• {Creature Antiche Vivono Ancora GDR} • Gioco di Ruolo by forum a carattere Horror-gotico moderno

Posts written by †Creature_Antiche_Admin†

  1. .
    Aggiunto, grazie!
  2. .

    Stagione attuale:

    • Fine Inverno: Da metà Febbraio a metà Marzo
    • Anno di gioco: 2018

  3. .
    Aggiunte entrambe le giocate, grazie!
  4. .
    CITAZIONE (~ KeiLeela @ 1/11/2023, 22:36) 
    La voragine dei Perduti (missione storica)
    https://creatureantichevivonoancora.forumc...net/?t=61300293

    Aggiunta.
  5. .
    non vedo perché no
  6. .
    perfetto
  7. .
    CITAZIONE (†Jean Claude† @ 21/10/2023, 19:58) 
    Ok per i due mesi tra una acquisizione e l'altra, però siccome le tempistiche delle role sono lente ormai, nel caso sforassi i due mesi non credo sarà un problema, giusto?

    Ovviamente se ci metti metti di più non succede nulla
  8. .
    Confesso che ci ho dovuto pensare un po', più che altro perché tecnicamente il Gianni avrebbe dovuto imparare quelle abilità a suo tempo, ovvero quando è avanzato di livello. Il caso suo quindi è un po' particolare perché arrivato dove è avrebbe già dovuto saper fare quelle cose, ma d'altro canto nemmeno gliele si può assegnare tutte insieme come mi hai fatto giustamente notare. Ho riguardato la guida dell'avanzamento e io personalmente opterei per una via di mezzo ovvero che anziché i 4 mesi canonici, visto che si tratta di un vecchio pg, io direi di aggiungere uno ogni 2 mesi (solo per questi 3) e poi procedere normalmente. Ovviamente il pg dovrà giocarsi l'avanzamento della capacità che desidera apprendere.
  9. .
    Per evitare di aprire un altro topic e poiché questo è già linkato in tabella home page, sono stati cancellati tutti i post qui e cambiato il titolo.
    Da questo momento in poi qualsiasi discussione si apre tra ottobre e dicembre dovrà essere linkata qui!
  10. .

    Riaperte tutte le sezioni di gioco

  11. .

    Fino a questo momento per accedere al modulo per le schede PG veniva mandato un MP dall'amministrazione con ID e password per poter scaricare il modulo e compilarlo.

    Il metodo è cambiato: si accede alla sezione schede PG da convalidare tramite accesso manuale dato da un admin e in alto alla sezione trovate ID e password per scaricare il modulo.

    Si ricorda che il link al modulo è presente in ogni scheda descrittiva delle razze e classi.

  12. .
    Ciao Den, benvenuto su Creature Antiche GDR!
    Visto hai detto di voler partecipare al gioco di ruolo ti lascio qualche suggerimento: è importante la lettura del regolamento, la lettura di QUESTA guida, perciò presta attenzione alle sezioni di regolamento (qui e qui) ed il loro contenuto, in special modo agli statuti e una volta avuti gli accessi alle razze dai una bella letta anche a quelle.
    Per postare la tua scheda PG hai bisogno di ID e password che un amministratore ti manderà via MP, in quanto hai dichiarato di voler partecipare al GDR.
    In caso di dubbi puoi usare la sezione Aiuti & Domande dove cercheremo di rispondere il prima possibile e al meglio, nel frattempo ricorda che per preparare la tua scheda PG hai tempo circa dieci giorni, ma che in caso di necessità potrai avere una proroga avvisandoci qui in questo topic, oppure o meglio ancora nell'apposito topic delle assenze/abbandoni.
    Ti lascio in fine il link dello Statuto del nuovo utente per i nuovi arrivati in modo che possa essere subito consapevole dei tuoi diritti e doveri all'interno di questo forum ;)

    Credo di averti detto tutto, per tanto ti saluto, vado a darti i dovuti accessi augurandoti una piacevole lettura e buona permanenza!
  13. .
    I WAS NEVER HERE


    'I was never here'. La frase incisa sul muro della cella 17. Quattro parole che avevano perdurato nel tempo senza sbiadire, dal lontano 1930, e che avevano sempre destato una certa curiosità in chi si affacciava a guardare dentro la stanza, dislocata nell'ala femminile del quanto mai famoso- ed abbandonato- istituto psichiatrico di Nouvieille.
    Non solo la scritta aveva il potere di far divampare un certo occulto interesse, ma anche un buco, un'apertura grande come un pugno sul pavimento sotto la frase. Si apriva fra le piastrelle, un occhio nero che riusciva a guardare in profondità chi a sua volta vi posava lo sguardo. E più a lungo lo si fissava, più era la sensazione di smarrimento e primordiale terrore.
    Nel 1930, dopo la scomparsa della donna che soggiornava nella cella 17, gli inservienti avevano cercato di rimuovere la scritta e riparare il buco, ma ogni sforzo fatto era stato inutile: frase e fenditura ritornavano puntualmente. La cella venne dunque adibita a ripostiglio, un piccolo luogo in cui riporre attrezzatura, sperando di nascondere così i pettegolezzi e le voci che giravano su quella scritta, celata dietro ai pesanti e vecchi materassi smessi. Ma la sensazione di estraneità e ribrezzo verso la cella non cessarono mai, fino alla chiusura del manicomio.

    I was never here... non sono mai stata qui.

    E' matta, avevano detto le vicine quando si era rasata i capelli sostenendo che così non sarebbe stata afferrata.
    Va internata, si erano premurate di dire al commissario quando la giovane aveva iniziato a levare tutte le mattonelle di casa, le dita tagliate e sanguinanti. Solo lei la sentiva grattare e chiamare?
    Poverina, avevano esclamato i passanti quando, vestita solo di una camiciola bianca ed una sotto veste, si era gettata sulle gradinate della chiesa gridando, dopo una furiosa corsa per le strade.

    'Devo vedere il papa... devo vedere il papa... lasciatemi...'

    L'avevano subito rinchiusa: cella numero 17. Psicosi, isteria, alienazione mentale. Ma era sempre stata sana, una giovane senza problemi ed estremamente stabile, cambiata pochi mesi dopo il matrimonio contratto con un uomo vedovo, un facoltoso e triste personaggio che vedeva più il treno delle mura domestiche, e che sulle sue spalle gravava l'ombra di un processo archiviato per l'omicidio della prima moglie.
    Era stata sedata quando era riuscita a recuperare un pezzo di vetro con cui si era, malamente, tagliata i capelli, il cuoio capelluto simile ad un vecchio berretto smesso da cui spuntavano lacerazioni e ciuffi di pelo. Non era servito. Nella tranquillità placida della morfina si era mangiata le unghie, strappandole a fondo, e lasciando nude le punte delle dita, una decina di ballerine in abiti scarlatti. Ed anche a lei fu messo un abito bianco, per impedirle di continuare a ferirsi.

    Le vicine, comari, da tempo si erano rese conto che qualcosa non andava: voci nella casa quando il marito era lontano, uomini e donne inesistenti. Quando vi era lui bisbigli, suppliche verso di lei e le promesse di tornare, di stare buona.
    'Mi ha detto che sei stato tu' aveva mormorato una volta lei con voce incolore.
    'A fare cosa?' si era affrettato a rispondere lui con un tremolio nel bel timbro.
    'L'hai spinta in un buco, molto a fondo'
    Altro non era stato sentito dalle comari, ma da quel momento sulla casa dei due sposi era calata una nera cappa e l'uomo aveva preso a rimanere spesso fuori casa. Fino a quando lei non era stata portata via.

    'Se fai qualcosa per me, poi io ne faccio una per te', erano state le parole degli inservienti, pantaloni calati ed eretti che la visitavano in ogni momento della giornata.
    'Non ricordo più com'è stare al sole', Annita che guardava dalle finestre sbarrate un mondo che non le sarebbe più appartenuto, morta da lì a pochi giorni di infezione e seppellita in una fossa comune. Nessuno la voleva, tranne lei.
    'Signorina, lei sa che se non collabora non potremmo rimandarla a casa da suo marito?', sbottava rabbioso il medico calvo, sulla cui testa poteva scorgere pochi bianchi capelli, come alberi rinsecchiti seminati su una terra lucida e puntinata di orribili macchiette marroni. Lo sapeva.
    'Se parlo con lei mi verranno a prendere... non sarò mai stata qui!' aveva bisbigliato all'uomo con la testa di uovo di quaglia. Si era stesa sulla scrivania, aveva giocherellato con le matite, i fogli, facendo disegni sulla superficie di legno del tavolo, un regalo per l'uomo sempre arrabbiato. Ma a lui non era piaciuto ed era tornata in cella. La sua dose. Ancora stelle sul soffitto grigio delle sue palpebre chiuse, cercando di non ascoltare la testa fatta di lanugine che la guardava dall'angolo della cella, orbite vuote che la fissavano a fondo.
    Mesi? Anni? Dimenticata? Giorni uguali passati a parlare con Rachel, la sua testa di lanugine nell'angolo. Nessuno la voleva pulire, gli inservienti dicevano che non c'era. Ma Rachel era lì, l'unica persona con cui parlare dopo che Annita se n'era andata. Rachel era l'unica con cui poter condividere la cella e le sue paure e fu Rachel a convincerla a parlare.
    'SUA MOGLIE STA A CASA!'
    'IL CAMINO...'
    'RACHEL VUOLE DEI FIORI'
    Frasi sconnesse per gli altri. Indizi utili per lei.
    Il suo non fu un lieto fine, perché lo capirono troppo tardi cosa stesse farfugliando, anni dopo che sul muro era apparsa quella scritta e nel pavimento si era aperto quel buco. Anni che cancellarono il suo nome dai ricordi e dai documenti, ma che fece nascere una leggenda su questa cosa. Che fosse morta, dimessa o spostata in un altro istituto non interessava a nessuno, quanto più la storia che si celava dietro al muro.
    La leggenda semplicemente afferma che una ragazza aveva contratto un matrimonio estremamente favorevole con un ricco vedovo e che questo, dopo che lei aveva scoperto un torbido segreto di lui, era stata internata. Aveva cercato per anni di farsi ascoltare, di rivelare al mondo quello che lui era riuscito a nascondere per anni. Si ipotizzava che lei avesse fatto un patto con forze maligne per andarsene di lì, ma che l'ingenuità della ragazza l'aveva portata ad un grosso sbaglio: fu risucchiata dentro i muri stessi del manicomio, triturata e spezzata per passare attraverso il buco del pavimento ed esser costretta in eterno a fissare chiunque passasse, senza poter proferir parola, soffrendo della sua condizione di anima in pena.
    Forse è vero, forse no. Ma una cosa è certa: chiunque guarda in quel buco non vede niente, ma è sicuro che qualcuno dall'altra parte vi sia a fissarlo. Un'orbita vuota senza palpebre che penetra nel profondo, appartenuta a qualcuno che 'non è mai stata qui'

    di Sugar Pinkie
  14. .

    Mi chiamo Elisabeth Diane Stanford.
    Il mio nome è Elisabeth Diane Stanford.
    Mio padre è... Era...

    Mi chiamo Elisabeth Diane Stanford e ho tanto freddo.
    Non riesco a sentire più le mie gambe e le mie braccia. Non riesco a sentire le dita delle mie mani. È questo che significa morire? Quando il tuo corpo non risponde più ai tuoi pensieri?
    Dove sono?
    È come se non fossi qui. Come se vedessi tutto dall'alto. Da fuori.

    Come sono arrivata qui?

    Non sento le dita dei piedi.
    Non sento... Niente...
    Io sono Elisabeth... Elisabeth....
    Ho un altro nome ma non lo ricordo. Non ricordo il nome di mio padre né di mia madre.

    Ma ricordo il piccolo Tòmas. Viveva nella tenuta accanto alla nostra. Era crudele con me Tòmas. Poi è scivolato su un sasso, vicino al torrente. E non si è alzato più.
    Lo avevano detto le voci nella mia testa. È... Era un bambino cattivo Tòmas. Io volevo solo che smettesse e così ha smesso. Per sempre.

    Sento il mio corpo che trema, ma forse non è il freddo. Sono i muscoli che si muovono, ma non sono io a comandarli.

    Le voci dicono che stanno aspettando. Che basterebbe chiederlo ed ogni cosa potrebbe avere una fine.
    Ma io non voglio chiederlo, non ancora.
    Non voglio andarmene senza i miei ricordi. Senza sapere chi sono.

    Io sono... Mi chiamo...

    Non è stata colpa mia. Io l'avevo detto di non partire con quella nave. Lo avevo detto che sarebbe arrivata la tempesta.
    Non era un maleficio da strega.
    Non è stata colpa mia quando "la contessina" ha bruciato i suoi capelli. Non è stata colpa mia quando il figlio dei Greyson è nato morto.
    Non è stata colpa mia quando il cavallo dei Redwine ha disarcionato il suo cavaliere e ha colpito la testa di lady Marianne facendole perdere la vista.
    Io volevo solo che smettesse di guardare a quel modo. Volevo solo che la facesse finita.

    Io non volevo venire qui. Mi ci ha condotto mio padre, perché ero la vergogna della famiglia.
    Io volevo solo essere lasciata in pace.

    Credo sia morto mio padre. Nessuno me l'ha detto, ma credo che sia così. Le voci sanno. Loro non mentono. Anche se sono crudeli.
    Conoscono cose che devono ancora accadere.

    Non riesco a battere gli occhi.

    C'è qualcosa di caldo e denso che riempie le mie narici. Qualcosa che scivola lentamente fino a toccarmi le labbra. Ha un sapore metallico.
    Se lo vedessi dall'esterno direi che è sangue. Non so come faccia a saperlo. Vorrei pulirlo via, ma non riesco a muovere le braccia.

    Silenzio. Il silenzio non è veramente come lo si immagina. È pieno di piccolo rumori.
    Quelli che si odono nella notte.
    Scricchiolii nelle pareti. Passi. Rumori di ruote, respiri.

    Tum. Tum.

    Se si ascolta bene, nel silenzio, si può sentire il battito del proprio cuore.

    Tum. Tum.

    Un suono cadenzato che misura lo scorrere del tempo.

    Un rumore di passi. Qualcuno che grida. Frasi sconclusionate senza un senso.

    Sento che qualcosa dentro di me vorrebbe urlare, ma non sento alcun suono. Sento la voce rimanere soffocata all’interno della mia gola, vorrebbe uscire. Ma di nuovo sono qui in questa prigione di carne. Nulla risponde al mio comando.

    Di nuovo non sono qui.
    Non so dove sono.

    La mente viaggia, raccoglie ricordi, momenti.
Sento le braccia che mi afferrano.
    Sento le gambe scalciare, le mani graffiare, i denti afferrare e tentare di strappare via pezzi di carne.
    Un animale ferito e preso in gabbia.

    Chi sono io?

    Io sono…. Mi chiamo….

    Tum. Tum.


    La stanza è vuota, il pavimento è freddo. C’è qualcosa di bagnato sul pavimento. Qualcosa che scivola dalle mie gambe. Non ha un buon odore. Nulla ha un buon odore qui.

    Tum. Tum.

    Mi sento bloccare, stringere. Mi sento gridare.
    Lasciatemi andare! No, non voglio.
    Non sono io ad urlare. È l’altra. È quella nella mia testa.

    Mi chiamo… Mi chiamo…

    Sono immobile. Ho le braccia legate, le gambe strette da cinghie. Il mio corpo, la mia testa.
    «Andrà tutto bene.»
    Vorrei scuotere la testa.
    No, non andrà tutto bene. Io lo so. L’ho già visto.
    Per favore.
    Non serve a nulla. Mi guarda come si guarda una bambina. O forse una cosa. Ripete quella frase.
    Andrà tutto bene.
    No, non andrà bene affatto.
    Sento i miei occhi saettare da un angolo all’altro delle stanza, alla ricerca di qualcuno… Qualcosa… Una speranza a cui aggrapparsi. Qualcuno da supplicare, pregare.
    Si fermano su quella punta, quello strumento di tortura.

    Tum. Tum.

    La parete della stanza è grigia. Ci sono suoni nei muri. Voci. Scricchiolii.

    Non riesco a deglutire. Qualcosa mi risale su per la gola.
    Non riesco a respirare.
    Mi scoppia la testa.
    Fa male

    Tum. Tum.

    La luce bianca. Il punteruolo. Le lacrime sulle mie guance.
    Ti prego. Sarò buona. Farò la brava.
    Parole che pronuncia l’altra. Sempre lei. Quella che sono io, ma non adesso.
    «Sì, sarai brava. Quando tutto sarà finito.»

    Tum. Tum.

    Lacrime. Ancora lacrime. Non so bene se sia io quella che piange o l’altra. Forse entrambe.

    Tum. Tum.

    Qualcosa nella mia bocca mi impedisce di parlare. Mi impedisce di urlare.

    Tum. Tum.

    È solo un pensiero.
    Aiuto! Voglio andare via. Portatemi fuori di qui.
    Andrà tutto bene, provo a ripetere.
    E vedo la punta . Più vicina. Sempre dannatamente più vicina alla mia faccia.

    Andrà tutto bene. Andrà tutto bene.

    No, non andrà tutto bene.
    La voce nella mia testa si fa pressante. Lo sai, lo hai visto. E vorrei solo scappare.

    Tum. Tum.

    Mi chiamo… Mi chiamo…
    Mi chiamo Elisabeth Dia…

    Il buio.
    Un fitto dolore e poi più niente.
    Vedo senza vedere.
    Nulla ha più senso.

    «Visto? È andato tutto bene.»

    Dice la voce.

    No, non è andato tutto bene, maledetto figlio di puttana!

    Dove sono? Non lo so più.
    C’è solo il buio, il vuoto.

    Chi sono? Non lo so più.

    Tum. Tum.

    C’è solo quel rumore e nulla più.
    C’è solo quel suono assordante, come un tamburo nella mia testa.
    Non riesco a respirare, sto per soffocare.

    Tum. Tum.

    Ancora e ancora.
    Basta! Non lo sopporto più!
    È quasi finita la carta.
    Non so come faccio a saperlo…

    Tum. Tum.

    Voglio andare via. Sento le ombre che mi chiamano.
    Loro conoscono il mio nome. Io non più.

    Vieni…

    Dicono. E forse sarebbe la soluzione migliore.

    Tum. Tum.

    La mia testa sta per esplodere. Voglio solo che smetta. Che smetta di fare male.

    Tum. Tum.

    Le voci, i suoni sono sempre più forti. Fanno sempre più male.

    È finita.

    Dicono. Ed è così. La fine di tutto.

    Non c’è più carta


    24 ottobre 1965

    Questo documento è stato trovato all'interno della camera della paziente 747.
    Il testo era stato trascritto su un rotolo di carta igienica, forse l'unico elemento che la paziente aveva trovato a sua disposizione. Presenta macchie di sangue, forse traccia del delitto che si è consumato in quella stanza.
    Si presuppone che la paziente abbia rubato una penna ad uno degli infermieri. La trascrizione di seguito è il testo completo così come trascritto dalla paziente stessa, almeno quanto ancora risultava possibile interpretare. La calligrafia della paziente risulta tremolante ed incerta. È possibile che buona parte di quanto riportato non sia frutto di altro che dei suoi vaneggiamenti.
    L’arma del delitto è la stilografica stessa. È stata trovata nel cranio della paziente. Ha perforato la tempia nel lato sinistro.
    La paziente giaceva seduta nei suoi stessi escrementi, con il capo poggiato alla parete. La bocca piena di vomito.
    Dubitiamo che essa stessa abbia avuto la forza di compiere quel gesto da sola. Tuttavia le telecamere di sorveglianza non mostrano nessuno che sia entrato o uscito da quella camera.
    Si presuppone che le perdite di sangue dal naso, orecchie e dotti lacrimali, siano stati effetti dell’intervento andato a male.
    Come sia morta Elisabeth Diane Stanford, rimane un mistero.


    10 novembre 1965
    Aggiornamento.
    Il dottor Gregory Freeman è stato trovato morto nel suo studio.
    L’uomo è stato trovato da un inserviente che aveva bussato alla sua porta. Il decesso sembra essere avvenuto qualche giorno prima.
    Il dottor Freeman stava rileggendo i rapporti in merito all’intervento di lobectomia transorbitale della Stanford, che si presuppone potrebbe essere parte delle cause del decesso della stessa.
    Dall’autopsia sembra che il cuore del dottor Freeman si sia arrestato improvvisamente. Una penna stilografica è stata ritrovata all’interno dell’orbita dell’occhio sinistro. Similmente al caso della Stanford sono state riscontrate perdite di sangue da occhi, orecchie, naso e bocca.


    Di ~ KeiLeela
  15. .
    E' il 04 Giugno del 1952. Sono il dottor John Randall e ci troviamo all'Ospedale Psichiatrico "Santa Vipera degli Addolorati" di Nouvielle. Questa è la registrazione del trattamento, il numero 66, somministrato alla paziente Alexis Leppington e vale come un documento ufficiale.

    J: Bene, possiamo iniziare.
    A: Mi chiamo Alexis Leppington e... Dannazione, sarà la centesima volta che lo ripeto: a cosa serve?
    J: Tutto ha uno scopo, Alex, anche se non riesci a vederlo. Ti prego di tornare in carreggiata.
    A: Va bene... Dicevo, sono Alexis Leppington e sono quì perchè sono malata.
    J: Puoi essere più specifica?
    A: Ho visto un fantasma e, quindi, ho deciso fosse il caso di rinchiudermi in questo manicomio.
    J: Non esagerare. E poi, ti correggo, "credi di aver visto un fantasma". Tu stessa ti sei resa conto del problema e sei corsa ai ripari. E' da persone sagge.
    A: Si, certo, come no. Del resto, mica lo ha visto lei. Se sono venuta quì è perchè... Oh, al diavolo. I miei problemi sono iniziati con... Si sentono sillabe senza senso e la voce sembra rompersi in un pianto.
    J: Abbiamo tutto il tempo.
    A: Josh. Tutto è iniziato con Josh. Io lo amavo, credo di amarlo ancora e sono sufficientemente sicura che non amerò mai nessun altro in questo modo. Anzi, forse non amerò nessuno e basta.
    J: Come avete iniziato a frequentarvi?
    A: Come tutte le persone normali: amici di amici. Era il solito tipo "strano", nonostante tutto. Musicista, appassionato di folklore di popoli lontani e, nemmeno a dirlo, di storie dell'orrore. Tuttavia, almeno i primi tempi, riusciva a tenersi per sè queste sue fissazioni.
    J: Quando è cambiato qualcosa?
    A: Qualche mese dopo. Con l'intimità, s'è sciolto. Era sempre triste, ansioso e nevrotico... Aveva bisogno di una spalla su cui piangere e di conforto. E, nonostante tutto, sapeva farlo anche lui, con me. Sebbene, spesso si finisse a fare a gara a chi stava peggio.
    J: Continua a descriverlo.
    A: Maledettamente sensibile, insicuro e instabile. Intelligente da dar fastidio. A letto un totale e inutile incapace, anche se era affettuoso come un bambino. Ogni tanto, però, tirava fuori...
    J: Può bastare.
    A: Aspetti. C'è dell'altro... Facevamo delle "cose" a letto, cose tra noi. Servirà per dopo. Dicevamo, aveva passioni strane e leggeva un sacco di libri. Se non suonava quella maledetta tromba, maldestramente, credo fosse un musicista mediocre, leggeva. Di tutto e di più. Fu una sera d'estate che mi raccontò di quella storia di fantasmi giapponese, quella del tizio che promette all'altro che si sarebbe fatto vivo la Notte di Capodanno, a qualunque costo. Mi rifiuto di raccontarla nuovamente.
    J: Va bene. Le cose, però, sfuggirono di mano.
    A: Le coppie litigano sempre e noi non facevamo eccezione, ma problemi seri, direi, non ne abbiamo mai avuti. Se non che, come si sa, morì qualche anno dopo. Una malattia mortale che aveva nascosto a tutti, anche a quella vipera di sua madre. Morì in pochi giorni, sparendo dalla mia vita velocemente come era apparso. Ovviamente... Non la presi bene.
    J: Ci mancherebbe.
    A: Iniziai a prendere medicine per dormire, frequentai chiese e strizzacervelli, spesso insieme. Ero sempre a farmi la stessa domanda: "perchè?". Come se saperla potesse darmi la pace. Avevo deciso che non meritavo tanta sofferenza e mi ritrovai a sognarlo, a chiedere agli Dei o a Satana, a chiunque, di riportarmelo indietro. Che avrei dato tutto... So che sembra strano, da come ne ho parlato, ma, come dire... Mi capiva. Io avevo bisogno di una persona amorevole. Iniziano a sentirsi sospiri di sigaretta. Forse, il mio, era solo egoismo.
    J: Poi?
    A: Poi avvenne il fattaccio. Suonarono alla porta ed era lui. Vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, ma con un cappello che gli copriva il viso. Ma SAPEVO che era lui, sebbene il suo odore sembrasse "strano". Provai a gridare, ma mi tappò la bocca con la mano, poi mi portò sul divano e...
    J: Sembra un'aggressione sessuale, raccontata così.
    A: Si, è vero. Ma era uno dei nostri... "giochi". Per questo, la cosa divenne ancora più incredibile ai miei occhi. Josh era morto, ma era indiscutibilmente lui quello con cui stavo giacendo. Quindi, che fare? In lacrime, mi lasciai andare e, poco dopo, mi svegliai nel mio letto.
    J: Forse è stato un sogno. Sei tu che lo hai evocato.
    A: Ma sentivo il suo contatto, la sua pelle fredda... Il suo respiro cadenzato, le sue manie... Era tutto lì. E, quel giorno, mi aveva stretto fortissimo i polsi. Al risveglio, me li ritrovai doloranti.
    J: Autosuggestione, oppure ti sei adoperata da sola.
    A: Indubbiamente. Ma successe altre volte. Così tante che credevo di essere impazzita. La voce sembra cambiare tono, diventando più stridula. Era lui, il mio Josh, eppure... Era così freddo, i suoi occhi così blu. Era un sogno: un sogno e un incubo insieme. Mi sentivo felice, ma impaurita... Cosa fare? Ma lo lasciai fare.
    J: O, meglio, hai iniziato a darti da fare su te stessa.
    A: Dopo chissà quante volte, glielo dissi: "Non posso continuare a stare con un morto! Dannazione, vattene!" L'avevo ormai compreso, stavo amando un morto vivente. Il dottore non riesce a reprimere un risolino. L'amore mi aveva reso cieca, ma, col tempo, persino un idiota l'avrebbe compreso. Lo mandai via.
    J: E "lui"?
    A: Mi rispose in un modo che non volevo. "Tu mi hai chiamato!" Aveva urlato, ricordandomi di quella stramaledetta fiaba. "Ci siamo scambiati amore eterno e io sto saldando la mia parte! Sono quello che vuoi, ma non basta più!" Diceva, col suo solito modo nervoso di parlare... Pare che, certe cose, nemmeno la morte le può cambiare.
    J: Ti prego, finiscila di parlarne come se fosse successo davvero.
    A: Lei era lì, dottore? Silenzio. Il suo pragmatismo è asfissiante. Ma, ad ogni modo, lo mandai via.
    J: Ma "lui" continuò a farsi vedere.
    A: Si, ovunque. Al supermercato, in Chiesa, a lavoro, nei miei sogni e sotto la mia finestra. Aveva iniziato a spiarmi, lo vedevo ovunque. Iniziai davvero a preoccuparmi, non potendo più dire a me stessa che me lo stavo inventando (perchè ci avevo provato!). Tornò il panico da fine del mondo, anche se per motivi diversi, e smisi nuovamente di dormire. Iniziò la tiritera di medici e medicine, prima di andare alla Stazione di Polizia.
    J: Non andò bene, vero?
    A: Evitiamo di parlarne... Sento ancora le risate. E non era cambiato niente. Urlava "Ti Amo" alle finestre, mi aggrediva mentre facevo la spesa, mi spiava in bagno... Alexis sembra aver iniziato a piangere, seppur sommessamente. Io lo amavo, capite? Lo amo ancora, ma... E' diverso. E' morto, diamine! Che se ne torni nella sua bara di merda! Singhiozzi.
    J: Quì sei al sicuro, Alex.
    A: Come fai a svegliarti la mattina, vedendo il tuo amore morto davanti alla porta di casa? Come? A raccontarmi sempre quella maledetta storia di fantasmi, per tormentarmi! Urla di pianto. Maledizione!
    J: Poi cosa avvenne?
    A: Non potendolo allontanare, me ne andai io. Venni quì, sperando di risolvere il maledetto problema. Quì evadere è difficile, per cui, ho pensato, raggiungermi era difficile. E per un pò, ebbi ragione. Venni ricoverata per le solite cause: isteria femminile, nevrosi e tutto il resto, ma mi andava bene. Non vedevo più Josh.
    J: Cosa è successo una settimana fa?
    A: Ero nel mio letto, stavo prendendo sonno... E l'ho visto. Era un'ombra pallida, evanescente, ai piedi del mio letto. Con la sua solita espressione e il cappello in mano. Sembrava triste. Io avevo talmente tanta paura che mi paralizzai, mandandogli maledizioni dal silenzio della mia mente. Ma lui si avvicinò, fino a toccarmi. Il suo tocco sembrava quello dell'acqua ghiacciata del Nord. Mi disse: "Hai visto? Sono tornato, te l'avevo promesso! Come in quella storia!" Urlai, arrivarono gli infermieri e... E... Mi avete fritto il cervello. Friggete sempre il cervello di tutti. Ma, da come sto ora, deduco che il voltaggio fosse basso. Spero lo aumentiate, così sarò libera.
    J: Ma, se muori, non ti ritroveresti nel suo stesso "regno"?
    A: Come, scusi?
    J: Dicevo, se morissi, poi con chi passerei il mio tempo? Silenzio, lungo un minuto. Alexis inizia a respirare pensatemente. E' successo ancora?
    A: Certo. Sembra il ritmo di respiro di uno in preda al panico. Molte notti... Lo vedo nella mia stenza, pallido come uno spettro. Deve aver venduto il suo corpo al DIAVOLO così da poter superare le pareti come un fantasma. Come...
    J: Come la storia, sì. Il samurai, imprigionato dai nemici, per evadere dalla prigione e superare tutti quei chilometri, si era tagliato il ventre. Da spirito aveva mantenuto fede alla promessa. Ammirevole.
    A: Come ha detto? Ma si sta sentendo?
    J: L'ora sta per terminare, si affretti.
    A: E' tornato altre volte... Mi tocca con quelle sue mani CONGELATE, mi tocca ovunque. E' successo anche stanotte. Io... Mi aiuti!
    J: Cosa potrei mai fare? Dovresti accettare il suo amore.
    A: Porca puttana, è impazzito! Eppure lei è il medico!
    J: Il MIO amore! "A qualunque costo", come ti dissi! Eccomi!
    Alexis urla, si sente rumore di colpi, tavoli che sbattono e grida soffocate. Poi, silenzio.


    Di TronoNero
913 replies since 14/9/2015
.