosse stato dove stava cosa poteva importargli? E anche se fosse uscita da lì dentro? C'erano comunque spazi dove non poteva raggiungerlo e per dirla tutta dubitava che il suo posto nella catena alimentare fosse sotto quella lince. L'aveva lasciata perdere, non gli interessava. C'era altro che in quel momento richiedeva la sua attenzione. Aveva sollevato un po' il viso così da poter osservare di nuovo l'altro attraverso le lenti nemmeno troppo scure «Piuttosto... Non credi che potrebbe staccarti le dita?» e con il capo aveva indicato la mano dell'altro ancora serrata sulla gabbia. Lo stava guardando attentamente. Non aveva una gran bella cera a dirla tutta, ma se non altro stava in piedi. Si stava chiedendo se quelli dovessero essere ancora i postumi dell'incidente, probabilmente si era detto di sì. Gli era girato un po' intorno, squadrandolo da capo a piedi, come se stesse cercando di capire che cosa esattamente stonasse in quella figura in quel momento. Era diverso dal Daisuke con cui si era incontrato al pub molto tempo prima, ed era diverso dal Daisuke che lo aveva invitato in casa sua.
    Si era voltato di nuovo a guardare la lince che pareva davvero essergli astiosa, chissà cosa aveva notato in lui. E del resto non era forse quello uno dei motivi per cui non aveva nessuna simpatia per gli animali? Avevano quella particolare sensibilità che spesso lasciava vedere loro oltre le apparenze, oltre quello che era il velo che aveva abilmente posto fra il suo vero io e il mondo esterno, oltre la maschera.
    Ma non se ne era preoccupato per il momento non se ne preoccupava. Poteva ringhiare e soffiare quanto voleva, lui non si sarebbe mosso e non gliel'avrebbe data vinta.
    «Quando ti hanno dimesso?» domanda lecita. Non gli aveva chiesto niente sull'aspetto e nemmeno glielo avrebbe chiesto in seguito a meno che non fosse stato l'altro a toccare l'argomento. Quello tuttavia aveva il diritto di chiederlo, perché beh, ce l'aveva visto in quell'ospedale e beh, a modo suo e per i suoi scopi che Daisuke restasse in salute era nei suoi interessi. Interessi, appunto. Aveva dei programmi per Daisuke, era da quando era stato a casa sua che ci stava lavorando a suo modo. Aveva fatto in modo di prendersi sempre più spazio e il fatto che avesse chiamato lui, quando aveva avuto quell'incidente era stato indicativo. Ma voleva ancora altro. Voleva trascinarselo con se nel suo personale abisso e per quello aveva ancora molta strada da percorrere.
    «Come mai qui?» domanda buttata lì al puro scopo di fare conversazione.

     
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    Aveva notato l’occhiataccia da parte di Key alla lince eppure non aveva detto nulla domandandosi comunque per quale motivo quella bestia si sentisse così irrequieta da quando l’aveva visto. Sì, l’aggettivo che meglio si addiceva allo stato d’animo del felino era proprio quello, non era altro e dato tra lei e il mannaro si era creata quella sorta di feeling, o meglio empatia era come se lui in qualche modo avesse capito qualcosa. Forse non era la parte umana di Daisuke ad aver compreso quelle cose, probabilmente era la parte bestiale che stava comunicando con quella femmina di lince e l’avvertire quello stato d’animo era il risultato di quel legame tra loro. Eppure lui, Daisuke, pareva non rendersene molto conto, aveva solo capito osservandola nelle sue reazioni che Key non le piaceva. E poi era intento ad osservare la figura dell’Angelo dalla testa ai piedi quasi volesse sincerarsi che fosse sincerarsi che fosse attraente come sempre. In effetti era così, eppure la cosa era passata subito in secondo piano quando il suo sguardo attento aveva notato un bel graffio sul collo che finiva alla clavicola. Era un brutto graffio doveva ammetterlo, stava guarendo sì, ma si vedeva ancora e in un certo senso rendeva quella parte non brutta ovvio, ma aveva pensato ad una bella statua sfregiata e a quella visione aveva sollevato un sopracciglio, ma non aveva detto altro e quella sua reazione la si poteva ricondurre alla reazione, o muta risposta, all’affermazione fatta a proposito di una possibilità che la lince potesse portargli via una mano. L’aveva guardato per qualche secondo e aveva colto quella superbia nella sua espressione e se da una parte gli era piaciuta in qualche modo su quella faccia dall’altra gli avrebbe detto che in fondo era un animale e che reagiva a modo suo alle cose e alle persone, lui per primo faceva in quel modo e non solo come conseguenza alla sua doppia personalità, quanto al suo carattere lunatico e tendenzialmente sociopatico. In ultimo, si avvicinava il plenilunio e tra le tante percezioni che avvertiva era proprio quello del cambiamento repentino di umore. In quel momento era calmo e rilassato, nel giro di cinque minuti però avrebbe potuto tirare fuori il peggio di sé.
    Se avesse voluto staccarmi le dita l’avrebbe già fatto. Adesso è presa dalla tua presenza, soffia perché evidente non le piaci. In America è molto facile avere contatti con loro e per me non sarebbe la prima volta che ne avvicino una, e poi gli sto simpatico o gli piaccio visto che si fa fare i grattini come fosse un gatto domestico
    E aveva specificato ‘domestico’ non a caso, perché di fatto le linci erano dei gatti solo più grandi e più selvaggi, ma a guardarli nei tratti e nei modi di fare non avevano nulla di diverso dal piccolo e più comune felino.
    Aveva poi allungato di nuovo la mano verso il felino, chiamandola anche a voce per non prenderla di sorpresa scatenando in lei qualche reazione aggressiva e istintiva pure nei suoi confronti. La lince si era voltata a guardarlo leccandosi la bocca e mentre guardava sospettosa Key aveva cominciato di nuovo con fusa meno udibili, più basse ma che al palmo del mannaro si sentivano bene, oltre che all’orecchio di chiunque fosse stato lì vicino.
    E poi ha una bellissima pelliccia, è molto morbida!
    Aveva detto più a se stesso che all’altro, mentre con la coda dell’occhio aveva notato il fatto che Key gli stesse girando attorno e lo osservasse. Che facesse, gli piaceva stare al centro della sua attenzione in qualsiasi modo, stimolava la sua non poca vanità e il suo piacersi e benché non stesse ancora bene non aveva mai perso quell’indole di chi si sente e vuole sentirsi sempre al centro di tutto. L’unica cosa era che aveva avuto la sensazione che lo stesse osservando per cercare di capire qualcosa, non per il puro piacere di guardarlo e quel fatto l’aveva un po’ infastidito e allo stesso tempo reso curioso di sapere il perché lo stesse guardando in quel modo.
    Ma poi gli aveva fatto quella domanda che non si era aspettato e si era preso del tempo per rispondergli, anche perché meno pensava a quel ricovero e alle cause e meglio si sentiva.
    Da circa un mese
    Aveva esordito mentre guardava là dove le sue dita affondavano nella pelliccia del morbido felino, il quale pareva non voler proprio perdere di vista l’ospite, o l’intruso indesiderato anche se si lasciava coccolare lo stesso.
    Sono stato tre settimane piene senza andare a lavoro per permettere alle costole fratturate una guarigione migliore e perché non doveva fare alcun tipo di sforzo. Solo questa settimana passata ho ricominciato ad andare in ufficio, ma faccio comunque mezza giornata
    Si era zittito, ma scambiare due parole in quel momento e in quel periodo non poteva fargli poi tanto male. Quindi aveva ricominciato nonostante per natura non fosse mai stato un grande interlocutore.
    Certo, a casa mi sono fatto due palle che non immagini nonostante qualche passeggiata me la sia concessa. Tra letto, divano, cucina e cesso non posso dire di essermi divertito. Anche perché non riuscendo a dormire da tempo non posso dire di essermi riposato come avrei voluto
    Aveva detto il minimo di quanto stesse invece passando oramai da qualche mese, quel riposo forzato a casa sarebbe stato sicuramente migliore se fosse stato in grado di fare qualche ora di sonno in più e senza incubi. Ma non era stato così e quindi il suo aspetto non era certo di chi se l’era spassata a casa, anzi, avrebbe preferito andare a lavoro almeno in quelle otto ore non pensava a nulla se non al suo lavoro e a gestirlo nonostante si sentisse stanco e fiacco. Eppure aveva sorriso a labbra chiuse a quell’ultima domanda e in quelle circostanze non perdeva mai la sua malizia che a volte velava per gioco e altre no per lo stesso motivo dell’altro. Sapeva che era stata una domanda più di circostanza che altro, ma gli piaceva sempre stuzzicarlo un pochino.
    Perché tutte queste domande?
    Aveva domandato dopo aver voltato la testa per guardarlo dal basso verso l’alto dato stava seduto per terra. E aveva anche sollevato gli occhiali poggiandoli sulla fronte per sfoggiare uno sguardo divertito come era solito fare prima di sparare la sua cavolata.
    Per caso geloso del fatto che non ti ho chiamato ad uscire?
    Qualunque fosse stata la risposte non se la sarebbe presa, l’aveva solo buttata sul gioco e la sua oramai nota malizia e quindi avrebbe trovato sempre una risposta adeguata. Era bravo in queste cose.

     
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    Se la lince all'interno della gabbia gli era ostile, lui le era altrettanto ostile. L'aveva visto guardarlo e l'aveva visto sollevare il sopracciglio e aveva inclinato la testa quasi a volergli chiedere cosa stesse pensando in quel momento da aver avuto il potere di alterargli lo sguardo. Ma certo non l'avrebbe saputo fino a quando l'altro glielo avrebbe detto o gli avrebbe dato segno di volerlo mettere al corrente di quell'informazione, fatto stava che lui non avrebbe chiesto. Con Daisuke era così, almeno per quello che aveva imparato a conoscerlo. Preferiva dargli l'impressione che fosse lui a decidere come dovessero funzionare le cose fra loro due, se pure doveva spronare in qualche direzione non lo faceva mai troppo direttamente. C'erano di quel tipo di persone che dovevano essere incitate nel compiere le loro azioni, Daisuke non era fra queste. La tentazione non era una scienza esatta, dopotutto, aveva i suoi diversi modi di esprimersi e i suoi diversi modi di agire e generare cause ed effetti. Si era sentito ripetere che evidentemente lui a quella lince non doveva piacere per qualche ragione «Sì, non le piaccio. Ma questo lo hai già detto.» Non glielo stava rinfacciando, ma gli stava in qualche modo chiedendo perché si fosse soffermato sul quel particolare e se in qualche modo gli avesse dato peso dato che a differenza sua l'altro invece sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in compagnia di quell'animale, tanto che era tornato ad accarezzarlo. aveva sollevato le spalle come se non desse poi così tanto peso alla cosa «Non posso piacere a tutto. Suppongo che nemmeno tu piaccia a tutti, ma questa è solo una questione di competenza nel gusto di chi si trova dall'altra parte, non pensi?» Era rimasto qualche istante in silenzio avvicinandosi di qualche altro passo a Daisuke, tenendo però a sua volta lo sguardo fisso sull'animale «Davvero ne hai già avvicinata una?» Che poi aveva sorriso su quel discorso a proposito dei grattini. Non aveva fatto una cosa molto simile anche lui con l'altro qualche tempo prima? Anzi se ricordava bene, la prima volta che l'aveva portato a casa sua li aveva chiamati proprio a quel modo... «I grattini...» Aveva ripetuto quelle due parole come se ci trovasse qualcosa di interessante già soltanto nel termine. Istintiva mente quel pensiero aveva fatto sì che si portasse alle spalle dell'altro, tanto che ora quello era seduto e si stava occupando della lince, lui in quella posizione si ritrovava alla perfezione a fare quello che voleva fare.
    Aveva ascoltato quella riflessione sulla pelliccia dell'animale che non sembrava volergli togliere gli occhi di dosso e aveva portato la sinistra sulla testa dell'altro accarezzandolo appena con un movimento circolare della punta delle dita in prossimità dell'attaccatura dei capelli. Aveva l'impressione che all'animale non sarebbe piaciuto quel suo gesto, ma quello doveva essere l'ultimo dei suoi problemi e anzi alla fine dei conti perché diavolo avrebbe dovuto considerarlo in qualche modo un problema? Dopotutto forse era anche il momento di stabilire dei confini con quella bestia. Dei limiti su quello che era concesso e quello che invece non doveva esserlo. Lui la osservava nel mentre che aspettava la risposta alla sua domanda. C'era stato silenzio seppure aveva creduto che la sua fosse fra le più naturali delle domande. Chiunque al posto suo probabilmente avrebbe chiesto la stessa cosa sapendo che l'altro aveva passato del tempo in ospedale. Doveva essere una domanda abbastanza di routine.
    Un mese...
    Aveva lasciato l'ospedale da un mese, eppure non aveva l'aspetto di chi si sia completamente ripreso. Era rimasto in silenzio e l'aveva lasciato parlare perché gli raccontasse di quanto voleva a quel proposito. Aveva appreso così che era rimasto poi a casa per altre tre settimane e che nell'ultima era finalmente tonato a lavoro. ma quelli non erano i dettagli che gli interessavano. Più importante era invece il fatto che gli avesse riferito di avere disturbi del sonno. Con la mano libera gli aveva portato i capelli dietro l'orecchio raggiungendo poi, con quel movimento il collo, quel punto dietro la testa dove già in passato l'altro gli aveva portato la mano e aveva preso a massaggiarlo lì, facendogli sì, quelli che Daisuke stesso aveva già definito grattini, che gli piacesse quel tipo di attenzioni lo ricordava e anche bene.
    Quando gli era stato chiesto il perché di quelle domande aveva continuato con quelle carezze «Perché.... Perché ti vedo stanco.... Pensavo ti avessero liberato da pochi giorni.» aveva risposto alla domanda senza troppi complimenti prima di sentirsene porre un'altra. Aveva allargato le palpebre e lo aveva guardato per qualche istante «In realtà,» aveva cominciato «credo che quello geloso, in questo momento, sia quel gattone.» e aveva indicato la lince con un cenno del capo «Potrebbe essere anche il motivo per cui mi detesta, cosa ne pensi?» ancora aveva spostato lo sguardo dall'animale nella gabbia, all'uomo che gli sedeva davanti «Ma posso sempre andare via, se non mi vuoi qui.»

     
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    Sapeva bene di aver già detto il fatto che a suo avviso Key non era rimasto molto simpatico alla lince, ma l’aveva detto anche per cercare di scatenare una qualche reazione nell’altro rimanendo un po’ a bocca asciutta per quella risposta breve. Ma non si sarebbe arreso, era ovvio che avrebbe provato a stuzzicarlo ancora e alla fine, visto il discorso che stavano affrontando, non aveva nemmeno uno scopo ben preciso se non attirare in qualche modo la sua attenzione.
    Lo so di avertelo già detto. Agli animali in genere non piacciono quelli brutti e cattivi, tu sei brutto e cattivo per caso?
    Brutto sicuramente no e già conosceva la risposta che era certo sarebbe combaciata con la propria. Riguardo all’essere cattivo se doveva essere onesto non aveva mai pensato a catalogare Key in quel modo, buono, cattivo o chissà quale altra definizione che a suo avviso spesso andavano troppo strette un po’ per tutti. Certo, c’erano i soggetti che per natura o per altri motivi tendevano al male e ripudiavano quello che viene definito comunemente e banalmente bene, ma in fondo cosa era veramente il bene? Esisteva una definizione oggettiva a quella cosa? Secondo la personale opinione che si era fatto delle cose e dei vari comportamenti umani, aveva capito che il bene era qualcosa di strettamente personale e soggettivo, addirittura c’era chi definiva come tale persino il male e quella filosofia, quella visione delle cose, del mondo e dell’essere umano lui la trovava estremamente affascinante ed era certo che parlare con qualcuno di quell’idea fosse molto più interessante che con una persona che ragionava in maniera troppo comune, impostata e decisa da non si sapeva bene nemmeno chi. E dopo tutto, non era stato lui per primo a parlare di diavoli come esseri affascinanti? L’aveva detto in un momento in cui l’ebbrezza dell’alcol l’aveva preso e catturato, ma in fondo i saggi latini avevano detto una cosa assolutamente vera per tutti e per tutte le ere: in vino veritas. Aveva quindi espresso la sua visione, una delle sue visioni, in modo un po’ poco articolato, ma sicuramente non aveva mentito né aveva inventato qualcosa per accattivarsi l’altro. Anche perché non era di certo da lui insistere per tenersi qualcuno salvo quando lo riteneva utile per se stesso e perché provasse una sorta di attrazione.
    L’aveva guardato un po’ divertito quando gli aveva fatto quella domanda e aveva anche ascoltato quella breve considerazione sulle opinioni che gli altri potevano avere sul suo conto e aveva annuito appena anche perché la pensava lui stesso in quel modo.
    Ma io non ho alcun interesse a piacere al mondo intero, caso mai a chi interessa a me e se in quel caso non dovessi essere corrisposto non mi metterei certo a corrergli dietro
    La classica risposta di chi dell’orgoglio ne fa uno dei suoi punti forza nella filosofia di vita, a suo avviso si campava meglio valutando il prossimo per propri fini piuttosto che doversi adattare agli altri e schiacciare se stessi, la propria personalità e il proprio modo di vivere e di essere. Non ci si poteva aspettare una risposta diversa da uno come lui, da uno che era tremendamente selettivo pure su chi si doveva portare a letto e non per puritanismo o rettitudine morale, c’erano la sua vanità e la sua superbia e il fatto che pensasse che non tutti erano degni di mettergli mano addosso se non chi diceva lui.
    E’ questione di priorità e di esigenze personali, ma mi pare che questo fatto io e te l’abbiamo assodato da un bel po’
    Dei discorsi fatti non ricordava precisamente le parole e le frasi usate e dette, ma in linea generale di cosa avevano parlato sì e ricordava bene quanto spesso fosse ricorsa la parola ‘priorità’ nei discorsi di uno e dell’altro e quanto questa cosa sottintendesse l’egoismo come una componente di spicco in entrambi i caratteri. Ed era per questo che gli piaceva Key e lo riteneva attraente (oltre ad altre ragioni), a volte in lui rivedeva se stesso e valeva anche per frasi usate e idee esposte.
    Poi era tornato a dedicarsi al bel felino e aveva notato quanto questo paresse voler tenere sotto controllo Key, non si stava facendo troppe domande se non quella che già aveva posto prima buttandola sullo scherzo nominando brutti e cattivi. Quell’animale era in gabbia e quindi non avrebbe mai potuto fare nulla a Key dalla posizione in cui si trovava e dato che pure l’altro se ne teneva a debita distanza il fatto che la lince gli fosse ostile non lo preoccupava affatto. Piuttosto era compiaciuto nel sentirla fare le fusa, quel verso gli piaceva da matti come anche la consistenza del pelo che gli ricopriva la mano, eppure si era accorto dell’altro che gli si era messo praticamente alle spalle dopo avergli fatto quella domanda.
    Sì, te lo detto, in America sono animali molto comuni e non di rado vengono anche allevati come fossero gatti domestici. Tra l’altro io non ho vissuto a Las Vegas centro, ma in periferia dove gli spazi aperti sono tanti e qualche volta mi è capitato di avvicinarne qualcuna. Sono animali diffidenti e solitari, ma se sai farci si fanno avvicinare
    Si era bloccato tutto ad un tratto e aveva leggermente raddrizzato la schiena quando aveva sentito le dita di Key infilarsi un po’ tra i capelli e fare quel movimento leggero e circolare con le dita. Non se l’era aspettato, ma certo era il fatto che dopo la sorpresa appunto era arrivato il compiacimento e se la lince a quel gesto aveva pensato ad una sorta di aggressione o chissà cosa, reagendo con un soffio più intenso seguito da un basso ruggito mostrando le zanne, Daisuke aveva semplicemente socchiuso gli occhi e tolto via la mano da in mezzo il pelo folto dell’animale. Aveva fatto ruotare di poco la testa verso destra come gesto di apprezzamento a quella cosa e avvertendo un leggero fremito proprio dietro il collo e tra le spalle aveva riaperto bene gli occhi spostando la loro attenzione dalla lince a chi aveva dietro, per quanto potesse guardarlo con la coda dell’occhio. Gli stava silenziosamente chiedendo cosa aveva in mente e perché aveva infilato la mano proprio tra i capelli, non che la cosa non gli piacesse e non gli desse soddisfazioni, ma non era proprio il caso così davanti a tutti. Ma aveva cercato di fare in modo di distrarsi e allo stesso tempo ricevere quelli che lui aveva appena chiamato grattini senza che si scatenasse in lui chissà quale reazione perché dopo tutto sapeva che quelle dita, mosse in quel modo, potevano suscitare una catena di suoni tanto simili a quelli che la lince aveva emesso proprio sino a pochi attimi prima. Finché quelle carezze però erano leggere pensava sarebbe stato in grado di controllarsi e di controllare anche qualche reazione che in pubblico non poteva manifestare nella maniera più assoluta. Infatti aveva annuito quando l’altro aveva fatto riferimento al mese che Daisuke aveva appena detto di aver passato a casa e se poco prima aveva avvolto la sbarra della gabbia con la mano, si era ritrovato a stringerla quando l’altra mano di Key gli aveva portata i capelli dietro l’orecchio e si era postata piano dietro al collo. La schiena era rimasta rigida ancora da prima, aveva solo portato la testa quel po’ indietro per finire a poggiarne la nuca sulla gamba e sollevare lo sguardo ancora una volta mentre le sue orecchie erano impegnate su due fronti, la voce di Key e il suono delle vibrazioni sotto pelle che, sapeva, era quello delle fusa. Poco gli interessava cosa potessero pensare gli altri che passavano, il problema non era certo il suo quanto loro e se qualcuno avesse protestato o detto qualcosa avrebbe avuto la risposta pronta, se non addirittura una bella dimostrazione ad hoc. Eppure quello non era nei suoi pensieri al momento, solo dover rispondere all’altro e gestire quei fremiti che alle sue orecchie erano ancora un po’ bassi e forse poco udibili a quelle dell’altro, o forse per niente. Non ricordava se quando le aveva fatte la prima volta davanti a lui a casa sua fosse stato detto qualcosa in proposito dall’Angelo, lui per adesso preferiva far finta di niente e dare a vedere che apprezzava solo il gesto in sé e se la cosa gli fosse stata fatta notare in qualche modo avrebbe risposto.
    Sfido chiunque a stare bene e rilassato senza chiudere occhio per intere notti, o le poche volte che riesci a farlo…
    E poi aveva un attimo chiuso gli occhio per godersi quelle carezze e la sua stessa reazione prima di riprendere il discorso con una voce strana, ma sicuramente rilassata.
    E le poche volte che riesci a farlo fai solo sogni del cavolo che ti svegliano di soprassalto e si ripetono se hai fortuna di riprendere a dormire. Anzi, sempre lo stesso sogno che anche da svegli diventa un’ossessione
    Aveva sollevato lo sguardo sul viso dell’altro, che da quella posizione vedeva da sotto e quindi non bene.
    Dici che la signorina qui pensa che le vuoi rubare la scena? Sì, forse ti detesta per questo e per il fatto che ora sono io a ricevere i grattini e non più lei
    Anche se in fondo non era proprio così, la lince aveva perso interesse in entrambi perché erano arrivato due cuccioli miagolanti che correndo avevano reclamato qualcosa, forse cibo o forse semplicemente le attenzioni della mamma, fatto sta che la bestia aveva lanciato un ultimo sguardo sospettoso e diffidente verso Key prima di sdraiarsi di fianco vicino alle sbarre e dedicarsi ai suoi piccoli.
    Stando in quella posizione gli vedeva bene il mento e il collo e ora che non aveva distrazioni varie, solo la figura dell’altro e il cielo che stava oltre e al di sopra delle loro teste, aveva notato di nuovo quel bel graffio e si era domandato, ancora, come se lo fosse fatto. Non era certo quello di un gatto anche perché se non ricordava male Key aveva detto di non avere animali in casa. Perciò escludeva la possibilità di qualche brutta reazione a quattro zampe. Aveva più l’aspetto di un taglio e a quel pensiero aveva staccato la mano dalla sbarra della gabbia per portarla verso l’alto con l’intento di andare a toccare proprio lì, sul punto dove vedeva quella riga color sangue coagulato.
    E questo come te lo sei fatto?
    Cercava anche di distrarre l’altro da quelle fusa che avevano avuto un attimo di crescendo proprio perché le stava apprezzando, allontanarlo non sarebbe stato un gesto molto carino e non che lui si preoccupasse molto degli altri, ma a suo avviso Key non meritava parole e azioni brutte se non gli aveva fatto niente, anzi.

     
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    Agli animali non piacciono le persone brutte e cattive. In particolare avrebbe detto quelle cattive. Rispondere sinceramente alla domanda avrebbe significato dire che no, non era brutto, perché lui non si considerava brutto, ma era cattivo, quello sì, almeno secondo i canoni che si intende il più delle volte. In realtà il termine cattivo l'avrebbe però associato più a un personaggio di una fiaba, quelle che si raccontano per convincere i bambini ad andare a dormire presto. Per quello che lo riguardava si riteneva ben oltre quello. In ogni caso non gli avrebbe potuto rispondere che sì, non era certo la persona più buona sulla faccia della terra semmai tutto l'opposto. Si era morso il labbro e quindi aveva mosso appena il capo nell'osservare l'altro «Credo che tu conosca già la risposta, ha senso porre la domanda?» Al solito quindi ci aveva girato intorno. Non aveva veramente risposto sebbene, fosse anche in parte convinto che Daisuke avesse comunque un'idea riguardo a lui, che questa poi potesse essere corretta o meno non era certo un problema suo, dopotutto questo dipendeva anche dalla relatività delle cose e da come l'altro poteva intenderle. Quindi ancora una volta, al fin dei conti lui non aveva mentito, aveva dato la risposta più ovvia e più flessibile ad eventuali considerazioni. Lui era ciò che era e ciò che era sempre stato, ma se doveva mettersi a speculare, ora e lì su quella questione del bene e del male; dei buoni e cattivi probabilmente avrebbe fatto prima a chiudere bottega e andare in ferie per i tre mesi successivi considerando quanto poteva dilungarsi su quel tipo di argomenti. Aveva quindi lasciato correre per proseguire su altri argomenti, sul fatto che lui non volesse piacere al mondo intero. La domanda più ovvia sarebbe stato chiedere a chi, sarebbe voluto piacere. Ma forse lì avrebbe perso parecchi punti con la propria autostima, come se fosse stato alla ricerca di complimenti. Sì, era d'accordo su quegli argomenti, lo aveva già detto in passato. Lui era orgoglioso, l'altro altrettanto. E giocare con quell'orgoglio accrescerlo, curarlo come se fosse una piccola pianta fino a farlo diventare un albero rigoglioso, ecco, quello gli sarebbe piaciuto fare. Priorità, sì, quella era diventata, da un po' di tempo a quella parte, la sua priorità, trascinare Daisuke su quella via. L'incidente poteva esserne una parte, lui aveva parlato di sogni e di non essere molto rilassato. «Dimmi, una cosa... in questo momento pensi di essere rilassato?» Domanda a cui credeva di conoscere la risposta, almeno sembrava che quel suo movimento delle mani fosse in grado di rilassarlo e anche perché aveva sentito di nuovo quel suono. L'aveva già sentito, se ci pensava bene, l'aveva già sentito quando era stato a casa sua, solo che in quel momento non ci aveva fatto caso. E per qualche istante aveva spostato lo sguardo sulla lince che era tornata ad occuparsi dei cuccioli e che sembrava aver perso interesse verso di lui. «Ti piace molto quell'animale?» Non c'entrava niente con quel discorso, eppure doveva ammettere che Daisuke l'aveva sempre visto come un gatto. Aveva scosso la testa e aveva scacciato quel pensiero, riconducendolo al fatto che gli era appena stato detto che quelle bestie venivano trattate come animali domestici in qualche parte del mondo, in particolare quella da dove veniva l'altro «Ce le vedresti a zonzo nel giardino di casa?» Perché quell'idea la trovava interessante anche se avrebbe poi rischiato di doverlo percorrere a volo, considerata l'antipatia che quelle dimostravano. Aveva ripreso ad accarezzargli il capo e fargli quei grattini dietro il collo. sogni, l'altro aveva parlato di sogni, anzi lo stesso sogno che doveva averlo tormentato più e più volte. Si era abbassato un po' pigandosi appena in avanti in modo tale da poterlo vedere meglio in volto. Si era arrestato per qualche istante anche con il movimento delle dita così da attirare l'attenzione dell'altro su di lui. «I sogni non sono altro che una serie di informazioni che il cervello accumula. Freud li definiva addirittura desideri del nostro inconscio, ma di teorie ce ne sono tante. Dovresti capire perché questo sogno ti tormenta, il vero motivo e probabilmente smetterà di esistere.» Aveva ripreso con i grattini, ora, mentre continuava a osservarlo dall'alto verso il basso «Vuoi dirmelo? che sogno è?» Non si aspettava veramente una risposta, anzi, era anche probabile che l'avrebbe fatto arrabbiare con quella domanda, ma l'alternativa avrebbe significato riuscire a guadagnasi un altro angolo dell'intimità di Daisuke.
    Tuttavia era rimasto non poco sorpreso quando l'altro aveva allungato la mano verso il graffio, o per meglio dire l'artigliata che gli aveva lasciato l'angelo nero. Si era scostato inevitabilmente, ruotando anche il capo e rallentando quel movimento delle mani. L'espressione che aveva assunto non era fra le più felici, a dirla tutta. Una traccia dell'orgoglio ferito, più di quanto lo era stata la carne, perché lei lo aveva colpito, aveva osato arrivare a tanto e lui non poteva accettarlo. Come non poteva accettare quel segno lì a sfigurargli il collo. Sarebbe guarito, sì, ma ciò non significava che l'altra aveva potuto concedersi quel gesto. Aveva abbassato le braccia e si era allontanato di appena un paio di passi «Una stronza...» era stata la risposta che gli aveva dato «Una stronza che mi ha fracassato la macchina.» il che era anche la verità, senza scendere troppo nei dettagli di quella faccenda, cosa che nemmeno aveva voglia di fare. Certo che poi la stronza di turno mostrasse dodici anni o giù di lì e che gli fosse saltata sulla macchina in compagnia di un coniglio gigante. L'avrebbe preso per pazzo se solo gli avesse detto una cosa del genere. Insomma chi avrebbe mai creduto alla teoria di un coniglio gigante?
    Aveva rispostato lo sguardo sulla lince e sui cuccioli chiusi lì all'interno della loro gabbia. Per qualche istante ce l'aveva immaginata chiusa lì dentro e impossibilitata ad uscire per quanto alla fin fine era lui quello che ci aveva guadagnato da quella faccenda, la cosa non riusciva proprio a digerirla. Ma c'era altro di cui doveva interessarsi in quel momento e magari cambiare argomento, tornando a quello del sogno o se preferiva alla bestiola che aveva lì davanti.

     
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    Brutto e cattivo. Aveva senso fare quella domanda? In realtà non era stata fatta con uno scopo ben preciso se non quello di potersi divertire nel sentire Key definirsi in qualche modo perché aveva capito di avere davanti uno con un’abbondante autostima e inoltre ciò era stato ampiamente detto quella volta a casa sua, solo che in fatto di bellezza e aspetto gli sarebbe piaciuto sentirlo definire se stesso in qualche modo. Non spettava di certo a lui farlo, anche perché riteneva di aver lasciato intendere la sua opinione in modo abbastanza chiaro a volte restando sul vago e altre no e per tanto riteneva di non doversi ripetere. E sul fatto dell’essere cattivo? Partiva dal presupposto che salvo i casi eclatanti e conclamati, un essere lo si può definire malvagio quando compie qualcosa che va contro la morale comune che è solita mettere al primo posto il bene, il buonismo ed una certa rettitudine e che nel momento in cui qualcuno osa fare qualcosa che va oltre tali confini e determinate regole viene subito definito come immorale o malvagio. In realtà in natura le cose funzionano in modo molto diverso, le leggi della natura concedono cose agli esseri viventi che quelle dell’uomo non fanno, anzi questi ultimi cercano di sopprimerle, di soffocare un modo di vivere che, forse, può essere definito naturale, quasi normale. E quando Daisuke si trovava a fare riflessioni in quel campo non di rado prendeva se stesso come esempio e il fatto che per natura ora lui aveva un’indole che tendeva all’uccisione del prossimo per il sostentamento di se stesso e per mandarsi avanti. E tra le altre cose, ciò nemmeno l’aveva cercato lui, non lo aveva chiesto né voluto, potevano definirlo individuo malvagio? Secondo le distorte leggi morali dell’occidente, ma non solo loro, lui dovrebbe essere un demonio incarnato e forse lo era e se così fosse stato nemmeno se la sarebbe presa molto a dirla tutta. La realtà però era un’altra e lui questo lo sapeva.
    Ora, rifletteva velocemente su Key e sull’idea che si era fatto di lui riguardo ai suoi atteggiamenti e non c’era nulla che potesse portare il mannaro a definirlo cattivo, o malvagio, ma nemmeno buono usando il termine più banale che gli era venuto in mente. Per quanto lo riguardava Key poteva essere quello che sta più in alto nella scala dei peggior ceffi sulla faccia della terra che a lui non sarebbe interessato sino a quando non avrebbe fatto nulla a lui, fino a quando non lo avrebbe realmente offeso o non avrebbe attentato alla sua vita. Ma forse nemmeno in quel caso l’avrebbe definito malvagio, semmai in grado di fare del male il che non vuol dire esserlo. Ma arrivato a quel punto della sua riflessione si era ritrovato al ciglio di un turbine di pensieri e riflessioni che aveva preferito lasciar perdere più che altro perché non era né il momento né il luogo per tacere e riflettere su come poteva essere veramente Key nel suo “io” più nascosto ed intimo. Anche se il fatto che si sentisse attirato da qualcosa di lui che non sapeva catalogare né riconoscere stuzzicava molto le sue fantasie e le sue riflessioni e se aveva deciso di lasciare un passaggio all’altro e permettergli di entrare in qualche modo, ma pur sempre sino ad un certo punto, nella sua vita c’era un perché e questo perché era legato al fattore ignoto che lo legava in un certo qual modo all’Angelo.
    Dunque non aveva detto nulla alla risposta di Key su quell’argomento, si era limitato ad una scrollata di spalle e a lasciare anche lui quel discorso in sospeso, tanto perché avendo capito come era solito fare l’altro, quella era diventata anche una sua arma quando riteneva di non dover e non voler usare la sua naturale e più conosciuta schiettezza. Dunque se Key aveva aggirato la cosa, lui aveva fatto altrettanto, ripagandolo in qualche modo con la stessa moneta nonostante non se la fosse comunque presa per quella risposta.
    Quel discorso quindi era caduto lì per volontà di entrambi anche perché l’altro si era messo a fare quelle carezze, o grattini, che avevano distratto il Mannaro quasi completamente, tranne che per il fatto delle dimissioni dall’ospedale e dal periodo che era venuto dopo. Non aveva trovato per niente piacevole starsene tre settimane a casa a fare niente, se non sbrigare qualche faccenda di lavoro via webcam, e a parte qualche breve passeggiata non si era concesso molto. E nella noia quasi totale e tra le quattro mura di casa sua aveva pensato più spesso, molto più spesso a tutte quelle cose che lo tormentavano, dalle ore insonni agli incubi e soprattutto al soggetto di quei sogni spiacevoli. Aveva accennato qualcosa a Key poco prima e aveva annuito alla sua domanda se si sentisse rilassato ora che la sua mano strava nella sua chioma bionda e che nonostante le sue punte arrivassero appena alla base del collo fosse folta e morbida.
    Ah sì...
    Aveva mormorato in risposta, mentre aveva rilassato la schiena curvandola un po’ e raddrizzandola subito dopo ma lentamente e poggiando anche le spalle alla gamba dell’altro strusciandoci sopra la parte della cervicale dove evidentemente aveva quel piccolo osso che se stimolato a farlo provoca quel suono che anche Key doveva aver probabilmente sentito.
    Sì, e se continui potrei pure mettermi qui a dormire
    E sembrava veramente un gatto ora che aveva anche socchiuso gli occhi riducendoli a due sottili fessure azzurro scuro e forse era stato quello a far fare a Key quella domanda riguardo la lince e al fatto se gli piacesse. Inutile soffermarsi troppo sull’esito della risposta, anche perché i gatti come tutti i felini gli erano sempre piaciuti e a quella domanda aveva risposto con un lento movimento della testa in segno di assenso, perché in quel momento preferiva più godersi il contatto con quella mano e i fremiti che questo scatenava piuttosto che sulla lince che ora guardava Daisuke con la solita espressione neutra e distante tipica dei felini, ma incuriosita da quel rumore che forse istintivamente riconosceva in qualche modo.
    Mi piace ed è un po’ un peccato non poterne tenere una anche se alla fine è molto più bella al suo posto, nemmeno qui dietro queste sbarre o in un giardino
    Aveva detto dopo aver sentito anche la considerazione dell’altro su come potrebbe essere tenerne una nel giardino. Forse lì in qualche posto della città dove ci stavano alberi e laghetti dove permetterle una vita abbastanza normale per le esigenze dell’animale sì, eppure aveva sempre pensato a quanto fossero più belli nel loro habitat quei felini non tanto grandi ma sempre e comunque nobili e regali. E pensava a se stesso e a quando sarebbe diventato come lei un giorno e si era chiesto quando, quel giorno sarebbe arrivato. E nuovamente le sue brevi riflessioni erano state interrotte dalla voce dell’Angelo, anche perché aveva sentito il suo movimento e di riflesso aveva sollevato la testa aprendo gli occhi per guardarlo mentre lo ascoltava. Il fatto che i sogni potessero essere il riflesso di desideri inconsci lo spaventava e allo stesso tempo gli faceva pensare che non doveva essere così sempre perché c’erano sogni di diversa natura e se alcuni, magari quelli più strani e strampalati, potevano essere come diceva Freud, altri potevano essere semplicemente altro, oppure l’eco ridondante di vita vissuta. Anche perché si stava domandando come potesse essere un desiderio inconscio sognare la madre morta ammazzata e riversa a terra in una pozza di sangue. E quello poi era il minimo di tutte le scene che da quella iniziale si scatenavano dopo. Erano veri e propri film dell’orrore che lo spingevano a svegliarsi di soprassalto, in un bagno di sudore e il fiato corto come se avesse corso per davvero. Lui sapeva da cosa dipendevano quegli incubi, o forse era meglio dire che conosceva bene la radice del senso di colpa che quegli incubi avevano riportato alla luce dopo anni di sepoltura che Daisuke aveva ritenuto ottima e quindi definitiva. Eppure non era così, aveva un senso di persecuzione quasi sempre presente, un’ala scura che lo copriva e lo seguiva praticamente ovunque e il suo peso, il suo essere così pesante destava nel suo animo un rivoltante senso di inquietudine e la conseguenza più ovvia non potevano non essere quei brutti sogni che aveva appena detto a Key di avere. Come era ovvio però avrebbe detto all’altro solo una parte e nonostante tutto non avrebbe mentito, restare vago in quel caso era la cosa migliore. Però si stava prendendo ancora il tempo per rispondersi sul fatto se dire a Key la cosa dei sogni oppure trovare le parole per un rifiuto, ma poi aveva visto quel graffio e gli aveva fatto la domanda più innocente e anche più ovvia che si potesse senza sospettare minimamente una reazione come quella avuta dall’altro. Si era addirittura allontanato da lui interrompendo anche quelle attenzioni che erano riuscite a rilassarlo nonostante i pensieri che lui stesso aveva richiamato alla memoria. E si era girato guardandolo con sorpresa mista ad una sorta di contrarietà a quella cosa. Sbatteva le palpebre e si stava domandando chi fosse quella stronza come era stata definita da Key e che forza brutale aveva avuto per fracassargli la macchina. Non che non credesse alle parole di Key, anche perché aveva una faccia che diceva quanta ira avesse scatenato la sua domanda su quel graffio, però una donna per poter distruggere una macchina doveva avere una forza davvero eccezionale e questo aveva evitato caldamente di dirlo all’altro più che altro per non irritarlo più di quanto non fosse già. Fatta quella considerazione si era girato voltandogli così le spalle e aveva mosso le gambe piegandole e portando le ginocchia verso il petto. Aveva tirato fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca laterale dei pantaloni neri e se l’era accesa inspirando profondamente il primo tiro. La mano che teneva ancora il pacchetto si era mossa a mezz'aria e il gomito dello stesso braccio si era poggiato al ginocchio che aveva sotto, gli stava silenziosamente offrendo una sigaretta un po’ per placare le acque e un po’ perché una sigaretta un fumatore non la rifiuta mai.
    Mia madre è morta, anzi per essere precisi è morta ammazzata da un cane randagio, così hanno deciso e il caso è stato chiuso così. L’ho trovata io riversa a terra ed è questo ciò che sogno assieme alle pessime condizioni del suo torace e collo dilaniati, assieme all’enorme pozza di sangue
    Da quanto non diceva quelle cose ad alta voce? Aveva perso il conto, forse da quando aveva seppellito tutti quei ricordi. Nemmeno con Alec ne aveva più discusso e quello aveva avuto la premura di non domandare più nulla. Dunque Daisuke aveva vissuto tutto questo lungo, lunghissimo tempo con la convinzione di aver rimosso tutto completamente e in maniera definitiva dalla camera segreta dei suoi ricordi, ma qualcosa o forse il solo puro caso gli stava semplicemente dimostrando che i ricordi sono dei demoni (come diceva Hamsun, un noto scrittore norvegese), tornano sempre, quando meno te l’aspetti e nel momento meno opportuno. E lo fanno sghignazzanti e soddisfatti nel vedere l’uomo cadere rovinosamente tra le macerie dei suoi stessi misfatti.



    Edited by Daisuke R. Stark - 24/7/2013, 00:29
     
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    Sì, gli piaceva quel movimento e lo rilassava. L'angelo aveva sorriso a quella affermazione, un sorriso compiaciuto della risposta che aveva ottenuto, così come era stato compiaciuto anche alla risposta successiva che si sarebbe addormentato volentieri anche lì, se avesse continuato con quel movimento. Avrebbe continuato quel discorso, a quello sulla lince aveva dato ben poco peso perché gli interessava solo sul punto di tenere vivo un qualche discorso, sebbene le fusa le avesse sentite eccome. Ma non era quello il momento, o meglio aveva finito di esserlo per tutti quei discorsi nello stesso attimo in cui lo aveva visto allungare la mano e porgli quella domanda. La sua risposta non aveva avuto in tono troppo gentile. Se ne era accorto persino lui. Doveva essere scattato un qualche meccanismo difensivo del suo ego che l'aveva portato a prendere le distanze dall'altro per prenderle anche dall'argomento che evidentemente non era stato gradito. Per qualche istante era stato come se la razionalità se ne fosse andata a farsi benedire, o al diavolo che dir si voglia. Quindi aveva indietreggiato e si era ritirato. Aveva dato quella risposta che seppur vera era autoconclusiva e non portava a nulla. Che significava dopotutto che gli aveva fracassato la macchina? In che modo lo aveva fatto? Gli era andata addosso? Lui era nella macchina? E come aveva fatto ad ottenere quel graffio in quel punto e in quel modo? Era fuori forse? Era successivo? Avevano dunque litigato dopo? A tutti quegli interrogativi non aveva dato alcuna soluzione. Aveva lasciato che fosse la fantasia dell'altro a colmare quelle lacune nel modo che quello preferiva.
    Eppure si era accorto di essere stato lui in quel momento ad aver costruito un muro e che doveva abbatterlo quel muro se voleva tornare ad accorciare quella distanza che in quel momento aveva creato lui, non l'altro.
    L'aveva visto cambiare posizione, accostare le gambe al petto, quasi a mostrare una chiusura. Aveva ripreso ad osservarlo da quella sua posizione, quindi aveva mosso appena qualche passo nella sua direzione mentre la sua espressione tornava ad essere quella di sempre. Se c'era una cosa che sapeva fare era indossare bene la sua maschera. Se aveva lasciato intravedere qualcosa ora l'aveva ricoperto come se fosse stato solo uno scorcio. Era un po' come guardare attraverso il buco della serratura, ma poi ritrovarsi dinanzi a tutt'altro una volta aperta la porta.
    Quando aveva cominciato a parlare di quei sogni e della madre aveva fatto per avvicinarsi e prendere la sigaretta che gli veniva offerta. Ma non l'aveva accesa. Era rimasto lì a finire che parlasse, o che comunque che terminasse quella breve descrizione del suo sogno. Aveva ripreso a portargli la mano sul capo e aveva ripreso a massaggiarlo con quel movimento circolare. Aveva fatto il gesto di tirarselo più vicino, sempre che l'altro glielo avrebbe concesso.
    «Quanto tempo fa è successo?» Sembrava una delle classiche domande di routine, quelle che si fanno quando si cerca di scendere più a fondo nella questione, come quando si tenta di tendere una mano o un amo. Si era guardato intono alla ricerca di qualcosa su cui sedersi. Non aveva molti appigli, almeno per gestire le cose nel modo che gli fosse ideale. Alla fine si era abbassato poggiandosi sulle ginocchia senza sedersi veramente o la differenza di altezza sarebbe stata un problema. Mentre reggeva ancora la sigaretta fra il mignolo e il medio la sinistra aveva portato le altre dita all'altezza del mento dell'altro esercitando quella breve pressione che sarebbe dovuta servire a farlo girare, in modo tale che potesse guardarlo in viso «"Così hanno deciso" significa che non sei soddisfatto?».
    "Così hanno deciso..." altri non lui. Quelle parole gli apparivano come un distacco dalla faccenda. Altri hanno deciso così. Altri la pensano così. In un certo era come se la loro idea fosse distante dalla sua. Se fosse stato d'accordo probabilmente non avrebbe nemmeno fatto quella precisazione. "È stata ammazzata da un cane randagio." il discorso sarebbe terminato lì. Ma lui aveva precisato "Così hanno deciso".
    «Vieni qui.» gli aveva palesemente detto di farsi più vicino. E avrebbe aspettato che si avvicinasse. Si era dimenticato della ferita, del taglio, e di nuovo si era dimenticato della lince. L'aveva osservata soltanto per un attimo in cui aveva mosso il capo. Si era chiesto se lei dall'altra parte si fosse resa conto di quello che lui stava cercando di fare, perché sebbene potesse sembrare che gli tendesse una mano, avrebbe finito per trascinarlo ancora più in basso verso l'abisso a ui apparteneva anche egli stesso. «Se continui a sognarlo, c'è qualcosa che non riesci a superare in relazione a quegli avvenimenti, qualcosa che non ti convince o che ti turba...» si era arrestato ancora qualche istante come se volesse riflettere mentre quel movimento delle mani e delle dita proseguiva quasi stesse cercando di rilassarlo «Vuoi riaprire il caso? Posso farmi mandare gli atti e i documenti relativi a quella faccenda.» Legalmente o illegalmente, se avesse voluto avrebbe potuto ottenerli, gli bastava sapere dove venivano tenuti e avrebbe fatto in modo di trovare gli agganci necessari perché tutto quello che c'era da sapere potesse finire nelle sue mani, non era poi così difficile. Mettere anche mano al portafoglio non gli avrebbe creato particolari problemi, c'era un'altra questione che andava ben oltre il denaro e in gioco c'era qualcosa che per lui aveva un valore decisamente maggiore.

     
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    Era rimasto in quella posizione che trovava anche comoda a pensare a quanto aveva appena detto all’altro, doveva ammettere che gli veniva difficile pensare a quelle cose in maniera così razionale anche perché era un capitolo della sua vita che aveva creduto chiuso per sempre. Aveva sempre pensato che i sensi di colpa bastava allontanarli con una buona, anzi ottima dose di forza di spirito e invece il tempo, e anche altro, gli avevano sbattuto sulla faccia una realtà totalmente diversa, se non opposta. Le colpe non si eliminano, semmai si mettono da parte e si crede di aver fatto qualcosa di definitivo. Forse nel suo caso aveva giocato anche l’autoconvinzione, ma solo sino a quando non era stato tolto qualche pezzo, un paio di mattoni da quel muro di silenzio che lui aveva sempre creduto solido e robusto. Non odiava se stesso per la situazione che gli si era presentata davanti, anche perché orgoglioso come era non poteva certo ammettere di aver sbagliato in qualcosa nell’educazione e nelle fortificazione di se stesso, accreditava a se stesso sì, ma ad altro l’avergliele fatte tornare alla mente e se avesse saputo che in effetti era così quale soddisfazione sarebbe stata per lui. C’era solo il fatto che era dannatamente stanco, sia fisicamente che psicologicamente, il carattere era peggiorato e con esso tutto il resto persino i rapporti interpersonali che aveva, o comunque quei pochi che aveva oltre ai rapporti lavorativi per i quali faceva enormi sforzi a non far vacillare. Ma solo per un puro tornaconto personale trattava ancora bene i suoi dipendenti e i suoi collaboratori, altrimenti li avrebbe mandati diretti all’inferno. Quello era il suo stato d’animo attuale per quanto potesse sembrare calmo, persino quel giorno di splendido sole in quella giornata estiva che avrebbe fatto venir voglia di mare e divertimenti a chiunque, tranne che a lui. Non era depresso né tanto meno paranoico, piuttosto lo si poteva definire freddo e distante, alieno e disinteressato quasi a tutto tranne che a se stesso e a come poter uscire fuori da quella situazione. Ne stava parlando con qualcuno dopo tanto tempo e se aveva deciso di fare in quel modo c’era un perché e che solo lui sapeva e così doveva restare. Tuttavia aveva dato poche informazioni riguardo l’accaduto della madre anche perché fare il contrario avrebbe voluto dire scoprire le carte e dire la verità. Non stava mentendo, ma nemmeno ammettendo le sue colpe, piuttosto avrebbe detto a Key ciò che si poteva dire.
    Non se l’era presa molto per la sua reazione, aveva solo voluto dargli il tempo di farsi passare quel momento di ira che gli aveva colto nell’espressione poco prima che gli voltasse le spalle e l’offrirgli la sigaretta era stato un muto messaggio di calmarsi o sarebbe stato meglio che ognuno andasse per la propria strada, dato il fatto che pure lui in quei giorni non era dell’umore migliore pure a causa della luna piena in arrivo a breve. Difficilmente mostrava il peggio di sé, e riteneva non doverlo fare proprio con Key e soprattutto in un posto come quello dove si trovava ora. Aveva sentito i suoi passi farsi sempre più vicini e non aveva spostato la testa per guardarlo, ma solo la coda dell’occhio fino a quando non se l’era trovato di nuovo vicino e con la mano tra i suoi capelli. Non si era spostato, ma la domanda l’aveva allontanato dal mostrare l’atteggiamento di prima riguardo al gradimento e al fatto che quei grattini fossero in grado di rilassarlo. Non che in quel momento non stessero sortendo quell’effetto, ma la mente in quei frangenti evidentemente aveva bloccato qualche meccanismo naturale nel corpo del Mannaro. Stava pensando a quanti anni erano passati ed era arrivato alla conclusione che non erano pochi visto quanto erano successi, ma non ancora abbastanza per assorbire il fatto della madre sempre se ciò sarebbe mai accaduto. Perché ora che ci stava pensando su si stava anche chiedendo se sarebbe mai riuscito nell’impresa di togliersi sul serio ed una volta per tutte quella polvere da dosso.
    Sono passati circa sei anni
    Aveva risposto prima di dare un altro tiro alla sigaretta e assecondare il gesto dell’altro di tirarlo un po’ verso di sé piegando appena il capo verso il suo fianco poggiandoci appena la tempia senza riuscire a scacciare via dalla mente le immagini di quanto aveva trovato quando in quella sua prima notte di plenilunio aveva trovato nella sua camera.
    Sembrava avere lo sguardo perso in chissà quali turbine di pensieri, guardava fisso davanti a sé eppure non osservava nulla in particolare proprio l’espressione di chi riflette su qualcosa di serio e di importante. Sentiva solo il vociare delle persone che passavano in quella zona dove stava lui, i versi degli animali, sentiva odori mescolati tra loro eppure non stava dando importanza proprio a nulla di tutte quelle cose, nemmeno molto al movimento dell’altro di mettersi in ginocchio accanto a lui. Totalmente disinteressato, era ciò che era in quel momento e l’espressione era proprio quella di un felino che non considera niente e nessuno, il naso puntato un po’ verso l’alto, stessa cosa il mento che poco dopo era stato preso tra le dita dell’altro per spingerlo a spostare l’attenzione verso qualcuno e quel qualcuno doveva essere proprio lui.
    Gli occhi azzurri avevano spostato la loro attenzione sul viso dell’altro, fissando quelle iridi scure che aveva davanti e sembrava una statua nel suo essere immobile in tutto, dallo sguardo alla più piccola fascia muscolare e c’era un semplice motivo a tutto ciò, la domanda che l’altro gli aveva appena posto.
    Gli si era gelato il sangue nelle vene, ecco perché era rimasto fermo in quel modo a fissarlo senza rispondere, ma nella sua testa si stavano affollando tanti pensieri e tante immagini, vere o immaginarie, che al momento trovava difficile rispondere, ma doveva farlo in qualche modo anche se non era affatto facile dire ciò che realmente non pensava. Forse aveva sbagliato ad ammettere il fatto che fossero state date delle conclusioni che non corrispondevano alla realtà riguardo all’omicidio della madre e da quella riflessione aveva trovato una possibile risposta alla quale doveva solo sperare che Key non decidesse poi di andare ancora più a fondo, di scavare ancora perché nonostante l’espressione atona dentro sentiva un fermento che conosceva bene.
    Si tratta di una persona ammazzata, non di una morte naturale. Dire che è stato un cane a sbranarla sembra quasi non volersi occupare del caso
    Aveva cercato di girare intorno al nocciolo della faccenda perché solo lui, e Alec, sapeva che non era stato un cane ad aver sbranato sua madre, ma chi lei aveva tanto amato e cresciuto con pazienza e affetto.
    Stava andando nel panico perché si stava rendendo conto che si stava scavando un po’ troppo in quella faccenda e lui avrebbe potuto tenere nascoste le cose sino ad un certo punto, avrebbe potuto raggirare i fatti entro certi limiti, ma sapeva che arrivato al limite avrebbe dovuto prendere una decisione tra due opzioni, ovvero quella di dire apertamente a Key di smetterla di fare domande oppure di ammettere tutto e dirgli la verità, ma era quello il posto per fare quella cosa qualora avesse preso quella decisione?
    Aveva dato un altro breve tiro alla sigaretta il che poteva suggerire una sorta di nervosismo dovuto al discorso che stavano facendo, aveva sentito anche la sua richiesta di farsi più vicino, non l’aveva fatto spostandosi del tutto, solo poggiando l’intera metà del viso sulla spalla dell’altro. Pura e semplice stanchezza e in un certo qual modo la ricerca di un sostegno.
    Sai, credo sia normale sognarsi la madre morta e ricoperta di sangue, non è normale sognarsela brutta, minacciosa e tanto altro, anche perché lei mi adorava e mi ha sempre adorato credo sino all’ultimo respiro
    Dire quelle cose in fondo gli faceva male, specie quando aveva detto quelle ultime parole sapendo bene di esser stato lui ad averle tolto l’ultimo respiro. Nel frattempo aveva socchiuso gli occhi grazie a quel movimento delle dita che riusciva ad apprezzare nonostante tutto, eppure si era visto costretto a risollevare del tutto le palpebre quando aveva sentito la fatidica domanda. Se voleva riaprire il caso? Ovvio che no a meno che non fosse stato sicuro di passare per innocente e forse quel fatto, anche solo il sapere che erano gli altri a considerarlo tale, lo avrebbe aiutato a scavalcare quel senso di colpa che lo tormentava e ad andare avanti. Aveva sollevato un po’ la testa e l’aveva fissato come se volesse dirgli qualcosa, perché a quel punto dirgli di no avrebbe voluto dire dover rispondere ad almeno un’altra domanda scomoda sul perché non avrebbe voluto sapere la verità riguardo a quella storia quando lui per primo, poco prima, aveva fatto intendere che c’era qualcosa che si doveva sapere.
    Dici ne varrebbe la pena?
    Era ciò che aveva potuto dire in una circostanza come quella, avendo capito che dire altro avrebbe potuto compromettere la sua persona. Fare quella domanda poi aveva avuto anche lo scopo di capire come si sarebbe posto l’altro in quel caso, come si sarebbe mosso e cosa sarebbe stato disposto a fare veramente per vincere quella causa, ovviamente presentandosi come suo legale.

     
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    Sei anni. Un tempo sufficientemente lungo affinché qualunque evento possa assumere una valenza secondaria nella vita di un individuo a meno che, certo, in una qualche maniera non costituisca un trauma. Non aveva detto nulla finché non aveva smesso di parlare, gli aveva dato più volte il tempo di riprendere la conversazione in mano e proseguire. Aveva ascoltato rimanendo in silenzio e continuando quel movimento con la mano. Non era il suo turno di parlare, qualunque cosa avesse potuto dire avrebbe potuto creare un muro che poi sarebbe stato difficile da abbattere. Aveva continuato ad accarezzarlo in silenzio fino al momento in cui aveva deciso di abbassarsi e di nuovo aveva lasciato che fosse l'altro a parlare. Si era irrigidito per una frazione di secondo quando lo aveva visto poggiargli il capo sulla spalla proprio dal lato dove era ancora visibile quello che rimaneva di quel graffio di solo pochi giorni prima. Aveva mancato almeno un paio di respiri prima di spostare la sigaretta dalla sinistra, che era andata invece ad accarezzargli il capo, alla destra che aveva portato quello che era ormai uno strumento di distrazione alle labbra e poi era andata alla ricerca dell'accendino. Aveva aspirato un paio di volte portando lo sguardo verso un punto indefinito davanti a lui. «Può essere normale se tu non consideri chiusa quella faccenda e, da quello che dici, sembra che tu non la consideri chiusa affatto. Per quello che ne so io, al momento, potrebbe davvero essere stato un cane, ciò non toglie, che potrebbe essere stato qualcos'altro. Non conosco il caso e non ho elementi per esaminarlo. Che sia stato un cane è semplicemente quello che tu hai detto, o quello che a te hanno detto, ma sembra che questa soluzione non ti soddisfi. Perché? Questo io non posso saperlo. Forse avresti voluto che si trovasse quel cane?» Si era arrestato per qualche istante per portare di nuovo la sigaretta alle labbra. «Riaprire il caso potrebbe servire a portare alla luce tutti quei dettagli che, in qualche modo, sono rimasti sepolti da qualche parte. E anche se si trattasse davvero di un cane, come ti è stato detto potresti avere la certezza che non ci sia alcun margine di dubbio e che quando sia possibile fare per conoscere la verità sia stato fatto.»
    Si era mosso per cercare di trovare una posizione più comoda «Quando le persone vengono da me hanno diverse ragioni per farlo. Qualcuna vuole vendetta, qualcuno vuole declinare una responsabilità, qualcun altro vole soltanto sentirsi dire quello che già sa e qualcun altro ancora è in cerca di una smentita. La verità è molto relativa alle situazioni e agli eventi che la circondano. Ma il punto è che anche quelli che sono innocenti hanno una loro parte di colpa e allo stesso tempo i colpevoli hanno una motivazione per le loro colpe, sempre che il termine colpa possa essere quello esatto. Molto spesso non sono altro che reazioni ad atti precedentemente accaduti o soltanto l'ineluttabilità degli eventi e con questo non voglio dire che il destino sia qualcosa di statico e segnato, ma semplicemente che quella circostanza non poteva svolgersi altrimenti. »
    Si era arrestato di nuovo e questa volta si era soffermato a guardarlo, aveva scostato un po' il capo per ruotarlo verso l'altro «Prima di rispondere alla tua stessa domanda sull'utilità di riaprire o meno il caso, dovresti rispondere a un'altra domanda: esattamente, cosa ti aspetti di ottenere e cosa vuoi ottenere. Però ricordati una cosa. I sogni, e in special modo sogni come questi, sono molto più terribili di come li ricordiamo, ma finché non riuscirai a raggiungere la radice del sogno stesso non smetteranno di tormentarti.» Di nuovo si era preso una pausa sebbene non sembrava affatto che fosse intenzionato a restituirgli la parola, semplicemente lo stava osservando per poter valutare le espressioni del viso, se avesse avuto qualche cedimento, se stesse cercando di mantenere un'espressione neutrale o se provasse rabbia o qualunque altro tipo di emozione. «Tieni presente soltanto una cosa. Se decidi di riaprire il caso devi anche essere pronto a disseppellire tutto quello che riguarda quella questione e non è detto che possa piacerti. Dovrai portare la mente a quei momenti e riviverli uno per uno come se stessero accadendo nuovamente nel presente. Questo è il mio modo di lavorare ed è l'unico modo perché nessun dettaglio possa rimanere inconsiderato. Ed è probabile che se non avessi lavorato a questo modo ad oggi non sarei uno dei migliori nel mio campo. Ma ritirare fuori dalle macerie un caso così vecchio spaventa molte persone che spesso sono alla ricerca di una soluzione molto più semplice e molto più nell'immediato.» Ma non era lui a dover rispondere. Eppure aveva voluto metterlo come di fronte a un bivio anche lasciandogli intendere che una delle strade non era percorribile da chiunque. Ora stava all'altro scegliere se voleva sapere o meno, se voleva andare avanti o fermarsi. Eppure se c'era anche solo la possibilità che potesse tirarsi indietro aveva voluto lanciargli un altro appiglio al quale aggrapparsi, un modo per non consentirgli di allontanarsi del tutto se le risposte a quelle domande non gli sarebbero piaciute del tutto. Ed era un azzardo, perché sapeva che a quel punto delle cose sarebbe stato lui stesso a dover mettere in gioco qualcosa, a dover correre qualche rischio, perché nemmeno lui poteva prevedere tutto «Se pensi che possa servire a qualcosa, qualche volta potresti comunque dormire a casa mia. Forse riusciresti a dormire o in alternativa saremo in due a rimanere svegli.» E con quelle ultime parole aveva tessuto un altro filo della sua rete, quella lunga e intricata che sapeva rendere sempre più fitta mano a mano che ci si avvicinava e che pure continuava ad allargare intorno a chi rientrava nei suoi interessi così che fosse ancora più difficile trovare l'uscita.

     
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    La scena era stata sua per tutto il tempo in cui aveva parlato, non era stato fermato nemmeno per un secondo dall’altro il quale forse aveva preferito star zitto per permettergli di sfogare o solamente per avere più informazioni possibili su quella faccenda. Era quasi certo che in quei momenti fosse subentrata la deformazione professionale di Key, quella che ti fa vestire involontariamente i panni della persona che sei e che devi essere sul tuo posto di lavoro, magari l’altro non era solito accarezzare le teste dei clienti, di questo ne era certo, a meno che questi non avevano qualche cosa che andava oltre il rapporto lavorativo. Aveva infatti notato che nonostante il silenzio non aveva smesso di fare quei movimenti con le dita e doveva ammettere che oltre ad essere piacevoli a prescindere lo erano anche perché riuscivano a fargli mettere a fuoco le cose. Le cose che riusciva a mettere in quel modo, in un determinato ordine però non potevano essere rivelate e questo gli creava una difficoltà non indifferente perché c’erano cose che semmai dovevano esser dette, lì in quel posto all’aperto e pieno di gente non era proprio il luogo più indicato. L’irrequietezza che aveva dentro infatti era dovuta anche a quello, al fatto di non poter parlare apertamente perché dopo aver ascoltato le parole dell’altro era quasi certo di volerlo fare, di volergli dire la verità e provare a risolvere non solo la questione dal punto di vista legale, ma anche sul piano personale. Sapere di essere considerato innocente da tutti gli altri sicuramente gli sarebbe tornato utile a superare anche quel senso di colpa, forse. Sapeva che avrebbe dovuto metterci tanti sforzi ed energie di tutti i tipi, ma valeva la pena tentare il tutto perché quell’incidente l’aveva messo nuovamente davanti al fatto nudo e crudo, ossia che non poteva andare avanti per tutto il resto della vita con quel senso soffocante di colpa, o sarebbe impazzito. Il suo egoismo non gli permetteva di lasciare che eventi esterni lo schiacciassero, doveva risollevarsi, doveva alzare la testa e rimettersi sul viso la sua espressione orgogliosa, soddisfatta di se stesso e sicura. Rivoleva la sua libertà in tutti i sensi, si sentiva in gabbia e non tollerava davvero più quella situazione.
    Aveva preferito evitare il discorso sulla presunta aggressione da parte di un cane randagio perché farlo avrebbe voluto dire due cose, mentire o dire la cosa per come era realmente accaduta e di nuovo, farlo lì non era il caso. Si era limitato a far fuoriuscire un pesante sospiro assieme al fumo della sigaretta che aveva appena tirato, e poi si era morso il labbro inferiore pensando a come potersela cavare in qualche modo, dopo tutto era stato lui a mettere la pulce nell’orecchio a Key.
    In cerca di una smentita, aveva detto l’altro e a quel fatto la sua espressione si era fatta sottilmente interessata, aveva sollevato un po’ il sopracciglio e spostato di poco la testa facendola ruotare in modo da fargli avere il profilo rivolto più verso il collo che a ciò che aveva davanti. Quello era proprio il motivo per cui riaprire quel caso sarebbe stato utile per lui perché in galera, o peggio ancora alla sedia elettrica non ci voleva finire per niente.
    Sai...
    Aveva esordito dopo qualche attimo di riflessione dopo tutte quelle parole che aveva sentito dalla bocca dell’altro
    In America un omicidio è all’ordine del giorno eppure ogni volta se ne fa un caso, che sia nazionale o di quartiere gli americani sono fissati con gli assassini, hanno il chiodo fisso dei serial killer, di risolvere i casi e di sviscerare ogni singolo caso per metterlo sul vassoio in pasto ai maniaci di queste cose. Eppure qui sembra che una persona sventrata non abbia suscitato molto interesse e questo lo trovo molto strano, e non capisco se è per abitudine alla violenza o cosa. E poi, avranno dato questa sentenza solo per mancanza di prove? Possibile che non abbiano davvero trovato nemmeno una minima traccia di DNA dell’aggressore? Che sia un cane, un uomo o Gesù Cristo ci avrebbero dovuti informare, e invece come già detto il caso è stato chiuso così
    Si stava rendendo conto di aver messo un piede in quel vortice di pensieri e riflessioni che l’avrebbero portato ad una qualche confessione lì in quel momento e fortuna aveva voluto che se ne era reso conto praticamente all’istante tanto da tentare a rimediare sperando che l’altro non si sarebbe soffermato troppo su questo fatto delle prove e tutto il resto.
    Ma forse le hanno trovate e per riservatezza non hanno detto molto. E’ possibile?
    Aveva domandato all’altro sollevando lo sguardo e trovando il suo viso più vicino dato che aveva piegato la testa anch’egli per guardarlo prima di dirgli quella cosa sui sogni. Al pensiero di ciò che non ricordava di quei sogni aveva avuto un leggero sussulto nel petto e aveva spostato rapidamente lo sguardo verso il basso, una reazione che non aveva previsto e che non aveva nemmeno riconosciuto come qualcosa di cui dover tenere conto, anche perché non se ne era nemmeno accorto. Era stato qualcosa di irrazionale, dettato dal panico che certi pensieri sapevano scatenare in lui quando ci pensava, o in quel caso quando ne parlava. Si era morso ancora il labbro e aveva sollevato ancora una volta la mano che reggeva la sigaretta e l’aveva portata alla bocca per un tiro abbastanza lungo e intenso per poi gettare il mozzicone spegnendolo con la punta del piede.
    Spero di non arrivare al punto di dover andare da uno psichiatra per questo. Voglio dire, preferisco aiutarmi da solo, risolvere le cose con le mie forze fino a dove mi è possibile. E se poi impazzisco ti autorizzo a rinchiudermi in qualche manicomio, mh? In fondo sono sogni
    L’aveva buttata un po’ sull’ironico più che altro per tentare di allontanare Key dal fargli quelle domande scomode, solo che non poteva certamente dirgli che erano tali altrimenti sapeva avrebbe domandato il perché o comunque avrebbe fatto qualcosa.
    Eppure la tentazione di mettersi a scavare sino a fondo alla questione affidandola tutta nelle mani dell’angelo era davvero forte, vuoi per il tono convincente che l’altro stava usando, vuoi perché lo stava ubriacando di parole al punto di fargli pensare istintivamente che tutto era possibile, vuoi perché c’era la forte e determinata volontà da parte sua di volersi scrollare un po’ di cose di dosso che si era ritrovato ad annuire quando tutto il discorso sul disseppellire fatti e ricordi era stato portato a termine.
    Ti sento sicuro di quello che dici, voglio dire che sei sicuro del tuo lavoro e questo quasi mi farebbe venire voglia di dirti di sì, di riaprire il caso, ma c’è ancora qualcosa che me lo impedisce e per favore, non chiedermi cosa perché non lo so nemmeno io
    Aveva accompagnato quelle ultime parole con un gesto rapido della mano, sollevandola a mezz’aria all’altezza della propria spalla e l’aveva lasciata in quel modo quando aveva dovuto prestare attenzione alle ultime parole dell’altro ritrovandosi quasi sorpreso dell’offerta che gli aveva appena fatto. Andare a dormire da lui, o comunque a passare lì a casa sua qualche notte. Non c’era stato nessun pensiero malizioso al momento anche perché non avrebbe esitato a farci qualche battutina sopra, semmai quella dopo e quando il suo umore si sarebbe stabilizzato un po’.
    Così mi fai vedere il tuo Monet originale?
    Aveva sorriso sottilmente dopo aver fatto quella domanda per la quale non sapeva la risposta, ma lui in serbo ora aveva la sua battutina, dopo tutto e nonostante tutto era pur sempre Daisuke e quando gli veniva in mente qualche frasetta delle sue di certo non le risparmiava al diretto interessato, anche perché supponeva che l’altro non avrebbe potuto prendersela per una stupidaggine come quella che stava per sparare.
    E anche la tua collezione personale di farfalle?

     
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