Raven's Mansion

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    La nuova casa vanta la bellezza di 200 mq nei tre piani che la compongono. Tanto non la deve mica pulire lui - non tutta, almeno.

    La composizione della villa è completamente in stile moderno, composta da grandi vetrate sui due piani visibili. Per amor di classicismo, il proprietario ha voluto che almeno il retro conservasse un minimo di privacy restando fatto di solido muro, problema che non sussiste in realtà in quanto tutti i vetri, oltre ad essere blindati (antisfondamento e antiproiettile), sono cromogenici e quindi capaci di oscurarsi completamente accendendo un semplice interruttore.
    Le ampie vetrate sono forse il particolare che balza più all'occhio dell'intera casa, ma non solo l'unico: appena prima di entrare si viene accolti, oltre che da un vasto giardino ben curato, da una piscina aperta e da una terrazza corredata di sedie, sdraio e divanetti a piacere. La temperatura dell'acqua è regolata da un termostato interno alla casa che consente facili sguazzate anche d'inverno.




    Piano Terra
    L'entrata è situata a lato delle vetrate centrali dell'edificio, scorrevoli per permetterne l'apertura nei mesi estivi, ed è composta da una porta di vetro trasparente blindato e legno dotata di chiusura di sicurezza e robusto chiavistello per i casi di estrema necessità.
    Non appena entrati, davanti all'ingresso si possono trovare le scale che danno accesso al piano superiore e inferiore, mentre a destra e a sinistra sono posizionati rispettivamente il salotto e la cucina.

    Destra:
    Il salotto rispecchia l'ambiente esterno, moderno, comodo e tutto sommato modesto. Nell'ambiente sono presenti i divani in pelle bianca, i divanetti, un tavolino munito di posacenere e qualche rivista davanti ai quali fa bella mostra di sè un televisore da 52 pollici posizionato a muro. Nello spazio sottostante, console di nuova generazione e giochi. Nell'angolo sinistro del salotto, fa la sua apparizione il caminetto incassato in una parete in finta muratura.
    Nell'area di passaggio è posizionato un pianoforte a coda.



    Sinistra:
    La cucina è rialzata, spaziosa e illuminata in legno color mogano, con l'isola centrale che fa da tavolo da cucina e da pranzo. Nello spazio ribassato troviamo un tavolo di metallo e vetro a otto posti con sedie.
    Nel frigorifero non manca mai nulla. Subito accanto ai ripiani della cucina c'è comunque una comoda stanzetta preposta a dispensa.



    Dietro le scale c'è un piccolo bagno per gli ospiti, con accesso sia dal salotto che dalla cucina. Bianco, è ben illuminato e ottimamente disposto, con lavabo, toilette e vasca.




    1° Piano

    Appena salite le scale di legno, ci si trova di fronte ad un corridoio che conduce a destra e a sinistra.

    Destra:
    Qui c'è la camera di Raven, con parquet e mobili scuri, vetrate oscurabili e letto spesso con lenzuola rosse. Accostate alla parete di fondo, la scrivania con l'ultimo modello di portatile e la rastrelliera con l'irrinunciabile chitarra elettrica cerulea. Sulla parete di destra si apre la porta per il bagno patronale, mentre su quella sinistra, rispettivamente, il camino, la porta scorrevole per il balcone e sul fondo, quella che da accesso al guardaroba.



    Il bagno patronale bianco, con rifiniture e piastrelle color malva, risulta enorme e contiene sia la lavanderia che tutti i beni di piacere del proprietario. Seminascosti dietro la porta, il cesto della biancheria, la lavatrice e l'asciugatrice. E' dotato di lavabo, con doccia a vista disposta subito accanto.



    Il guardaroba è una stanza lunga e stretta, priva di optional e tappeti, con uno specchio di fondo e le pareti tappezzate di armadi con chiusura scorrevole e ante trasparenti: niente vetri, solo luce artificiale leggera e diffusa. In mancanza dell'illuminazione, la stanza è completamente immersa nel buio.



    Il balcone è un semplice balcone, con l'unica particolarità di essere dotato di comode sedute e di una vista panoramica sulla città. Calmo e silenzioso.

    Sinistra:
    A sinistra della scala si aprono due stanze: uno studio e la stanza per gli ospiti.
    Lo studio funge da biblioteca, dallo stile piuttosto classico. Le pareti sono coperte ovunque da librerie contenenti libri, con qualche comoda seduta per leggere assieme a vari tavolini, uno dei quali occupato da un moderno stereo (anche grammofono) dall'aspetto anticato su cui inserire dischi in vinile di musica classica o cd di altro genere. Il caminetto moderno è "elettrico", senza fuoco.



    L'altra stanza è invece una camera per gli ospiti: anche se accogliente, è più anonima del resto della casa. Contiene un bagno a sè stante.



    Piano Interrato
    Scendendo lungo le scale che vanno verso il piano interrato si possono trovare due ambienti, a loro volta divisi a metà.

    Destra del pianerottolo:
    Sala di registrazione: un'enorme stanza piena di congegni elettronici, strumentazione, cavi, microfoni e ogni ben di Dio un musicista indipendente possa desiderare. Raven viene spesso in questa sala a lavorare quando non riesce a dormire, per cui, nell'angolo vicino alla porta, è stato anche disposto un divano letto per sfruttare velocemente i casi di sonnolenza improvvisa.



    All'interno della sala di registrazione c'è una saletta più piccola, contenente una palestra, ristretta ma funzionale.



    Sinistra del pianerottolo:

    Alla sinistra del pianerottolo è presente l'unico ambiente ad accesso limitato della casa: l'ambulatorio e l'obitorio.
    L'ambulatorio è moderno, liberamente raggiungibile dalle scale dato non contiene nulla di anomalo. Al suo interno risiede tutta l'attrezzatura medica.



    L'altra metà è occupata dall'obitorio, l'unico ambiente a cui è assolutamente vietato l'accesso a chiunque. Il solo modo per raggiungerlo è dall'esterno, tramite la rampa che porta al garage, o dall'interno dell'ambulatorio, ed in entrambi i casi le porte sono blindate e protette da un codice di sicurezza che solo il proprietario conosce. Non bastasse, l'obitorio è, per forza di cose, a tenuta stagna, nonchè il luogo più fresco dell'intera villa: questo significa che non vi si può entrare con poteri come forma gassosa e simili, nel caso qualche creatura volesse ficcanasare.
    Qui Raven conserva i cadaveri delle vittime di cui non riesce immediatamente a liberarsi: l'intero luogo è accuratamente sterilizzato e all'apparenza perfettamente asettico, illuminatissimo, adatto ad accogliere molti corpi senza poi lasciarne traccia.



    N.B.: tutte le zone in legno della casa (parquet, mobilio, ecc) sono state trattate a colpi di impregnanti chimici e incanti per NON infiammarsi. Anche i vetri, considerando la loro natura, sono anti-incendio. E' inutile tentare di appiccare fuoco alla casa, si fa prima a sradicarla dalle fondamenta che a ridurla in cenere come la precedente.




    Edited by 'Raven' - 3/6/2020, 19:06
     
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  2. Midnight_Rose
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    continua da qui.


    Oh, Midnight è perfettamente sveglia. Sente e vede tutto, solo lo ignora, troppo concentrata a seguire il flusso caotico d'immagini le vortica nella mente. Quanto arriva dall'esterno viene scartato, preferendo il sussurro interiore potrebbe portarla alla follia, se solo lo permettesse. Pensieri, ricordi, auspici si rincorrono per avere la meglio e stamparlesi sulla retina costringendola a fare da inerme spettatrice. Prima il volto della sorella di Raven e del piccolo pargolo nato con il suo stesso aiuto perchè la madre non ne aveva voluto sapere di recarsi in un ospedale e lei non aveva avuto cuore d'insistere avendo fatto la stessa scelta quan'era toccato a lei partorire, poi diversi spot di se stessa che perde il controllo, sopraffatta da una Fenice sempre più potente che la manipola al pari di morbida plastilina nelle occasioni più disparate ed ancora il suo piccolo Amos, gettato a terra col collo spezzato e gli occhi spenti di chi è morto. Di fondo, latente come una melodia lontana, c'è la consapevolezza la demone è tornata con la speranza la città fosse clemente e non mettesse sulla sua strada vecchie conoscenze in grado di mandare in fumo anni di lavoro costati un'immensa fatica -Raven, per la cronaca, è una di queste-, ma Nouvieille è madre matrigna che ama immensamente vedere i suoi figli soffrire, cosicché possano in tal modo pagare il loro dazio nei suoi confronti e la muta aspettativa della demone è andata in fumo. Il vero problema, però, non è tanto questa sorta di catarsi autoindotta per non collassare, è piuttosto la reazione che potrebbe avere nel momento in cui si renderà conto il caduto è veramente tornato in vita, dopo averle distrutto la sua. Insomma, hanno un conto in sospeso non proprio irrisorio che potrebbe anche farle desiderare di rispedire l'angelo nero nell'inferno dal quale è saltato fuori. Lui se ne dovrà preoccupare a tempo debito, per il momento la donna è innocua e risponde ben poco agli stimoli esterni. Alcuni, però, sembrano riuscire a superare la barricata che ha eretto tra sé ed il mondo. La sensibilità di cui è dotata percepisce chiaramente l'attivazione dell'oggetto magico, facendola irrigidire non appena entra in contatto con l'aura oscura che lo permea. Freme, agitandosi appena tra le braccia maschili, individuandola in modo del tutto inconscio come qualcosa di pericoloso, opprimente, angosciante. Eppure non la scaccia, un po' perchè è tutto troppo lontano ed inafferrabile nelle sue percezioni ed un po' perchè la sente tramutarsi in un tepore indirizzato al suo fianco ferito e lì iniziare a lavorare per migliorarne le condizioni. Vogliamo parlare, poi, del bruciore intenso che le dilania il lato destro quando l'altro ha la fantastica idea di versarci sopra una buona dose di liquore la cui gradazione alcolica deve essere ben oltre i limiti legalmente consentiti? Ha l'impressione il fianco le vada a fuoco ed imprecherebbe se non imperversasse in quello stato stranissimo, a metà tra la presenza e l'assenza. Certo, le sta evitando infezioni della peggior razza, ma la delicatezza è nella polarità opposta a quella del caduto. È una signora, dopotutto! L'improvviso bruciore è in grado di farla riavere un poco. Biascica qualcosa di non ben comprensibile che suona come una maledizione affatto delle più delicate. Nel limbo in cui s'è cacciata fanno breccia le sue ultime parole che le comunicano l'intenzione di levare le tende. Sfruttando quel poco di capacità cognitive le sono rimaste, scosse e riattivate poco prima, si limita ad un breve cenno di assenso del capo. Sì, levarsi da quel lurido retro è l'idea migliore. Hanno già avuto spettatori in abbondanza, quando ancora erano due semplici teste calde sconosciute l'una all'altro. Meglio ridurre al minimo le possibilità di altre interferenze. Ne avranno abbastanza nel tenersi testa reciprocamente. L'ultima cosa che le giunge dall'esterno è il freddo, l'aria gelata che la schiaffeggia quando le ali piumate del caduto si aprono e lui spicca il volo reggendola in braccio infagottata nel trench che le fa da coperta, ma non è sufficiente. L'istinto, vigile e ben presente, reagisce ed alza di qualche grado la temperatura interna, scaldandola e scaldando anche lui. Non conosce la mete, né le interessa. Passiva, attende con una pazienza sviluppata nel lungo tempo di prigionia per mano della Fenice quel processo di riaffiorar del passato termini da sé, facendola tornare in grado di intendere e volere. Intanto riposa per quel che può, sussultando di tanto in tanto quando le appare qualcosa di particolarmente doloroso o quando i movimenti del caduto le generano fitte al fianco.

    Gli s'abbandona addosso, chiudendo gli occhi e restando in balia dell'altrui volontà. Il ciondolo attenua la gravità della sua ferita ed il distacco s'è imposta verso il resto del mondo le dona, a poco a poco, un minimo di tranquillità. L'aria fresca le carezza il viso, gli odori della notte le pungolano le narici sensibili comunicandole dalla zona malfamata della città, si stanno spostando verso il centro. Potrebbe percorrere quelle vie solo facendosi guidare dall'olfatto, tanto bene le conosce nei minimi dettagli. Le giunge il profumo di pane, o forse è qualcosa di più dolce, che le fa brontolare lo stomaco. Quante ore prima ha messo qualcosa sotto i denti? Troppe, conoscendosi e si nota. Pesa meno del solito, è dimagrita notevolmente nel periodo d'assenza e forse lui se ne stupirà, ricordandola più piena e formosa. Non che adesso sia pelle ed ossa, ma è notevolmente più asciutta, d'altronde una dieta fatta di pasti sporadici e magri, sigarette ed alcool farebbe dimagrire chiunque. Il cibo dal punto di vista della demone non è una priorità assoluta. Insomma, se ne può fare anche a meno, no? Mh, più o meno...
    Fuori dal tempo e dallo spazio, riapre gli occhi solo dopo si sono fermati, giunti in un luogo che non conosce né riconosce. Guarda prima lui, come a porgli silenziosamente una moltitudine di domande in un solo sguardo, e poi sospira. Il tepore circostante la rinfranca un poco, sebbene la diffidenza inizi a montare e Midnight teme di essere caduta in un'ennesima trappola ad opera del caduto.
     
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    Quando arrivò a casa, trascinandosi per una portineria vuota e in un ascensore di vetro che iniziò a salire al solo sfiorare il bottone giusto, fu il tepore ad accoglierlo, ancor più di quello prodotto dalla demone avvoltolata nel trench di lana. Le sue solide abitudini, a parte qualche smacco, non avevano ricevuto una sola modifica ed inoltre gli era sempre piaciuto potersi concentrare avvolto dall'aria calda, chiuso in un nido di vetro e metallo di cui si poteva dire tutto, ma non che fosse freddo. Vuoto, quello era un punto di vista: l'apertura della porta blindata del suo appartamento rivelava notevoli mancanze in alcuni punti, più grandi ammassamenti in altri, tanto da creare un panorama ambiguo e diversificato ovunque si potesse posare gli occhi. Una sola questione d'abitudine.
    La bambina si era già accorta da un pezzo che qualcuno era alla porta, perchè la trovò ad attenderlo con un paio di mani incandescenti come le aveva insegnato, in via di raffreddamento solo perchè aveva sentito le chiavi girare nella serratura. Lei però non s'aspettava di trovare sì suo padre, ma con in braccio una sconosciuta ferita e provata.
    Non è cibo la ammonì, prima la piccola tentasse di addentare Midnight. D'altra parte, il piccolo angelo nero sangue del suo sangue fu lesto a capire, e andò verso la cornetta del telefono aspettando le parole del padre.
    Brava. Chiama lo zio, digli che almeno per stasera stai da lui.
    Non la sentì fare storie, la compagnia di Bret la divertiva. L'osservatore era bravo coi bambini e non lo nascondeva, e inoltre poteva avere il piacere di familiarizzare con un cucciolo di una razza che aveva studiato solo sotto certi aspetti. Mentre lui riponeva la demone sul divano, il ciondolo ancora al collo, la porta suonò: corse ad aiutare la figlia, poi tornò trafelato dopo un velocissimo scambio di parole che fecero intendere allo "zio" la situazione.
    Quando la porta si richiuse, finalmente furono soli in casa, Raven e Midnight. Lei, semicosciente, si lamentava a tratti, inveiva debolmente, biascicava. L'angelo ignorò tutto questo, andando piuttosto a recuperare coperte, garze e tutta la fornitura medica di cui era dotato per le visite in casa.
    Dovendo servirsi di un ambiente sterile, optò per lo studio medico, dotato di lettino e di una certa vicinanza a tutto ciò che gli serviva per operare sulle ferite e disinfettare anche le proprie. Accese le luci, buttò sul freddo materassino e sulla carta che lo copriva una coperta e, tornato al divano, risollevò in braccio la demone, deponendola lì e coprendola con un'ulteriore strato di pile. Fece in modo che niente s'attaccasse alla ferita, scostando il maglione per vederne le condizioni. Non stava andando male.
    Non sapeva dove avesse trovato la forza di tornare a casa con la faccia bruciata, ma la maschera stava iniziando a diventargli scomoda, maggiorandogli le bruciature e creandogli escoriazioni laddove sentiva uscire il liquido, acqua e plasma solitamente contenute nell'epidermide ma ora costrette ad uscire dai tessuti essicati. Mentre l'oggetto curava la sua improvvisata paziente, decise di dedicarsi velocemente un momento, andando al lavabo dello studio per prenderne il disinfettante e versarne una generosa quantità su tutta la parte inferiore del braccio colpito dai rovi.
    Tenne i denti stretti davanti al bruciore, pulendo con un pezzo di garza. Successivamente applicò uno spesso strato di preparato antisettico, tirato fuori da un cassetto nelle vicinanze, e bendò velocemente il tutto fermando la fasciatura con un pezzo di cerotto per medicazioni.
    Controllò anche la ferita al fianco, quella provocata dalla scheggia di cassetta. Più di applicare del disinfettante, non poteva fare: gli sarebbe servito del tempo per estrarre tutti i pezzi di legno che si sentiva conficcati nella carne, e la luce dello studio non bastava. Anche lì, coprì con un pezzo di garza piegata in due e fermò con altro cerotto medico. Buttò la maschera sulla scrivania, passando alle bruciature in faccia. Per prima cosa, evitò qualsiasi tipo di disinfettante prima di finire a svenire dal dolore: le rinfrescò con del ghiaccio preso in cucina e le coprì con una pomata apposita, mordendosi la lingua durante tutto il procedimento. Non potendosi fasciare anche il volto, utilizzò altra garza per coprire dove poteva, premendola semplicemente su naso, guance e mento. Non ebbe bisogno di fermarle con nulla in questo caso, aderirono perfettamente senza bisogno di altro fastidiosissimo, e in quel caso dolorosissimo, scotch.
    Arrivò anche il turno della demone, e l'angelo constatò che l'oggetto aveva quasi completato la sua opera di risanamento: tastando in cerca di gonfiore attorno all'area, constatò l'emorrargia si era in parte bloccata e la ferita risultava rimarginata nella parte più profonda, e non infetta, ma i lembi erano ancora separati negli strati più alti del derma e avrebbe dovuto dare dei punti perchè guarisse bene. Quanto al danno alla spalla, quello era praticamente irrisorio.
    Dal pacco chiuso in un cassetto tirò fuori dei guanti, indossandoli con la velocità di chi lo fa ogni giorno nella sua vita. Ne aprì un altro, questa volta sterile, tirandone fuori piccoli sacchetti di strumenti passati in autoclave, aprendoli facilmente sul bordo. Riversò le innumerevoli pinze, forbici e diversi tipi di aghi in un vassoio che teneva preparato sempre nei pressi del lettino, elevato su un carrellino di acciaio inossidabile.
    Prese una pinza foerster, fermando nella sua presa un'altra garza ripiegata con cura. La passò prima dentro e poi sopra l'esteso taglio che aveva causato con Legione, pulendo in tal modo la ferita con la merbromina, un antisettico comunemente definito come "mercurio cromo". Finito questo, pulì l'eccesso con attenzione, preparò un filo da sutura assorbibile (in poliestere, materiale che valutava migliore) e lo infilò con cautela in un ago da sutura atraumatico. Li mise momentaneamente al bando solo per preparare anche una siringa e una buona dose di anestetico locale, che le iniettò immediatamente valutando la dose a seconda del calore corporeo e del tempo che avrebbe impiegato a bruciare.
    Riprendendo in mano l'ago, aiutandosi con una pinza porta aghi, iniziò a far passare la sutura. Aveva scelto di fargliene una continua con punti a U orizzontale, la più veloce e generalmente anche la più adatta. L'unica pecca? Facile da rompere. La rinforzò perchè non si sciogliesse davanti ad eventuali tensioni.
    Tempo una mezz'ora, e concluse il tutto chiudendolo con un cerottone medico dalla grandezza considerevole. Fatto questo fu libero di medicarle il braccio e di riportarla sul divano, lasciandola lì.
    Se ne tornò in studio, finalmente, dovendo pulire e gettare un po' di materiale nel cestino dei rifiuti a potenziale rischio biologico. In breve prese una bacinella, qualche pinza e poco altro. Controllò di aver chiuso bene la porta, estrasse le chiavi dalla serratura e salì in bagno per finire il lavoro con tutte le schegge che ancora gli erano rimaste nel fianco, tra vetro e legno. Già che c'era, decise, si sarebbe anche fatto una doccia e un caffè, e magari avrebbe preparato qualcosa da mangiare.
     
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  4. Midnight_Rose
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    Filtrare tutto attraverso il vago velo di protezione che ha frapposto tra sé ed il mondo le permette di non subire tutta una serie di attacchi esterni potenzialmente letali per il precario equilibrio in cui si trovava. Cosciente e vigile, la demone non si può dire risponda agli stimoli, ma recepisce ed archivia quanto necessario in modo da poterlo riutilizzare non appena deciderà sia arrivato il momento di sciogliere il silenzio. Assimila solo lo stretto indispensabile, tralasciando dettagli insignificanti come la scelta dell'arredamento effettuata dal caduto, od il trovare tremendamente strano il succedersi di zone zeppe di mobili ed altre quasi vuote. Piuttosto si concentra sul volto della piccola che le si para davanti non appena la porta dell'appartamento viene aperta, memorizzando quel che può prima sparisca dietro un angolo e sul fatto debba essere ammonita di non tentare un azzanno ad una sua coscia con la quale, per altro, si sfamerebbe ben poco date le dimensioni non proprio massicce. Ciò che la colpisce di più è la latente sensazione non bene identificabile che l'avvolge che non proviene dall'interno, ma dall'esterno e che le fa intuire ci sia qualcosa di strano tra le mura in cui si trova. Cosa, non le è dato sapere né le interessa. Almeno per adesso. Sebbene il suo istinto le dica di non fidarsi del caduto, da lui sente pervenire tutt'altro che cattive intenzioni e quindi si permette di rimanere rincantucciata in se stessa, senza dargli motivo di temere qualche subitaneo colpo di testa. D'altronde l'alternativa sarebbe una sfuoriata in piena regola, ammesso riesca a farsela bastare, con conseguenze difficilmente prestabilibili ancche dalla stessa demone. Piuttosto, si rende conto, Raven pare intenzionato a rimetterla in sesto. Prima il ciondolo guaritore ed adesso le sue attenzioni di medico. Medico? Lo ricorda a far soldi tra dischi e mixer, non tra fasciature e saturazioni. Si cambia e lei ne è un esempio. In quello stato di semiveglia, gli permette di prenderla e posarla, scoprirla e scrutarla con l'occhio clinico di chi sa il fatto suo, reagendo al massimo con mormorii di varia natura quando le mani maschili si muovono con troppa convinzione sulle zone ferite e quando la siringa punge la pelle per inettarle una buona dose di antidolorifico. Odor di disinfettante ed oggetti sterilizzati ad impregnare l'aria, silenzio protratto ad accompagnar un'intensa concentrazione, dettagli captati dallo sguardo vacuo a farle credere per qualche istante sia finita in una sorta di piccolo ambulatorio. In effetti è proprio dove si trova. Fortuna l'angelo non ha avuto la brillante idea di portarla in ospedale, tra il viscerale odio prova nei confronti di chi indossa un camice e la calma solo apparente che s'impone, avrebbe rischiato di scatenare un piccolo inferno tra corridoi anonimi e pazienti innocenti.
    Ricucita, disinfettata e deposta sullo stesso divano su cui ha stazionato almeno una mezz'oretta prima, Midnight viene lasciata sola a far di sé quel che meglio crede. In uno scorrere di tempo difficilmente quantificabile, avvolta in un pile che le rimanda indietro il suo stesso calore, confortata dalla quiete persistente e dall'assenza momentanea del caduto, inizia ad uscire dal bozzolo sicuro che si è creata. Timidamente, come un bruco che esce dal proprio bocciolo per mostrarsi farfalla, gli occhi le si riempiono di quella stilla d'ardore che tanto la contraddistingue e che significa è tornata. Si prende i propri tempi, intervallati da lunghi respiri di diaframma che permettono al corpo di ristabilire un buon livello di stabilità fisica ed emotiva. Passa qualche minuto, poi scivola giù dal divano e si scopre, mettendosi seduta sul pavimento a gambe incrociate, nella posizione conosciuta con il nome di “fiore di loto”: la schiena dritta, i palmi rivolti verso l'alto poggiati sulle ginocchia, pollice ed indice a sfiorarsi in una posa ferma. Ha imparato la meditazione è la panacea di molti dei suoi mali ed ormai l'utilizza come farebbe con un medicinale, per curarsi a fondo. Inspira ed espira con cadenza regolare, purificando l'aria che immette e riversando all'esterno il corrotto che la divora dall'interno. Disconnette per qualche attimo la mente, chiudendo gli occhi ed obbligandosi a dimenticare dove si trova, a chi appartenga quella casa, a cosa provi nei suoi confronti. Retrocede allo stato essenziale, dove non esiste nulla al di fuori del nucleo luminoso che è la sua interiorità, liberandosi delle zavorre emotive che la rendono tanto suscettibile e fallace. Ad avvolgerla c'è solo il nero materno ed una pace immensa, dove non c'è spazio né per i rimorsi né per la rabbia. Trascorre così alcuni minuti, sufficienti a permetterle di riaprire gli occhi ben più salda sui propri cardini di quanto non fosse quando li ha chiusi. E dire all'inizio è stata tremendamente scettica, non riuscendo quasi a credere la soluzione potesse essere trovata dentro e non fuori. Il suo maestro, un santone conosciuto almeno un paio di anni addietro, aveva dovuto penare per farle comprendere questa verità e lei aveva dovuto penare altrettanto per assimilarla ed impadronirsene. Sebbene sia consapevole di essere agli inizi di un lungo percorso, nota come queste brevi immersioni purificatrici -così le è stato detto si chiamano- siano in grado di rimetterla in sesto per buona parte anche nelle situazioni più difficili. Niente di miracoloso, ovviamente. A guardarla in faccia, tra pallore evidente ed occhiaie accentuate, si direbbe ha risolto ben poco, ma l'apparenza è un'ottima ingannatrice. Sapere quanto questa momentanea stabilità durerà non appena il caduto si farà vivo, è questione di tutt'altro genere.
    Si ritrova sola in casa d'altri, con addosso un maglione appiccicoso del suo stesso sangue che da tenere addosso non è proprio un piacere e la fatidica domanda: cosa fare? Si tasta distratta le ferite curate, sbirciando sotto le fasciatura e notando un lavoro a regola d'arte sicuramente portato a termine da mani esperte, mentre cerca una soluzione. Vorrebbe togliersi gli indumenti sporchi, ma non ne ha di ricambio e chiederli al padrone di casa è fuori discussione. Getta un'occhiata alla porta d'ingresso alle sue spalle: le chiavi sono sparite e la serratura è stata chiusa a doppia mandata. Raven, forse, vuole evitarle la fuga. In tutto quel nero e bianco, che le da' l'impressione di essere finita in una scacchiera da dama, la vetrata ha difronte potrebbe fungere da ottima via di fuga. Ha recuperato un po' di forze ed ammantata dal buio crede di poter riuscire a spiccare il volo e raggiungere casa senza troppi problemi. S'è trovata in situazioni peggiori e n'è uscita salva -sana un po' meno. Tenta di mettersi in piedi e ci riesce solo al secondo tentativo, per di più reggendosi al divano, resa incerta sulle gambe dalla buona quantità di energia e sangue sperperati. Arriva davanti alle enormi finestre, passa qualche attimo a seguire con lo sguardo stanco le moltitudini di luci che si perdono all'orizzonte, delineando profili di palazzi più o meno aristocratici, più o meno moderni. Incrocia le braccia sotto i seni, sentendo oltre il maglione le scaglie solide dei suoi innesti ricordarle non sono solo un brutto sogno. Il caduto deve averli visti quando ha scostato il tessuto per curare la ferita dato si estendono almeno per tutto il costato del lato sinistro. Chissà se ha provato ribrezzo come lei, ogni volta che li vede. Scaccia il pensiero, scuotendo il capo e regalandosi un'altra vertigine. Si lascia distrarre dal cielo puntellato di stelle, senza una nuvola, cercando tra quei disegni di luce soffusa la scelta giusta.
     
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    Aveva molte cicatrici ch'erano scomparse, più o meno, col passare del tempo. Le suture di una morte immemorabile sulle braccia e sul torace erano sbiadite, visibili solo in controluce, e i segni della sbarra di ferro sopra cui era stato impalato o degli artigli della demone infilati nella carne del ventre da parte a parte avevano fatto la stessa fine - perchè nulla riusciva a permanere a lungo sul suo corpo, probabilmente a causa della rigenerazione. Tutto ciò che restava del tempo era la croce che si sarebbe sempre portato tra le scapole e le ali lasciate cadere a terra, e la cicatrice che portava sul cuore, memoria del giorno in cui si era fatto uccidere.
    Raven sapeva che gli specchi non avevano pietà per nessuno, eppure non poteva fare a meno di guardare e vedere, vedersi. Non importava che il bagno fosse illuminato dall'abbacinante bianco di cui era composto anche nel pieno della notte, grazie alle tenui luminarie giallastre poste sul soffitto, o che tutto attorno a lui fosse lindo, pulito e perfetto. Lui non lo era. Non era una superficie di marmo facile da sbiancare, e aveva le ali a provarlo. E per quanto il corpo potesse cancellare le ferite, questo non significava non fossero mai state inferte. Poteva certo illudersi di non averle mai ricevute, ma ci sarebbero state malgrado la sua volontà.
    E ci sarebbe stato chi le aveva inflitte, e viste.
    Gettò la bacinella piena di schegge nel lavandino schizzato di sangue, a cui diede una risciacquata. Col viso torvo, iniziò a togliere i vestiti che gli rimanevano e che infilò subito nella lavatrice già mezza piena, di cui chiuse lo sportello e avviò il programma. Definirlo un uomo di casa era forse un azzardo, ma di certo occuparsi dell'appartamento gli liberava la mente laddove nient'altro poteva aiutarlo. Cucinare, pulire, lavare, stirare... avrebbe potuto permettersi una domestica, e in effetti se la permetteva, ma preferiva occuparsene da solo - altrimenti, per quale motivo aveva imparato a piegare i lenzuoli e gli asciugamani da sè?
    La vasca lo attendeva bollente lì accanto, l'unica cosa che desiderasse raggiungere in quel momento. L'abbraccio dell'acqua gli era di sollievo, e malgrado gli lambisse le ferite, lo trovò accogliente, come se fosse un ospite gradito e atteso alla porta di un amico. Una bacinella di ghiaccio per la faccia ustionata lo attendeva lì accanto. Non appena avesse riavuto indietro il proprio amuleto, si sarebbe liberato di quello scomodo inconveniente.
    Passò del tempo a rilassarsi, prima di decidere fosse il momento di riprendersi e tornare da basso, sia per controllare le condizioni della demone, sia per riparare alla stanchezza e alla fame. Uscì, asciugandosi bene le ali e il resto, e terminò le ultime medicazioni, applicandosi un grosso cerotto al fianco sinistro e una spessa fasciatura al braccio destro, che partiva dal polso salendo fin quasi alla spalla. Aveva dovuto chiudere ogni foro di spina con un punto per evitare che i buchi si allargassero o approfondissero, e doveva ammettere che la pianta era arrivata molto vicina alla vena, ma aveva provato di peggio e per lo meno la mobilità non era compromessa.
    Con un asciugamano in testa, si diresse nella camera alla ricerca di un paio di pantaloni di tuta, trovandoli appoggiati ad una sedia poco distante dall'entrata, abbandonata nell'immenso spazio desolato della stanza. Prese l'intimo dall'armadio e indossò quello e i larghi pantaloni scuri, ma rinunciò alla maglietta per potersi sgranchire le ali. Sempre nell'armadio, prese una maglia a maniche lunghe e un altro paio di pantaloni in pile, infilandoseli sottobraccio per portarseli dietro. Si sistemò l'asciugamano al collo, e coi capelli ancora gocciolanti tornò al piano di sotto.

    Non lo sorprese il trovarla davanti alle vetrate, scendendo, sia perchè offrivano un bellissimo panorama, sia perchè sembravano un ottimo punto da cui attuare la fuga. Questo almeno, all'apparenza: erano di vetro spesso, non impossibile da rompere ma costruito perchè ci fosse un solo punto in cui risultavano strutturalmente più deboli. L'angelo lo conosceva bene, nel caso venisse attaccato in casa e dovesse precipitarsi in una rocambolesca fuga dai piani alti. La demone, no.
    Non puoi sfondarle le comunicò con tranquillità, scendendo lungo gli ultimi scalini. Si fermò davanti allo schienale del divano, poggiò i vestiti accuratamente ripiegati che si era portato dietro per lei e poi riprese il cammino verso la cucina, le ali troppo grandi anche da ripiegate che struciavano per terra dietro di lui.
    Quelli sono per te.
    Il riverbero rosso nella mano indicava che si era portato dietro il pugnale, non perchè temesse la demone ma semplicemente per precauzione. Non era stupido, sapeva cos'avrebbe potuto fargli, ed esattamente per gli stessi motivi il parquet di tutte le stanze era stato trattato in modo da essere inifugo. Non i mobili, purtroppo. Lasciò Legione sul tavolo del cucinino, stiracchiandosi; poi si abbassò ad aprire un'anta, prese un barattolo di caffè ed iniziò a prepararsi la macchinetta, tirando fuori anche una padella e una pentola fonda nel frattempo.
    Pronta la prima, la mise sul gas ad aspettare il caffè salisse. Nella seconda preparò un soffritto, nella terza dell'acqua che mise a bollire. Attendendo, dando la schiena a Midnight, si toccò nel frattempo la faccia ancora coperta di garze, ben poco felice del risultato. Avrebbe voluto strapparsele via immediatamente, ma non prima di aver riottenuto il ciondolo. E quanto a lei? Curandola le aveva visto un massacro addosso, fatto di piastre in metallo e carne cicatrizzata, a cui in verità aveva dato un minimo peso dato lui, prima degli altri, non era tutta questa gran bella visione di pelle perfetta. Si chiese per un attimo cosa potessero averle fatto, domanda che scacciò immediatamente.
    Potresti ridarmi il mio opale? chiese, tornando in fretta ad armeggiare coi fornelli e con la macchinetta che soffiava e ribolliva, segno che il caffè era pronto. Si prese una tazza e se ne versò una generosa dose, zuccherandola abbondantemente grazie ai barattoli di vetro tenuti in ordine sul piano della cucina, prendendone una a parte per lei, che riempì allo stesso modo. La posò sul tavolo, vicino al pugnale ma non tanto da far pensare ad una minaccia.
    Hai fame?
     
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  6. Midnight_Rose
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    Lo sente arrivare percependolo come uno sfrigolare alla nuca accompagnato da una stretta allo stomaco. Socchiude gli occhi, si concentra sulla sensazione. Ricorda ancora quando la presenza del caduto le causava un forte fastidio, quasi ne fosse allergica, tanto da cozzare con la sua sensibile empatia e rimandarle indietro un guazzabuglio amorfo di emozioni affatto piacevoli. L'aura di Raven, una sorta di gelatina molesta in grado di attaccarlesi addosso e ben difficile da staccare. Ma adesso, mentre si domanda silenziosa quanto lui sia cambiato, si rende conto anche questo è mutato: sente chiaramente l'altrui essenza essere tinta di colori tutt'altro che sgargianti, eppure mentirebbe se dicesse di esserne infastidita. Ciò, ovviamente, nulla a che a che vedere con la malsana voglia che ha di rifargli i connotati per averla trattata al pari di una bambola, usata e poi lasciata lì a riparare ai suoi danni. “Rifargli i connotati” non rende abbastanza l'idea. Quel che la demone va immaginandosi è proprio un brutale spaccargli il muso, un continuare a colpirlo con violenza fino a fargli sputare, insieme ai denti, suppliche e scuse. Spaccarsi le nocche sulla sua testaccia dura e rispedirlo dove ancora dovrebbe essere. Ucciderlo di nuovo, non per un capriccio altrui, ma per semplice vendetta. Sospira, ritenendo più importante la propria stabilità mentale che la presenza sulla Terra dell'angelo e stupendosi di averla conservata dopo averlo rivisto. Una parte di lei continua a sperare stia vivendo un sogno e presto si sveglierà, ritornando a preoccuparsi del suo prossimo lavoro e non di un caduto redivivo che lei stessa ha ammazzato.
    Un fruscio leggero alle spalle le indica l'arrivo del padrone di casa. Si volta a tre quarti, seguendo il suo spostarsi con la coda dell'occhio e cogliendo un baluginio rosso ed un tripudio di piume nere. Le ali. Almeno quelle non sono cambiate: soffici e perfette, brillano di piccole gocce d'acqua imprigionate tra una penna e l'altra e frusciano ad ogni suo passo. Ignora con dovizia l'ammonizione riguardante la vetrata, domandandosi solamente per quale motivo lui debba pensare sceglierebbe di sfondargliela per tentare la fuga, quando potrebbe fare scelte più pratiche e veloci. Evidentemente non è la sola ad usare cautela e diffidenza in abbondanza. Gli abiti puliti, invece, non può proprio ignorarli. Tenere addosso i propri inzaccherati di sangue che si sta seccando è piuttosto scomodo, oltre che poco piacevole. Così, mentre Raven si dedica alla cucina, lei si cambia. Priva di vergogna rimane in salotto, togliendosi prima i biker ed i leggings che vengono sostituiti da piedi scalzi e pantaloni troppo grandi, infine il maglione nero il cui posto è preso dalla maglia dal taglio maschile le è stata portata. Gli abiti sporchi vengono lasciati sul pavimento, ben piegati e posti in modo la parte sporca non tocchi con la superficie pulita del parquet. Ci manca solo le chieda di farle anche da donna delle pulizie, oltre che da boia forzato! Si arrotola le maniche fino ai gomiti, permettendosi movimenti meno goffi e mostrando il rincorrersi di cicatrici ed innesti elettronici nella parte sinistra. Che li veda pure, il caduto di certo è l'ultimo potrà mettersi a farle la morale e non crede gli interessi granchè di ciò che è stato da quando ha deciso di salutare la vita e gettarsi tra le braccia della morte passando per quelle della demone. Del suo ciondolo che porta ancora al collo si rende conto solo quando lui glielo chiede indietro, allora armeggia un po' per sganciarlo e lo posa sul tavolo accanto al pugnale che riconosce essere il barlume rosso colto prima e lo stesso col quale è stata ferita. L'averlo messo lì, in bella vista, la dice lunga. Lo fissa abbastanza a lungo per notare è stato pulito accuratamente, nemmeno un velo del suo sangue vi è rimasto sopra e per fargli capire ha colto appieno il segnale. Tuttavia non ne resta impressionata, il viso le rimane dall'espressione neutra e lei non sembra voler fomentare le loro ostilità vecchie di secoli. La distrae l'odore del caffè ed il borbottare della caffettiera che comunica ai due la calda bevanda è pronta. Se c'è una cosa che in tutto quel tempo non è cambiata è l'incapacità della demone di dire di no ad un caffè bollente, soprattutto dopo averle date e prese di santa ragione. Accetta con un silente gesto del capo la tazza, la stringe con entrambe le mani che iniziano subito ad assorbirne il calore, provocandole un piccolo moto di piacere. Sorseggia con calma, prendendo le distanze dalla cucina e tornando alla vetrata dov'è stata fino a poco prima. Si poggia con la spalla destra ad uno degli stipiti. Torna a guardare fuori, a perdersi tra le mille luci della notte e si fa sentire solo per un leggero No, grazie in risposta al suo chiederle se abbia fame. Come lui possa pensare a preparare la cena le è oscuro, ma dal profumo intenso del trito che sfrigola in padella pare proprio non stia scherzando. In risposta al profumino invitante lo stomaco le borbotta appena, senza essere degnato della minima attenzione. Midnight è presa dalle sue riflessioni. Sta forse fingendo nulla sia successo? Potrebbe anche darsi sia la scelta migliore, anche perchè l'alternativa sarebbe tornare a tentare vicendevolmente di farsi fuori -tanto per cambiare. Eppure crede le debba almeno qualche spiegazione, qualche valida ragione perchè smetta di credere si sia davvero divertito ad usarla avendo visto un minimo di disponibilità. Sorride, amara. Cosa può aspettarsi da un angelo nero? È già rimasta abbastanza stupita abbia deciso di portarsela a casa e curarla, invece di lasciarla lì a morire per dissanguamento.
    Si ritrova la tazza vuota tra le mani, ritornando tra le mura della casa di Raven solo in quel momento. Torna in cucina, la posa sul tavolo e scruta per un attimo lui e le sue splendide ali che può ammirare appieno perchè le sta dando la schiena. Ti ringrazio per le cure e gli abiti. inizia, sorprendendosi a desiderare di affondare le mani tra quelle piume e toccarlo per avere la certezza sia vero Devo tornare a casa. taglienti, le ultime parole non escono come una richiesta quanto più simili ad un ordine, in realtà impartito più a se stessa che all'angelo. Allontanandosi forse le sarà più facile accettare il suo ritorno, che non standogli a portata di mano. Lo guarda senza esitazione, ma nel profondo dei suoi occhi castani c'è una scintilla per niente in sintonia con lo sguardo deciso.
     
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    Mentre rimescolava l'olio e l'aglio nella padella, che stava diventando dorato e quindi quasi pronto da togliere, l'angelo rifletteva attentamente su tutto ciò che aveva trascorso dagli inizi fino a quell'arrivo. La demone per lui era sempre stata una nemica, salvo un paio di volte in cui s'era concesso di mostrarsi sotto altre vesti, quelle del ragazzo spensierato, sorridente, gioviale che era e non del caduto implacabile e irritabile. Aveva condiviso con piacere quel tempo, e ricordava ancora, anzi, teneva via il paio d'occhiali luminosi con cui s'era tanto divertito in quella serata di pazzie. Era stata una breve pausa, una liberazione dello spirito, un godersi la vita senza troppi impegni e troppo sforzo. Allora lo faceva sempre, almeno finchè il male che Sara non era riuscita a curargli del tutto non lo aveva preso di nuovo, mutato in qualcosa di ben più oscuro che una semplice malattia della carne. Da lì era cambiato qualcosa, non sapeva se dentro di lui o fuori, perchè aveva pensato a malapena, ragionando con fatica, abbandonato alle braccia di un'inconsapevolezza animale. Ricordava assieme il rammarico di non potersi più mostrare umano nell'aspetto e il profondo piacere di non pensare più a nulla, almeno non più di quanto facesse un animale. Mangiava, sopravviveva, diventato un mostro di cui l'ultimo suo barlume di coscienza era terrorizzato e compiaciuto al tempo stesso. Non sapeva se poteva dirsi ancora lui, ancora Raven, quando il nero l'aveva portato via. Semplicemente, ricordava che era stato lui a spingerle la mano dentro il proprio torace, chiudendo la propria esistenza così.
    Non avrebbe voluto tornare, e non avrebbe dovuto. Si sarebbe accontentato del riposo del limbo, il luogo in cui tornava alla morte del corpo fisico, fintanto Luce del Mattino o chi per lui gli avrebbe rifilato un calcio nel deretano. A quel punto, e forse con un corpo nuovo, avrebbe potuto riniziare una vita di malefatte giacchè il suo vecchio era irrecuperabile. O almeno così aveva creduto, prima di trovarsi di nuovo vivo, di nuovo al mondo nei suoi stessi vecchi panni - così familiari, così adorati e venerati e al tempo stesso così ristretti.
    Ora era un uomo, anche se mostrava l'aria di un ragazzo. Avrebbe voluto ridere di tutto e tornare alla sua musica e non poteva farlo, semplicemente perchè le leggi del mondo l'avevano classificato come morto e disperso. Ecco dov'era rimasta quella parte di lui, schiacciata, ancorata al passato: avvilita da quello che non poteva fare, si era ritirata come un capo lavato a novanta gradi. Tentando di cancellare il moto del fisico, i suoi antichi vizi e certe altre passioni, era rimasto a lungo via da Nouvieille. Tanto a lungo da fargli credere fossero spariti e lui, puff!, potesse rimettersi a nuovo. Sbagliato, la sirena d'allarme suonava e non si fermava, continuava a rintronarlo da lungo tempo.
    Aveva smesso solo davanti a Midnight.

    Tenne serrati i suoi pensieri quasi quanto le mascelle, mentre andava ad aprire il frigorifero per tirarne fuori del macinato, buona carne fresca comprata il giorno prima. Davanti ad altre persone, ospiti, non si permetteva di mettersi a spolpare pezzi di mani, braccia e toraci. Tutto quello di cui lui e la bambina si alimentavano in natura - perchè ormai l'abitudine era diventata una necessità insopprimibile - restava solitamente chiuso nel freezer, nascosto dietro gli spinaci precotti e le patate al forno, e a qualche sacchetto di ghiaccio, sia vero, sia artificiale. Portò il macinato e ne versò una buona dose in padella, levando intanto l'aglio, dividendolo con un mestolo. Dietro di lui, percepì il movimento della demone, il posare del suo ciondolo. Aprendo una delle mensole in alto, prese una scatola di spaghetti. Li divise sul ripiano accanto a quello di cottura, con lo stesso secco rumore che facevano le ossa quando si spezzavano, e li mise nella pentola d'acqua bollente prima di recuperare il ciondolo e la tazza di caffè.
    Se lo rimise al collo, allacciandoselo tra i capelli ancora bagnati, l'asciugamano lasciato su una spalla a fare da strofinaccio improvvisato. La cicatrice sul suo cuore - una cicatrice spessa e irregolare che si dipanava dal centro per allungare i suoi rami verso ogni direzione - svettava pallida sulla pelle, al contrario dell'impressione color mattone che portava sulla schiena. Rimase un attimo a fissare la donna, memore di quello che gli aveva detto il secondo precedente. L'aveva ringraziato, e dicendo di dover andare... ma non c'era alcun ringraziamento che potesse accettare, e se era sicuro di una cosa, quella era che non l'avrebbe lasciata uscire. Non per ora. Attivò il ciondolo, che prese a illuminarsi lievemente. A piedi nudi, il passo stanco, portò la tazza al lavabo per sciacquarla e mettere in preparazione altro caffè. Se le piaceva quasi quanto piaceva a lui, allora come minimo un'altra dose era dovuta ad entrambi.
    Non credo proprio fece in un tono che gli uscì naturalmente sarcastico, anche se non voluto. Si morse un labbro, ricordandosi che dando la schiena alla gente era più facile parlare. Non per qualche altra ora. La sutura non è ancora a posto, si spaccherà se ti sforzerai troppo. Credimi se ti dico che non ti piacerebbe affatto. Non lasciò intendere che sarebbe stato uno spettacolo interessante, ma quasi, e forse era l'unico modo per evitare che la demone facesse di testa sua.
    Tornò a dedicarsi al macinato, quasi ben cotto. Prese delle spezie, i cui dispenser erano ordinatamente posizionati su uno di quei portaoggetti a muro, e ne aggiunse a piacere, volendo qualcosa di saporito che sapesse quietare per un po' la fame. Non teneva molte piante vive in casa ma stranamente, nell'angolo più estremo della cucina sostava una piantina di menta che emanava il suo caratteristico profumo. Una volta gli era quasi morta, ma, prendendo sul serio i consigli di uno di quei giornali di giardinaggio che dicevano di parlare alle piante, l'aveva minacciata. Da quel momento la piantina era rimasta ben rigogliosa, che gli desse da bere oppure no.
    Badò alla cottura per breve tempo finchè il caffè non tornò in ebollizione, momento in cui si distolse per prendere ancora le tazze e versarne un'altra abbondante dose in entrambe. Quella della demone la posò di nuovo sul tavolo, mentre la sua se la portò alle labbra dopo averla zuccherata di nuovo, tornando a controllare la pasta e mettendo nel frattempo lo scolapasta nel lavandino.
    A quel punto si fermò, posando il contenitore sull'acciaio, rimanendo a fissare lo scarico con l'aria di chi ci trovasse qualcosa di molto interessante. Le ali suggerivano per lui un rimestare di pensieri, lievemente mosse quando qualcosa gli passava per la testa, oltre al formicolio provocato dalle cure dell'oggetto magico. Con una passata di mano, constatò le ustioni stavano guarendo abbastanza da permettergli di liberarsi delle garze. Si era concentrato sul viso, si sarebbe tenuto il resto delle bendature. Quanto a quelle in faccia, se le tolse con attenzione, ma non le buttò subito. Rimase a guardarle, ripiegandole con gesti distratti tra le mani. Cosa dirle? Che in qualità di angelo nero le era grato per avergli tolto la vita esattamente nel momento e nel modo in cui lui aveva pianificato? Considerando tutto, poteva anche esserle piaciuto, quindi non sapeva quale fosse la cosa migliore da dire.
    Avrei un paio di persone a cui devo un favore. Le uniche che non lo dovessero a lui, o quasi. Le uniche che si sarebbe costretto a ripagare: poteva anche essere un dannato, ma non si impediva di poter essere dannatamente onesto su certe cose che riguardavano sia il suo orgoglio, sia il suo onore. Tu sei una di quelle. Inspirò, espirò, si prese un altro sorso di caffè. Quindi, per favore, resta.
    Aveva l'impressione che dirle altro non sarebbe servito, non il riferirle che gli aveva evitato di diventare un mostro nè il fatto che non avrebbe dovuto, voluto essere lì al momento. Lo ammetteva, ma solo a sè stesso: la sua promessa di tornare, promessa che forse lei aveva ascoltato in punto di morte, era stata pronunciata con tutte le intenzioni di risultare vana. Eppure, era come sapesse che non gli avrebbero lasciato dormire sogni tranquilli per molto.
    Abbandonò la tazza dov'era, prendendo le presine per versare il contenuto della pentola nello scolapasta. Si assicurò che l'acqua fosse colata completamente prima di versare gli spaghetti nella pentola del soffritto, mettendo da parte quella utilizzata in precedenza. Alzò il gas, prese una bottiglia di vino bianco dal frigorifero e ne spruzzò una passata sopra cibo e condimento, aspettando evaporasse e mescolando il tutto. Quando lo reputò pronto, prese due piatti e vi versò dentro il contenuto, dandosi una dose più generosa, dose che comunque non influì sulla quantità d'avanzo.
    Un piatto lo prese per sè con una forchetta, mentre l'altro lo posò sul tavolo esattamente come aveva fatto con la seconda tazza di caffè, aggiungendo anche a quello una posata.
    Mangia fece ritirandosi da parte in piedi, in fondo dov'era la pianta di menta, e lasciandole spazio sul tavolo. L'ultima volta eri più resistente, nel combattimento. Dimagrire non ti ha fatto bene.
     
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  8. Midnight_Rose
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    Le varie opzioni la sua mente le suggerisce per spiegare il motivo per il quale il caduto è tanto intenzionato a tenersela in casa forse possono peccare di fantasia, ma di certo sono tutte caratterizzate da un profondo pessimismo di fondo. Per lei Raven rimane lo stronzo si è sempre dimostrato, quello l'ha maledetta, ha tentato di ucciderla un'infinità di volta e di portarle via il figlio, salvo poi comparirle a casa e dirle, con una faccia da schiaffi da venditore di frigoriferi agli eschimesi, di aver acquistato l'abitazione di Dante e di voler diventare suo “socio in affari”. Quindi c'è poco da stupirsi se le possibilità va paventando sono tutta una peggiore dell'altra: dal trattenerla per il solo gusto di vederla rodere nel profondo, alla variante che vuole farla arrivare al punto di ebollizione per poi farla esplodere e ricominciare a strapparsi i capelli vicendevolmente, per arrivare fino ad una qualche tortura silente e perpetuata in modo subdolo, lasciandola a riempirsi la testa di domande prive di risposta. L'accenno al doverle un favore quasi la fa ridere, magari adesso le darà anche un paio di colpetti sulla testa e se ne uscirà con qualche genialata tipo “grazie per avermi ucciso e scusa il disturbo”. Potrebbe farlo, eccome. Eppure, l'insistere per averla lì, è proprio la reazione che si è aspettata. Che le allungasse le chiavi di casa, le permettesse di aprire la porta d'ingresso e sparire nella notte non l'ha nemmeno pensato ed è certa la sutura da poco fatta sia solo una scusa. Quel che la rassicura abbastanza è percepire in lui emozioni sì contrastanti, ma che nulla hanno a che vedere con intenzioni malevole nei suoi confronti. Almeno per il momento. Frequentandolo, nel bene o nel male, ha imparato sia imprevedibile come l'oceano al largo. La domanda continua a ronzarle nella testa è: perchè tiene tanto ad averla in casa? Dovrebbe preferire anche lui averla lontana abbastanza da non dover ricordare ciò che gli ha fatto ed invece insiste per tenerla lì, tra quelle quattro mura che con tutto quel bianco quasi l'accecano.
    Si siede alla sedia posta accanto al tavolo, prendendo nuovamente tra le mani la tazza di caffè nuovamente piena e sorseggiandolo amaro, come prima. La cucina profuma di cucinato, la carne sprigiona il suo odore caratteristico aromatizzato da spezie e cipolla. Sa anche cucinare, chi lo avrebbe mai detto? Buon per la piccola ha intravisto quand'era in quello stato di coscienza latente. L'ha sentita chiamarlo “papà” e lui rivolgerlesi con un nomignolo affettuoso. Raven ha una figlia. Anche lei ha avuto un pargolo. Perchè stupirsi? Forse perchè sa c'è un altro figlio ad attenderlo, uno che non sa chi sia suo padre e la cui madre ha passato i lunghi mesi della gravidanza a piangerlo sulla spalla della demone. Un brivido le percorre la schiena, rivede il viso di quella giovane madre impaurita all'idea del parto ed i propri goffi tentativi di quietarla, di rassicurarla, di dirle sarebbe andato tutto bene perchè aveva suo fratello a vegliarla dall'alto -o dal basso? Scaccia il pensiero, ricordandosi che farsi gli affaracci propri è un principio di vita fondamentale e si porta alle labbra un altro sorso di nettare pungente ed amaro. Il silenzio si protrae per qualche minuto: lui alle prese con i fornelli e lei intenta ora ad osservargli la schiena ora a lasciare vagare lo sguardo qui e là, affatto sicura sul da farsi, innaffiando tutti quei dubbi col suo amato caffè. Intanto la pasta viene impiattata e la sua portata messale sotto il naso dalla linea delicata. L'aspetto è delizioso, il profumo invitante e la sicurezza lui non abbia aggiunto qualche strano ingrediente per avvelenarla -l'ha osservato molto attentamente- la convince possa azzardare un assaggio senza pentirsene amaramente. Posa la tazza, afferra la forchetta e gli scocca un'occhiata di ghiaccio quando gli rifila quell'ammonizione tutt'alto che carina. Ah, come se lui sia rimasto lo stesso di una volta! Solo lei sa quante volte ha tentato di farlo arrosto e non c'è andata nemmeno lontanamente vicina, mentre poche ore prima le è bastato prenderlo alla sprovvista per fargli provare l'ebrezza del viso brulé. Si morde la lingua, evitando commenti caustici e rendendosi conto abbia preso di nuovo le distanze. Si avvicina solo per brevi periodi e poi mette abbastanza metri tra sé e lei, forse per evitare che minacci la sua salute con qualche trucchetto di fuoco. No, deve esserci un motivo più forte, forse un cambiamento di fondo nel carattere misterioso del caduto. D'altronde è morto e risorto, tornato per la poca felicità degli altri e di sicuro non per la sua. Non ha l'aria di uno che stia vivendo il momento migliore della propria vita, adesso che ci fa caso. Lo scruta, la forchetta a mezz'aria, sospesa sopra il piatto. Sembra stanco, in qualche modo provato. Lascia scorrere lo sguardo tra fasciature, muscoli e cicatrici, soffermandosi per un attimo sulla cicatrice traslucida e rosata posta all'altezza del cuore. Quella che lei ha provocato. Vi si sofferma un attimo, tentenna, schiude le labbra come per dire qualcosa, ma nulla viene proferito. Alla fine riporta l'attenzione sul proprio piatto ed inizia a litigare con gli spaghetti per arrotolarli alla posata. Ne porta un modesto boccone alle labbra e lo assaggia con attenzione, concentrandosi su quella semplice operazione. Si scopre affamata ed una forchettata dopo l'altra porta il suo piatto a metà, poi lo stomaco le dice chiaramente di più non può contenere oltre e finisce il caffè rimasto nella tazza.
    Te la cavi ai fornelli. una constatazione buttata lì per spezzare il silenzio che inizia a farsi pesante tra loro. Continua a dirsi deve trovare un modo per convincerlo a lasciarla andare, troppo stanca e provata per potersi permettere qualche colpo di testa o qualche tentativo di rivoluzione violenta. Sebbene, deve ammetterlo, non la stai infastidendo più di tanto, stargli vicino significa sentire le profonde ferite invisibili dell'anima dolere tutte insieme, in un concerto di spilli che la trafiggono simultaneamente. Sposta il piatto, punta i gomiti sul piano del tavolo e sprofonda il viso nelle mani che poco dopo scivolano tra i lunghi capelli dai riflessi di fuoco. Cosa vuoi, Rave? I punti della sutura sono solo una scusa. lo guarda con occhi dolenti, permettendo a ciò che ha dentro di riversarsi nelle pupille castane. Forse così lui desisterà.
     
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    La pasta era buona, e lui era un buon cuoco quando voleva, ma ogni forchettata rischiava di andargli di traverso le volte che si trovava a posare gli occhi su Midnight. Lei, la demone, intanto stava mangiando, affamata come aveva immaginato che fosse. Ogni tanto anche la sua particolare sensibilità ai vizi tornava utile, non così spesso come avrebbe voluto e mai nel momento giusto. Come adesso.
    Il groppo alla gola non era il solo prodotto dei suoi pensieri, ma delle sensazioni che gli arrivavano dalla donna, da tutto ciò che provava verso di lui: diffidenza, a volte confusione, altre volte astio. Poteva anche andarne felice, e normalmente avrebbe potuto, ma non in questo caso, nè con questa persona davanti. Non con Midnight intenta a finire il piatto, tra uno sguardo di soppiatto e l'altro, e ad annaffiare il tutto col caffè, in una sorta di blanda calma prima dell'eventuale, probabile tempesta.
    La pasta si era raffreddata in fretta, ma a dire il vero l'angelo non ci fece caso, nè si fermò un attimo, preferendo divorare voracemente la propria portata piuttosto che fermarsi ed essere costretto a domande di qualsiasi tipo. Passando sopra la propria dignità, si sedette per terra, a gambe incrociate, poggiando il piatto vuoto sulle ginocchia quand'ebbe finito. Aprendo un cassetto lì vicino, prese un tovagliolo, si pulì accuratamente e lo ripose nel piatto, alzandosi per portarlo al lavabo con un vago cenno come risposta al "complimento" della donna.
    Non la vide sprofondare col viso tra le mani, anche se sentiva bene il peso del suo sguardo sulle spalle, e nemmeno la voleva vedere in faccia dove avrebbe potuto lasciarsi condizionare da due occhioni languidi preparati per l'occasione. Non che credesse di poterne venire traviato, ma dopotutto le donne erano e restavano una sua debolezza, e avrebbe potuto essere troppo tenero quando con loro di tenerezza non ce ne voleva per nulla. Chissà con Midnight.
    Prese dal tavolo anche il piatto vuoto di lei, tenendo gli occhi bassi e defilandosi velocemente verso il lavabo, dove iniziò a buttare, pulire e lavare. Passò velocemente tutto con la spugna, con l'accuratezza e la precisione che lo distinguevano nel suo "nuovo" lavoro, e risciaquò lentamente sotto l'acqua calda. Le sue mani si fermarono solo davanti alle parole della demone, giusto qualche secondo prima di riprendere con una calma imposta, costretta.
    Cosa voglio? chiese a sua volta, derisorio, piegando la testa verso una spalla e tendendo il muscolo fino a far schioccare una vertebra. Niente. Ma mi chiedo quali risposte tu voglia sentire da me. Perchè ho la netta sensazione non basterebbero, che non sarebbero quelle giuste e che comunque non le ascolteresti, errate o corrette che siano. Si rimise ai piatti, iniziando a riporli nello scolapiatti sopra la sua testa. Li impilò verticalmente mano a mano, poi passò a pulire i fornelli dagli schizzi di carne e vino. Le pentole le lasciò ad asciugare sul ripiano in acciaio, accanto alla sua tazza di caffè ormai fredda.
    Si ripetè la domanda. Cosa voleva da lei? Toccò la vasta cicatrice posta sul cuore, grande almeno quanto la propria mano aperta, e si guardò la destra convinto non potesse vederlo fare quel gesto. Non riusciva a capirlo, non lo sapeva. Teoricamente avrebbe potuto portarle rancore, essendo che l'aveva ucciso, ma gli era impossibile per il solo fatto che l'aveva desiderato lui. E poi, sul retro del locale, l'aveva desiderata. Se la sarebbe volentieri portata a letto e dopotutto era questo lo scopo originario per cui l'aveva condotta a casa. Ma adesso? Adesso che l'improvviso impeto di passione era sfiorito? Era per chiederle di ripetere ciò che aveva fatto - e aveva la sensazione se la sarebbe goduta - oppure per ricordarsi com'era ai bei tempi?
    Serrò i denti, arricciando il naso. Era egoista, incapace di sopportare la responsabilità, avrebbe abbandonato di nuovo qualcuno o qualcosa, o il mondo. Aveva già lasciato una sorella allo sbando, provvista di un figlio in grembo che non avrebbe sopportato vedere, pena una nuova vittima nelle sue fauci, perchè non rifarlo? Perchè non dimostrare subito, adesso, che razza di uomo era e non farla finita di nuovo, dando ragione a lei? Dopo la sorella, aveva abbandonato altre persone con la sua assenza, tutti quelli che gli erano stati vicini, o amici, o confidenti. Cosa poteva fregargliene, dopotutto? E perchè non confermarsi in qualità del pezzente che era? Michael avrebbe gridato alla mamma davanti ad una simile trafila di pensieri e critiche. Ma Raven, lui, poteva sopportarlo - così come poteva sopportare quel poco di disgusto per sè stesso assieme a tutte le sue implicazioni, perchè chissà quanto gli era rimasto di vagamente umano, dopo il risveglio. La maschera di Corvo gli avrebbe suggerito un "assolutamente niente", eppure, senza quella, non poteva dire lo stesso. Anzi, non poteva proprio dire un bel niente.
    Poteva darsi la presenza di Midnight, sola con lui in quella casa, gli concedesse l'impressione niente fosse cambiato da tanti, tanti anni prima. Da un momento all'altro quei casinisti dei ragazzi sarebbero rientrati dalla porta e avrebbero preso a urlare che era in ritardo, che lo spettacolo iniziava tra un'ora, e...
    Non sarebbe successo. Non questo, nè nient'altro. Non c'era più musica, non c'era più bellezza. Il paio d'occhi che possedeva e che avrebbero dovuto vedere il peccato e la sua perversa meraviglia praticamente ovunque riuscivano a scorgere solo grigiore, e noiosa quotidianità. Midnight era la cosa più colorata e più viva che gli fosse capitata tra le mani dopo tanto, troppo tempo. Un fiore brillante, anche se sbiadito all'interno, per dirla coi termini poetici che tanto gli piacevano. Sospirò, finendo di pulire i fornelli.
    I punti non sono una scusa. Ti chiedo solo un paio d'ore, e poi potrai andartene. Sempre che tu non mi voglia rovinare prima. Oh, so che ti è passato per la mente le comunicò, trattenendo la strafottenza che gli veniva naturale in certe situazioni. Si concentrò su altro: asciugò e tornò alla tazza, svuotandola del proprio caffè per prepararne altro, stavolta bollente da scottarsi la lingua.
    Ma almeno per adesso, ti servo ancora.
     
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  10. Midnight_Rose
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    Evita di darle una risposta diretta, così come evita di avvicinarsi troppo, di cedere ad un movimento brusco oppure di cedere alla tentazione di guardarla dritta negli occhi. Raven è cauto come mai lo ricorda, nemmeno stia maneggiando esplosivo ad altissimo potenziale reso instabile da una chimica sbagliata di cui ci si è accordi troppo tardi. La evita, eppure la vuole. L'ha percepito. L'avvampare della lussuria che gli ha contratto lo stomaco quando l'ha riconosciuta, nel retro di quello squallido locale da due soldi -che, però, al momento pare essere scomparsa, sciacciata sotto desideri di ben altro tipo che lei non riesce ad identificare. Per lei il desiderio vero, non quello che è solo puro sfogo animale, è un ricordo lontano. Complicità, chimica, bisogno reciproco, passione ed attrazione fatale, sono tutti scomparsi dalla sua vita da quando la Fenice se n'è impadronita. Quest'ultima s'è divertita con un'infinità di uomini e donne, facendo scoprire alla demone sfumature del sesso che non avrebbe mai immaginato esistenti e facendole subire tutto da spettatrice. Consenziente o meno che fosse, vogliosa o no. Osservava e nulla poteva, costretta a vedere usato il proprio corpo per il piacere altrui. È quasi riuscita a sviluppare un'insofferenza per il tocco indesiderato, prendendo sempre più le distanze dal mondo esterno e desiderando di bastare a se stessa come mai le è riuscito. Può convincersene fino a crederci, ma Midnight sa fin troppo bene che se ha avuto pochi compagni lo ha fatto per supplire al vuoto interiore che piccole attenzioni sono state in grado di colmare silenziosamente, pretendendo poco. In fondo, tergiversare, rimanere in quella cucina che profuma in modo accogliente, continuare a trovare una scusa per tenere salde le proprie briglie ed allontanare eventuali colpi di testa, è solo un modo per non ritrovarsi a casa da sola, immersa nella cloaca dei propri ricordi e dei propri incubi. D'altronde nel appartamento ha scelto per sé finirebbe per ingollare bicchieri su bicchieri di quanto di più forte ha a disposizione, fumando una sigaretta dopo l'altra e sperando per il giorno dopo qualcuno richieda i suoi servigi così che possa riversare sulla vittima il proprio bisogno di riscatto e vendetta. Non esattamente una prospettiva entusiasmante.
    Il modo in cui Raven si concentra sulle faccende domestiche, dallo sparecchiare al lavare le stoviglie, le continua ad indicare la sua volontà di concentrarsi su qualcosa non sia la sua presenza a meno di due metri di distanza. Se non le fosse venuto in mente di porgli quella domanda, con molte probabilità la avrebbe bellamente ignorata almeno per un po'. Le risponde con un tono tanto derisorio quanto posticcio a cui lei non presta attenzione. Non è mai stato bravo a far finta di nulla e lei riesce a sondarlo troppo in profondità per permettergli di portarla sulla strada sbagliata a suon di battute acide. Su una cosa ha ragione, deve ammetterlo: nemmeno lei sa quali sono le risposte vorrebbe udire per poter trovare un po' di pace, se scuse o spiegazioni, o gli dei solo sanno che altro. In realtà nulla le renderebbe quanto le è stato tolto dalla cascata di avvenimenti che le hanno stravolto la vita dopo quella notte al cimitero, dove il caduto ha lasciato lei e la sorella senza neppure un corpo su cui versare lacrime ed imprecazioni. Cosa vuole lei, da lui, allora? Forse che le renda il favore, pagandola con la stessa moneta e permettendole di trovare la liberazione più alta, definitiva. Oh, dubita lo farebbe, così lucido e consapevole com'è. Avrebbe dovuto approfittarne quando ancora erano entrambi reciprocamente ignari di chi fossero l'uno per l'altra. Magari cerca solo vendetta, portata da una scintilla che lui è sempre stato troppo abile a far scoppiare. Per quanto si sforzi di trovare una risposta, tutte le eventuali che fanno capolino vengono prontamente scartata, perchè ingiuste o parziali. La verità è che non sa cosa voglia da lui, il motivo per il quale ancora sia in casa sua, o la ragione per la quale ancora non si è messa a gridare e strapparsi i capelli.
    Nonostante le risponda, con quel suo tono strafottente, la demone non apprezza si ostini a parlarle dandole le spalle, quasi temendo di rimanere pietrificato nella malaugurata ipotesi in cui incroci il suo sguardo abbastanza duro -no, niente occhioni da cerbiatta ferita, da bambina timoroso o chissà che altro. Scivola giù dalla sedia, producendo solo un leggero fruscio d'abiti ed a passo silenzioso si muove verso il caduto, avvicinandosi più di quanto abbia solo pensato di fare fino a qualche attimo prima. Lui è alle prese con il caffè, sta armeggiando per riempire il dosatore della miscela necessaria per dare ad entrambi la terza dose di quella bevanda bollente e ristoratrice. Quando gli è dietro, ha appena sistemato tutto perchè a breve sia pronto. È ad un metro di distanza, vicinissima alle ali raccolte sulla schiena. Vorrebbe toccarle, accarezzarle come una sola volta le è stato permesso farle con l'ammonimento di non tirarle. È stato la notte in cui sono finiti a letto insieme, a mordersi e farsi gemere reciprocamente fino a restare, sudati ed ansanti, abbandonati sul letto. Il suo tocco, portato dalla mano destra, si ferma invece sul braccio del caduto all'altezza dei bicipiti. È solo un leggero sfiorarlo in punta di polpastrello, leggera come le ali di una farfalla. Vi rimane ferma per qualche attimo, in modo da obbligarlo a fare qualcosa di più concreto -che sia scacciarla od altro- che non parlarle voltato da un'altra parte. Combatte contro se stessa per non ritrarre la mano. Toccarlo le ha dato una sorta di scossa, una stilettata improvvisa ed inaspettata che la fa vacillare appena. Si aggrappa a se stessa, alla propria forza e s'impone di non cedere. Non può, non deve crollare. Vorrei rovinarti, come hai detto tu, è vero. Ho imparato a non cedere alle tentazioni, né tanto meno agli impulsi primordiali. So controllarmi meglio, come puoi notare tu stesso e per questo ti concedo le due ore che chiedi. parla a voce bassa, debitamente modulata per farla apparire tranquilla e neutrale, come chi sta discorrendo delle condizioni climatiche. Non credere non sappia le tue non sempre scuse che usi per raggiungere i tuoi scopi. Bene, ti sto semplificando la vita. Sono qui. Terribilmente vicina...
     
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    C'era sofferenza nel controllo che l'angelo si imponeva, riempiendo il dosatore, portandolo alla caffettiera, stemperando con cura la miscela sulla superficie e ponendone sopra di meno, quell'altro po' che gli avrebbe dato il sapore corposo, la schiuma e la fragranza intensa e amara, ma soddisfacente se zuccherata a dovere. Erano movimenti semplici come un passo breve, il leccarsi le labbra, lo sfiorare con mano, banali quanto lo spalmare la marmellata con un coltello sopra un pezzo di pane, ma non altrettanto dolci. Ed erano importanti, questo il caduto lo sapeva bene, almeno come il respirare, portando aria dentro ai polmoni con quel movimento tanto familiare che aveva comunque dovuto imparare, la prima volta ch'era nato.
    Forse qualcuno credeva che rinascere fosse facile, una bicicletta su cui non si dimenticava mai come pedalare. Invece, e lui lo poteva confermare con sicurezza, era necessario riprendere certe abitudini. Il primo respiro che aveva dato quasi cinque anni prima era stato fradicio, ricordava confusamente, e aveva vomitato e pianto cercando di imprigionare l'aria nel proprio corpo. Era tornato seminudo, bagnato di una fanghiglia nerastra, uscito dal grembo della terra e intorpidito. Quanto ci aveva messo a muoversi, aiutato dalla bambina già grande che lo aveva preso per mano? Con quale difficoltà aveva ricominciato a camminare sui quattro arti, trascinandosi prima di riguadagnare l'equilibrio, la stabilità e tutte le condizioni che seguivano il possedere un corpo? Per non parlare della voce, la sua voce, in un primo momento talmente inabituata a formulare suoni dal riuscire a esprimersi solo con vaghi lamenti e gemiti. Ecco dove stava la sofferenza, ecco a cosa si ancorava per possedere una propria stabilità: piccoli insignificanti gesti, come preparare il caffè, sprimacciare un pezzo di pane o assaporare uno spicchio di mandarino. Ecco dov'era finito nei pensieri e in ogni piccolo movimento davanti a quella caffettiera, chiusa con cura e posizionata sul gas acceso per la terza volta, le tazze recuperate già pronte accanto a lui. Ma in tutte quelle sue attenzioni, non aveva sentito i passi felpati della demone che gli si era avvicinata da dietro, troppo concentrato a distrarsi, a scavalcare la discussione, a evitare le domande. C'era un motivo per cui evitava anche lei, od un contatto che andasse al di fuori della mera professionalità del lavoro: aveva paura. Non di lei, certo, e non di quanto avrebbe potuto fargli - aveva l'impressione qualcuno l'avesse costretto di nuovo nel mondo allo scopo di farcelo rimanere, non importavano le conseguenze. Ma la paura di poter cedere, eccola in attesa, perchè pur se caduto, anche Raven possedeva i propri limiti. Limiti che più che dettati dalla pazienza, erano comandati dall'imprevedibilità delle sue emozioni e dalla confusione.
    Così, quando lo toccò, anche se la presa era leggera l'angelo rimase ugualmente fermo, improvvisamente pietrificato da quel primo tentativo di contatto che non fosse mirato a squartarlo, o peggio. Aveva gli occhi posati sul caffè e, così all'improvviso, si mise a pensare a lei, a come uscirne. Dove guardare, cosa fare, in che modo non voltarsi? Abbassò il capo sul petto e le mani sul ripiano, avendo appena finito di sistemare la caffettiera sul fuoco, con un sospiro lieve che poteva significare tutto o niente.
    Chiuse gli occhi, abbassò le palpebre, e di nuovo potè sentire chiara una torbida sofferenza voluta a causa di un vuoto incolmabile, talmente profondo da dargli quella sensazione di vertigine che solo chi stava coi piedi sul bordo di un precipizio avrebbe potuto provare. Doloroso come la fame, e molto più forte della scossa che aveva sentito tra i suoi polpastrelli e il suo braccio fasciato.
    Gli sembrò di perdere la ragione, di non essere più sotto alcun controllo. Ecco perchè non voleva le si avvicinasse, e come si spiegava il motivo per cui evitava di guardarla negli occhi: per lei aveva provato voglia, desiderio carnale ma mai vera e propria passione, o la voluttà che riservava a soggetti particolari, speciali. La sua maga, ricordava con quel senso di possessione che una volta gli era stato tanto familiare, e per cui poteva arrivare ad essere geloso, irritabile, un amante caparbio, crudele e infinitamente più passionale di un qualsiasi altro umano. La sua demone. Il momento in cui gli aveva strappato il cuore era stato il primo momento in cui aveva realizzato di provare sia odio che piacere verso di lei. Le aveva fatto una promessa che gli era impossibile da mantenere proprio per questo. Non sarebbe tornato, e solo per questo - ne aveva avuto abbastanza dei fuochi che gli tormentavano l'anima, del desiderio tanto intenso da poter uccidere. Ma com'era bello provarlo di nuovo, com'era... familiare. Uguale al tornare a casa dopo tanto tempo e trovarla ancora intatta alla sua origine, esattamente come l'aveva lasciata.
    La sua casa. Voleva una cosa al momento, effettivamente, e non esattamente quella per cui l'aveva trascinata lì: tornare, abbandonandosi a sè stesso per com'era stato, come ancora si ricordava. Un semplice ricordo poteva diventare realtà, in base ai patti che potevano stipulare in cambio di un'anima, no? Anche se non ne aveva una, poteva ugualmente fare un patto con sè stesso, offrendosi come moneta di scambio?
    Si voltò lentamente con la mascella ormai familiarmente serrata, come lei aveva voluto. Chissà se aveva anche voluto il suo sguardo umido dritto negli occhi, si chiese prendendo appena aria, rosso in viso. Non aveva respirato per tutti i secondi passati, era rimasto immobile, silenzioso, diviso tra l'ascoltare sè stesso e lei. Midnight che non cedeva più alle tentazioni, si ritrovò a cantilenare mentalmente, Midnight che si controllava con la stessa sua forza, la stessa sofferenza che sentiva nei propri muscoli e nei suoi. Se l'aveva toccato, chissà quanto le era costato farlo, e quanto aveva pagato l'angelo per questo. E lei gli era così vicina, così a portata di mano...
    Sei qui. le fece con un filo di voce. Non riuscì a reggere, e crollò come un castello di carta davanti a quello che voleva: allungò entrambe le mani in avanti, avanzò e le prese il viso, con l'intento di baciarla e stringerla con tutto l'ardore gli fosse possibile, noncurante delle conseguenze o di quanto l'avrebbe trovato appropriato l'altra.
    Scuse? Scopi? Toccarla in un abbraccio, in un bacio, la carne tra le mani, voleva questo. Non sarebbe stata più un fantasma della sua memoria, un ricordo sbiadito e appassito, qualcosa di relegato al passato, ma sangue caldo e carne pulsante e vita davanti a lui. Gli avrebbe riportato quello che era, gli avrebbe restituito la sua identità, se di identità si poteva parlare con un simile individuo quasi tendente alla schizofrenia. Anche in parte, anche una sola briciola, non gli importava. Quello che la demone gli aveva tolto uccidendolo, o chi per lei risvegliandolo, sperava potesse anche restituirglielo, perchè gli era mancato, gli mancava, assieme a lei. Che poi lei adducesse tutto a scuse, scopi, contorti raggiri... al diavolo! Che gli strappasse pure ancora una volta il cuore o almeno ci provasse, e le avrebbe guidato la mano di nuovo pur di non tornare ad essere spento e vuoto com'era.
     
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  12. Midnight_Rose
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    È lui, eppure non lo è. Manca qualcosa al mix esplosivo lo ha sempre reso ai suoi occhi l'unico vero nemico in grado di tenerle testa. Perchè, per quanto la memoria della nottata passata in sua compagnia ammorbidisca un po' la certezza e le doni una sfumatura particolare, continua a considerarlo un avversario. Uno di quelli con la 'a' maiuscola, l'unico a cui abbia concesso uno squarcio di sé oltre la donna tutta d'un pezzo che ancora finge di essere per il resto del mondo. Un fastidio pungente la molesta nelle profondità dell'animo e si ritrova a desiderare di prenderlo per le spalle e scuoterlo violentemente chiedendogli che ne sia stato del Raven che conosceva. Può usare sarcasmo acido in quantità industriali, fare il distaccato e guardarla dall'alto in basso per tutto il tempo che crede, ma non la inganna. È cambiato. Qualcosa è andato perso, lui si è perso. Non è più il caduto superbo ed orgoglioso il cui ricordo è impresso a fuoco nella mente della demone. Rendersene conto la indispettisce: se è tornato, poteva almeno farlo al suo meglio, no? Sarebbe dovuto tornare a torturarla nella sua forma migliore, almeno! Glielo deve! Dannazione, con lui non s'è mai risparmiata! Non vuole una sciocca parodia di ciò che è stato, vuole poterlo odiare con tutta se stessa e tornare a vibrare dal desiderio di strappargli il cuore, di nuovo. Solo perchè le va. Solo per capriccio. Ma mentre lui si volta e le punta quei suoi occhi verdi addosso, il massimo che affiora dal cuore incartapecorito della demone è un profondo senso di perdita e di compassione. È riuscita ad essere abbandonata dall'unico cui avrebbe permesso di ucciderla. Il calore del corpo maschile, così vicino ed il suo odore forte, anche quelli sembrano sbiaditi. Scivola via, la mano che l'ha sfiorato e lei si rende appena conto delle fasciature che sfiora coi polpastrelli. Fasciature che coprono ferite che lei ha causato. Lo scruta, il tempo dilatatosi tanto da rendere un minuto lungo un'ora e forse più. È teso e rosso in viso, i lineamenti che gli conferiscono un'espressione tra l'impaurito e l'indeciso. Un bambino troppo cresciuto, ributtato al mondo senza ricordarsi la sua marca preferita di caramelle. Deve per forza essere uno scherzo, si dice, non può essersi ridotto così. Dove prima vibrava il piacere sadico di essere riuscito a ghermirla -lei o un'altra, non fa differenza-, adesso c'è una disperata landa desolata in cui i peccati si rincorrono per la supremazia come bambini dispettosi. Una vocina flebile, probabilmente la sua coscienza, le sussurra malefiche lei di certo non è ridotta meglio. Ha mai provato a guardarsi con gli occhi d'un esterno? Ha già dimenticato il moto di disgusto provato dal caduta nel vederla rannicchiata e sconvolta, innocua e disarmata? La scaccia, sentendo montare dentro una scintilla riottosa. Non è lei il problema, adesso! Si può anche ridurre ad un vegetale, ma una simile cosa non deve accadere a quello che si considerava il Principe dei rinnegati! L'ombra di un'impressione vibra tra loro, nel silenzio. Quasi riesce a sentire lo scricchiolare della diga che trattiene chissà cosa dentro Raven. Poi, il crollo portato da due semplici parole. Sei qui. Le grandi mani maschili le si posano sul viso, la distanza tra i loro corpi si assottiglia e le labbra di lui si fanno tremendamente vicine, il suo respiro a danzarle addosso. Socchiude gli occhi, inspira piano. Lo lascia fare, più perchè è stata presa in contropiede che perchè è ciò che desidera. Viene baciata e non ricambia, rimane immobile nell'altrui presa e si rende conto il contatto amplifica la portata della sua empatia che arriva a fondo, scivola oltre il permesso. Percepisce il vuoto. L'assenza più completa di stimoli ed ossessioni, di desideri e bramosie. Solo tormento. Freddo, statico, velenoso. Un nero che rischia di risucchiarlo dall'interno, forse peggiore di quello che conteneva prima di farsi uccidere. Tenta di aggrapparsi a lei, ma la demone reagisce ed il caduto torna ad avere tra le mani la donna passionale gli ha dimostrato di essere. Incapace di accettare quanto percepito, gli si preme addosso con prepotenza. Insinua le mani tra le ciocche corvine e le stringe senza fargli male, mentre la danza delle loro lingue smette di essere placida e calma e si trasforma in un tango famelico. Vuole divorarlo, accenderlo, risvegliarlo, far scoccare la scintilla che s'è spenta, costringerlo a stare al suo passo per non essere sottomesso. Lui conosce le manie di dominio che la pervadono e spera ricordi possano diventare ben poco piacevoli se lasciate libere di prendere il sopravvento. Lo spinge contro il piano della cucina, bacino contro bacino, cingendogli la vita col braccio sinistro, mentre il destro continua a tenergli il capo rivolto verso di sè. Porta entrambi a non avere più aria nei polmoni, ad ansimare e poi si allontana con la stessa violenza con cui ha preso il controllo della situazione. Ha le labbra livide, ci passa sopra la lingua con un'espressione decisa e dura. Dopo un attimo, uno schiaffo gli arriva improvviso dato con la destra. Tentativo traumatico di risveglio numero uno, versione Midnight.
    Qualunque cosa ti sia successa, qualunque demone tu abbia dovuto affrontare per tornare sulla Terra non mi interessa. Dovevi rimanere negli inferi in cui mi hai costretta a mandarti, senza neanche chiedere il permesso. Ma adesso... soffia, ad un metro scarso di distanza, puntandogli contro un dito affusolato, la voce bassa e calda che vibra di rabbia adesso che sei tornato e che sono costretta ad averti per le strade di Nouvieille, a rischiare d'incontrarti dietro ogni angolo ed a ricordare ciò che la tua presenza mi impone devi tornare ad essere quello che eri, non questa misera parodia di te stesso. Che fine ha fatto la tua boria, le passioni che ti muovevano da dentro ed erano in grado di corrodere chi ti si avvicinava troppo? Rivoglio il Principe dei Caduti, non il suo sguattero di riserva. si ritrova a sussurrare, rovente Me. Lo. Devi. una piccola pausa, una luce malsana che le brilla nelle iridi castane Mi hai sentita?! Che senso avrebbe torturarsi per il ritorno del principio dei suoi mali, se questo non è altro che una versione slavata di se stesso? La demone cerca in Raven una ragione per tornare a combattere, un appiglio di rancore da afferrare saldamente con entrambe le mani per riuscire a far susseguire un giorno dopo l'altro con uno scopo. È stanca di continuare per inerzia, mossa dalla sola consapevolezza mai potrebbe togliersi la vita con le proprie mani perchè il suo orgoglio non glielo permetterebbe. E se stai pensando di portarmi a letto, puoi anche levartelo dalla testaccia lussuriosa che ti ritrovi. Al momento ho solo una gran voglia di prenderti a calci in culo e farti sputare sangue. Chi ha detto che le signore devono essere delicate? Midngiht di certo sa esserlo, ma ultimamente preferisce un modo di fare diretto e bruto -resa in questo modo dalla solitudine e dalla mancanza di un affetto definibile come tale, che sono stati rimpiazzati da una posticcia convinzione di bastare a se stessa e dal passare le giornate a torturare, seviziare ed uccidere quelli che non considera esseri umani, bensì 'lavori'- con cui mettere subito le cose in chiaro. Le vengano a dire, poi, il suo atteggiamento può essere frainteso.
    Spero il post vada bene, se ho esagerato o qualcosa non ti piace, fammelo sapere e modifico subito!
     
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    La bambola di pezza che baciava restò inerte per brevi istanti, prima di trasformarsi nella belva che conosceva, che ricordava e di cui voleva il possesso. Le sue mani tra i propri capelli, lo scontrarsi dei loro bacini, il colpo del fondoschiena contro il ripiano della cucina nonostante i centimetri di differenza non contavano davanti a quel contatto arroventato, al familiare calore che riusciva ad invaderlo in tutto il freddo e gelido guscio. Rimasto intrappolato tra sè e sè, si rendeva conto del motivo per il quale, dal manichino di prima, lei s'era resa di nuovo Midnight, la vera Midnight e non l'involucro pieno di cicatrici e innesti che le aveva visto addosso qualche attimo prima. Un motivo che avrebbe potuto lasciarlo indifferente, ma non davanti allo schiaffo veloce che lo seguì.
    Dal bruciore dei palati a quello di una guancia, il passo sarebbe potuto sembrare breve, innaturale e graffiante. Forse le unghie di lei l'avrebbero potuto ferire, ma non quanto le parole. Se la ritrovò a sibilargli a pochi centimetri dal naso e non riuscì a muovere un muscolo, rimanendo a sorbirsi la ramanzina, a farsi sbattere in faccia la constatazione che di lui non rimaneva nulla di quanto gli era stato conosciuto. Nulla? Nei pensieri che lo tormentavano durante la notte ed il giorno, ad ogni passo e ad ogni stretta di mano, lui era stato il fantasma di un caduto e di un uomo, un famelico parassita con un vuoto da riempire all'interno che divorava, mangiava, consumava. Avrebbe potuto andare avanti su quella strada da adesso all'eternità e forse non ci avrebbe nemmeno fatto caso, continuando a strascicare i piedi, a intervallare appuntamenti, a spezzare sè stesso in maniere sempre più banali e avvilenti. Lo sapeva, portava questa consapevolezza come il suo personale peccato, con la sola eccezione di non avere nulla di cui andare fiero. Ma come il moto dell'onda, dopo l'inerzia veniva il movimento, e dopo l'impatto di quelle parole l'inevitabile effetto che avrebbero suscitato. Si poteva dire che l'angelo ormai non prestasse più attenzione ad arrabbiarsi, ma sotto il peso di simili accuse sentì un nuovo colpo, una brace ben ardente dentro di sè. Lui non era più il Principe che lei aveva desiderato? L'angelo che aveva tentato di eliminare, e a cui infine era riuscita a strappare il cuore solo perchè a lui aveva fatto piacere così? Questo, forse, perchè c'era dell'altro. Qualcosa ch'era tornato assieme ad un caduto inconsapevole, e che non aspettava nient'altro che il momento buono per destarsi e trascinare via l'aura di apatia, rendendolo imponente come la marea. Tranquilla e gentile, ma mortale e terrificante sotto la spinta delle acque che la governavano.
    La demone finì di sbraitare, e se credeva di averlo inchiodato in poche parole, si sbagliava di grosso.
    Raven taceva. Ascoltava ciò che solo lui poteva sentire, guardandola con la stessa neutralità di un dipinto dal fondo nero su cui si stavano per apporre colori tanto vibranti da potersi vedere, e che gradualmente iniziarono a riempire la desertica vastità sopportata a lungo. La prima pennellata dovette essere lieve, perchè l'angelo sentì ancora ciò che l'aveva portato da lei, ma di minore intensità. Solo una piccola frazione di quello che stava per avvenire, poichè qualcuno dall'alto - o da dentro di lui - aveva deciso di gettargli addosso non tutto il barattolo, ma una tanica dalla tonalità tanto intensa da essere brillante, splendida e corrosiva al tempo stesso.
    Rise, e il fragore della sua risata si fece ancora più caldo e intenso di quello che la demone poteva ricordare di avergli mai sentito. Di alcune persone si diceva avessero le stelle negli occhi, ma qualcun'altro, osservandolo, avrebbe potuto definire i suoi come pianeti in preda alle fiamme. Non più flebili fuochi fatui, ma sistemi incandescenti di costellazioni che la guardavano da un'altezza spropositata e inarrivabile.
    L'angelo ancora non sapeva, ma presto avrebbe compreso. Un tipo di sapere che la demone avrebbe acquisito immediatamente.
    Quante. Pretese. Più graffiante della sua voce e dotato di un sorriso sardonico che non doveva avergli mai visto addosso, le arrivò addosso come acqua bollente, avanzando per la distanza che li separava per afferrarla alla gola con la destra. Una presa solida, abbastanza stretta da farle temere il soffocamento ma non abbastanza per farle davvero del male.
    Sapere cosa sono, e cosa sono diventato. Cosa ho incontrato. Soltanto pretese. Una smorfia gli attraversò il volto. Ma su una cosa ti do ragione: te lo devo. Te lo devo da allora, dal momento in cui la Madre di tutto mi ha preso per mano, e te lo devo adesso.
    Così come lui, anche la sua aura era diventata caustica e bollente, frutto di un'essenza in cui Midnight avrebbe potuto riconoscere qualcosa di uguale e superiore alla Fenice. Una sua figlia che l'aveva dannata ben oltre l'immaginabile e di cui conosceva l'esistenza e la fine, così come in quell'attimo sapeva di tutte le cose che le erano successe - ricordi che sarebbero rimasti impressi solo fintanto il calore lo avrebbe continuato a scaldare dagli ignoti interni in cui s'era installato, plasmandolo lentamente. I primi segni si erano rivelati nei suoi poteri più forti, a dimostrazione della sua rinnovata natura. Adesso sarebbe arrivato altro, molto altro.
    La tua vita è salva per questo le sibilò con un sorriso da serpente. E per questo, l'antico Principe è caduto. Per diventare la tenebra che inghiotte, il sole che brucia. Per diventare il nuovo Re. E più vicino, a voce più bassa. Per diventare... me. Morte e oscurità, fuoco e fertilità. E la terra che l'aveva accolto, la consorte, la madre e l'amante.
    La lasciò andare con una spinta, liberandosi la strada per poi passare oltre e andare fino alla vetrata, dotato dell'imponenza degna di un Dio della Caccia Selvaggia. Presto le luci si sarebbe spente per la città, e ancora una volta assieme a loro, lui. Ma del Re dei Dannati sarebbe comunque rimasta quella brace che avrebbe continuato a lambire il vuoto in attesa di un definitivo ritorno, riportando l'angelo ad essere molto più di ciò che era stato in passato... e sicuramente uguale a diverso da ciò che la demone chiedeva di vedere.

    Idem, se qualcosa non va, avvertimi!
     
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  14. Midnight_Rose
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    Un'eterna partita a scacchi, la loro. Astuzia, intelligenza ed arguzia sono tenute fuori dai giochi, messe in un angolo, scalzate da essenze irrequiete, indomabili, incomprensibili. Nature così diverse eppure in grado di sfiorarsi, nel bene o nel male, più di quanto i rispettivi proprietari possano immaginare. Una perenne sfida alla supremazia, un susseguirsi di alti e bassi in cui i ruoli si scambiano e mutano, come il danzar scoppiettante di due fiamme lussuriose. Colpo e contraccolpo, stoccata e parata, ma a chi spetti l'affondo definitivo ancora è da stabilire. L'uno dell'altra conosco una parte infinitesimale del tutto, ciechi dinnanzi ai rispettivi destini. Midnight scruta Raven, finita la sua arringa velenosa, maledicendo se stessa per essersi permessa di essere mossa dal rancore. Tenersi lontana da lui, dalla sua influenza, da ciò che sempre per lei rappresenterà è la scelta più ragionevole e sicura. Chiudere con il passato una volta per tutte, erigere un muro ben più solido di quello presente e tornare a vivere. Dimenticare, perdersi nell'oblio... Oh sì, sarebbe la scorciatoia ideale, ma non se lo vuole permettere. Per qualche oscura ragione va convincendosi la perpetua tortura del ricordo sia il prezzo che deve pagare se vuole rimanere viva. Le motivazioni che nella mente si affollano a supporto della tesi sono un guazzabuglio, un intrico di tutto e niente fondato sul passato. Vittima e carnefice di se stessa.
    Si ritrova travolta da ciò che ha risvegliato, un caduto del tutto nuovo e diverso dal conosciuto. Una mano che le stringe la gola, improvvisa, che ottiene come reazione solo uno sguardo di sfida ancora rovente di rabbia. E ascolta distratta, le braccia lungo i fianchi a dar indicazione non riscontri nella situazione abbastanza pericolo da reagire. Parole su parole, stilettate dolorose che colpiscano a fondo avendo in risposta la più completa apatia. Le scivolano addosso, lasciando segni a cui non permette di mostrarsi. Pare concentrata su altro, percepibile solo a lei, così sensibile. Un calore avvolgente e minaccioso, acido che brucia sotto mentite spoglie. Un'essenza lontana, un'eco indistinta, un'impressione vaga. Come rincorrere un sogno dopo essersi svegliati, avere la sensazione di averlo afferrato e vederlo scomparire nuovamente in un circolo vizioso senza fine. Le è famigliare e si ritrova a scavare affondo per acciuffarlo, spalare e spostare dove mai avrebbe voluto andare ad affondare i pensieri. Poi, l'illuminazione al pari di un pugno in pieno stomaco. Folgorata sulla via di Damasco. Boccheggia ed oscilla nella presa del caduto. La Fenice. Lo spirito del fuoco che tanto gentilmente ha pensato d'installarsi in lei e scatenarsi quella notte, al cimitero, quando ha strappato il cuore dal petto dello sbruffone a pochi centimetri di distanza. Veloci flash le imprimono nelle retine memorie affilate come rasoi: il corpo di un bambino gettato ai suoi piedi -il suo bambino; il proprio sorriso malsano storpiato da una volontà non propria; un susseguirsi di volti slavati, appena abbozzati, dei tanti amanti che si sono rotolati con lei, con loro in lenzuola dai fili d'oro; il viso dello stregone l'ha liberata che, compiaciuto, riscuote il prezzo del proprio servigio ed infine il prezzo stesso di quel servigio. Palese, sotto gli occhi di tutti quando si dimentica l'è stata data, almeno, la facoltà di nasconderlo. Adesso non ascolta più, fissa il vuoto davanti a sé senza rendersi conto l'altro l'abbia liberata dalla propria stretta, evidentemente abbastanza soddisfatto della propria invettiva. Si domanda quale dannatissima connessione ci sia tra Raven e la Fenice e l'infantile urgenza che prova, il bisogno di fuggire da lui e da tutto il resto la porta ad una reazione inconsueta. Ride. Ride dal profondo dell'anima fino a farsi venire le lacrime agli occhi, ma non è un bel suono quello che riempie la cucina ed il salotto. Il canto d'un usignolo in gabbia, il tintinnar di cristalli sul punto di infrangersi in mille pezzi, il riso di una donna tenuta insieme solo da un'enorme forza di volontà. È ad un soffio dal baratro e gli dei solo sanno quali potrebbero essere le nefaste conseguenze nel caso Midnight perdesse la presa e si lasciasse andare. Muove un passo, poggia le mani sul ripiano davanti a sé, obbligandosi a rimanere in piedi pregna della consapevolezza le gambe vorrebbero cederle e farla precipitare al pavimento. Calde gocce salate le percorrono le gote pallide, sfiorando le occhiaie violacee. La voce si spegne improvvisa, come abbia spostato un interruttore solo a lei conosciuto. Sa che se se lo permetterà verrà schiacciata dai dubbi e dalle domande, rischiando di ridursi ad un misero mucchietto di carne ed ossa senza dignità. Vive, ormai, con la follia più nera ad alitarle sul collo un'ora sì e l'altra anche. Il silenzio tra loro diventa pesante, teso e carico di una strana elettricità che minaccia di canalizzarsi verso un qualsiasi obiettivo, non importa quale, e ridurlo in finissimi coriandoli. Proprio com'è successo alla cassa di legno nel retro del pub. Respira profondamente, generando il nulla nella propria mente e riappropriandosi del controllo ha imparato a maneggiare con estrema fatica. Perchè dargli la soddisfazione di vederla al suo peggio? Ne ha già avuto uno scorcio e sicuramente glielo rinfaccerà abbastanza a lungo da farla pentire ogni volta della propria ingenuità. La mia vita non è affar tuo, non c'è traccia di tentennamento nella voce con cui risponde, fissandosi le punte dei piedi, curva in avanti al pari di chi ha sulle spalle un peso insostenibile così come la tua non è affar mio. una piccola pausa, un respiro profondo e continua Spero vorrai scusarmi se non desidero proseguire oltre un'arringa che sicuramente riempirà il tuo ego di manie di magnificenza. Sappiamo entrambi saresti tu il vincitore. Qualunque cosa tu sia diventato, spero riesca a tenerti caldo nelle gelide notti d'inverno, quando anche l'animo più buio trema nel timore della solitudine. Si volta, lenta, dolente e lo inchioda con un paio di occhi in cui nessuna emozione è riflessa. Solo il vuoto freddo e posticcio di chi ha deciso quello e niente altro debba essere visibile. Creda e faccia ciò che vuole, lui, Midnight deve trovare il modo di metabolizzare il suo ritorno, lasciarselo alle spalle e fingere valga per lei quanto conoscere il sesso degli angeli. Riuscirà? Difficile dirlo adesso, ostinatamente nascosta dietro una delle tante maschere si è creata per proteggersi. Da se stessa, dal caduto, dal resto del mondo. Perdonami, neppure questo è affar mio.
     
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    Dannato e socialmente troppo espansivo inside

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    Per quante luci fossero esistite al mondo, sempre sarebbe esistito anche il buio in grado di limitarle, renderle meno salde e più fievoli. Gli uomini chiamavano la tenebra "paura" e poi versavano il loro sangue a terra, ignari del fatto questo consentisse ai frutti di perdurare e a loro di vivere, pur nell'oscurità e nel gelo. Il soffio caldo, l'aveva dato lui alla loro esistenza, fatto di passioni e calde fiamme, e di tutto quello che certa gente aveva relegato ad una sola nomina di vizi. Sempre ignari del fatto che i vizi stessi alimentassero il mondo e il suo procedere almeno quanto le ceneri dei corpi facevano col suolo.
    Della perplessità e della chiusura della demone, ad un Dio non sarebbe importato nulla, e anche Raven si approssimava a quell'insensibilità. Le aveva dato ciò che voleva, l'aveva nutrita e accudita nel tempo dell'incoscienza, scaldata quando il fuoco della natura non l'alimentava più di quanto avrebbe fatto un ciocco di legna inzuppato da un temporale. Era stato condiscente con lei, dato alla fine incarnavano la stessa cosa secondo maniere diverse, e quello che ne riceveva era la sua apatia, la chiusura di uno scambio che lui non aveva nemmeno lontanamente iniziato. E mentre lei parlottava, l'angelo guardava lontano, dove lei non avrebbe potuto raggiungerlo, in un luogo imprecisato nel tempo dove ogni invocazione e ogni preghiera e vendetta rivolte al male erano suoi.
    Era Crom Cruach, il sanguinario, e Dagda, il padre, e molto altro ancora. Un'impersonificazione di ognuno di loro che per sua fortuna chi l'aveva svegliato gli aveva regalato, affinchè tornasse ad essere ciò che era, dopo quello che aveva perso. Sul petto, la cicatrice si specchiava con facilità, indicando quel cuore nuovo e sano che gli batteva dentro. Sarebbe decaduto, e prima o poi con lui gli organi, il corpo e la propria vita, ma sarebbe tornato in un modo o nell'altro... che l'avessero voluto o meno.
    Il fatto che non le prestasse attenzione, appoggiato ai vetri appannati dal suo calore, non significava non stesse ascoltando la demone dai recessi della propria mente. Mentre lei lo voleva chiudere fuori dalla propria esistenza, lui vi entrava ancor meglio e capiva quello che le era stato fatto senza bisogno di parole, giacchè aveva già a disposizione tutto quello che potesse desiderare. Un prodotto della sua essenza aveva turbato e afflitto quel bocciolo delicato e fragile, e sebbene ne fosse compiaciuto, restava il fatto fosse tenuto assieme dalla colla sintetica più che dal miele dei fiori. Lei, che non aveva rispettato una fibra del suo essere, e che si trovava senza saperlo davanti ad uno dei tanti aspetti della natura.
    Tutto è affar mio le rispose senza alcuna ira, ormai lasciata ad ardere a distanza. Così come la tua vita. E il tuo destino che si ripete inesorabile. Per adesso, e solo per adesso, poteva vedere cosa le fosse successo in realtà dietro le mille maschere in cui s'era avvolta durante gli ultimi anni - uno scorcio che presto si sarebbe chiuso alle sue percezioni, e che forse non avrebbe più recuperato. Se poteva usarlo in qualche maniera, questo era il momento buono, che lei lo volesse ascoltare o no.
    Mi hai strappato il cuore come facesti, trionfante, a tuo padre. Hai accolto la Fenice nel tuo grembo e hai lasciato che strappasse la vita al figlio che non hai voluto darmi. Ti sei ridotta all'ombra di te stessa, hai accettato l'opera di uno sconosciuto e della sua... magia, sei tornata libera dalla sua morsa e prigioniera della tua. E ti nascondi. Il suo sguardò andò a lei, che sentiva così riluttante. In che modo quella creatura poteva essere stata originata dall'unione di vita e fuoco, se persino i suoi occhi fiammeggianti facevano fatica ad individuarle in lei?
    Ma perchè ti nascondi proprio da me? Lo sguardo tornò al cielo, là dove le Pleiadi brillavano. E quello che non riesco a capire: vuoi che ti distrugga, o che ti metta in salvo? Hai paura di quello che potrei farti? Hai davvero paura di me? Si staccò dalle vetrate solo per andarsi a sedere sul divano ch'era puntato in loro direzione. Quando lo fece, flebili filamenti di fumo si sollevarono dal tessuto che iniziò ad annerirsi, segno di come i suoi poteri stessero finalmente iniziando a cambiare sotto la spinta della forza che lo animava. Il padre del fuoco dell'esistenza era nelle sue vene ormai da anni, risiedeva nei suoi piaceri e nei suoi tormenti, solo che non l'aveva mai capito e ascoltato, condizionato com'era dall'inerzia di una vita monotona e uguale. Sospirò, già stanco, parlando come a sè stesso più che a lei.
    Non potrei fare peggio di quanto hai fatto tu stessa, Midnight, a questo punto. Volevo essere gentile con te. Offrirti il calore di un fuoco che conosci bene per natura, che tu hai chiesto. Che presto si assopirà di nuovo, ridandoti lo... "sguattero di riserva".
    Meglio così.
    commentò caustico, rimanendo seduto a darle le spalle. In attesa.
     
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