[ VOTAZIONI - GARA LETTERARIA] Archivio Manicomio

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    In questo topic voteremo il racconto migliore fra quelli proposti.

    Vi lascio qui di seguito la griglia di valutazione.


    Griglia valutazione contest letterari

    -

    Scarso\Incompleto

    Buono

    Discreto

    Ottimo\Completo

    Aderenza al tema

    0,5

    1

    2

    3

    Ortografia & Grammatica

    0,5

    1

    2

    3

    Originalità

    0,5

    1

    2

    3

    Stili & Linguaggio

    0,5

    1

    2

    3




    BloodyRoseofVampire

    Quelle pozze nere la osservavano, lui la osservava con quelle iridi profonde, languide e misteriose. L’analizzava, studiava ogni suo più piccolo movimento e forse anche i pensieri che le frullavano in testa, così come il ricordo delle sue visite notturne, visite di cui dubitava l’esistenza.
    Sedeva su quella poltrona come un re su un trono e lei era la sua schiava, seduta di fronte a lui, con indosso la divisa del manicomio e lo sguardo fisso sulle scarpe lucide di lui, che spiccavano come una macchia d’inchiostro su un foglio bianco. Le aveva chiesto dei suoi sogni, di descrivere quello che accadeva in essi, così come tutte le mattine. “Che sogno hai fatto questa notte?” Le domandava, dopo averla messa a proprio agio e averle regalato qualcosa di infimo; talvolta una mela, della carta e una penna, un libro, qualsiasi cosa che permettesse l'instaurarsi di un rapporto. Non arrivava subito a quella domanda, prima si preoccupava per lei, così come nessuno faceva con la sua persona o con gli altri pazienti. Non aveva paura di toccarla, tanto che talvolta decideva di alzarsi da quella poltrona e avvicinarsi a lei, alle sue mani che prendeva tra le sue, al suo volto che sfiorava con i palmi gelidi e alle ciocche nere dei suoi capelli, che lentamente stavano crescendo. La sua voce calda, le si insinuava nella mente, muovendo qualcosa in lei, un qualcosa d’intimo e profondo, che le faceva desiderare il sopraggiungere delle tenebre, le sue labbra sul suo corpo e di quel gelo contro la pelle.
    “L’ho sognata ancora, signore…” Le labbra le tremavano, gli occhi timidi continuavano a fissare altro e i ricordi di quel sogno riaffioravano, sbocciavano come rose a maggio.

    La notte era calata e la luna sorta sulle loro teste, ne era certa, poteva sentirne la quiete nei corridoi e il freddo sulla pelle mal coperta. Lo attendeva, in ogni sogno aspettava il suo arrivo seduta sul letto e le mani giunte sul grembo. Sapeva quando sarebbe arrivato, lo sapeva sempre e tuttavia l’attesa la consumava, facendo ribollire il suo sangue che reclamava il suo padrone.
    Il cigolio della porta anticipò la sua entrata, lasciando penetrare nella piccola stanza bianca l’ombra scura del dottore. “Padrone!” Le sue gambe si mossero per correre incontro al dottore, gettarsi tra le sue braccia, contro quella figura coperta dal camice bianco. Era identico al dottore che conosceva, colui che cercava di curarla, tuttavia quando veniva a trovarla nei suoi sogni non aveva sempre i pesanti occhiali rettangolari, che gli conferivano un aspetto austero, professionale. “Sapevo sareste venuto, vi ho atteso confidando in voi.” Un sorriso illuminò quel volto d’alabastro e un abbraccio le cinse il corpo. Le guance si colorirono di porpora, le membra divennero incandescenti e si abbandonò al suo abbraccio, conscia di ciò che sarebbe accaduto. Non lo temeva, anzi, quel bacio perforante, che i insinuava nella sua tenera carne, la faceva sentire viva, amata.
    Lui le baciò la fronte teneramente, prima di scendere sulle labbra. “Sei stata brava.” La punta delle pallide dita le accarezzarono la guancia, prima di posarsi sul suo collo per scostare le ciocche che le ricadevano su di esso. Chiuse gli occhi e si lasciò andare al suo abbraccio, a quei denti che le penetravano in lei per sottrarle la linfa vitale, infime porzioni che per lui erano fondamentali per la sopravvivenza. Era gentile, non intendeva farle male, non ancora almeno.


    “E poi non ricordo nient’altro, mi sono svegliata ed era mattina…”
    Provava vergogna per il ricordo di quel sogno, frutto della sua mente perversa. Le aveva ripetuto più volte che fosse normale provare attrazione per il proprio psichiatra, tuttavia era tutto così reale e vivido, tanto che incrociare il suo sguardo provava turbamento. Il dottore annotava silenzioso i suoi sogni, era sempre così e talvolta le faceva qualche domanda. “Come si è sentita? Cosa prova quando la bacia in quel modo tanto singolare?” E lei rispondeva sempre, seppur titubante e in imbarazzo, un imbarazzo che non passava inosservato e che sembrava divertirlo.
    ***

    Quel fatidico giorno l’aveva atteso, seduta sul bordo del letto mentre la luce del sole rischiarava debolmente quella camera così bianca da mettere la nausea. Aveva aspettato paziente l’orario della sua seduta, eppure non arrivò mai…
    Gli infermieri passavano a controllarla, a darle il cibo, le medicine e la trovavano sempre silenziosa ad attendere la venuta del dottore; provavano pietà per quella ragazza, che in quel luogo in cui le ore di luce erano scandite dalle urla degli altri pazienti o dai loro pianti disperati, attendeva in vano qualcuno che non sarebbe giunto. Era una paziente ubbidiente, mangiava, prendeva le medicine e attendeva sempre senza dire una parola; non rispondeva neanche alle domande degli infermieri, solo a quelle del suo caro medico.
    Lo aspettò per tutto il giorno, anche quando la notte scese sulla terra continuò ad attendere. Il suo volto era una maschera imperturbabile, eppure nel suo animo era in corso una tempesta di domande, timori, supposizioni. Se avesse perso lui come avrebbe potuto continuare a vivere? A stare in quel luogo in cui tutto gli ricordava la sua persona...
    All'improvviso la porta cigolò, così come in tutti i suoi sogni, aprendosi. Con il petto colmo pieno di gioia si alzò e si preparò a correre incontro al suo padrone, tuttavia nessuno fece capolino dalla soglia della porta; alcuna figura famigliare.
    Il terrore le pervase le membra, l’oscurità fuori da quella camera le apparve improvvisamente soffocante, ma una voce si fece largo nella sua mente; la conosceva così bene. “Vieni da me.” Le intimava, le sussurrava, spronandola a buttarsi nelle tenebre del corridoio. Le temeva, le vedeva allungarsi verso di lei come mani scheletriche, pronte ad avvilupparla e trascinarla del baratro, tuttavia egli la chiamava, l’attendeva chissà dove la fuori e non poteva ignorare il suo richiamo.
    Niente intorno a lei era visibile, tutto era inghiottito dal buio, da quel nero denso che le impediva di capire dove si stesse dirigendo. Si sentiva osservata, toccata da mani inesistenti, da demoni frutto della sua paura, una paura umana per l’ignoto. Le pareva che qualcuno la seguisse, sebbene potesse udire solo il suono dei suoi stessi passi e del suo cuore spaventato. Dov'era il suo dottore? Dove la stava attendendo?
    Una scarica di inquietudine la spinse ad accelerare il passo, a corre verso l’ignoto, solo per sfuggire alle terribili fantasie che torturavano la sua mente. Le lacrime minacciavano di solcare le gote e la voce di liberarsi dalla costrizione della gola, quando improvvisamente una mano l’afferrò per il braccio e la tirò a sé senza alcuno sforzo. Iniziò a tremare pietrificata, bloccata dalla sua stessa immaginazione che prevedeva tragici finali per quella sera. “Non dovresti temermi, lo sai.” Il terrore si dissolse, si sciolte come le sue orecchie udirono quel tono e i suoi occhi incontrarono quelle iridi. La felicità la pervase e le sue braccia si mossero per
    cingerlo in un abbraccio. Poteva essere un sogno, tuttavia le era mancato come nulla prima dall'ora. Lo sentì accarezzarle i capelli, baciarli, cingendo la sua vita per portarla di più contro di sé.
    Sentiva il sangue pulsante chiamarlo, ammaliarlo, quasi supplicarlo di essere sottratto da quella fragile creatura, così piccola e indifesa. “Voglio premiarti per la tua fedeltà.” La fame lo attanagliava, più di qualsiasi altra notte, così come il desiderio di lei. Ciò, ne era consapevole, avrebbe distrutto la giovane donna, ma ne sarebbe valsa la pena per entrambi.
    Calde lacrime cremisi le bagnavano la pelle, divenuta gelida, fredda come il pavimento su cui giaceva riversa con la vita che scivolava lentamente dal suo giovane corpo. Il mondo si appannava sotto i suoi occhi, perdeva i suoi colori, la pallida luce della luna diveniva flebile e lui con i suoi baci pungenti le penetrava la mente, facendo scivolare via la paura, il dolore di quel bacio mortale. Non era mai stato un sogno, l’aveva finalmente capito. Era stata il giocattolo di quell'essere che non riusciva a odiare, quell'uomo a cui si era donata e a cui offriva la sua miserabile vita.

    “Dicono che la ragazza si aggiri ancora per questi luoghi.” Disse un ragazzino guardandosi intorno, la torcia in mano illuminava il suo cammino disseminato di vecchie siringhe, carte e tutta l’immondizia creata dai giovani come lui, che venivano a divertirsi in quei luoghi. Diversi graffiti imbrattavano le pareti e deturpavano quelle mura che si ergevano da anni in quella città. “Si tratta solo di una leggenda, non c’è alcun fantasma.” La voce tremava, era incerta, mentre fuoriusciva dalle labbra di un altro ragazzo, intento a seguire il primo e a non perderlo di vista.
    Il silenzio regnava sovrano, solo i loro passi erano udibili, così come i respiri irregolari, il battito martellante del loro cuore. La paura scorreva nelle loro vene e lui lo sapeva, ne poteva sentire l’odore mentre si avvicinavano, ignari dell’essere che avevano di fronte e di cui l’oscurità celava il sogghigno. La sua amata era lì, ne poteva distinguere le fattezze in quell’oscurità; magnifica, ornata di morte, del dono che lui le aveva fatto. Ella lo osservava, silenziosa come sempre e rispondeva sorridendo al suo sguardo, osservando con occhi bramosi la vita aggirarsi nella loro casa.


    TronoNero

    A Qualunque Costo



    E' il 04 Giugno del 1952. Sono il dottor John Randall e ci troviamo all'Ospedale Psichiatrico "Santa Vipera degli Addolorati" di Nouvielle. Questa è la registrazione del trattamento, il numero 66, somministrato alla paziente Alexis Leppington e vale come un documento ufficiale.

    J: Bene, possiamo iniziare.
    A: Mi chiamo Alexis Leppington e... Dannazione, sarà la centesima volta che lo ripeto: a cosa serve?
    J: Tutto ha uno scopo, Alex, anche se non riesci a vederlo. Ti prego di tornare in carreggiata.
    A: Va bene... Dicevo, sono Alexis Leppington e sono quì perchè sono malata.
    J: Puoi essere più specifica?
    A: Ho visto un fantasma e, quindi, ho deciso fosse il caso di rinchiudermi in questo manicomio.
    J: Non esagerare. E poi, ti correggo, "credi di aver visto un fantasma". Tu stessa ti sei resa conto del problema e sei corsa ai ripari. E' da persone sagge.
    A: Si, certo, come no. Del resto, mica lo ha visto lei. Se sono venuta quì è perchè... Oh, al diavolo. I miei problemi sono iniziati con... Si sentono sillabe senza senso e la voce sembra rompersi in un pianto.
    J: Abbiamo tutto il tempo.
    A: Josh. Tutto è iniziato con Josh. Io lo amavo, credo di amarlo ancora e sono sufficientemente sicura che non amerò mai nessun altro in questo modo. Anzi, forse non amerò nessuno e basta.
    J: Come avete iniziato a frequentarvi?
    A: Come tutte le persone normali: amici di amici. Era il solito tipo "strano", nonostante tutto. Musicista, appassionato di folklore di popoli lontani e, nemmeno a dirlo, di storie dell'orrore. Tuttavia, almeno i primi tempi, riusciva a tenersi per sè queste sue fissazioni.
    J: Quando è cambiato qualcosa?
    A: Qualche mese dopo. Con l'intimità, s'è sciolto. Era sempre triste, ansioso e nevrotico... Aveva bisogno di una spalla su cui piangere e di conforto. E, nonostante tutto, sapeva farlo anche lui, con me. Sebbene, spesso si finisse a fare a gara a chi stava peggio.
    J: Continua a descriverlo.
    A: Maledettamente sensibile, insicuro e instabile. Intelligente da dar fastidio. A letto un totale e inutile incapace, anche se era affettuoso come un bambino. Ogni tanto, però, tirava fuori...
    J: Può bastare.
    A: Aspetti. C'è dell'altro... Facevamo delle "cose" a letto, cose tra noi. Servirà per dopo. Dicevamo, aveva passioni strane e leggeva un sacco di libri. Se non suonava quella maledetta tromba, maldestramente, credo fosse un musicista mediocre, leggeva. Di tutto e di più. Fu una sera d'estate che mi raccontò di quella storia di fantasmi giapponese, quella del tizio che promette all'altro che si sarebbe fatto vivo la Notte di Capodanno, a qualunque costo. Mi rifiuto di raccontarla nuovamente.
    J: Va bene. Le cose, però, sfuggirono di mano.
    A: Le coppie litigano sempre e noi non facevamo eccezione, ma problemi seri, direi, non ne abbiamo mai avuti. Se non che, come si sa, morì qualche anno dopo. Una malattia mortale che aveva nascosto a tutti, anche a quella vipera di sua madre. Morì in pochi giorni, sparendo dalla mia vita velocemente come era apparso. Ovviamente... Non la presi bene.
    J: Ci mancherebbe.
    A: Iniziai a prendere medicine per dormire, frequentai chiese e strizzacervelli, spesso insieme. Ero sempre a farmi la stessa domanda: "perchè?". Come se saperla potesse darmi la pace. Avevo deciso che non meritavo tanta sofferenza e mi ritrovai a sognarlo, a chiedere agli Dei o a Satana, a chiunque, di riportarmelo indietro. Che avrei dato tutto... So che sembra strano, da come ne ho parlato, ma, come dire... Mi capiva. Io avevo bisogno di una persona amorevole. Iniziano a sentirsi sospiri di sigaretta. Forse, il mio, era solo egoismo.
    J: Poi?
    A: Poi avvenne il fattaccio. Suonarono alla porta ed era lui. Vestito come l'ultima volta che l'avevo visto, ma con un cappello che gli copriva il viso. Ma SAPEVO che era lui, sebbene il suo odore sembrasse "strano". Provai a gridare, ma mi tappò la bocca con la mano, poi mi portò sul divano e...
    J: Sembra un'aggressione sessuale, raccontata così.
    A: Si, è vero. Ma era uno dei nostri... "giochi". Per questo, la cosa divenne ancora più incredibile ai miei occhi. Josh era morto, ma era indiscutibilmente lui quello con cui stavo giacendo. Quindi, che fare? In lacrime, mi lasciai andare e, poco dopo, mi svegliai nel mio letto.
    J: Forse è stato un sogno. Sei tu che lo hai evocato.
    A: Ma sentivo il suo contatto, la sua pelle fredda... Il suo respiro cadenzato, le sue manie... Era tutto lì. E, quel giorno, mi aveva stretto fortissimo i polsi. Al risveglio, me li ritrovai doloranti.
    J: Autosuggestione, oppure ti sei adoperata da sola.
    A: Indubbiamente. Ma successe altre volte. Così tante che credevo di essere impazzita. La voce sembra cambiare tono, diventando più stridula. Era lui, il mio Josh, eppure... Era così freddo, i suoi occhi così blu. Era un sogno: un sogno e un incubo insieme. Mi sentivo felice, ma impaurita... Cosa fare? Ma lo lasciai fare.
    J: O, meglio, hai iniziato a darti da fare su te stessa.
    A: Dopo chissà quante volte, glielo dissi: "Non posso continuare a stare con un morto! Dannazione, vattene!" L'avevo ormai compreso, stavo amando un morto vivente. Il dottore non riesce a reprimere un risolino. L'amore mi aveva reso cieca, ma, col tempo, persino un idiota l'avrebbe compreso. Lo mandai via.
    J: E "lui"?
    A: Mi rispose in un modo che non volevo. "Tu mi hai chiamato!" Aveva urlato, ricordandomi di quella stramaledetta fiaba. "Ci siamo scambiati amore eterno e io sto saldando la mia parte! Sono quello che vuoi, ma non basta più!" Diceva, col suo solito modo nervoso di parlare... Pare che, certe cose, nemmeno la morte le può cambiare.
    J: Ti prego, finiscila di parlarne come se fosse successo davvero.
    A: Lei era lì, dottore? Silenzio. Il suo pragmatismo è asfissiante. Ma, ad ogni modo, lo mandai via.
    J: Ma "lui" continuò a farsi vedere.
    A: Si, ovunque. Al supermercato, in Chiesa, a lavoro, nei miei sogni e sotto la mia finestra. Aveva iniziato a spiarmi, lo vedevo ovunque. Iniziai davvero a preoccuparmi, non potendo più dire a me stessa che me lo stavo inventando (perchè ci avevo provato!). Tornò il panico da fine del mondo, anche se per motivi diversi, e smisi nuovamente di dormire. Iniziò la tiritera di medici e medicine, prima di andare alla Stazione di Polizia.
    J: Non andò bene, vero?
    A: Evitiamo di parlarne... Sento ancora le risate. E non era cambiato niente. Urlava "Ti Amo" alle finestre, mi aggrediva mentre facevo la spesa, mi spiava in bagno... Alexis sembra aver iniziato a piangere, seppur sommessamente. Io lo amavo, capite? Lo amo ancora, ma... E' diverso. E' morto, diamine! Che se ne torni nella sua bara di merda! Singhiozzi.
    J: Quì sei al sicuro, Alex.
    A: Come fai a svegliarti la mattina, vedendo il tuo amore morto davanti alla porta di casa? Come? A raccontarmi sempre quella maledetta storia di fantasmi, per tormentarmi! Urla di pianto. Maledizione!
    J: Poi cosa avvenne?
    A: Non potendolo allontanare, me ne andai io. Venni quì, sperando di risolvere il maledetto problema. Quì evadere è difficile, per cui, ho pensato, raggiungermi era difficile. E per un pò, ebbi ragione. Venni ricoverata per le solite cause: isteria femminile, nevrosi e tutto il resto, ma mi andava bene. Non vedevo più Josh.
    J: Cosa è successo una settimana fa?
    A: Ero nel mio letto, stavo prendendo sonno... E l'ho visto. Era un'ombra pallida, evanescente, ai piedi del mio letto. Con la sua solita espressione e il cappello in mano. Sembrava triste. Io avevo talmente tanta paura che mi paralizzai, mandandogli maledizioni dal silenzio della mia mente. Ma lui si avvicinò, fino a toccarmi. Il suo tocco sembrava quello dell'acqua ghiacciata del Nord. Mi disse: "Hai visto? Sono tornato, te l'avevo promesso! Come in quella storia!" Urlai, arrivarono gli infermieri e... E... Mi avete fritto il cervello. Friggete sempre il cervello di tutti. Ma, da come sto ora, deduco che il voltaggio fosse basso. Spero lo aumentiate, così sarò libera.
    J: Ma, se muori, non ti ritroveresti nel suo stesso "regno"?
    A: Come, scusi?
    J: Dicevo, se morissi, poi con chi passerei il mio tempo? Silenzio, lungo un minuto. Alexis inizia a respirare pensatemente. E' successo ancora?
    A: Certo. Sembra il ritmo di respiro di uno in preda al panico. Molte notti... Lo vedo nella mia stenza, pallido come uno spettro. Deve aver venduto il suo corpo al DIAVOLO così da poter superare le pareti come un fantasma. Come...
    J: Come la storia, sì. Il samurai, imprigionato dai nemici, per evadere dalla prigione e superare tutti quei chilometri, si era tagliato il ventre. Da spirito aveva mantenuto fede alla promessa. Ammirevole.
    A: Come ha detto? Ma si sta sentendo?
    J: L'ora sta per terminare, si affretti.
    A: E' tornato altre volte... Mi tocca con quelle sue mani CONGELATE, mi tocca ovunque. E' successo anche stanotte. Io... Mi aiuti!
    J: Cosa potrei mai fare? Dovresti accettare il suo amore.
    A: Porca puttana, è impazzito! Eppure lei è il medico!
    J: Il MIO amore! "A qualunque costo", come ti dissi! Eccomi!
    Alexis urla, si sente rumore di colpi, tavoli che sbattono e grida soffocate. Poi, silenzio.

    ~ KeiLeela

    Tum Tum



    Mi chiamo Elisabeth Diane Stanford.
    Il mio nome è Elisabeth Diane Stanford.
    Mio padre è... Era...

    Mi chiamo Elisabeth Diane Stanford e ho tanto freddo.
    Non riesco a sentire più le mie gambe e le mie braccia. Non riesco a sentire le dita delle mie mani. È questo che significa morire? Quando il tuo corpo non risponde più ai tuoi pensieri?
    Dove sono?
    È come se non fossi qui. Come se vedessi tutto dall'alto. Da fuori.

    Come sono arrivata qui?

    Non sento le dita dei piedi.
    Non sento... Niente...
    Io sono Elisabeth... Elisabeth....
    Ho un altro nome ma non lo ricordo. Non ricordo il nome di mio padre né di mia madre.

    Ma ricordo il piccolo Tòmas. Viveva nella tenuta accanto alla nostra. Era crudele con me Tòmas. Poi è scivolato su un sasso, vicino al torrente. E non si è alzato più.
    Lo avevano detto le voci nella mia testa. È... Era un bambino cattivo Tòmas. Io volevo solo che smettesse e così ha smesso. Per sempre.

    Sento il mio corpo che trema, ma forse non è il freddo. Sono i muscoli che si muovono, ma non sono io a comandarli.

    Le voci dicono che stanno aspettando. Che basterebbe chiederlo ed ogni cosa potrebbe avere una fine.
    Ma io non voglio chiederlo, non ancora.
    Non voglio andarmene senza i miei ricordi. Senza sapere chi sono.

    Io sono... Mi chiamo...

    Non è stata colpa mia. Io l'avevo detto di non partire con quella nave. Lo avevo detto che sarebbe arrivata la tempesta.
    Non era un maleficio da strega.
    Non è stata colpa mia quando "la contessina" ha bruciato i suoi capelli. Non è stata colpa mia quando il figlio dei Greyson è nato morto.
    Non è stata colpa mia quando il cavallo dei Redwine ha disarcionato il suo cavaliere e ha colpito la testa di lady Marianne facendole perdere la vista.
    Io volevo solo che smettesse di guardare a quel modo. Volevo solo che la facesse finita.

    Io non volevo venire qui. Mi ci ha condotto mio padre, perché ero la vergogna della famiglia.
    Io volevo solo essere lasciata in pace.

    Credo sia morto mio padre. Nessuno me l'ha detto, ma credo che sia così. Le voci sanno. Loro non mentono. Anche se sono crudeli.
    Conoscono cose che devono ancora accadere.

    Non riesco a battere gli occhi.

    C'è qualcosa di caldo e denso che riempie le mie narici. Qualcosa che scivola lentamente fino a toccarmi le labbra. Ha un sapore metallico.
    Se lo vedessi dall'esterno direi che è sangue. Non so come faccia a saperlo. Vorrei pulirlo via, ma non riesco a muovere le braccia.

    Silenzio. Il silenzio non è veramente come lo si immagina. È pieno di piccolo rumori.
    Quelli che si odono nella notte.
    Scricchiolii nelle pareti. Passi. Rumori di ruote, respiri.

    Tum. Tum.

    Se si ascolta bene, nel silenzio, si può sentire il battito del proprio cuore.

    Tum. Tum.

    Un suono cadenzato che misura lo scorrere del tempo.

    Un rumore di passi. Qualcuno che grida. Frasi sconclusionate senza un senso.

    Sento che qualcosa dentro di me vorrebbe urlare, ma non sento alcun suono. Sento la voce rimanere soffocata all’interno della mia gola, vorrebbe uscire. Ma di nuovo sono qui in questa prigione di carne. Nulla risponde al mio comando.

    Di nuovo non sono qui.
    Non so dove sono.

    La mente viaggia, raccoglie ricordi, momenti.
Sento le braccia che mi afferrano.
    Sento le gambe scalciare, le mani graffiare, i denti afferrare e tentare di strappare via pezzi di carne.
    Un animale ferito e preso in gabbia.

    Chi sono io?

    Io sono…. Mi chiamo….

    Tum. Tum.


    La stanza è vuota, il pavimento è freddo. C’è qualcosa di bagnato sul pavimento. Qualcosa che scivola dalle mie gambe. Non ha un buon odore. Nulla ha un buon odore qui.

    Tum. Tum.

    Mi sento bloccare, stringere. Mi sento gridare.
    Lasciatemi andare! No, non voglio.
    Non sono io ad urlare. È l’altra. È quella nella mia testa.

    Mi chiamo… Mi chiamo…

    Sono immobile. Ho le braccia legate, le gambe strette da cinghie. Il mio corpo, la mia testa.
    «Andrà tutto bene.»
    Vorrei scuotere la testa.
    No, non andrà tutto bene. Io lo so. L’ho già visto.
    Per favore.
    Non serve a nulla. Mi guarda come si guarda una bambina. O forse una cosa. Ripete quella frase.
    Andrà tutto bene.
    No, non andrà bene affatto.
    Sento i miei occhi saettare da un angolo all’altro delle stanza, alla ricerca di qualcuno… Qualcosa… Una speranza a cui aggrapparsi. Qualcuno da supplicare, pregare.
    Si fermano su quella punta, quello strumento di tortura.

    Tum. Tum.

    La parete della stanza è grigia. Ci sono suoni nei muri. Voci. Scricchiolii.

    Non riesco a deglutire. Qualcosa mi risale su per la gola.
    Non riesco a respirare.
    Mi scoppia la testa.
    Fa male

    Tum. Tum.

    La luce bianca. Il punteruolo. Le lacrime sulle mie guance.
    Ti prego. Sarò buona. Farò la brava.
    Parole che pronuncia l’altra. Sempre lei. Quella che sono io, ma non adesso.
    «Sì, sarai brava. Quando tutto sarà finito.»

    Tum. Tum.

    Lacrime. Ancora lacrime. Non so bene se sia io quella che piange o l’altra. Forse entrambe.

    Tum. Tum.

    Qualcosa nella mia bocca mi impedisce di parlare. Mi impedisce di urlare.

    Tum. Tum.

    È solo un pensiero.
    Aiuto! Voglio andare via. Portatemi fuori di qui.
    Andrà tutto bene, provo a ripetere.
    E vedo la punta . Più vicina. Sempre dannatamente più vicina alla mia faccia.

    Andrà tutto bene. Andrà tutto bene.

    No, non andrà tutto bene.
    La voce nella mia testa si fa pressante. Lo sai, lo hai visto. E vorrei solo scappare.

    Tum. Tum.

    Mi chiamo… Mi chiamo…
    Mi chiamo Elisabeth Dia…

    Il buio.
    Un fitto dolore e poi più niente.
    Vedo senza vedere.
    Nulla ha più senso.

    «Visto? È andato tutto bene.»

    Dice la voce.

    No, non è andato tutto bene, maledetto figlio di puttana!

    Dove sono? Non lo so più.
    C’è solo il buio, il vuoto.

    Chi sono? Non lo so più.

    Tum. Tum.

    C’è solo quel rumore e nulla più.
    C’è solo quel suono assordante, come un tamburo nella mia testa.
    Non riesco a respirare, sto per soffocare.

    Tum. Tum.

    Ancora e ancora.
    Basta! Non lo sopporto più!
    È quasi finita la carta.
    Non so come faccio a saperlo…

    Tum. Tum.

    Voglio andare via. Sento le ombre che mi chiamano.
    Loro conoscono il mio nome. Io non più.

    Vieni…

    Dicono. E forse sarebbe la soluzione migliore.

    Tum. Tum.

    La mia testa sta per esplodere. Voglio solo che smetta. Che smetta di fare male.

    Tum. Tum.

    Le voci, i suoni sono sempre più forti. Fanno sempre più male.

    È finita.

    Dicono. Ed è così. La fine di tutto.

    Non c’è più carta


    24 ottobre 1965

    Questo documento è stato trovato all'interno della camera della paziente 747.
    Il testo era stato trascritto su un rotolo di carta igienica, forse l'unico elemento che la paziente aveva trovato a sua disposizione. Presenta macchie di sangue, forse traccia del delitto che si è consumato in quella stanza.
    Si presuppone che la paziente abbia rubato una penna ad uno degli infermieri. La trascrizione di seguito è il testo completo così come trascritto dalla paziente stessa, almeno quanto ancora risultava possibile interpretare. La calligrafia della paziente risulta tremolante ed incerta. È possibile che buona parte di quanto riportato non sia frutto di altro che dei suoi vaneggiamenti.
    L’arma del delitto è la stilografica stessa. È stata trovata nel cranio della paziente. Ha perforato la tempia nel lato sinistro.
    La paziente giaceva seduta nei suoi stessi escrementi, con il capo poggiato alla parete. La bocca piena di vomito.
    Dubitiamo che essa stessa abbia avuto la forza di compiere quel gesto da sola. Tuttavia le telecamere di sorveglianza non mostrano nessuno che sia entrato o uscito da quella camera.
    Si presuppone che le perdite di sangue dal naso, orecchie e dotti lacrimali, siano stati effetti dell’intervento andato a male.
    Come sia morta Elisabeth Diane Stanford, rimane un mistero.


    10 novembre 1965
    Aggiornamento.
    Il dottor Gregory Freeman è stato trovato morto nel suo studio.
    L’uomo è stato trovato da un inserviente che aveva bussato alla sua porta. Il decesso sembra essere avvenuto qualche giorno prima.
    Il dottor Freeman stava rileggendo i rapporti in merito all’intervento di lobectomia transorbitale della Stanford, che si presuppone potrebbe essere parte delle cause del decesso della stessa.
    Dall’autopsia sembra che il cuore del dottor Freeman si sia arrestato improvvisamente. Una penna stilografica è stata ritrovata all’interno dell’orbita dell’occhio sinistro. Similmente al caso della Stanford sono state riscontrate perdite di sangue da occhi, orecchie, naso e bocca.



    Sugar Pinkie

    I WAS NEVER HERE


    'I was never here'. La frase incisa sul muro della cella 17. Quattro parole che avevano perdurato nel tempo senza sbiadire, dal lontano 1930, e che avevano sempre destato una certa curiosità in chi si affacciava a guardare dentro la stanza, dislocata nell'ala femminile del quanto mai famoso- ed abbandonato- istituto psichiatrico di Nouvieille.
    Non solo la scritta aveva il potere di far divampare un certo occulto interesse, ma anche un buco, un'apertura grande come un pugno sul pavimento sotto la frase. Si apriva fra le piastrelle, un occhio nero che riusciva a guardare in profondità chi a sua volta vi posava lo sguardo. E più a lungo lo si fissava, più era la sensazione di smarrimento e primordiale terrore.
    Nel 1930, dopo la scomparsa della donna che soggiornava nella cella 17, gli inservienti avevano cercato di rimuovere la scritta e riparare il buco, ma ogni sforzo fatto era stato inutile: frase e fenditura ritornavano puntualmente. La cella venne dunque adibita a ripostiglio, un piccolo luogo in cui riporre attrezzatura, sperando di nascondere così i pettegolezzi e le voci che giravano su quella scritta, celata dietro ai pesanti e vecchi materassi smessi. Ma la sensazione di estraneità e ribrezzo verso la cella non cessarono mai, fino alla chiusura del manicomio.

    I was never here... non sono mai stata qui.

    E' matta, avevano detto le vicine quando si era rasata i capelli sostenendo che così non sarebbe stata afferrata.
    Va internata, si erano premurate di dire al commissario quando la giovane aveva iniziato a levare tutte le mattonelle di casa, le dita tagliate e sanguinanti. Solo lei la sentiva grattare e chiamare?
    Poverina, avevano esclamato i passanti quando, vestita solo di una camiciola bianca ed una sotto veste, si era gettata sulle gradinate della chiesa gridando, dopo una furiosa corsa per le strade.

    'Devo vedere il papa... devo vedere il papa... lasciatemi...'

    L'avevano subito rinchiusa: cella numero 17. Psicosi, isteria, alienazione mentale. Ma era sempre stata sana, una giovane senza problemi ed estremamente stabile, cambiata pochi mesi dopo il matrimonio contratto con un uomo vedovo, un facoltoso e triste personaggio che vedeva più il treno delle mura domestiche, e che sulle sue spalle gravava l'ombra di un processo archiviato per l'omicidio della prima moglie.
    Era stata sedata quando era riuscita a recuperare un pezzo di vetro con cui si era, malamente, tagliata i capelli, il cuoio capelluto simile ad un vecchio berretto smesso da cui spuntavano lacerazioni e ciuffi di pelo. Non era servito. Nella tranquillità placida della morfina si era mangiata le unghie, strappandole a fondo, e lasciando nude le punte delle dita, una decina di ballerine in abiti scarlatti. Ed anche a lei fu messo un abito bianco, per impedirle di continuare a ferirsi.

    Le vicine, comari, da tempo si erano rese conto che qualcosa non andava: voci nella casa quando il marito era lontano, uomini e donne inesistenti. Quando vi era lui bisbigli, suppliche verso di lei e le promesse di tornare, di stare buona.
    'Mi ha detto che sei stato tu' aveva mormorato una volta lei con voce incolore.
    'A fare cosa?' si era affrettato a rispondere lui con un tremolio nel bel timbro.
    'L'hai spinta in un buco, molto a fondo'
    Altro non era stato sentito dalle comari, ma da quel momento sulla casa dei due sposi era calata una nera cappa e l'uomo aveva preso a rimanere spesso fuori casa. Fino a quando lei non era stata portata via.

    'Se fai qualcosa per me, poi io ne faccio una per te', erano state le parole degli inservienti, pantaloni calati ed eretti che la visitavano in ogni momento della giornata.
    'Non ricordo più com'è stare al sole', Annita che guardava dalle finestre sbarrate un mondo che non le sarebbe più appartenuto, morta da lì a pochi giorni di infezione e seppellita in una fossa comune. Nessuno la voleva, tranne lei.
    'Signorina, lei sa che se non collabora non potremmo rimandarla a casa da suo marito?', sbottava rabbioso il medico calvo, sulla cui testa poteva scorgere pochi bianchi capelli, come alberi rinsecchiti seminati su una terra lucida e puntinata di orribili macchiette marroni. Lo sapeva.
    'Se parlo con lei mi verranno a prendere... non sarò mai stata qui!' aveva bisbigliato all'uomo con la testa di uovo di quaglia. Si era stesa sulla scrivania, aveva giocherellato con le matite, i fogli, facendo disegni sulla superficie di legno del tavolo, un regalo per l'uomo sempre arrabbiato. Ma a lui non era piaciuto ed era tornata in cella. La sua dose. Ancora stelle sul soffitto grigio delle sue palpebre chiuse, cercando di non ascoltare la testa fatta di lanugine che la guardava dall'angolo della cella, orbite vuote che la fissavano a fondo.
    Mesi? Anni? Dimenticata? Giorni uguali passati a parlare con Rachel, la sua testa di lanugine nell'angolo. Nessuno la voleva pulire, gli inservienti dicevano che non c'era. Ma Rachel era lì, l'unica persona con cui parlare dopo che Annita se n'era andata. Rachel era l'unica con cui poter condividere la cella e le sue paure e fu Rachel a convincerla a parlare.
    'SUA MOGLIE STA A CASA!'
    'IL CAMINO...'
    'RACHEL VUOLE DEI FIORI'
    Frasi sconnesse per gli altri. Indizi utili per lei.
    Il suo non fu un lieto fine, perché lo capirono troppo tardi cosa stesse farfugliando, anni dopo che sul muro era apparsa quella scritta e nel pavimento si era aperto quel buco. Anni che cancellarono il suo nome dai ricordi e dai documenti, ma che fece nascere una leggenda su questa cosa. Che fosse morta, dimessa o spostata in un altro istituto non interessava a nessuno, quanto più la storia che si celava dietro al muro.
    La leggenda semplicemente afferma che una ragazza aveva contratto un matrimonio estremamente favorevole con un ricco vedovo e che questo, dopo che lei aveva scoperto un torbido segreto di lui, era stata internata. Aveva cercato per anni di farsi ascoltare, di rivelare al mondo quello che lui era riuscito a nascondere per anni. Si ipotizzava che lei avesse fatto un patto con forze maligne per andarsene di lì, ma che l'ingenuità della ragazza l'aveva portata ad un grosso sbaglio: fu risucchiata dentro i muri stessi del manicomio, triturata e spezzata per passare attraverso il buco del pavimento ed esser costretta in eterno a fissare chiunque passasse, senza poter proferir parola, soffrendo della sua condizione di anima in pena.
    Forse è vero, forse no. Ma una cosa è certa: chiunque guarda in quel buco non vede niente, ma è sicuro che qualcuno dall'altra parte vi sia a fissarlo. Un'orbita vuota senza palpebre che penetra nel profondo, appartenuta a qualcuno che 'non è mai stata qui'
     
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    ~ my greatest sin is my own existence

    Per principio NON entro su forum o siti spammati per mp

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    Angeli Neri
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    Aderenza 3
    Ortografia 3
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    Conosco il tuo modo di scrivere e lo trovo molto curato. Hai una bella penna e ti dissi già che il racconto mi era piaciuto molto. Mi è piaciuta molto anche la possibilità di finale aperto che hai lasciato, perché in questo modo questi eventi potranno in qualche modo ritornare utili in gioco.

    Trono

    Aderenza 3
    Ortografia 3
    Originalità 2
    Stili 1


    L’idea mi è piaciuta molto, è sicuramente diversa, però secondo me lo stile copione le ha fatto perdere molti punti e anche un po’ di atmosfera.


    Sugar

    Aderenza 3
    Ortografia 3
    Originalità 2
    Stili 2

    Anche nel tuo caso come in quello di bloody mi è piaciuta la scelta di lasciare la possibilità di un evoluzione. Dopotutto quel muto potrebbe essere ancora all’interno del manicomio ed essere per questo sfruttato in gioco. Molto bella anche la storia, abbastanza inquietante.





    In linea generale almeno a me i racconti sono piaciuti molto. Mi è sembrato che bene o male sia stato colto un po’ da tutti il senso del Contest. Tutti bravi ^^
     
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    Smile... smile... smiiiile :)

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    BLOODY

    Aderenza la tema: 1
    La traccia richiedeva uno psico-thriller e non è quello che ho trovato nella lettura. C'è una leggera nota che riporta al sottogenere, ovvero la circuizione della ragazza da parte del vampiro, ma oltre quello non ho trovato la suspense, l'horror, la lotta psicologica o la componente filosofica, quindi niente metafisica, etica e branche secondarie. E' un racconto, a mio avviso, con una trama più sviluppata per raffigurare un amore 'illecito' che non la lotta con se stessi ed il genere umano nella sua componente psicologica.
    Nello scritto rivedo più una Hamilton che non uno Stephen King. Inoltre mi ha piacevolmente riportato alla mente il film 'Dracula morto e contento', quando il vampiro va a prendere Renfield al manicomio.
    Inoltre vi sono molte componenti romantiche, oltre quelle della trama, che sviano maggiormente dal tema: durante la metà del Novecento i manicomi erano luoghi di sevizie e sperimentazioni, dove i reclusi venivano malmenati e maltrattati dagli inservienti ed i medici fungevano più da scienziati che curatori. Medicine, coccole e preoccupazioni sono discretamente lontani dalla realtà dei fatti.

    Ortografia/grammatica: 2
    E' un due molto stringato. A livello di errori ortografici ve ne sono discreti, soprattutto verso la parte finale, che credo siano dovuti a sviste. La problematica, per me, sorge nel cercare di capire chi fa cosa: spesso si salta da lui a lei senza una vera giunzione fluente, il che rende difficoltoso raccapezzarsi, ad un certo punto, e questo spezza la fluidità della lettura. Inoltre questi passaggi avvengono con un cambiamento di tempo e persona molto stridenti.
    Ci sono molte ripetizioni che appesantiscono la lettura e distolgono l'attenzione dalla storia, come [...]La voce tremava, era incerta[...] oppure [...]Le intimava, le sussurrava[...]. Può essere un bel 'di più' se utilizzato con maggiore parsimonia e soprattutto nei momenti di maggior pathos e intensità di certe scene.
    Sulla questione delle ripetizioni ho notato che spesso ci sono due paragrafi in sequenza che ripropongono la medesima cosa, anche se descritte in maniera diversa. Anche questo appesantisce la lettura e distoglie molto l'attenzione.
    Ci sono due punti di sospensione nel posto sbagliato.
    Con questi accorgimenti la pesantezza nello stile di scrittura sarebbe stata limitata e migliorata, a mio parere.

    Originalità: 1
    Come ho detto più su lo scritto mi ricorda TANTISSIMO il Dracula di Mel Brooks, nella scena in cui si reca a liberare Renfield dal manicomio. Il personaggio femminile e quello maschile riportano anche alcune battute del film.
    Non posso dare più di così in originalità perché si vedono praticamente ovunque vampiri che ricoprono cariche del genere e non succede nulla di originale che mi faccia saltare sulla sedia. Per mio gusto sarebbe stato divertente leggere che il vampiro la dava in pasto a dei ghoul o inservienti-vampiri.

    Stili e Linguaggio: 2
    La mia adolescenza praticamente. Lo stile ed il linguaggio utilizzato sono molto soft per il tipo di racconto richiesto, riportandomi a scrittori come la Invernizio o, più recentemente, la Rice, anche se avrei preferito leggere qualcosa alla King, Dorn o Kepler.




    TRONO
    A qualunque costo

    Aderenza al tema: 3
    A livello di coerenza con il tema ci siamo. La suspense è palpabile, reale e adeguata al tipo di traccia che viene richiesta di seguire. C'è l'ansia della protagonista per la situazione, la sua necessità di confronto che riporta a domande esistenziali e la labile sanità mentale che vacilla, di chi sta con un piede da una parte e uno dall'altra di un'invisibile linea. Mi piace che i due personaggi principali, dottore e paziente, non siano profondamente caratterizzati, ma comunque le parole di lei delineano il personaggio quasi intimamente.

    Ortografia/Grammatica: 2
    Avrei voluto dare un voto più alto, ma ci sono problemi di grammatica rilevanti e anche di ortografia. Si nota che è un racconto a 'flusso di coscienza', che è stato buttato giù in un impeto di ispirazione, ma si nota anche che non vi è stata poi la successiva fase di raffinazione del materiale, perdendo un po' in certi punti di fluidità. Di tanto in tanto ho notato la mancanza di qualche punto e/o virgola che sarebbero stati apprezzati.
    Più di una volta ci sono immagini all'interno della storia su cui non mi raccapezzo, come il medico che le dice di fermarsi o la sigaretta sospirante, che anche in questo caso spezzano il racconto.

    Originalità: 3
    Mi è piaciuto vedere in una storia psicologica l'aggiunta di due razze del forum che solitamente sono un po' 'snobbate'. Per non parlare del passaggio da risvegliato a fantasma è stato un tocco a mio avviso molto originale.
    Più nella norma la registrazione, che fa quasi rassomigliare il racconto ad una sceneggiatura, ma che non limita la storia ed, anzi, impegna il lettore nell'immaginare le varie situazioni.

    Stile e Linguaggio: 2
    Mi è dispiaciuto per il finale. E' stato mantenuto un determinato stile per tutto il racconto, una velocità che andava in un ordinato crescendo, ma alla fine c'è stato un velocissimo ruzzolare che mi ha impedito di godere fino all'ultimo di ciò che era stato scritto. Il linguaggio è adeguato al tipo di racconto che è presentato; sfortunatamente non ho molto apprezzato il modo fin troppo colloquiale del medico-spirito di rivolgersi alla protagonista, anche se questa scelta è supportata dal fatto che non era il medico vero e proprio.




    KEILEELA

    Aderenza al tema: 2
    Non sono una fanatica dello spezzato utilizzato per raccontare. Il racconto, però, si affida al flusso di coscienza ed all'io narrante degli psico-thriller, ci sono i temi che spesso vengono trattati, ma sono fatti in maniera pesante e solo poche parti narrano effettivamente della storia del personaggio descritto. Non c'è suspense e forse mi sarebbe piaciuto maggiormente scendere in determinati particolari della vita di lei.
    Si fa inoltre riferimento a telecamere nel manicomio che, per il periodo storico, non sarebbero state possibili, in quanto la distribuzione di quel tipo di video-sorveglianza ha iniziato ad esser tale verso gli inizi degli anni '60.

    Ortografia/Grammatica: 2
    Ho trovato le ripetizioni opprimenti ed a tratti quasi fastidiose nella prima parte del racconto, in cui potevano essere sostituite forse con maggiori dettagli della storia di lei. Nelle lettere finali del racconto sono presenti delle ripetizioni di certe parole.
    Tutto sommato non ci sono problemi di ortografia e grammatica consistenti.

    Originalità: 1
    Pensavo inizialmente ad una versione da manicomio del 'Cuore Rivelatore'. Una volta terminato di leggere ho rivisto una versione stringata del periodo in prigione della protagonista di 'V per Vendetta', mischiata ad alcune scene di 'The Terror'. Mi è piaciuta la parte finale, dove il medico riesamina il passato di questa donna ed ammetto che sarebbe stato interessante vedere anche maggiori sviluppi su questa parte della storia.

    Stile e Linguaggio: 1
    Il linguaggio è estremamente semplice, come lo stile. Non è pretenzioso e si mantiene piatto, seguendo una trama lineare e senza colpi di scena. La descrizione della lobotomia, le sevizie degli inservienti ed il periodo in manicomio sono da manuale, ed è un peccato non aver avuto più dettagli sulla back-story della protagonista.
     
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    Viandante passeggero

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    BloodyRoseOfVampire

    Aderenza al tema: 1
    Il contest richiedeva espressamente una matrice “psico-thriller”, tuttavia il racconto non presenta elementi che riconducano a questa matrice in modo chiaro e univoco. L’eccezione è forse data dal passaggio in cui si accenna al fatto che il vampiro/psichiatra fa credere alla protagonista del racconto che le sue visite notturne siano un sogno. Anche questo elemento, tuttavia, si discosta dal vero e proprio psico-thriller, che è incentrato su un aspetto prettamente mentale per sua definizione, mentre quanto descritto è letteralmente una serie di interazioni fisiche e quasi per nulla mentali. Non vi è la descrizione della lotta mentale cui la protagonista dovrebbe essere sottoposta, nessun tentativo di ribellarsi ad un gioco psicologico(che per l’appunto non è quasi presente). Non sono presenti grandi descrizioni dei luoghi e della psiche dei personaggi, nessuna osservazione di stampo filosofico ed esistenziale che caratterizzano tanto il genere.
    Mi dà più l’idea di un harmony con dei vampiri, ad essere sincero, e l’impressione è che sia stata data importanza agli elementi meno importanti del genere di racconto richiesto.

    Ortografia & Grammatica: 1
    Personalmente trovo che il testo sia presentato con poca cura. Vi sono frequenti cambi di persona e punti di vista: in alcuni tratti questi convergono addirittura, creando momenti di confusione estremamente fastidiosi e che interrompono la lettura. Questo aspetto è legato anche al frequente cambio di tempi verbali che a loro volta contribuiscono a spezzare ulteriormente la fluidità del racconto.
    Il testo è inoltre disseminato di ripetizioni [es.: “la osservavano, lui la osservava”; “di fronte a lui, con indosso la divisa del manicomio e lo sguardo fisso sulle scarpe lucide di lui” ; “]. Queste si verificano anche fra interi paragrafi, che a tratti descrivono le stesse cose, solo in chiave diversa. Lo scritto è anche punteggiato da aggettivi ripetuti [es.: “colmo pieno”] oppure verbi discordanti [es.: “Le intimava, le sussurrava”], che a mio parere sono indice di distrazione o mancata rilettura.
    Il testo risulta inoltre appesantito dall’eccessivo utilizzo di costruzioni enfatiche che vedono al loro centro il largo utilizzo di pronomi dimostrativi e la terza persona plurale o, nel caso della sequenza del sogno, addirittura il plurale maiestatis. Un utilizzo più oculato di queste costruzioni avrebbe potuto rendere il testo molto più godibile, specialmente nei momenti che sarebbero dovuti essere più emotivamente coinvolgenti.

    Originalità: 0,5
    Non ho percepito alcun senso di mistero o di suspence: già dalle prime due righe si capisce dove la scrittrice vuole andare a parare, poiché lo psichiatra è fin da subito descritto come il cliché del vampiro sotto copertura visto fin troppe volte in svariati racconti del genere. Di conseguenza anche la storia stessa ne soffre, dato che non c’è alcun mistero da scoprire e non vi è dubbio su come la questione si svolgerà: il vampiro utilizza il suo charme per circuire la paziente senza alcuno sforzo e senza alcun trucco mentale complesso per farla cadere nella propria trappola. Questo discorso si lega nuovamente al problema della matrice di base del racconto, che viene secondo me male interpretata nonché capovolta facendo un uso scarso della componente mentale del genere psico-thriller.
    Piuttosto che un classico, il tipo di storia narrato è forse da considerarsi esso stesso un cliché, sfortunatamente, anche se con i dovuti accorgimenti avrebbe potuto essere ugualmente gestito in modo da creare una storia intrigante.

    Stile & Linguaggio: 1
    Lo stile è inevitabilmente legato all’ortografia. Ricollegandomi a una parte di quanto detto precedentemente, vi è un utilizzo smodato di pronomi dimostrativi e terze persone plurali nel tentativo di avvicinarsi forse allo stile gotico. Sfortunatamente trovo che l’intenzione non sia del tutto riuscita, considerando che le costruzioni di cui sopra sono state utilizzate in maniera eccessiva ed inappropriata il più delle volte.
    La costruzione delle situazioni e la dinamica delle interazioni fra lo psichiatra e la paziente, inoltre, sono esse stesse una barriera allo stile che si cerca di esprimere: per quasi tutto il tempo ho avuto l’impressione di leggere una strana combinazione fra un harmony e una commedia parodistica sui vampiri. Voto: 1



    Trono Nero

    Aderenza al tema: 3
    Lo scritto si attiene molto alla formula richiesta dal contest. In particolare, non abbiamo grandi interazioni fisiche poiché tutto il testo è presentato nella forma di un semplice botta e risposta fra un medico e il suo paziente. Vi sono, principalmente, due aspetti che creano l’atmosfera e le sensazioni giuste:
    1) il modo sospetto in cui lo psicologo pone delle domande palesemente poco professionali e a volte del tutto detrimentali da un punto di vista medico;
    2) la maniera di rispondere fin troppo lucida della paziente, che è lì per propria volontà ma allo stesso tempo sembra così assorbita dal racconto da non accorgersi che qualcosa non sta andando per il verso giusto.
    In questa maniera lo scrittore è riuscito ad incuriosirmi, a voler sapere come andasse a finire, quale fosse il mistero e perché questo dottore si comportasse in modo così erratico. Non c’è forse un vero e proprio trabocchetto mentale, tuttavia mistero e suspance traspaiono bene dal dialogo.

    Ortografia & Grammatica: 2
    Arriviamo ad uno dei due punti un po’ dolenti, a mio parere. La cosa che ho notato di più è stata la mancanza di distinzione fra le parti narrate e le parti dialogate del racconto. È particolarmente fastidioso leggere il monologo di un personaggio e ritrovarsi improvvisamente distratti da una frase che dovrebbe convogliare un’azione al di fuori di ciò che il personaggio dice. Allo stesso modo vi sono alcune costruzioni errate [es.:“Iniziano a sentirsi sospiri di sigaretta”] che interrompono l’immersività poiché palesemente fuori posto. Qualche refuso e la punteggiatura non sempre corretta mi impediscono di dare un voto pieno a questa voce.

    Originalità:3 L’idea che il fidanzato della protagonista sia morto per poi tornare come un Risorto, per poi divenire uno Spettro e poi impossessarsi del dottore è un’idea estremamente originale e accattivante. Mi è piaciuta molto e ammetto che è stata una domanda che mi ha seguito per tutta la durata della storia per poi rivelarsi con il finale.

    Stile & Linguaggio: 2 Il linguaggio è semplice e diretto e lo stile non ha molte pretese, rendendo il narrato piuttosto fluido, fatta eccezione per gli appunti già fatti per ortografia e grammatica.
    L’unica pecca stilistica secondo me sta nel finale: quest’ultimo è infatti un po’ troppo sconclusionato e confuso, tanto che ho impiegato qualche minuto per capire cosa fosse effettivamente successo. Ho notato una sorta di frettolosità nel mettere insieme tutti i vari indizi, che traspaiono con un po’ troppa poca chiarezza dalle ultime battute. Nel complesso però essendo l’idea di base estremamente interessante, ciò non toglie troppo al racconto.



    Keileela

    Aderenza al tema: 1
    Non ho trovato una grandissima aderenza al tema in questo scritto. Non vi è suspence o mistero e l’unico tentativo in questo senso è il fatto che la testimonianza in prima persona sembra voler emulare una discesa nella pazzia. Ci sono dei problemi grandi anche in questo senso, a mio avviso, visto che la costruzione non convoglia per niente l’aspetto psicologico richiesto dalla matrice di stampo psico-thriller.

    Ortografia & Grammatica: 2
    Grammaticalmente non vi sono grandi errori, ho notato giusto qualche refuso di distrazione.
    Ortograficamente il problema maggiore per me sono state le ripetizioni, che dopo un po’ diventano piuttosto fastidiose e si sarebbero potute tranquillamente evitare con un accorto uso di sinonimi.

    Originalità: 0,5
    Qui purtroppo sarò spietato. Con l’originalità non ci siamo. La storia che si vuole raccontare è forse ancora più dozzinale del cliché del vampiro sotto mentite spoglie, questo perché la si può trovare letteralmente in qualsiasi tipo di scritto immaginabile: ogni volta che uno scrittore tenta di far precipitare un personaggio nella pazzia e nella depressione viene usato questo tipo di struttura ed è sinceramente ormai talmente datata da risultare estremamente pedante e fastidiosa, perlomeno per quanto mi riguarda. Non ci sono plot-twist, non ci sono misteri o indagini di sorta. L’eccezione sarebbero le fantomatiche telecamere di sorveglianza cui si accenna nella seconda parte dello scritto: l’unico problema è che negli anni ‘50 le telecamere di sorveglianza era ancora impiegate prevalentemente in ambito militare e difficilmente un manicomio sperduto nel nulla si sarebbe potuto permettere una tale tecnologia (innovativa per l’epoca). Questo va quindi a togliere valore alla parte del “mistero” che si cerca di costruire verso la fine e quindi a mio avviso priva completamente dell’elemento thriller che avrebbe potuto essere presente.

    Stile & Linguaggio: 1
    Il linguaggio è semplice e diretto senza fronzoli o tentativi di termini aulici forzati.
    Il problema maggiore a mio avviso è a livello stilistico. Il modo in cui la testimonianza è costruita, ovvero il modello di testo spezzato, è una tecnica che risulta estremamente efficace qualora si voglia convogliare ansia. Il problema è che funziona solamente se usato per brevi tratti. Il fatto che l’intera testimonianza sia scritta in questa maniera porta inevitabilmente ad una forte ridondanza fin dal primo paragrafo, dando l’impressione di star leggendo una lista della spesa piuttosto che un monologo interiore di una persona rinchiusa in un manicomio. Per quanto quindi non vi siano grossi problemi di grammatica, a mio parere la costruzione del testo è piuttosto pesante e si sarebbe potuta affrontare in maniera diversa.



    Sugar Pinkie

    Aderenza al tema: 3
    Che dire, il tema, a mio avviso è stato centrato in pieno. C’è un ottimo mix di orrore, suspance e mistero, perfettamente mescolato in un racconto che bilancia un narrato fluido ed intrigante e pochi dialoghi efficaci. In effetti, si può dire che viene lasciato grandissimo spazio al narrato, che rende perfettamente chiara una storia lineare ma solida.

    Ortografia & Grammatica:2
    L’unico punto su cui non mi sento di dare un voto pieno. Per quanto il testo sia molto scorrevole, vi sono alcuni refusi e alcune costruzioni che interrompono l’immersività, anche se brevemente. Ad esempio si notano delle discordanze fra espressioni utilizzate all’inizio di una frase seguite in finale da espressioni discordanti [ es.:“e che sulle sue spalle gravava” ; “un matrimonio estremamente favorevole con un ricco vedovo e che questo, dopo che lei aveva scoperto un torbido segreto di lui, era stata internata.”]. Vi sono anche un paio di virgole qui e là che sarebbero potute essere posizionate in maniera migliore.

    Originalità: 3
    Ho particolarmente apprezzato il fatto che non vi fosse un’entità definita nella storia. Non si capisce mai chi stia parlando davvero con la protagonista: è la prima moglie del vedovo? È un essere soprannaturale e demoniaco? Il mistero aleggia fino alla fine e non viene mai rivelato, lasciando all’immaginazione del lettore il compito di riempire i buchi e collegare gli indizi.
    La storia stessa inoltre è, fondamentalmente, molto semplice e lineare ma nonostante questo passa quasi in secondo piano, date le funzionali – e a volte brutali – descrizioni, che rendono l’atmosfera opprimente e carica d’ansia.

    Stile & Linguaggio: 3
    Il linguaggio è semplice e ben strutturato, senza fronzoli o tentativi di rendere il linguaggio inutilmente più ricco. La crudezza della storia è infatti convogliata proprio dalla semplicità dei termini utilizzati ed è pertanto una componente che trovo molto importante e gradita.
    Attraverso le descrizioni e i comportamenti della protagonista, ciò che osserva e ciò che la terrorizza si riesce ad entrare in sintonia con lei, a capirne la paura e quindi ad empatizzare, cosa che porta il lettore ad un’immersività quasi totale.
     
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    Bloody_reader

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    Originalità: 3
    Stile e linguaggio: 1
    Il racconto è concerne alla trama, è anche godibile. Essendo un qualcosa che dovrebbe dare un minimo di background credo sarebbe stato più consono creare qualcosa che potesse dare sviluppi futuri. Mi è risultato complicato capire la storia, ciò che veniva raccontato, ma ho apprezzato la figura dello psicologo e il colpo di scena. Il tasto dolente è lo stile, per cui il racconto perde molto. La scelta dell’utilizzo dello stile “copione” appiattisce la vicenda, poiché non si ritrova alcun tipo di atmosfera particolare, niente che mi faccia immergere nella vicenda. Questo è dovuto anche ai dialoghi formati da periodi brevi e coincisi, da cui emerge poco dei personaggi, delle loro emozioni e di tutto quello che sta avvenendo. Ai miei occhi è tutto fin troppo veloce, ma è un qualcosa dato proprio dalla modalità di scrittura adottata, in sé il racconto ha molto potenziale e credo che esposto in maniera differente avrebbe di certo ottenuto – da parte mia – una valutazione più positiva.

    ~ KeiLeela
    Tum Tum

    Aderenza alla trama: 3
    Ortografia e grammatica 3
    Originalità: 2
    Stile e linguaggio: 2
    Si tratta di uno dei racconti che ho apprezzato maggiormente e che mi sono proprio goduta.
    Ho amato la scelta di far narrare la storia alla stessa protagonista, di parlare in modo velato della lobotomia e di pratiche ancora in uso in quei anni, oltre che le conseguenze causata da questa. Un alone di mistero pervade il finale che lascia il lettore colmo di domande, sia sulla morte della paziente che su quella del dottore. Non ho notato errori, o frasi che potessero stonare, solo forse qualcosina nella penultima parte che poteva essere sostituito da altro. Il passare da una narrazione in prima persona ad un resoconto ufficiale – almeno per come ho inteso gli ultimi due paragrafi sono scritti da qualcuno che si occupa del “caso”. – mi è piaciuto particolarmente, anche se non si sa effettivamente chi sia a scrivere. In queste parte avrei diviso diversamente alcune parti, per dare più fluidità al testo.
    Devo dire che ai miei occhi appare come l’inizio di qualcosa, magari di una bella indagine o una particolare avventura.

    Sugar Pinkie
    I was never here

    Aderenza alla trama: 2
    Ortografia e grammatica 1
    Originalità: 2
    Stile e linguaggio: 1
    Il racconto mi ha subito portato alla mente una scena di The grudge, a causa dell’occhio che fissa attraverso una fessura; un topos alquanto ricorrente nell’horror. L’intera storia mi ricorda effettivamente qualcosa di già visto, piccoli elementi che si possono ritrovare in vari romanzi e pellicole, ma effettivamente è lecito trarre ispirazione.
    Ho notato alcune sviste per quanto riguarda i tempi verbali, nel senso che in alcuni punti non sono coniugati in modo ottimale. Questo mi ha portato più volte a rileggere la frase, in alcuni casi anche l’intero periodo, bloccando la narrazione. In alcuni punti ho notato qualche problema di punteggiatura, che non ha però compromesso particolarmente la lettura. Lo stile è segnato da questo, proprio a causa di interi periodi poco fluidi e quasi forzati. Si tratta in ogni casa di uno stile semplice, che presenta delle descrizioni alquanto carine e suggestive; le definirei delle piccole chicche, che ho apprezzato particolarmente.
     
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    Pazzo Furioso

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    Chiedo venia per il ritardo. Inoltre mi sccuso per i giudizi stringati e, talvolta, "tirati con l'accetta", ma non mi sento assolutamente in grado di giudicare composizioni altrui. Inoltre, tendo ad essere maledettamente diretto.
    Vorrei fare i complimenti, tanto per dire, a chi ha giudicato prima: sono invidioso XD

    BloodyRoseofVampire
    Aderenza al Tema: 1 - Mi rifaccio alle precedenti valutazioni. Il tema è centrato nel senso che l'ambientazione e il setting sono lì. Non ne ho amato lo sviluppo e il modo, ma il mio vero problema è un altro (ci tornerò).
    Ortografia & Grammatica: 2 - Senza infamia e senza lode. Non perfetto, ma di certo sopra la media.
    Originalità: 0,5 - Io non riesco a farmi piacere un certo modo di scrivere i vampiri. Per cui, in me, c'è un certo bias/pregiudizio verso un tale modo di vederli. E non lo trovo nemmeno unico, dal momento che ho capito gran parte del finale molto prima della fine.
    Stili & Linguaggio: 2 - Non mi fa gridare al miracolo, ma ho letto tutto e non ho avuto dubbi sulla lettura, mi sembra sufficiente per un 2.

    KeiLeela
    Aderenza al Tema: 2 - Come atmosfera, credo sia il miglior racconto della tornata. Tuttavia, "si poteva fare di più".
    Ortografia & Grammatica: 2 - Non credo di aver trovato errori seri ed era tutto ben comprensibile.
    Originalità: 1 - Amo questo tipo di storie, ok, ma non sono originalissime. Pure in questo caso, ho avuto l'impressione di sapere dove si voleva andare a parare.
    Stili & Linguaggio: 3 - Ho dato il massimo perchè mi piace, maledettamente, questo modo di narrare. L'atmosfera la sentivo sulla pelle, palpabile.

    Sugar Pinkie
    Aderenza al Tema: 2 - Era tutto abbastanza perfetto, non fosse che hai esagerato nella gestione del "non detto". Cerca di capirmi, io ADORO il non detto, ma non mi aiuta a valutare l'aderenza o meno ad un tema XD
    Ortografia & Grammatica: 3 - Forse, da questo lato, il migliore. Perfetto, direi (le minuzie capitano e faccio finta di nulla).
    Originalità: 2 - Mi hai lanciato addosso più dubbi che trama e non posso che essere felice. Era anche schifosamente gradevole, nel complesso. Eppure, non credo di poter gridare al miracolo, parlando di quanto la storia sia effettivamente "mai vista".
    Stili & Linguaggio: 2 - Avrei dato il massimo, non fosse che detesto il mischiare l'inglese all'italiano: mi sa di linguaggio social. O qualcosa di molto "g-g-g-giovane". Eh si, so bene che il linguaggio del GDR è l'inglese, ma io avrei scritto tutto in Italiano, tranne i nomi propri. Per me, "sta brutto".
     
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    C.a.v.a. GDR Staff

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    Si riprende questo contest al fine di decretare i tre vincitori. Facciamo però delle specifiche in merito al fatto che uno o forse due utenti sembrano non essere più interessati al gioco. Verranno taggati per informarli di questo risultato e in caso di macanta risposta i premi andranno esclusivamente a coloro ancora interessati al nostro GDR.

    Al primo posto troviamo Sugar Pimkie con 36 punti
    Al secondo posto Kei Leela con 28.5 punti
    Al terzo posto Trono Nero con 27 punti
    Al quarto posto, da non considerare nella classifica dei vincintori, Lady Dracula (ex Bloody Rose of Vampire) con 26 punti

    Lady Dracula TronoNero e Sugar Pinkie dovrebbero far sapere se accettare il premio e quindi restare come utenti giocanti del forum, oppure no rinunciando ai premi.
    A prescindere dalla loro scelta tutti e quattro i racconti andranno nella sezione del Manicomio come archivio cui tutti i PG potranno far riferimento per qualsiasi motivo: topic, quest, mini quest e quant'altro.
     
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    Pazzo Furioso

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    Credo mi piacerebbe continuare. Chi è rimasto? :D
     
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    ~ my greatest sin is my own existence

    Per principio NON entro su forum o siti spammati per mp

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    CITAZIONE (TronoNero @ 3/9/2023, 21:35) 
    Credo mi piacerebbe continuare. Chi è rimasto? :D

    sicuro io, neris, Daisuke, penso l'altro vampiro ragnarok
     
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9 replies since 5/5/2020, 17:31   141 views
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