Quasi come a Las Vegas

Per Nothinglastsforever

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    E' sempre così, le poche volte che riesce a prendere un volo e farsi le meritate vacanze nella sua città natia, è una tragedia quando torna in Europa. Lì ha la cosa principale e che per ovvii motivi non ha potuto portare con sé quando ha deciso di andare via dagli USA e trasferirsi nel vecchio continente: gli amici. Uno in particolare.
    Torna a Nouvieille sempre con una profonda nostalgia, un po' perché sa già che quelle giornate così piene e leggere faranno parte dei ricordi, e un po' perché gli manca l'aria di casa sua. In fondo Las Vegas, così come il Nevada e in generale un po' tutti gli USA gli mancano. Gli manca quello spirito così free della sua gente, gli mancano gli sfarzi all'americana, gli manca il vero caos delle metropoli con quei palazzi che svettano nel cielo e dei quali, in alcuni casi, si fatica a vederne la cima. Skyscrapers sono chiamati, lui semplicemente li considera come qualcosa che simboleggia il suo paese, di cui in fondo ne va anche fiero. Tutto questo però non significa che a Daisuke non piaccia l'Europa e la città dove vive, per lui le due cose sono semplicemente due mondi diversi. L'Europa ha un senso estetico davvero tutto suo e che si è sviluppato nel corso dei secoli, partendo dalle popolazioni del Mediterraneo, quei paesi gli piacciono per ciò che sono e per essere così tanto diversi dalla sfrenata, caotica e viziosa Las Vegas. Ecco, gli manca quel lato così della sua città, quel senso di assoluta frivolezza, quel lusso sfrenato che parte già dalle vetrine dei negozi e degli Hotel. Tutto è in formato gigante perché quello è il pallino del suo popolo: fare tutto grande, più grande che si può, forse solo perché la confederazione stessa di stati è di per sé un'area grande, molto grande e allora può venire spontaneo pensare tutto in formato maxi. Le grandi boulevard, le highways, il grandioso ponte di Brooklyn, o la statua della libertà e molto altro. Tutto gigante. In Europa tutto questo non c'è, e per Daisuke è il solo punto dolente di un posto che però, è riuscito a catturarlo per altri motivi.

    Era già settembre, periodo in cui si ricomincia a lavorare e lui non era sfuggito a questa tremenda e sadica legge. In quanto presidente di un'azienda poteva permettersi il lusso di non presiedere tutti i giorni nel suo ufficio, tuttavia le prime settimane dopo le ferie erano quelle essenziali per far ripartire la macchina aziendale fatta di riunioni, progetti, assunzioni e in quelle settimane, specie l'ultima appena conclusa, quel posto era stato simile a un formicaio. Era stanco e non si faceva troppi problemi a dirlo, eppure gli era venuta la voglia di uscire e fare qualcosa, che fosse un salto in pasticceria per gustarsi un bel dolce ricco di creme varie accompagnato da un profumato espresso all'italiana, o una passeggiata senza troppe pretese, aveva deciso che quella sera non sarebbe stato a casa. Finita la cena infatti si era preso la sua solita mezzoretta di relax davanti alla televisione, seduto comodamente sul divano con le gambe allungate sul tavolino lì di fronte e il gatto accoccolato sul suo grembo che gli faceva fusa a profusione perché quei grattini gli facevano immensamente piacere, e Daisuke questo lo sapeva molto bene. Anche a lui piacevano i grattini, ragion per cui se li faceva fare e ricambiava con un intenso susseguirsi di fusa. Una volta che Teppista si era profondamente addormentato, Daisuke l'aveva preso con estrema cura per poggiarlo sull'altra metà di divano a lui riservata e che la si poteva riconoscere dalla coperta di pile nera tempestata di teschietti bianchi e rossi. Adorava Amazon Japan per le innumerevoli stronzate che proponeva, tra cui appunto quella copertina per il suo gatto.
    Una volta vestito era uscito da casa e, preso effettivamente un pezzo di torta seduto ad uno dei tavolini esterni della sua caffetteria preferita, aveva optato per un po' di divertimento, forse non così sano ma pur sempre divertimento: il casinò. Aveva sentito parlare spesso del Casinò The Palazzo e non poche volte l'aveva ammirato da fuori passandoci davanti, e aveva deciso che quella sera ci avrebbe messo piede. Indossava abiti informali e molto semplici, composti da una maglia con il collo a V di colore nero, jeans non troppo larghi della stessa tonalità della maglia, tenuti fermi da una cinta in pelle nera. Sopra, una giacca di cotone leggero anch'essa nera, un fedora nero dalla trama incrociata, e per finire qualche bracciale e un paio di anelli tra cui il suo Rosenschwert. Altre protezioni di vario genere le portava tutte addosso al suo corpo sotto forma di tatuaggi e piercing, in fondo l'esperienza gli aveva insegnato che la prudenza non era mai troppa.

    Non aveva impiegato molto per arrivare al Casinò, nonostante fosse sabato sera, il traffico non era poi così selvaggio e di conseguenza non si restava mai imbottigliati come all'ora di punta di giorno. Sceso dalla sua Audi e consegnata la chiave al parcheggiatore, era entrato in quel posto che non aveva mai visto prima d'ora e per il quale nutriva una malcelata curiosità. I casinò di Las Vegas li conosceva, non ne era stato un grande frequentatore, ma quando aveva avuto voglia di darsi a qualche follia e spendere un bel po' di soldi, quei posti di perdizione erano stati gli unici bersagli presi di mira da Daisuke e la sua cricca. Ah, i bei tempi!
    Una volta entrato si era lasciato investire subito dalle luce potenti e calde dell'enorme corridoio che lo aveva portato fino alla hall, dove vi erano tutti i tavoli da gioco, con la predominanza di quelli per la roulette e il poker. Le file di slot machines erano tutte da una parte e per un momento si era sentito perso in un mare che non conosceva. Odori di tutti i tipi, colori sgargianti e attraenti fatti apposta per attirare l'occhio e la debolezza al gioco che era un po' il denominatore comune di chi frequentava quel posto. Suoni e voci provenienti da tutte le parti e per un attimo, Daisuke era stato indeciso sul da farsi. Poi d'un tratto i suoi occhi dal taglio orientale, così attenti, avevano scorto le tre file dei grandi banconi dove si serviva pressoché da bere, ed era stato lì che si era diretto. Forse quello sarebbe stato il modo più consono per cominciare quell'avventura.
    "Un bourbon con ghiaccio, grazie", aveva chiesto al banchista che con fare gentile si era apprestato subito a fare quel che gli era stato ordinato. Non si era seduto sullo sgabello vuoto che aveva accanto, non ne aveva ancora voglia e nemmeno ne sentiva la necessità, per il momento preferiva godersi un po' quell'atmosfera così bella e così vitale che gli ricordava la sua Las Vegas.
    "Ecco il suo drink, signore". Pagato da bere, Daisuke aveva preso il bicchiere già fresco nella mano destra e si era subito voltato per immergersi nella folla.



    Edited by Daisuke R. Stark - 28/4/2019, 23:24
     
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    Solamente le lancette dell’orologio scandivano il tempo in quella stanza, un tempo che sembrava scorrere più lentamente del dovuto e che non faceva altro che alimentare l’impazienza della giovane cacciatrice, seduta su quella sedia e che si rigirava in modo frettoloso e convulso le dita delle mani. La dottoressa Emily Watcher, con il suo solito fare decisamente invidiabile, attendeva un responso della giovane cacciatrice, limitandosi ad osservarla senza alcun alone di giudizio, mentre Thelma continuava a tormentarsi quelle mani e gesto che non passò di certo inosservato alla giovane terapeuta, e riconoscendo, dietro di questo appunto, una miriade di significati che non appartenevano di certo ad un mondo a lei sconosciuto, nonostante quello di Thelma fosse un universo piuttosto ostile, complesso, ma la dottoressa ormai la conosceva come le sue tasche, anche se non si smette mai di conoscere veramente le persone, le quali racchiudono al loro interno un universo inesplorato e, come tale, senza confini.
    Silenzio. Una delle forme più comunicative al mondo, ma talvolta difficile da gestire. La dottoressa sembrava soddisfatta di quella situazione che era venuta a crearsi e rispettava i limiti imposti dalla sua giovane paziente, la quale aveva deciso di non rivelare alcun particolare su tutte quelle annotazioni racchiuse all’interno del suo taccuino che era solita portare con sé e nel quale scribacchiare tutti quei pensieri, e tanto su di questi, dando forma a tutti quei mostri che le si palesavano ogni giorno e con i quali sembrava essere ormai riuscita a convivere.
    «Non credo abbia alcun senso, lo faccio solo quando non ho un cazzo da fare, signorina Watcher» esordì con fare stizzito, accavallando le gambe in un gesto non propriamente galante e portandosi una stilo - elegantemente presa dalla scrivania - alla sua bocca, così da mordicchiarsi il tappo. Parole che non scalfirono la corazza della dottoressa, la quale continuava ad annuire interessata e ad analizzare ogni minimo movimento della giovane e cercando di carpire ogni segnale da lei inviatole, seppur inconsapevolmente. «E’ nei momenti di noia che si creano le cose più sensazionali. Io ci vedo, oltre che a della creatività, anche un significato ben profondo in questi suoi pensieri che è solita annotare. Non conviene, forse?» la dottoressa prese quindi parola, inforcando gli occhiali e porgendo il taccuino alla proprietaria «Se ne sentisse il bisogno, lei continui a scrivere. E, sempre se ne avesse necessità, io sono qui pronta ad ascoltare ciò che lei ha da raccontare» le sorrise gentilmente, per poi ritornare seduta una volta che la paziente raccolse il piccolo libricino dalle sue mani. Thelma capii quanto la dottoressa cercava di andarci adagio, quindi la giovane si limitò ad acciuffare il taccuino ed a rigirarselo fra le mani. Il capo era chino con i capelli scuri a caderle davanti al viso. Il silenzio, questa volta, venne rotto da una risatina squillante, che andò a riecheggiare per quelle quattro mura. La ragazza prese a ridere, sguaiatamente, una risata che andò poi a scemare dopo qualche istante. Alzò lo sguardo verso la dottoressa Watcher, persona che riteneva estremamente importante per lei e che occupava un ruolo altrettanto rimarchevole nella sua vita. Forse a modo suo, ma dava importanza alla terapia e a quel percorso con lei intrapreso. Solamente che Thelma era completamente incapace di lasciar trapelare sentimenti che non fossero volti alla distruzione, e il fatto che, probabilmente, non riusciva a far capire tutto questo al prossimo, le provocava un grande rammarico. «Senti, troia: queste puttanate ricamale su uno dei tuoi centrini. La fai troppo facile e preferirei non discutere di merdate simili, se possibile. Mh?» ed infatti reagì nel modo peggiore che si potesse fare. La dottoressa restò impassibile, mentre la giovane cacciatrice la continuava a fissare con il suo solito sorriso sardonico. «Bene, signorina Fuentes» la dottoressa si tolse gli occhiali così da poggiarli sulle gambe «Abbiamo finito il nostro tempo a disposizione, per oggi. La aspetto sabato prossimo, come di consueto» si alzò dalla sedia assieme alla sua giovane paziente, la quale senza troppi convenevoli si infilò il taccuino nella tasca del giubbino. Aprì con foga la porta dello studio, sbattendosela alle sue spalle ed uscendo quindi dall’edificio. «Fanculo» le uniche parole che uscirono dalla sua bocca prima di infilarsi il casco e montare sulla sua moto. Guidò senza sosta, seguendo la strada principale ed usando l’orizzonte dipinto dai tipici colori del tramonto come unico punto di riferimento. Si stava imbrunendo e l’aria estiva cominciava a farsi leggermente più frizzante e Thelma si godeva la brezza che le scivolava lungo il viso fino ad insinuarsi nelle fessure del casco, mentre sfrecciava per le strade di Nouvielle, fino a giungere davanti all’imponente edificio del Casinò The Palazzo che, sfarzoso, svettava verso il cielo prossimo alla notte. Senza indugiare imboccò quindi il parcheggio della struttura e trovare posto non fu difficile essendo una serata poco movimentata a giudicare dal poco via-vai di veicoli e persone lungo le strade della città, forse perché le persone avevano appena ripreso a lavorare essendo le vacanze estive oramai giunte quasi al termine. La routine: che brutta bestia, soprattutto se monotona. La monotonia: Thelma la detestava con tutta sé stessa. Scese dalla sua moto adagiandola sul cavalletto, per poi togliersi il casco e lasciando ricadere i capelli bruni. Poggiato il casco nell’apposito bauletto, Thelma si diresse con passo deciso verso l’entrata del Casinò, non curandosi affatto del proprio abbigliamento composto da un giubbino jeans scuro, shorts del medesimo materiale e chiari di colore, sotto ai quali delle calze a rete sottili avvolgevano le sue gambe toniche. Ai piedi, invece, un semplice paio di anfibi neri ed usurati dal tempo. Insomma, niente di troppo formale, anche se in un luogo come quello si poteva trovare gente di variegate posizioni sociali. La dipendenza non fa alcun tipo di discriminazione, dopotutto.
    Giunta davanti all’ingresso aprì il protone con forza e con entrambe le mani, facendosi quindi spazio nella hall e dribblando alcune persone poste di fronte a lei ad intralciare il percorso, fino a giungere nella sala principale e beandosi di tutte quelle luci calde e sgargianti, facendo schizzare lo sguardo da una parte all’altra dell'ampia sala, probabilmente rapita dai suoni delle slot machines e del fitto chiacchiericcio che riecheggiava all’interno della struttura. Restò ferma per qualche secondo come per adattarsi al contesto, dopodiché inquadrò il bancone poco distante dalla sua posizione. Mosse quindi alcuni passi, accompagnata dalla musica che prendeva ad alzarsi di volume forse per fare compagnia a quei pochi che non dedicavano la serata alle partite d’azzardo. Ad un tratto, si sentì cingere entrambi i fianchi, cosa che la mise allerta e che la fece lievemente sobbalzare. Si girò di scatto, quasi pronta ad assestare un pugno in pieno volto a colui che aveva osato disturbarla, fin quando i suoi occhi neri non incrociarono quelli smeraldini e vivaci dell’ultima persona che pensava – e sperava – incontrare. Soprattutto in un luogo simile. Ma infatti, cosa ci faceva lui lì? «Thelma!» il ragazzo, Elijah, sembrava felice e altrettanto sorpreso di trovarla lì. «Qual buon vento ti porta qui?!» una domanda scontata, banale, ma che purtroppo non tardò ad arrivare e che, come risposta, si vide gli occhi della giovane roteare verso il cielo ed una conseguente imprecazione biascicata sottovoce. Elijah, il vicino di casa di Thelma, estremamente gentile, dolce e di umili origini, ma per la donna deleterio per il proprio tasso glicemico. Anzi, si potrebbe dire lo stesso per i suoi denti, che prendevano a cariarsi ogniqualvolta avesse a che fare con quel povero ragazzo palesemente attratto da lei, e chissà per quale oscuro ed arcano motivo. Certo è che Thelma una botta gliel’avrebbe data volentieri, ma Elijah sembrava tizio dalle inevitabili implicazioni e che non avrebbe giovato alla sanità mentale – e alla pazienza ballerina – della giovane ispanica. La cacciatrice fece retro-font, non curandosi dei suoi atteggiamenti decisamente sgarbati e discutibili, quindi si diresse velocemente verso il bancone e sfiorando un tizio intento a sorseggiare un drink per accaparrarsi il posto al suo fianco. «iMierda!» esclamò, voltandosi di scatto verso il ragazzo di poco prima così da assicurarsi di essere fuori dalla sua traiettoria (cosa poco probabile) ed ordinando al barista due shot di Tequila, esortandolo a darsi una mossa con un cenno del dito indice ed ondeggiando il corpo a ritmo di musica «Cazzo quanto mi piace» non si limitò a dire, continuando ad ondeggiare con trasporto e non curandosi della presenza di quell’uomo al suo fianco e che, probabilmente, non avrebbe fatto a meno di notarla. E restò lì, in attesa, e sperando di non ritrovarsi quel ragazzino di nuovo alle calcagna. «No, per carità. NO» terminò il suo soliloquio e tirò giù il primo shot non appena il barista lo posò sulla superficie tirata a lucido del bancone.


     
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    Per il momento voleva solo gustarsi il suo bourbon fresco senza farsi troppi programmi per quella serata, anche perché era da solo e le prospettive erano ben più limitate rispetto ad avere compagnia. A quel pensiero gli era scappato un sottile sorrisetto pensando al fatto che avrebbe potuto fare una serata di fine anno proprio lì assieme ai suoi dipendendi; avrebbe chiesto per una cena gourmet e poi ci si sarebbe divertiti alle slot machine, a poker o altro. Tutto questo per augurare un anno nuovo florido e divertirsi. Ma non era quello il momento di pensare a quella cena, mancavano ancora circa tre mesi ed era meglio pensare al presente, e quindi a come passare quella sera.
    Aveva messo la mano in tasca senza apparente motivo, e lì aveva sentito la consistenza sottile del suo portafogli che gli aveva fatto venire in mente che più tardi sarebbe stato il caso di andare al bancomat del casinò, prelevare qualcosa e darsi al gioco! In realtà non gli sarebbe dispiaciuto nemmeno fare qualche acquisto, entrando aveva visto i negozi haute couture di marchi che a lui interessavano e che indossava, ma non era il momento nemmeno per quello ancora. I suoi occhi verdi e dallo spiccato taglio asiatico guardavano divertiti la gente che aveva davanti, più o meno lontano, guardava le persone senza pensare a nulla in particolare se non per soffermarsi di tanto in tanto su qualche dettaglio estetico tipo un bell'orologio, una cravatta interessante vista addosso a un tipo altrettanto interessante, oppure osservava le coppie di persone o piccoli gruppetti parlare tra loro e immaginava dialoghi che, con molta probabilità, sarebbero stati del tutto diversi da ciò che immaginava. L'effetto tipico di chi sta solo in un luogo affollato e colmo di suoni, luci e odori. Perso in quelle cose non aveva fatto molto caso alla ragazza che l'aveva sfiorato in quel momento, se non per il fatto di aver avvertito quel classico spostamento d'aria che una persona porta con sè quando vieni superato. A causa di quella sensazione, Daisuke si era voltato verso la direzione da cui aveva sentito provenire quello spostamento, notanto appena e con la coda dell'occhio una ragazza dai capelli scuri e un viso non troppo nordico. Tutt'altro.
    "Come, scusa?"
    Aveva domandato alla ragazza, la quale pareva essersi proprio rivolta a lui. Daisuke non conosceva lo spagnolo, ma dalla cadenza sapeva riconoscerlo a orecchio, e lei sembrava avergli proprio esclamato qualcosa nella lingua ispanica. Ora era tutto chiaro, lei doveva essere da quelle parti, e l'aspetto non l'aveva ingannato quando, poco prima, aveva fatto quella considerazione.
    L'aveva osservata un po' stranito, anzi forse pure sottilmente divertito, perché lei sembrava avercela prima con lui, poi col barman e poi non si sapeva con chi. E ora parlava inglese, dicendo che qualcosa le piaceva molto. Bah, se questo era l'effetto del primo shot di tequila, cosa doveva essere al quinto o sesto? Gli era venuto da ridacchiare a quel pensiero, le donne ubriache sapevano essere buffe!


    Eccomi qui, e perdona il ritardo. Spero vada bene!
     
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    La sua proverbiale follia non aveva di certo eguali, nemmeno se paragonata a due insulsi shot di Tequila. Certo è che a Thelma non serviva mandare giù qualche goccio di troppo per perdere le staffe, essendo lei stessa caotica di natura e persona lontana dalla canonica ordinarietà. Il liquido di quel primo shot era paragonabile ad acqua, ma Thelma riusciva a sentire il classico pizzicore farsi strada lungo la trachea, il quale le fece rizzare i peli sulle braccia - imputabile probabilmente all'adrenalina e allo stato di euforia, piuttosto che all'alcool - e scosse la testa in modo energico, per poi lasciar vibrare le labbra allo scorrere di quel brivido che le percorreva l'intera linea della spina dorsale. Elijah continuava a mantenere la distanza da bravo ragazzo qual era, decisamente opposto alla giovane ispanica che continuava a chiedersi cosa ci trovasse il lei, una gretta camionista e chiaramente schizzata. Specialmente uno come lui, poi, giovane, aitante laureato e intento ad abilitarsi alla professione di avvocato. Legge, che schifo la legge. La ripudiava. Comunque, erano due poli opposti, gli esatti antipodi, bianco e nero, yin e yang o altre cazzate simili. Cercava di non incrociare il suo stesso sguardo, anche se ammetteva che quella sera era dannatamente incantevole e fece tutta la resistenza possibile per non andare lì, prenderlo per il colletto della camicia e portarselo nel bagno per sfogare le proprie frustrazioni. Esatto. Di frustrazioni si parla. E di corpo, usato tanto per assecondare bisogni inconsci, primordiali traumi e preconcetti talmente radicati nel profondo della sua anima che, una scopata qualunque, assumeva sfumature diverse, forse l'unico canale di accesso a quella mente ingarbugliata. Oppure quell'atto così intenso, fine a sé stesso, assumeva una forma particolare di comunicazione in grado di lasciar intendere molto di quel suo universo, fatto di anfratti misteriosi, oscuri e difficili da raggiungere. Discutibili metafore a parte, la donna era intenta ad afferrare il secondo shot quando una voce maschile al proprio fianco la ridestò da quel turbinio di pensieri. «Oh, cariño» esclamò lei, rivolgendogli un sorriso beffardo per poi mandare giù il drink, facendo schioccare la lingua nel bearsi del suo gusto forte ed aspro della Tequila. Ad un tratto le balenò una malsana idea in mente. Si rivolse nuovamente verso l’uomo, notando i suoi lineamenti asiatici e studiandosi il soggetto: «Senti» disse schietta, avvicinandosi di poco a lui e mantenendo lo sguardo, «Hai tempo per aiutare una dolce, tenera ed indifesa pulzella?» domandò, sbattendo le folte ciglia truccate da uno scuro mascara e corrucciando le labbra, pur sapendo che nessuno di quegli aggettivi le appartenevano. «Vedi lì giù?» disse, poi, indicando con un piccolo cenno della testa la figura di Elijah poco distante da loro «Devi aiutarmi a liberarmi da lui, prima che io ci finisca a letto» aggiunse, infine, e non curandosi di darsi un contegno. «Seguimi» lo esortò poi, con fare perentorio e tentando di prenderlo per il colletto della camicia (e sì, c'aveva un gran da fare con 'sti colletti delle camicie) così da trascinarselo in pista, senza convenevoli. Se il tizio avrebbe accondisceso alla sua richiesta, si sarebbe messa a ballare assieme a lui, seguendo il ritmo della musica e non badando alla reazione della gente, dato che era insolito che due ballassero in un casinò. Di solito, lì dentro, si mette a repentaglio più il patrimonio che la propria dignità. Anzi, meglio ammettere che sia l'esatto contrario.


    Tranquillissima, scusami te per il ritardo, piuttosto! E grazie per la pazienza :) A me tempi così rilassati non mi dispiacciono, già lo sai, quindi fai pure con comodo.
     
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    Daisuke non era un bevitore abituale, ma lo faceva comunque da una vita, quel tanto da non farlo andare sotto al tavolo alla seconda pinta di birra da due soldi. Di quest'ultima ne aveva bevuta a fiumi ai tempi del liceo, quando assieme a Jacky e gli altri amici, passava il sabato sera in casa di uno di loro ad ascoltare musica, strimpellandoci appresso qualche strumento (solitamente una chitarra) e a fare gare infinite di video giochi che poteva dire di conoscere come le sue tasche. C'era stato pure un breve periodo in cui, più per perculare i nerd che ucciderebbero per non sentirsi spoilerare nulla -nemmeno le mosse segrete dei giochi- che per altri motivi, si era divertito un mondo a fare video su come superare un livello o uccidere un boss in poche mosse. A volte aveva fatto la medesima cosa anche con i film, iniziando il video con una sorta di commento/recensione, per poi finire a raccontare il finale con quella sua classica espressione di chi sta godendo come pochi.
    Era sempre stato così, strafottente e talmente poco interessato agli altri da trovare divertente infastidire i capri espiatori del momento. Era cambiato però, o meglio, crescendo aveva dovuto per forza lasciare le sedute di registrazione video alla "viprendoperilculo" per dedicarsi agli studi universitari e poi mettersi a lavorare in Europa. Tuttavia nulla di quel suo lato burlone era sparito, si era solo moderato ed era rimasto sempre lì in quelle cellette facenti parte del suo alveare che componeva il suo carattere dalle tante sfaccettature. Sapeva discernere molto bene la vita lavorativa da quella privata, e infatti quando non stava nel suo grande ufficio bianco e nero, tornava ad essere il Daisuke di sempre, quello che appena può, pensa a come potersi diveretire e che lo faceva senza farsi troppi scrupoli, senza porsi limiti di nessuna sorta. Era questo il motivo per cui molto spesso si ritrovava a osservare le persone, non per trovare il tipo bello su cui sbavare o quello meno bello sul quale ridere o da prendere in giro, era per trovare aspetti bizzarri e divertenti e tentare di far suoi quei fattori solo per il puro e semplice scopo di divertirsi. Gli piacevano i casi umani. E la ragazza che pareva averlo preso di mira per chissà quale motivo, ai suoi occhi poteva essere uno di quei casi umani che di tanto in tanto cercava per divertirsi.

    La tipa doveva avergli detto qualcosa tipo apprezzamento o simile, o poteva averlo anche deriso in qualche modo, fatto sta che a quel sorriso un po' strano, Daisuke aveva risposto alzando un sopracciglio. Come a voler farle intendere anche che lui lo spagnolo non lo capiva. Quel fatto però non era per niente un problema, se la tipa avesse continuato a parlargli in quel modo, senza dargli modo di capire, l'avrebbe liquidata al tempo di uno schiocco di dita e amen. Invece gli si era fatta più vicina mentre pareva godersi il retrogusto di tequila, che lui non apprezzava molto tra l'altro, preferiva la grappa. Ma non era nemmeno quello un problema per lui, in fondo, a pensarci bene, non era un problema nemmeno il fatto che lei gli avesse rivolto la parola per chiedergli di aiutarla. A Daisuke era sembrato lo avesse fatto con un tono poco compassionevole, tutt'altro, e aveva cominciato subito a capire che o ci stava provando, oppure voleva altro.
    "Dipende", le aveva risposto senza troppi peli sulla lingua quando lei gli aveva chiesto di aiutarla. Aveva poi dovuto volgere lo sguardo nella direzione da lei indicata, scorgendo un uomo nemmeno tanto male che pareva avere una cotta per lei. In quel frangente, mille scene si erano affacciate nella mente del Mannaro, tra cui anche il fatto che quel tizio non era poi così male e che quasi fosse sprecato per andare a letto con la tipa che aveva davanti. Aveva già pregustato un po' di (poco) sano divertimento, ma aveva dovuto retrocedere di un passo quando lei l'aveva afferrato per il colletto della giacca. Non tollerava contatti e prese di posizione di quel genere, lui stava sempre al suo posto e pretendeva dagli altri la stessa cosa. Con espressione un po' infastidita, si era divincolato da quella presa, ma aveva deciso lo stesso di starla a sentire.
    "Se vuoi divertirti con me devi innanzi tutto lasciarmi stare il colletto della giacca", aveva esordito puntandole il dito indice con fare perentorio, come se volesse rimproverarla e allo stesso tempo farle intendere che non era arrabbiato.
    "Seconda cosa", aveva continuato "io odio ballare, ma posso aiutarti in un modo sicuramente più divertente". Le si era fatto più vicino, guardando prima lei e poi il tipo che lei pareva volere ma non volere allo stesso tempo. Ah, fosse stato al suo posto non sarebbe stato già lì, ma altrove a spassarsela. Altro che tequila!
    "Siccome il tipo che non vuoi scoparti ma che vuoi tenerti lontano non è affatto male, che ne dici di fare una gara? Io e te. Una sorta di sfida". In quel momento il suo volto aveva assunto un'espressione davvero molto divertita, di quel divertimento non di certo adatto ai bambini. "Facciamo una gara di tequila, chi per primo comincia a delirare paga, chi resiste se ne va con... Come si chiama Mister Occhiblu?". L'aveva guardata per qualche secondo di sottecchi, e senza attendere la sua risposta, le aveva fatto subito la seconda proposta, quella di scorta. "Oppure se vuoi tenertelo lontano, ci penso io a lui e tu finisci la tua tequila".



    Nothinglastsforever Perdonami il ritardo, spero però che l'attesa abbia dato buoni frutti XD
     
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    «Touché» Era l'unica parola che la giovane cacciatrice riuscì a proferire. Il bizzarro uomo che le stava di fronte non sembrava poi molto tollerare il suo modo di fare. Il suo retrocedere, il dito perentorio puntato verso la nostra lasciava presagire molto sul suo carattere, cose che forse la giovane ispanica aveva fin troppo sottovalutato. Ma quella proposta arrivò così, diretta come un pugno sul setto e senza alcun segnale di preavviso. Seguiva il suo sguardo dal taglio orientale che scandagliava la sala, alla ricerca della fonte delle loro attenzioni per poi posarsi sul ragazzo dalle iridi smeraldine. Guardava i suoi lineamenti, la sua bocca snocciolare quelle parole che aiutarono ad abbozzare quel sorrisino sinistro. «I miei complimenti Taiwan, hai capito che porcellone!» disse con brio, avvicinandosi al suo orecchio. Un sussurro il tono mellifluo e flebile, leggero come una piuma che libra a mezz’aria ma dalle note violente, dure, come il vento che la spazza via, lontano, sgualcendola e facendole perdere tutta la sua grazia e leggerezza. «Fare leva sulla mia competitività, ti stai giocando bene le tue carte» ricambiò il sorriso divertito e, questa volta, incatenando il suo sguardo a quello del ragazzo «Quel bel bimbo si chiama Elijah e sono più che consapevole di quali siano le sue preferenze sessuali» disse, inclinando la testa su un lato e facendo spallucce «Mi spiace tesoro, questa che abbiamo in mezzo alle gambe ha un potere non indifferente e so ben reggere gli effetti dell’alcol. Ma se vuoi perdere in partenza, fai pure!» Esclamò poggiando poi una mano sul suo petto, nonostante l’avvertimento del ragazzo e del poco piacere a ricevere del contatto fisico, per poi farsi una piccola spinta su questo verso il bancone. Era chiaro che aveva accettato quella folle proposta e che non vedesse l’ora di iniziare a dare il via alle danze. «Vorrei prepararti al fatto che sono una molto pretenziosa» disse, ammiccandogli nonostante non fosse il suo tipo «Date queste piccole premesse: sicuro di reggere una combo simile?» aggiunse con un velo di provocazione, ridendo poi sguaiatamente e sapendo di essere totalmente fuori di melone. E forse ne voleva dare prova. Un monito evidentemente, indirizzato verso l’orientale, come per fargli capire con chi stava avendo a che fare. Si girò verso Elijah, notando che guardava ancora in loro direzione. Le sorrise maliziosa, per poi distogliere fugacemente lo sguardo per poi incrociare nuovamente quello dell'orientale con un'espressione piuttosto eloquente.



    Edited by Nothinglastsforever - 3/10/2019, 19:16
     
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    Se c'era una cosa che Daisuke non sopportava, anzi due cose che non sopportava in quella circonstanza, ma anche in generale, erano i luoghi comuni e l'invadenza. Era stato sicuro fino a pochi attimi prima che a quella ragazza sarebbe bastato il gesto col dito per farle capire di non toccarlo. Invece lei aveva fatto orecchie da mercante, anzi, oltre a parlare troppo per i suoi gusti, dicendo cose troppo scontate, aveva proprio ignorato quel suo avviso e aveva continuato a farlo, fino ad arrivare al punto di avvicinarglisi così tanto per parlargli all'orecchio e poggiargli la mano sul petto, al che Daisuke aveva fatto un passo indietro, le aveva preso il polso di quella mano con due dita e gliel'aveva tolte gentilmente da dosso.
    L'altra cosa che l'aveva reso stizzito era stato quell'appellativo che faceva riferimento al Taiwan e che solo a sentirselo dire aveva aggrottato la fronte, del resto delle cose che gli aveva detto non gliene era importato proprio niente. Era un porcellone? Se a lei piaceva definire una persona in quel modo per il solo fatto che sapeva godersi la vita e senza farsi problemi ad ammetterlo, allora credeva di avere davanti la classica persona che fa battutone pensando di essere divertente.
    "Bada bene a come parli e a cosa fai. Stai diventando invadente",
    le aveva detto con un tono di voce ben diverso da quello avuto fino a poco prima, quando le aveva fatto la proposta della gara. Al momento, per lui, quella cosa era sfumata non appena lei aveva agito così nei suoi confronti.
    "Non mi conosci e non sai nemmeno come mi chiamo e ti prendi tutte queste libertà che non ti ho dato. Non sai da dove vengo e parli a vanvera dando per scontato che i miei occhi a mandorla siano lo specchio del mio paese di nascita: io non sono cinese, sono americano doc. Ok?"
    E se non aveva capito ora, con quel tono aspro e serio, avrebbe spinto ancora di più la mano affinché lei capisse per non prendersi tutte quelle libertà. Se era abituata a comportarsi così con gli altri... Beh, con lui certi atteggiamenti doveva metterli da parte.
    Aveva notato che quello che avrebbe dovuto essere il premio di quella scommessa li stava guardando, forse anche intenzionato a intervenire perché aveva capito qualcosa? Oh, ma magari se la fosse portata via!
    A lui non interessava sapere che poteva reggere l'alcol, non gliene fregava nulla perché lui lo reggeva bene almeno tanto quanto lei, e forse di più, ma se doveva avere a che fare con una tipa così 'espansiva' e 'toccatuttoetutti', allora era meglio non iniziare proprio.
    "Parli come se fossi la figa della situazione, ma sei sicura di essere all'altezza sua tanto quanto me? Eh? Il fatto che tu sia piatta in mezzo alle gambe e io no, non significa un cazzo, ricordatelo!"
    Le stava facendo intendere che il fatto che Elijah fosse eterosessuale non voleva dire che lo sarebbe stato tutta la vita, oppure avrebbe potuto essere omosessuale latente e quindi non saperlo fino a quando... Fino a quando non si fosse trovato nella situazione giusta per capirlo. Pensando a quella cosa, Daisuke aveva sorriso appena sotto i baffi ignorando totalmente il fatto che lei l'aveva guardato, preferendo voltare lo sguardo verso l'uomo che lei asseriva essere 'maschio'. Anche lui era maschio, ma gli piacevano i maschi e si sentiva maschio al 100%. Ah le donne, sempre così standard nel loro pensare a quelle cose. E con quel pensiero per la testa, si era alzato e aveva cominciato ad avanzare a passo deciso verso Elijah, era quella la vera sfida della serata, e la tequila era un pensiero ormai passato.


    perdona il ritardo e l'acidità di Daisuke XD
     
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8 replies since 28/4/2019, 21:14   409 views
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