Moonlight

Descrizione locale e autoconclusivi - per tutti i dipendenti

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    Il Moonlight è un Lounge Bar, un locale che propone serate rilassanti in un ambiente servito, confortevole ed elegante ma alla portata delle tasche dei cittadini di qualsiasi classe sociale. Il locale propone musica dal vivo come Piano bar, suonata da una persona al pianoforte disposto all'interno (solitamente il proprietario): si tratta di musica fatta per essere ascoltata, un sottofondo piacevole che permette agli avventori di conversare senza disturbi.

    Il Moonlight propone un vasto assortimento di vini, cocktail, alcolici e analcolici ricercati, qualche stuzzichino e si caratterizza come luogo di incontro e punto focale dei quartieri medi di Nouvieille, posizionato in bella vista sulla strada principale. In principio il locale apparteneva a Verdiana, ma dopo la sua scomparsa è stato lasciato in gestione a terzi: ora il proprietario è Raven che però ha deciso di occuparsi solo dell'intrattenimento e della musica al suo interno, lasciando sia un direttore a fare il lavoro organizzativo necessario che lui non può svolgere.
    La struttura del pub è a pianta rettangolare, e la forma stessa dell'intero edificio è molto allungata e poco profonda, con i magazzini di rifornimento sul retro. Gli accessi sono tre: l'entrata principale da cui passano i clienti, l'entrata sul vicolo chiuso a lato principalmente collocata per il trasporto degli alimentari da portare in magazzino e un entrata sul retro per il personale, che dà accesso ad una piazzola aperta provvista di fontana dove poter parcheggiare. In ogni sua parte il locale è controllato da un sistema di sicurezza composto da telecamere a registrazione continua. Il proprietario preferisce il suo locale privo di intralci e traffici illegali, in quanto si tratta del suo territorio.

    Entrando dall'entrata principale (posta lateralmente) si può trovare su un lato un piano con parquet e sedute rotonde composte da morbidi divani bianchi e porpora con al centro degli stretti tavolini. Il soppalco provvisto di scalinate laterali porta ad ulteriori posti rialzati.


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    Laterale

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    Dall'altro lato, è posto l'elegante bancone di legno, dal quale ci si può recare per l'ordinazione o per la consumazione (principalmente in piedi o da far consegnare al tavolo, in quanto vi sono a disposizione pochi sgabelli per la consumazione in singolo). Dietro al bancone, ovviamente, c'è lo spazio dedicato all'esposizione delle bottiglie dei vari alcolici per la preparazione al momento e del listino prezzi, in modo tutti possano visionarlo con facilità.

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    Accanto al bancone è disposto uno spazio coperto da lunghe tende, che quando vengono ritirate rivelano l'alcova in cui è riposto il pianoforte a coda, suonato a discrezione del proprietario.

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    L'intera struttura è illuminata da faretti a luci soffuse disposte lungo l'intero soffitto, cui è possibile cambiare colore in base all'atmosfera della serata. L'interno e le pareti sono decorate con legno scuro, con i due piloni portanti dell'open space lasciati al naturale.

    Edited by 'Raven' - 2/6/2020, 14:14
     
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    Era tornato. Non ci credeva, non era ancora del tutto sicuro di essere lì, presente e fisicamente pronto ad affrontare uno spettacolo - il primo dopo la sua morte - ma non c'era verso di non poter sentire, con tutto sè stesso, l'essere vivo del proprio corpo. Aveva impiegato quattro mesi, quattro per riprendere la funzionalità della voce abbandonata per via della morte, ed era ancora stordito, come strafatto, dalla nebulosità di tutta quell'esperienza, delle sensazioni che non sarebbero più state cancellate dalla sua mente. Era vivo, voleva vivere. Ed in quel preciso istante, solo nel camerino, immaginò come sarebbe stato non esserci, essere sottoterra o chissà dove, la pelle a sbriciolarsi, il corpo a putrefarsi smangiato dai vermi. Rabbrividì.
    Raven si scrollò di dosso l'orripilante sensazione di vuoto che aveva nel petto prima di fare due passi quasi barcollando verso la specchiera del camerino solo suo, al momento, e guardarla e guardarsi con tutto il magnetismo di uno sguardo che per metà risultava vivido e per l'altra metà spento, perso. Allungò le dita per toccare lo spazio appena sotto gli occhi, quel quadrato di pelle violaceo che andava scomparendo man mano recuperava ore di sonno, non più tormentato dagli incubi della donna in bianco, e sorrise. Veniva ancora a trovarlo, quella figura che ancora desiderava e voleva con tutta la bramosia posseduta, ma non più come prima. Sembrava arrendevole, arrabbiata, in qualche modo delusa ma desiderosa di stargli vicino come solo guardando negli occhi neri poteva apprendere da lei. La vedeva ancora negli specchi, e quello che sapeva un fantasma appariva e scompariva ancora per attimi sul letto, o di giorno nella sua casa, ma ormai non lo terrorizzava più. Non lo respingeva, avendo superato quella labile soglia ch'era stato l'oblio, non lo spaventava più.
    Uscì dalla porta del camerino immerso nel buio camminando, respirando, sentendo ogni organo battere, lavorare incessantemente mentre la ripensava e ripensava anche all'altra, alla lunga treccia di capelli neri abbandonata sul ripiano centrale della cucina in casa sua. La donna in bianco aveva rinunciato a tormentarlo per indicargli finalmente la strada che aveva - malvolentieri - accettato, di Katina invece non aveva avuto più notizie. Criss e Luke, che sapeva conoscevano il loro segreto più di tutti, non avevano voluto informarlo su come trovarla quasi rischiando spaccasse loro l'osso del collo; alla fine però non aveva avuto la voglia di scendere nei particolari e tirare fuori a forza dalle loro bocche quello che voleva sapere, guadagnando da parte dei due l'occhiata apprensiva che si aspettava, odiandola con tutto il cuore. L'avevano aiutato, i due ragazzi assieme agli altri, avevano curato quello che rimaneva da curare e si erano prodigati come potevano ma non c'era fine all'amarezza, alla momentanea solitudine provata che nemmeno una donna nel letto riusciva a togliergli. Sentiva freddo.
    Continuò a camminare lungo il corridoio nel retropalco, avvistando a poca distanza i ragazzi riuniti di cui i soliti due lo guardavano con severità disarmante, e Dan e Marshal con una preoccupazione che non aveva mai visto in loro. Ne rimase disgustato, ma superò gli sguardi con un semplice sorriso indossando la maschera bianca che il più piccolo, il tastierista, gli tendeva.
    Rave, sicuro di farcela?
    Annuì alla domanda senza nemmeno guardarsi indietro nel salire le scalette del palco, desiderando solo riabbracciare la propria chitarra, tornare a cantare accompagnato dal gruppo e dagli altri strumenti che non poteva ancora manovrare da solo, non essendo dotato dell'ubiquità necessaria. Fece finta di fregarsene delle preoccupazioni, e con un mormorio rispose Andiamo in scena.
    Con un silenzio di tomba lo seguirono sul palco immerso nell'oscurità, la maschera bianca che si stagliava man mano l'angelo si muoveva, producendo passi privi di echi che risuonavano solo in quel paio di metri di spazio che si era preso. La folla, tanta, troppa più del solito invadeva il locale, tutti pronti a pendere dalle sue labbra: pensarlo gli ridiede vigore e ritrovò la forza per aprire la bocca e far scendere le prime note, le luci che si alzavano piano su di loro il secondo dopo. Era la sua vita, la sua ragione, il suo secondo scopo che collimava con le necessità del primo, di diffondere il peccato e il caos - una necessità imprescindibile, fisica - nella confusa testa degli umani che lo guardavano e ascoltavano.
    Cantare.
     
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    Ritmo, colpi bassi e lenti, vibranti. Suoni soffusi. Era di nuovo sul palco dopo un tempo indefinibile anche se classificabile come mese, mentre lo spettacolo prendeva avvio e la folla si agitava, mormorava, sussurrava per poi zittirsi del tutto vedendo levarsi la luce e i faretti mettersi in posizione, le luci chiare e bluastre contro il gruppo e riflesse sugli spessi tendoni rossi e neri alle loro spalle per un gioco di illuminazione. Era uscito quella mattina presto per tutto il giorno nell'intento di recuperare abbastanza energie, a caccia nel bosco e nelle campagne dall'alba fino al tramonto, ed era tornato solo poco prima dell'ora di cena facendosi un bagno, pulendosi, vestendosi con tranquillità. Diretto al Moonlight rigorosamente a piedi aveva compiuto sul posto ogni preparativo risistemando personalmente l'attrezzatura, attendendo che i ragazzi arrivassero, questa volta lui in anticipo e loro in ritardo per un blocco del traffico spropositato causato da un'incidente, uno scontro frontale probabilmente mortale tra un camion e una macchina. Poi c'erano stati i costumi, il camerino, la sua chitarra blu lucidata e revisionata seduto sul piano del tavolino, le gambe incrociate posate sulla corrispondente sedia poco più in basso. E lo specchio, la superficie argentata contro cui aveva poggiato la mano osservandosi a distanza di un mese, trovandosi nel riflesso che aveva di sè stesso meno smagrito, più in forze e pronto, la voce totalmente recuperata che sembrava pulsargli nella gola per voler uscire quasi fosse un bisogno fisico per cui non poteva trattenersi. Emozioni, sensazioni nel petto, l'aspettativa, la voglia, l'attesa. E poi, con un abbozzo di sorriso, aveva finalmente ritrovato i ragazzi arrivando al palco in mezzo alla compagnia zittita dal modo in cui si muoveva e li osservava, guardandolo in parte come un estraneo e in parte come l'amico ritrovato, quello a cui si erano affezionati in qualche modo senza particolari motivi, Criss e Luke gli unici consapevoli della sua natura mentre Marshal e Dan rimanevano al di fuori del lungo discorso che era stato loro fatto giorni prima, al ritorno dalla dimora di una donna a loro conosciuta. Si preoccupavano, lo vedevano diverso come se fosse un'altra versione di Raven più matura e consapevole, ma anche più bestiale e incontrollabile di quanto non sembrasse. Ed era così, in effetti.
    Chitarra e basso assieme iniziarono a suonare con violenza esagerata, distruggendo la quiete attorno, mandando in frantumi il piccolo angolo che aveva ritagliato per i pensieri del momento nel suo cervello. Impaziente, il respiro regolare lasciò che l'aria impregnasse i polmoni prima la gola vibrasse piano, la voce uscisse chiara, limpida, più calda e avvolgente di quanto non lo era mai stata. Seguirono parole, frasi, talmente tante variazioni e cambi da rasentare la follia eppure tutti concatenati gli uni agli altri, sonori, chiari e vibranti nelle menti di chi lo poteva ascoltare. La sua non era una tonalità che si scordava facilmente, e la musica prodotta dall'insieme di suoni era unica, qualcosa di provocante, aggressivo e allo stesso tempo malinconico, l'amarezza sul volto come se fosse il ritorno di un sapore disgustoso in bocca prima iniziasse ad avvelenare l'anima del pubblico, un sorriso tirato decisamente troppo, troppo contento, procedendo con vigore, rabbia, ansante e senza esitazioni, desideroso di continuare a fare quello, solo e per sempre.
     
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    La giornata era una di quelle classificabili in lavorative, col continuo via vai, il cd in fase di controllo, i beta da preparare e inviare a remixare e tante, tante attività che gli assorbivano completamente gli ultimi tempi dopo la dovuta degenza, il lavoro tutto ad un tratto accumolatosi a livelli di pile di fogli sulla scrivania in traballante attesa sfogliasse, decidesse quali contratti fare, come farli ma sopratutto come diavolo perdere meno tempo possibile dietro ai possibili imbrogli. Così dopo aver sbrigativamente diviso le carte - dovevano aver consumato un pino intero per farle - tra quelli in accettazione e quelli da cestinare, aveva anche dovuto dedicarsi a qualcosa di meno scocciante ma non per questo più facile: dopo una veloce preparazione degli strumenti si era infilato in macchina con i ragazzi ed aveva passato il pomeriggio nel locale chiuso a strimpellare per le prove sul palco, dal vivo, dello show di quella nottata. Come sempre un paio di grandi manifesti in bacheca accanto all'entrata segnalavano il genere di spettacolo, il nome del cantante e del gruppo e il tipo di musica, implementando grandi foto nella plastica patinata. Roba da nulla farsi dare la fetta maggiore del pubblico in serata, poi, dato il locale era effettivamente suo e alla fine i soldi che entravano e uscivano dalle tasche erano sempre quelli, onestamente guadagnati o meno e che comunque sempre più spesso gli riempivano il conto in banca senza dovesse alzare un dito, merito della popolarità - anche se non in ambito commerciale, era un gradino troppo superiore rispetto a quei bambocci che tentavano il successo con musichette da due soldi e preferiva un pubblico selezionato ma valido - e anche della buonissima strategia commerciale intrapresa. La sua personale casa di produzione a cui sovraintendeva andava a gonfie vele con la collaborazione di altri dotatissimi artisti minori, e tra merchandise, vendita dei cd e molte altre iniziative alla fine non aveva nemmeno da porsi il problema dei soldi, senza contare gli affitti in giro per Nouvieille che regolarmente riscuoteva. Era bello essere ricchi, nessun dubbio, anche se senza un po' di cervello non si andava da nessuna parte: come scordare i tempi in cui aveva vagato per le strade con a malapena i vestiti addosso? Solo tre anni prima era in quelle condizioni, e ora si ritrovava quasi a fare il grande imprenditore, cosa che gli garbava fintanto che si rimaneva nel suo campo musicale e non si andava oltre.
    Arrivato al locale avevano montato, lui e la band, tutto quello che serviva per qualcosa di semplice e immediato ma subliminale come sempre. Ai soliti tendaggi rossi e neri recanti il loro nome era stato aggiunto l'inusuale schermo su cui avrebbero proiettato immagini coordinate alla musica, la cui competenza per la sincronizzazione era andata proprio al caduto. Niente di più facile, specialmente perchè si trattava di mixare dal vivo stili e brani inventando qualcosa di nuovo, senza perdere il piacere delle solite due canzoni o tre a cui il pubblico era abituato e a cui non si rinunciava mai.
    Finite le prove, dopo un fracasso madornale anche per sistemare luci e faretti, alla fine era calata la sera e il locale chiuso al pubblico solo per quel pomeriggio aveva aperto i battenti a frotte di uomini, donne e ragazzi di tutte le età entrati per farsi un drink o anche solo per ascoltarli in tutta la loro potenza, mentre finalmente l'angelo entrava in scena con un sorrisetto osservando la folla, dando loro il proprio caratteristico saluto prima di accoglierli nel suo caldo abbraccio, un caleidoscopio di ritmi, luci e voce, l'adorata chitarra azzurra tra le mani pronta a vibrare per lui.

    Benvenuti nel mio mondo.
     
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    Alla fine, come ogni mese, era serata grande al Moonlight. C'erano manifesti e c'erano state sistemazioni, e anche delle inaspettate "prenotazioni" da parte di altri musicisti che desideravano venire a dare a loro volta spettacolo nel rinomato luogo. Il locale cresceva di fama e prestigio di conseguenza alla presenza della band che solitamente lo animava, gli animi del pubblico tutti quanti attirati dai componenti del gruppo che portava dal vivo, in live, quello che in realtà solo uno di loro faceva con la giusta dose di bravura ed espedienti, niente che non fosse possibile al giorno d'oggi con il giusto utilizzo della tecnologia. Per quella serata però si profilavano due piacevoli sorprese che non avrebbero mancato di stupire nè il pubblico, nè il resto dei ragazzi: davanti al circolo riunito sul retro del palco il rosso li raggiunse, accompagnato da un ragazzo estremamente secco e dai capelli di uno sprizzante fucsia shocking. Lo presentò.
    Questo è Bret.
    Piacere di conoscervi! Non spese molte parole su molto più che il suo nome, ma si spiegò in maniera del tutto chiara e recepibile: Bret era un musicista entrato a far parte da non molto nel circolo di artisti minori riuniti sotto la sua tutela, ma sopratutto sotto la sua azienda. Un giovane dotato e talentuoso che sembrava poter avere davvero un gran successo, e che era da poco arrivato in città per conoscere il cantante ed eventualmente ottenere un lavoro col quale barcamenarsi tra impegni vari, poichè non era nè molto abbiente nè frequentava l'università, lasciata per la musica. Non che questo fosse un problema, a parte essere essenzialmente un matto come tutti loro era anche sveglio e poco svampito tranne su certe questioni, e aveva giusto l'età di Marshal. Finì il discorso spiegando che avrebbe fatto da sostituzione monentanea nel caso capitasse uno di loro mancasse durante uno spettacolo per malattia o altre eventualità, ma era comunque sicuro non ci fossero eventuali problemi di integrazione, e Bret sembrava già ben avviato a parlottare con i due più vivaci, Marhsal e Dan. In ogni caso non ci fu nessuna opposizione, non sarebbe stato rubato il posto a nessuno, ci tenne a specificare, aggiungendo anche che Bret era pagato come loro per fare da musicista e anche da addetto a tutto il resto della scenografia. Chiarito il punto, venne anche il momento di salire sul palco, ma prima doveva chiarire due o tre particolari con Criss: lasciò Luke, Dan e Marshal già intenti a fare amicizia col nuovo aiutante in squadra e tirò da parte il bassista, discutendo con pacatezza di un paio di questioni.
    Durante il periodo di coma di Raven, Criss non se ne era certo potuto stare a mani in mano e sebbene avesse rifiutato di prendere contatti con altri gruppi, aveva messo del suo in tutto quel tempo passato, scribacchiando e buttando giù qualche parola su carta. Quelle parole erano successivamente state corrette, filtrate e trasformate in una canzone, e la canzone era stata riempita dalla musica, anche se solo approssimativa grazie ad un programma di editing e in gran parte ancora da sistemare. Ora il caduto si trovava nella situazione di chiedere al bassista di fare una scelta ben precisa: poteva continuare a suonare in live con loro o poteva, volendo e anche perchè non aveva fondamentalmente importanza per lui se continuava a fare bene il suo lavoro, cercare altre persone per creare un proprio gruppo distaccato in cui cantare e suonare. Il rosso l'aveva sentito ancora, e poteva assicurargli il successo sul piano professionale oltre che nessun rancore da parte sua. La risposta inaspettata giunse quando meno se l'aspettava, con un semplice "No" dichiarato con la massima semplicità: Criss si prodigò a spiegare in poche parole che non aveva nessuna intenzione di creare una propria band - mettere il piede in due scarpe per lui non poteva che avere risvolti catastrofici - e che sarebbe rimasto comunque a lavorare per lui con gli altri. Poi fece una piccolissima aggiunta, affrontando di pieno petto l'apatia ed esprimendosi in un'espressione che poteva avere del contento. Raven sorrise a sua volta, soddisfatto dalla risposta, e annuì.
    Avrai la tua occasione, la prossima volta. Sarà una sorpresa.
    C'era del marcio in fondo, e l'angelo lo sentiva bene, l'aveva sentito chiaramente dal risveglio. Tuttavia preferiva la situazione rimanesse momentaneamente quella che era, e porse al ragazzo il suo basso dandogli poi le spalle per avviarsi alle scalette del palco, e con quelle allo spettacolo: gli altri stavano aspettavano.
    "Si va in scena".

    Edited by 'Raven' - 10/2/2010, 23:58
     
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    - Va tutto bene. Tutto alla grande. Sopravviverò, infondo da qualcosa si deve pur cominciare no? -

    Camminavo nervosa verso il Moonlight dove mi avevano assunta per ballare. Certo, non era il massimo, ma in quel momento era forse l'unica possibilità per mantenermi gli studi senza chiedere un quattrino ai Davis. Si, portavo il loro cognome, ma non ero mai stata tanto in confidenza con loro da definirli i miei "genitori". Sentii vibrare il cellulare in tasca. - Quando si parla del diavolo.. -

    Era Meg, con la sua solita voce squillante piena di falsa energia. Quella donna, aveva cercato di fare, anzi, di soddisfare tutti i capricci di un'adolescente modello, sfortunatamente a vuoto. Non avevo bisogno di vestiti di marca, necessitavo solo della donna che mi aveva cresciuto.

    "Eh, senti, è meglio se mi chiami domani mattina."

    Bofonchiai un "ciao" e riagganciai, senza neanche che finisse di salutarmi: odiavo sentir dire che mi voleva bene. Era più forte di me. Non volevo rovinarmi la serata senza neanche averla cominciata.
    Accellerai il passo, raggiungendo dopo pochi minuti il Moonlight. C'era più gente di quel che pensavo. Raggiunsi la porta sul retro ed entrai. Da quella sera ero anche io un'artista. Mi sentivo un gladiatore vittorioso a varcare quella porta.

    Appena messo piede all'interno della struttura una donna mi prese da parte ed accertatasi che fossi la nuova ballerina mi indicò un camerino. Lo guardai con gli occhi a cuoricino e non ci pensai due volte a catapultarmi dentro lo stanzino e trovai un completo in ecopelle su una sedia. Copriva il copribile, il resto erano lacci, cinturine e due catenelle algentate penzolanti.

    Mi guardai allo specchio ripetendomi più volte che era tutto magnificamente a posto, per poi uscire e dirigermi verso l'area dei concerti. Le luci erano ancora spente, una band stava accordando gli strumenti. Una voce da dietro mi disse che la mia postazione era in una sottospecie di "gabbia" che avevano posizionato occasionalmente al centro del palco, dietro al cantante; quella sera ero un pezzo della scena. Approfittai del buio per prepararmi fisicamente, ma soprattutto psicologicamente con molti, forse troppi, esercizi di respirazione.

    Si accese la prima luce e cominciò a comparire del fumo ai lati del palco. In poco tempo si animò tutto il locale. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alla musica. Distrarmi sarebbe stata la mia rovina. Solo rendermi conto di avere gli sguardi di una buona parte di pubblico addosso mi avrebbe rovinato. Avrei sbagliato il tempo, mi sarei imbambolata in mezzo alla pista a fissare il vuoto, avrei ricevuto una marea di fischi... No, non potevo permettermelo.

    Il cantante cominciò ad alzare la voce, caricando tutti al massimo. Sentivo gli urli della folla in delirio, la potenza della batteria, tanto che il cuore batteva a ritmo.

    Ero letteralmente ipnotizzata dalla musica, tanto che pezzo dopo pezzo continuavo a scatenarmi, non accusando stanchezza, per tutta la notte.
     
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    Era stanco, ma ancora abbastanza in forma per lo spettacolo in preparazione mentre, aiutato da Bret, spostava sul palco il magico trono di vetro anche piuttosto pesantuccio su cui solitamente risiedeva in qualche occasione speciale, da frontman e leader del gruppo che poi era solo un suo progetto. Le maniche della maglietta nera arrotolate sulle braccia, stava facendo forza sull'immensa sedia con il ragazzo dai capelli fucsia dietro che tirava e smollava, tentando nel suo piccolo di muovere la massa di vetro, metallo e plastiche che sembravano non rendere comunque di molto più leggero il loro lavoro. I ragazzi erano impegnati a sistemare le luci, era pomeriggio tardi e tra qualche ora il locale sarebbe stato aperto: la loro era una preparazione provvisoria, poi le vere ultimazioni sarebbero state fatte poco prima dell'inizio dello show. Frattanto, facendo forza Raven era riuscito a spostare di qualche metro l'aggeggio mentre Bret era quasi finito gambe all'aria per l'improvviso spostamento, e dalla cosa era originata una bella risata che aveva rischiato di far cadere dalla scala il povero Dan che stava finendo di montare delle lampadine nuove nei riflettori prima di ricoprirli di plastica colorata, con sotto Marshal a tenere la base che aveva impedito per puro miracolo crollasse grazie all'aiuto degli altri accorsi subito ad aiutarlo. In effetti, il tastierista sarebbe stato troppo debole per far rimanere in piedi scala più uomo su pioli se non fossero arrivati in tempo Criss e Luke a fare soccorso: i grandi vantaggi del lavoro di squadra. Il chitarrista si diresse dal novellino ossigenato e tinto per tirarlo in piedi, l'angelo invece finì di spingere quello che doveva contro la parete fatta di striscioni di fondo, poi si sollevò bene e si stiracchiò facendo rumorosamente scrocchiare la schiena. Cos'altro rimaneva? Allestire le basi, portare dalla macchina al palco gli strumenti, sistemare i costumi nel retroscena, andare a prendersi qualcosa di fresco perchè stavano colando dal caldo nel locale anche se era ancora e solo primavera avviata all'estate. Il solito.
    Con cognizione di causa, ma sopratutto guardando l'orario, i cinque si avviarono al prossimo importante impiego delle loro capacità: strumentazione in mano iniziarono il solito tram tram avanti e indietro, su e giù per le scalette all'esterno e all'interno del Moonlight. Poi procedettero col resto, e venne ora di apertura, fermandosi prima di tutti gli altri clienti a farsi un panino in compagnia come persone del tutto normali, nonostante dalla tasca dei pantaloni del caduto spuntasse un fazzoletto sporco di sangue: le epitassi non erano diminuite, e quell'espediente serviva solo a contenerle quando occasionalmente si ripresentavano, meno di quando era sotto stress ma comunque dilazionate nel tempo, leggere e sopportabili. Aveva anche promesso ai ragazzi di farsi controllare ma voleva sperare bene non la prendessero a male - non che gliene fregasse - se ritardava i tempi, dato in primis i medici li odiava e in seconda battuta si ritrovava sommerso dagli impegni, oltre che da presentazioni, recensioni, lettere di fan e partecipazioni a cui doveva presenziare, come all'ultimo festival della Musica oltreoceano a cui l'avevano invitato assieme agli altri tre rimbambiti più aiuto-sistematore compreso. Marshal in particolare poi aveva insistito per una visita accurata sotto suggerimento di Katina, e c'era voluto del tempo per fargli smettere quello sguardo da cucciolo preoccupato che gli aveva riservato con suo sommo disgusto, almeno fino a quando non aveva finito per assicurargli l'avrebbe fatto facendogli vedere la carta del negozio di Sara, da cui sarebbe andato. Per cosa, poi, non lo sapeva nemmeno lui.
    Tutto sommato la vita procedeva normalmente, in un certo senso: sapeva di non dover stressarsi per evitare perdite di controllo ed esplosioni varie ed eventuali di qualunque genere, che fossero del suo attuale problema o quelle causate dai suoi poteri piuttosto condizionati dall'umore, ma più di questo non aveva problemi. Perfino lavorare fino a tardi preparando bite su bite di lavoro era diventato un piacevole svago e non più un'attività spossante, e semplicemente seguiva i propri gusti e i propri piaceri del momento nel fare la musica che più gli aggradava. Oltre a questo, c'era il movimento, le uscite, l'estate sempre più vicina. E ora, a sera, lo spettacolo per cui si stavano preparando quasi con devozione, in un rituale come al solito legato alla rappresentazione, alle emozioni che volevano lasciare al pubblico oltre ai vizi che Raven favoriva in loro per regalo. I costumi, effetti scenici e l'occorrente era già stato preparato, le facce dipinte, le mani posate sugli strumenti: time in, ora di cominciare.
     
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    Tutto come al solito. Riflettori a posto, fan accaniti sotto al palco, entrata di persone incuriosite più indietro, a prendere cocktail, parlare, informarsi sull'evento. Tutto come al solito, di nuovo: i ragazzi indietro a semicerchio attorno a lui, e Raven a guardare la folla con gli occhi luminescenti, incantati, quasi quella magia si ripetesse ogni volta attorno a lui senza se ne accorgesse, senza ne sapesse il perchè. La sua musica attirava la gente, ma non era solo quello, non poteva esserlo, c'erano troppi, troppi curiosi, troppi fan, troppe idee, troppe canzoni. C'era vita, in quel locale, e la musica che tanto adorava, l'attività che tanto gli piaceva svolgere. E suonava, cantava invitando la gente a guardarlo in quell'inizio di spettacolo, rivolgendo gli occhi a loro, il fisico mascherato dietro abiti leggeri che si muovevano con lui mentre si abbassava, si rialzava, la chitarra in mano e il suono quasi fisico che lo colpiva con tutta la sua potenza. Magia per il cuore, magia per la mente, un'atto quasi erotico, sensuale, le corde di chitarra fatte vibrare da mani desiderose, da una lussuria incompresa dal profondo. E il ballo degli astanti, la luce intermittente, il mixer. Piccole lucette che si accendevano a tempo sulla sua superficie mentre assorto scostava il ciuffo fastidioso tenendo a mente l'assolo che doveva fare, e poi le parole che gli uscivano senza esitazione dalla gola, offrendo alla gioia e all'animo degli altri quel veleno che tanto desideravano, il dolce tormento che regalava loro e che chiedevano, forte, sempre più forte e chiaro di prima. Sempre di più, come le emozioni, i sentimenti che gli si accavallavano senza uscire, perchè se l'avessero fatto davvero gli avrebbero bucato il torace, e da lì chissà quale mostro avrebbe avuto corpo.
    La musica, morte e vita assieme, il ritorno dei ricordi, l'energia delle vene. Sentiva tutto, vedeva tutto con tutti i sensi, riuscendo a percepire ogni singolo battito anche se solo nell'immaginazione, ogni goccia di sudore che cadeva dalla sua fronte moltiplicata per mille altre che si agitavano, mostravano le mani in alto, cantavano con lui. Armonia unita al caos, una gioia distorta e intensa, un piacere perverso che lo assaliva scuotendolo fin nel profondo, fino alle viscere, fino all'agitarsi più recondito di quel mostro che era. Perfino colando sangue dal naso, se avesse dovuto, spuntandolo dalla bocca a fiotti. Avrebbe cantato per l'eternità sommerso dalle luci, gridando e squarciando l'oscurità, mostrando e indicando quella che sarebbe sembrata la retta via. Le note avrebbero continuato ad uscire, e le parole avrebbero dato alle persone quello che volevano. A lui, quel che desiderava. Per sempre.
     
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    I drappi sparsi in giro per il Moonlight, neri e rossi, si muovevano piano per un filo di aria autunnale che arrivava all'interno smuovendo il tessuto leggero, più pesante e meno trasparente mano a mano ci si avvicinava al palco dietro al quale attendeva la band. C'era silenzio, parecchio, perchè era ancora pomeriggio e il locale era chiuso al pubblico, ma loro erano lì a sistemare le varie decorazioni e le luci, come sempre. Bret stava spostando delle casse, Dan stavolta faceva la sua parte sulla scala, a montare un nuovo riflettore dopo che quello sostituito aveva fatto contatto risultando troppo obsoleto. Criss controllava i collegamenti; Marshal e Luke caricavano la macchina dei fumogeni con del preparato apposito. Raven invece posizionava e spostava gli strumenti per come dovevano stare in serata, e finito quello era andato a dare una ripassata al bancone della zona bar con uno straccio e liquidi per la pulizia per una sonora lavata. Proprio negli ultimi giorni infatti, il barista lo aveva personalmente avvisato di avere dei problemi temporanei nell'orario di arrivo, ovviamente il tutto limitato a questa sola settimana, e a doversi far carico del resto era ovviamente il cantante, anche proprietario. Così, passato quello, si era messo di buon grado anche a caricare il magazzino continuando a scherzare con gli altri. Ma non era tutto così semplice: la band capiva che qualcosa non andava, solo non avevano idea di cosa fosse e nemmeno l'angelo stesso, che non riusciva ad assestarsi, capirsi. Un vago senso di malessere lo invadeva, frutto delle ultime avventure coi preparati di Sara, tuttavia aveva preferito tenere nascosto ai ragazzi il suo stato attuale favorendo le cose positive: le epitassi non diminuivano, ma i mal di testa gradualmente se ne stavano andando senza più tormentarlo. Distolse l'attenzione da quello che stava facendo solo quando ebbe finito di portare alcuni cartoni di alcolici dove dovevano stare, aiutato da un piccolo carrello a due ruote su cui poteva caricare la parte consistente dei prodotti mentre portava le cose meno pesanti a mano: preparò qualcosa di veloce e sopratutto analcolico sul piano scuro, tirò fuori salatini e patatine e invitò gli altri a fare una pausa, giocando specialmente sul fatto di esasperare Dan nel rubargli le ciotole col cibo per divertirsi. Quotidianità in poche parole, calma, una tranquillità nella quale non aveva mai potuto sperare, e che non avrebbe mai avuto modo di avere o volere, perchè non ne era davvero il tipo. Considerava comunque importante godersela, mangiando, discutendo e finendo per giocare con gli umani che ormai costituivano, davanti a lui, una vera e propria famiglia allargata fino a sera, quando venne l'ora di andare in scena. Davanti al pubblico le cose non erano sostanzialmente diverse ma c'erano adrenalina e divertimento, e la musica, la sua migliore, più fedele ed eterna amante, accompagnata dalla chitarra, il secondo dei suoi amori. I ragazzi gli suonavano accanto, e Raven aveva tutto quanto potesse desiderare in quel momento: il canto, il suono della propria voce, la presenza dei suoi ascoltatori e lo scorrere dell'intensa passione nelle proprie vene. Qualunque cosa succedesse, niente gli avrebbe potuto levare almeno questa sensazione, l'appagamento, e il desiderio di solcare il palco per dare sè stesso in qualunque forma e modo. Mai.
     
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    Seratina di lavoro come al solito, di quelle che prevedevano spettacoli e collaborazioni tranquille e senza problemi come piacevano a lui. Raven stava ultimando i preparativi prima di iniziare lo spettacolo, compreso aiutare a passare varie ed eventuali e i costumi del caso, quando Bret arrivò tutto trafilato con un'aria stravolta e i capelli fucsia acceso all'aria: era una cosa inguardabile e aveva la solita faccia da scemo, ma il rosso si voltò ugualmente ad ascoltarlo tenendo l'occhio il più lontano possibile dalla tinta stratosferica che gli avrebbe fatto perdere senza colpo ferire tutti e dieci i suoi decimi di vista. C'è un problema ai riflettori riferì agitato, col fiatone che andava e veniva, e se ne sparì. Poi fu la volta di Luke con la corda della chitarra, Dan che aveva rotto una bacchetta, Marshal che si era quasi distrutto un piede scivolando nel buio del palco - solo Criss, a quanto pareva, era totalmente immune alla sfiga pre-spettacolo. E che sfiga! Era un periodo decisamente imbarazzante per chiunque, senza considerare che i ragazzi si erano finalmente messi il cuore in pace agli occasionali incontri con la vampira - quando di solito Marshal portava merenda per un esercito dopo esserla andata a trovare a casa - non osando chiedere nulla ma considerandoli una coppia molto libera e molto poco fissa e sparlando alle sue spalle di conseguenza. Lui faceva finta di non sentire, ma chissà perchè riusciva a percepire ugualmente le risatine arrivargli pure quando si spostava di stanza - probabilmente, chissà, stava acquistando un certo potere di sensitività per quando lo prendevano in giro a tradimento. E in tutto questo, rimaneva sospesa nell'aria l'immagine della band più assistente che se la rideva della grossa davanti ad una foto che non sapeva cosa riguardasse o da dove provenisse.
    Fino a qualche ora prima, almeno. L'aveva giusto casualmente trovata nel camerino, andando a ravanare in giro gratuitamente cercando il secondo pezzo di tunica, dato non gli pareva proprio il caso salisse in boxer esagitando fin troppo le ragazze che stavano sotto desiderando spesso e volentieri cose che NON voleva sapere, fisicamente e psicologicamente parlando, ed eccola lì, davanti ai suoi occhi... completamente sgranati. Che diavolo era quella sottospecie di fotomontaggio spicciolo con la sua facciata piazzata su una testa dai capelli lunghi e un corpo che sicuramente non gli apparteneva, intento in pose provocanti e discinte in cui non si sarebbe mai messo nemmeno sotto pagamento?
    Poi la risposta gli arrivò da sola, quando Bret gli passò davanti trovandolo con la foto in mano, o probabilmente prendendo per oro colato quanto detto da uno di quei dannatissimi scemi, o più a sua insaputa. E se Luke, nella band, era l'origine dei pettegolezzi di mezzo circondario, il povero ragazzo dai capelli fucsia invece era la bocca delle verità scomode e spicciole - quel "Ma Raven, non sapevo avessi fatto il modello di nudo, da giovane!", non se lo sarebbe mai dimenticato, MAI. E chi poteva aver mai detto all'innocente una cosa simile? Ah, lo sapeva, eccome se lo sapeva.

    LUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUKE!!!!

    A fine serata, quel demente non avrebbe avuto solo lo spettacolo sulle spalle, altrochè. E avrebbe pensato lui a ricordarglielo, esattamente come fece poggiandogli una mano sul braccio, lo sguardo che prometteva le ire del pelide Achille e qualcosa di più, prima di salire sul palco. Auguri. Augurissimi.
     
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    Lavorare era sempre l'unico, solito modo per distrarsi dalla vita quotidiana e Raven lo accettava volentieri, proprio come quella sera: impegnato sul palco, saltellava e cantava, si sforzava di dare l'immagine di sè più credibile e vicina all'umanità, ma sapeva che non era vero. E contemporaneamente, muovendo le dita sulla chitarra con abili intrecci di note, pensava a due canzoni in arrivo per cui sarebbe stato certo preparato uno spettacolo ben più sostanzioso di quella stessa sera; sarebbe stato uno spettacolo sostanzioso e grande, fenomenale. I ragazzi sarebbero stati parecchio impegnati nelle prossime settimane.
     
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  12. Red Doll
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    Si sentiva ancora impacciata, inappropriata per il lavoro che stava compiendo; eppure era ben conscia del fatto che qualsiasi lavoro a lei non sarebbe mai andato a genio e non si sarebbe mai adattato al suo essere. Eppure si convinse a forza che ciò che stava facendo era giusto e che le serviva per riprendersi quegli orribili anni di fredda solitudine che l'aveva vista rinchiusa nel suo castello di fragili vanità e splendide bugie.
    Si riscosse dal torpore indotto dai suoi pensieri quando avvertì il rumore delle ruote del camioncino delle consegne arrestarsi quasi innanzi a lei: si trovava nel vicoletto sul retro del Moonlight, che dava direttamente nei magazzini adibiti allo stivaggio degli alcolici e dei viveri.
    Si strinse al petto il piccolo quaderno indaco in cui erano annotate la descrizione ed i quantitativi di merce che aveva ordinato per soddisfare la richiesta del locale. Nonostante la sua timidezza e l'apparente incapacità di non poter combinare nulla di buono, in realtà era una donna che metteva passione e perfezione in ogni suo lavoro.
    La centaura osservò un corpulento omaccione scendere dal furgoncino ed avvicinarsi a lei con aria da superiore e borioso conduttore di camion; la squadrò da capo a piedi, le labbra piegate in un mezzo sorriso altezzoso.

    Tsk. Adesso fanno fare gli ordini alle bambine...ma in che mondo andremo a finire?

    Mina, punta nel vivo, gonfiò le liscie gote bianche, assumendo un'espressione minacciosa e poco rassicurante, mentre si rivolgeva al tizio corpulento:

    Per tutti gli dei! I nostri fornitori devono essere a corto di personale se mettono maiali sboccati a far consegne.

    Il grosso autista sbottò in una risata non proprio gaia, poggiandosi una mano sull'enorme ventre rigonfio, affrettandosi ad aprire il furgone ed a portare nel magazzino la merce ordinata.
    Quando l'omaccione scomparve dalla sua vista tirò un tremulo sospiro: non le piacevano quelle manifestazioni da parte sua nei confronti degli altri...era pur sempre un essere pacifico e tranquillo, che non amava essere disturbato come una secolare tartaruga gigante.
    Mina pagò in fretta e furia il fattorino, senza dire una parola, grata del fatto che presto si sarebbe levato dai piedi e lei sarebbe potuta tornare al suo lavoro serenamente. Veloce come non mai, la biondina, tornò nel magazzino.
    Con occhio critico, la stilografica in una mano ed il piccolo quaderno nell'altra, prese ad esaminare uno per uno tutta la merce, aprendo scatole e scatoloni per assicurarsi che il contenuto di ogni pacco fosse intatto, il tutto segnato minuziosamente sul libricino indaco.
    Una volta terminato il suo lavoro di ispezione della consegna si diresse a controllare che la sala fosse in ordine e che il personale fosse disposto, pronto a ricevere la clientela ed a soddisfarne i capricci. Sapeva che una persona soddisfatta e felice del locale era un cliente assicurato per il locale.
     
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    Bret era lì che montava i tamburi, una notte come un'altra tutto sommato. Raven invece era immerso in una lunga pausa dal lavoro, la bottiglietta d'acqua in mano, gli occhi fissi nel vuoto seduto su una sedia del locale, giù dal palco. Stavano preparando per lo spettacolo una nuova veste del tutto brillante, piacevole, dotata di riflettori, diapositive, video ripetuti su tre bianchi schermi di cui due laterali e uno al centro. Una nuova impostazione che poteva essere temporanea o meno a seconda del gradimento del pubblico. I ragazzi erano a cambiarsi nel frattempo, e il locale non era ancora aperto per le prove.
    Raven? A Bret piaceva parlare, mentre lavorava di lena col cacciavite in mano, il rotolo di light tape abbandonato in un angolo ancora da collegare all'alimentatore elettrico.
    Si? Gli occhi rimanevano nel vuoto, la bottiglia a penzolare tenuta nella destra con due dita, indice e pollice.
    A cosa stai pensando?
    Niente. Uno sguardo interrogativo dal ragazzo, poi diventato di rimprovero.
    E' impossibile pensare a niente.
    Allora, niente di importante. Un altro sguardo di rimprovero. A volte Bret dimostrava tutta la sua serietà, ma erano rari momenti. In genere era l'entusiasta del gruppo, l'ingenuo come Marshal, l'individuo inguaribilmente ottimista che se non fosse stato simpatico sarebbe stato da dare testate al muro dalla disperazione.
    Non c'è mai niente che non sia importante.
    Bella filosofia. Si era meritato l'attenzione degli occhi del cantante, che illuminavano la penombra del locale rischiarata dal tramonto lasciato entrare dalle finestre. Ma non sempre vera.
    Poi il ragazzo si era asciugato la fronte, aveva mollato il lavoro e si era seduto accanto a lui come la persona più disposta a parlare al mondo.
    Sei sempre più minaccioso e indisposto.
    Con te?
    No, non solo. Con i ragazzi.
    Bret, ho i miei problemi. Un sospiro profondo e trattenuto.
    Allora parliamone! Ti rendi conto che non sorridi nemmeno più come una volta? Il giovane dai capelli rosa era veramente preoccupato, ma non gli ispirava compassione abbastanza.
    Non posso farci niente.
    Ma se solo volessi-
    No.
    Ma-
    No, ho detto. Si era alzato, pesantemente, facendo leva sul tavolino con l'aiuto delle braccia. Poi gli era passato accanto e per un momento gli si era fermato di fianco, indeciso. Alla fine gli aveva appoggiato la mano sul capo, regalandogli una vigorosa strofinata di capelli, passando a dargli il cambio e lasciandogli la bottiglietta.
    Bret non aveva più detto nulla per quella sera, a parte scherzare e ridere nel dopospettacolo come se nulla fosse successo. Nessuno sapeva molto di lui, ma per quel poco che sapeva lo strano individuo dai capelli rosa di loro, di lui, di Raven, l'abbozzo di sorriso che gli aveva visto in faccia nell'andarsene era stato più che sufficiente a convincerlo che c'era ancora speranza.
     
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    Inutile soddisfare qualche bisogno in giro quando c'era carne fresca a cui attingere da fan accorsi a vederlo suonare, cantare con tutti gli altri. Per una delle pochissime volte nella sua esistenza, non ne avrebbe avuta voglia, ma alla fine ci si era dovuto adattare facendosi spruzzare di trucco e coprire per non dare a vedere come controllasse ancora precariamente il confine tra la propria forma e quella umana: avrebbe optato per far girare la voce avesse lenti cosmetiche e quanto sarebbe stato necessario, ma niente valeva davvero la pena di essere spiegato. Forse, la chitarra in mano sua, quella non ne chiedeva mai, suonava e basta. I ragazzi, anche, che non sembravano turbati quando probabilmente invece erano piuttosto preoccupati dal fatto parlasse a monosillabi come Criss raggiungendo livelli di apatia a cui in confronto sembrava lui l'assente e l'altro l'uomo allegro. Ma tutto sommato, stirando le labbra per un sorriso che voleva risultare confortante, sapeva le cose sarebbero tornate ad essere presto come dovevano.
    Ci voleva solo un po' di tempo, e lo spettacolo, e gli uomini, umani piccoli e stupidi capaci di grandi cose. Doveva adattarsi e si sarebbe adattato così come avrebbe suonato per loro, quella sera. Per tutti, aspettando di dissotterrare quel poco di umano di cui aveva ancora bisogno.
     
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  15. Red Doll
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    Era stata assente...così lontana dal mondo caotico ed allo stesso tempo rasserenante di quelle mura che aveva imparato a conoscere. Il suo instabile pensiero, la sua mania di solitudine così profondamente radicata da secoli, l'avevano portata per lungo tempo ad assentarsi da Nouvieille, sparendo tra le terre della sua infanzia per alcuni mesi.
    Non aveva dato una spiegazione vera e propria a Raven, semplicemente gli aveva lasciato quattro righe scritte su un foglio, nell'ufficio che alla fin fine condividevano in quanto lui era il proprietario del locale. Gli aveva detto che sarebbe andata via, che si era sentita male e non sapeva quando sarebbe tornata in città...forse non sarebbe nemmeno tornata.
    Invece la sua voglia di casa, di sentirsi nuovamente parte di un luogo l'avevano sospinta su quei passi che credeva non avrebbe mai più ripercorso. Ma le strade della vita sono infinite e tutte incredibili e inimmaginabili.
    Quando era scesa dall'aereo la prima cosa che aveva visto era stata la sua mano aperta e le chiavi dell'abitazione e del locale...il Moonlight...solo ora capiva il perchè quel nome le piacesse tanto: non era per il semplice fatto che il chiaro di luna la faceva sentire ispirata e viva, ma perchè quella luce, quel fascio lunare, l'aveva ricondotta indietro sino a Nouvieille.
    Ora era di nuovo lì.
    A quell'ora non c'era nessuno ed il locale era deserto ma immutato; abbandonò a terra il bagaglio a mano con un tonfo ovattato e, con passo sereno, scivolò fra i tavolini ed accanto al bancone. Le dita di porcellana si posarono su ogni superficie e ad ogni tocco pareva che gli oggetti le rimandassero una nota diversa, che si andava componendo in una melodia.
    Involontariamente arrivò sin sotto il palcoscenico, seguendo con lo sguardo le nuove applicazioni che il proprietario aveva fatto installare. Le iridi argentee brillarono un istante nel posarsi sui pannelli bianchi e non potè resistere alla tentazione di salire. Inizialmente diede le spalle alla sala, ma si volse quasi subito, mentre la sua fervida immaginazione scorgeva un pubblico immaginario che applaudiva e la incitava.
    Schiuse le labbra rosse in un sorriso contento, per poi intonare un lieve canto sereno, mentre una lacrima bianca cadeva sul palco ombroso. Era tornata...
     
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18 replies since 2/10/2009, 21:29   570 views
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