Diario di Kimberly Karoline Hastur

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    Quando la potenza discende, il dio è vicino.

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    Relazione di Kimberly Karoline Hastur
    per il Talamasca

    Roma, 3 settembre ----
    Ore 9.30


    Neris Iaia (Salicogenna)
    - il primo incontro -



    Non potrò mai dimenticare la sera in cui ho incontrato Neris... o Salicogenna, come allora si faceva chiamare. Avevo solo dieci anni. Era il ventitre di dicembre e l’aria era gelida come non mai. Ero appena fuggita dall’istituto in cui ero stata ‘sistemata’ dalla morte di Jennifer Hastur, mia madre. Avevo impiegato tre anni a preparare quel piano ed ero felice che fosse riuscito. Peccato che, nella fretta della fuga, non avevo considerato che era pieno inverno. Ero in pigiama e solo delle leggere ciabatte proteggevano i miei piedi nudi. Mi ero avvolta in una coperta prima di uscire all’aria aperta, ma non avevo idea di quanto fuori facesse freddo. Nell’istituto, il riscaldamento era acceso ventiquattrore su ventiquattro, come facevo io a immaginare come avrei sofferto il freddo una volta fuori? Quello che contava per me, in quel momento, era la fuga. Non sapevo dove andare, cosa fare... ma volevo uscire di lì! Ero troppo piccola per pensare a quei 'particolari'.
    Stavo gelando in una piccola stradina di periferia, tremando sotto la coperta, quando una giovane donna comparve dal nulla davanti a me. La fissai, sbalordita. La sua carnagione era bianca quasi come la neve che pestava con i suoi piedi scalzi, i suoi capelli rossi rilucevano alla luce dei lampioni, e i suoi vestiti non erano certamente adatti al clima... o anche solo al nostro secolo. Portava unicamente una leggera tunica di color rosso opaco che a malapena la copriva. Non sembrava umana, non poteva essere umana. Nessuno poteva sopravvivere vestito in quel modo con quel tempo. Io stessa stavo gelando ed ero più coperta di lei! E lei neppure tremava.
    “Come ti chiami?” Mi chiese.
    Il mio sguardo si perse nei suoi occhi verdi, profondi come l’oceano. Sembravano dei pozzi senza fine e mi risucchiavano: mi sentivo solo una goccia in un oceano, un oceano composto dai suoi occhi.
    “Kim... berly” riuscii a balbettare. Avevo bisogno di aiuto, e non potevo nemmeno pensare di mentire... non a Lei, almeno.
    La donna mi fissò, senza lasciare trapelare le emozioni sul suo viso di pietra. L'avrei potuta pensare una statua di pietra bianca, se non si fosse mossa e non avesse parlato. Probabilmente stava decidendo cosa fare di me: se lasciarmi lì, se nutrirsi di me o compatirmi e portarmi al sicuro. E al caldo. Poi sembrò prendere una decisione e si inginocchiò accanto a me.
    “Abbracciami Kimberly.” Mi disse. Non c'era traccia di emozione nella sua voce. Era gelida, esattamente come il clima invernale. Cominciavo ad avere paura di lei, ma non riuscivo nemmeno a pensare di disubbidirle. E avevo freddo, molto freddo. Mi strinsi a lei, stupendomi del gelo che emanava la sua pelle.
    “Non aver paura.” Mi sussurrò ad un orecchio.

    Un attimo dopo ci trovavamo sospese nel vuoto, il vento che faceva dondolare i nostri capelli. Mi strinsi a lei con tutte le mie forze, mentre il mio sguardo veniva inevitabilmente attirato verso il basso... verso la città una ventina di metri più sotto. Non potei fare a meno di pensare di essere morta e di star venendo portata in cielo da un angelo glaciale. Ma sentii la sua voce nella mia testa, che mi rassicurava, che mi diceva che non ero morta e che non avrebbe permesso che succedesse. Mi avrebbe protetto.
    Naturalmente, lei non aveva parlato. Le sue labbra non si erano morte. Era telepatia, lettura del pensiero e trasmissione. Ma, prima che io avessi la possibilità di arrivarci, ci ritrovavamo a terra, davanti all'ingresso di un ampio - e evidentemente costoso - albergo.
    “Sei un angelo?” Le chiesi, mentre lei mi posava delicatamente a terra. Avevo i piedi nudi, visto che le mie ciabatte erano cadute durante il breve volo, ma - per fortuna - tra di essi e il pavimento dell'ingrasso c'era un caldo tappetino.
    “No.” Mi rispose lei. “Sono un vampiro.”
    Non fu certamente la risposta che mi aspettavo. Non potevo credere che un vampiro, un mostro, mi avesse salvata. La fissai, sconvolta.
    “No, non è vero. I vampiri sono crudeli. Me l’ha detto Jennifer.” Dissi assurdamente.
    Lei scoppiò a ridere e mi condusse dentro l’albergo. Non mi chiese chi fosse Jennifer. O non era curiosa o l’aveva letto nella mia mente. Io propendo per la seconda possibilità. Per una cosa, almeno, io e Neris siamo simili: siamo entrambe tremendamente curiose.

    L’hall, calda e ben illuminata, era ampia e pressappoco deserta a quell’ora. Lasciai cadere la coperta per terra, crogiolandomi in quella magnifica sensazione. Zampettai felice di seguito alla vampira, i piedi nudi che sfioravano le fredde piastrelle del pavimento... ma, dopo il gelo esterno, le piastrelle mi parvero tiepide. Ci avvicinammo alla reception, dove un giovane ragazzo ci fissò stralunato. Lo ammetto, non dovevamo avere un aspetto rispettabile. Per qualche secondo, almeno. Poi divenne stranamente disponibile. Come se fossimo due clienti assolutamente normali e giunte in un'ora rispettabile. Ci assegnò una stanza, senza nemmeno chiederci il pagamento. La vampira gli lasciò comunque la collana che portava al collo, d'oro e abbastanza antica. Come mi disse più tardi, voleva liberarsene perché era un dono, come altri gioielli che aveva nel suo 'rifugio', del suo creatore. Non era strettamente necessario che la donasse al ragazzo, visto che l'aveva incantato, ma aveva deciso di farlo lo stesso.
    Nella camera lei si presentò a me: si chiamava Salicogenna e voleva farmi passare per sua figlia. Di conseguenza avrei dovuto chiamarla madre - o mamma - e presentarmi come sua figlia.

    Dormii fino a tardi. Quando mi svegliai Salicogenna non c'era, ma non ero certo da sola. L'alberghiere in persona - su 'richiesta' della vampira - si sarebbe occupato di me. Mi portò lui stesso in camera una sostanziosa colazione... o, vista l'ora, un sostanzioso pranzo. Dopo mangiato andammo in centro e lì mi divertii a girare per i negozi, provando tutto ciò che attirava il mio interesse (proprio come facevo con Jennifer) e ridendo assieme al mio accompagnatore quando il mio aspetto diveniva ridicolo. Ci volle qualche ora prima che io decidessi cosa comprare e riuscissi a resistere alla tentazione di comprare tutti gli abiti che mi piacevano. Avrei potuto farlo, visto che Salicogenna aveva convinto l'uomo a darmi un’illimitata facoltà di spesa. Ancora adesso mi chiedo se lei gli ha rimborsato le spese, magari con uno di quei gioielli di cui voleva assolutamente liberarsi.
    Non avendo voglia di tornare immediatamente in albergo, riuscii a convincere il mio accompagnatore a vagare senza meta per la città. Iniziammo a chiacchierare del più e del meno e cantammo a squarciagola. Ad un tratto, però, lui cominciò a famie domande sulla mia famiglia e, in particolare, su Salicogenna. Tutta la mia gioia scomparve all’istante. Non risposi alle sue domande e mi chiusi in un silenzio offeso. L’alberghiere, sconvolto dal mio atteggiamento, dapprima cercò di farmi ritornare il buon umore, poi, non sapendo più cosa fare, mi riportò all’albergo. Lì, mi chiusi a chiave in camera e, distesa sul letto, aspettai che le tenebre scendessero. Una cameriera bussò alla camera, avvisandomi che aveva con sé la mia cena, ma io non mi mossi e la porta rimase chiusa.
    Appena dopo il tramonto, il chiavistello scattò misteriosamente e la porta si aprì. Salicogenna entrò in camera, lievemente divertita, e si sedette sul letto accanto a me.
    “L’alberghiere mi ha raccontato cosa è successo.” L’intonazione lievemente sarcastica di ‘mi ha raccontato’ mi fece rabbrividire.
    “Gli hai fatto del male?” Chiesi, preoccupata.
    “No.” Rispose la vampira. “Avrei dovuto farlo?”
    “No.” Dissi io.
    Poi sorrisi.
    “Abbiamo preso degli abiti fantastici!” Esclamai, saltando giù dal letto e recuperando i sacchetti di plastica. Cominciai a mostrarle tutti i miei acquisti e, non so come, ci ritrovammo a parlare della mia vita. Le raccontai di Jennifer, dei ragazzi dell’istituto, e lei si aprì poco a poco. Mi raccontò sprazzi della sua vita: le feste a cui partecipava da mortale, i fuochi accesi a Beltane, il sole alto nel cielo. Mi fece comprendere come una cosa che poteva per me essere normale e quotidiana, potesse essere per un’altra persona solo un ricordo o un desiderio. Salicogenna mi fece capire quando desiderasse vedere ancora una volta il sole, ma di come non potesse farlo. Allora io le mostrai la televisione e le spiegai come funzionava. A quella scoperta, la vampira mi sembrò quasi una bambina a cui erano stati offerti dei dolci. Un immagine che mi è rimasta impressa nella mia mente.

    Su mia richiesta scrisse un diario - in due copie e in italiano - in cui riassunse la sua vita. Una copia se la tenne lei, come ricordo, mentre la seconda la tenni io ed è quella che allego a questa breve relazione, sperando che sia utile a capire Salicogenna, più di quanto possa farlo questo documento.



    In fede, vostra nel Talamasca,
    Kimberly Karoline Hastur




    Documenti allegati:
    - Salicogenna - Diario di una vampira


    Edited by Kimberly Hastur - 13/11/2010, 11:37
     
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    Relazione di Kimberly Karoline Hastur
    per il Talamasca

    Roma, 24 settembre ----
    Ore 14.00


    Jennifer Hastur
    - ricordi su una madre strega -



    In costruzione <3



    In fede, vostra nel Talamasca,
    Kimberly Karoline Hastur


    Edited by Kimberly Hastur - 13/11/2010, 11:43
     
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    Relazione di Kimberly Karoline Hastur
    per il Talamasca

    Milano, 3 aprile ----
    Ore 11.30


    Le Streghe Hastur
    - parte I -



    Dagli scritti di Kimberly Karoline Hastur per il Talamasca.
    Questo documento è composto da una lettera scritta dalla giovane osservatrice Kimberly Karoline Hastur nella sua casa a Milano e inviata al suo maestro e patrigno Roberto Catiana, qui chiamato affettuosamente Robert.


    Caro Robert,
    sono rimasta seduta accanto ai diari di mia madre per almeno un’ora prima di trovare il coraggio di aprirli. Mi sembrava quasi che avrei compiuto un crimine se avessi osato leggerli. Jennifer era molto gelosa di quei diari, erano il suo tesoro, l’unica cosa che io non avessi il permesso di toccare. Jennifer era in grado di sorridere divertita se io, inavvertitamente, le facevo cadere per terra una pozione su cui aveva lavorato per una settimana, e di chiudermi nella mia camera in castigo per tutta la giornata se osavo anche solo toccare quei libri. Mi diceva che se avessi letto quei volumi sicuramente avrei voluto conoscere la sua famiglia e lei non voleva che io avessi a che fare con, cito le sue parole, “quel branco di pazzi”. Lei soleva dire che “Un ramo di pazzia adorna l’albero della saggezza. . . ma questo non è il caso degli Hastur. La loro pazzia è maligna e perseverante. Se potessero toccare l’albero della saggezza lo farebbero a pezzettini.” E allora io rispondevo “Ma anche noi siamo Hastur. Siamo anche noi pazzi?” E lei rispondeva che no, noi due non lo eravamo, eravamo salve. . . almeno finché ci fossimo tenute lontane dagli altri membri della famiglia.
    Questo ho pensato guardando i libri davanti a me, mentre mi chiedevo se avessi davvero voluto leggerli. Ma il tuo suggerimento mi continuava a risuonare nella mente. “Per conoscere sé stessi, bisogna conoscere le proprie origini.” Allora, ho aperto il primo diario e ho cominciato a leggere. La lettura mi ha preso così tanto che ho saltato il pranzo senza neppure rendermene conto! Solo a pomeriggio inoltrato mi sono allontanata da quei volumi, costretta dalla sete e dalla fame. E ho deciso di scriverti.
    Ti ricordi che ti avevo raccontato che quando ero piccola avevo paura di andare a dormire? Ti ricordi che ti avevo detto che ogni volta che la luce era spenta mi sembrava di vedere un giovane alto e magro che riluceva accanto al mio letto? Che mormorava “Karoline. . . oh. . . Karoline”? Tu mi dissi che avrebbe potuto essere un fantasma, uno spirito ancora legato alla terra, ma io negai quella possibilità. Jennifer, da potente strega qual era, mi aveva assicurato che erano soltanto brutti sogni. E se ti dicessi che avevi ragione tu? Che uno spirito era presente in questa casa e che mia madre mi aveva mentito?

    Comincio a credere di aver fatto uno sbaglio nel portar via Adamante da Londra. Ma non potevo lasciarlo nelle mani di Magdalene. Lo ha praticamente insultato, rifiutandosi di credere alle sue parole. Karoline Hastur è esistita, ne sono sicura. È esistita e ha fatto la fortuna della famiglia, evocando Adamante. Adamante non ha mai mentito. È mia sorella a sbagliare, gliel’ho detto più volte, ma lei è riuscita a mettermi tutta la famiglia contro. Non che sia una novità. Quel branco di pazzi un giorno afferma una cosa e il giorno dopo è in grado di negarla. No, ho fatto bene a portare lo spettro con me. Il problema è un altro.
    Kimberly ne ha paura. Ho cercato di palare con lui e spiegargli che deve stare lontano dalla piccola, ma lui non ne vuole sapere. Lo spettro le si è affezionato, non riesce a starle lontano. Sarà perché il secondo nome di Kim è Karoline? Non riesco a capirlo. So solo che quando parla si lei, Adamante la chiama Karoline. Sono solo riuscita a convincerlo a non rivelarsi quando le sta accanto.
    [...]
    Niente da fare. Kim si mette a piangere la notte. Dice che c’è qualcuno nella stanza con lei. Dice che la osserva.
    Ho parlato con Adamante. Lui mi ha assicurato di non essersi rivelato. Credo allo spirito, lui non mi ha mai mentito. Kimberly deve avere capacità telepatiche. È l’unica soluzione. Anche se non ha mai dimostrato di avere qualche potere (o di avere qualche affinità con le arti magiche) questo non significa che non ne abbia. Non so cosa fare...
    [...]
    Ho deciso di liberare Adamante. Appena il cristallo a cui è vincolato sarà distrutto, lui potrà abbandonare questo piano di esistenza. Lui è pronto, me lo ha assicurato. Mi ha detto che da troppo tempo vede la luce senza potersene avvicinare. Qualunque cosa significhi. L’unica cosa che gli dispiace è che non potrà vedere crescere Kim, o Karoline come lui la chiama. Sembra quasi che sia convinto che Kim sia la reincarnazione di Karoline. Una cosa assurda, in effetti, ma Adamante è sempre stato un po’ particolare. Spesso le cose che diceva si sono rivelate assurde, ma mai ha mentito. Lui ha sempre detto ciò che credeva vero. Mi duole il cuore a pensare di doverlo abbandonare. Ma ormai ho deciso. . .
    Che riposi in pace.
    Questo gli auguro con tutto il mio cuore.


    Ho copiato questi tratti del diario per darti un’idea della situazione. La vicenda prosegue per pagine e pagine, troppe perché io possa copiartele tutte. Mi è passato per la mente di andare in cartoleria e farmi fare delle fotocopie da allegare a questa lettera, ma ho scartato l’idea. Non riuscirei a pensare che qualcun altro, oltre me, potesse toccare questi volumi. In effetti, non dovrei farlo neppure io. Jennifer aveva intenzione di bruciarli, è scritto nelle ultime pagine del terzo diario, ma non è mai riuscita a farlo. Ho intenzione di partire per Londra il più presto possibile. Il timore di Jennifer si è avverato: non posso non andare a conoscere la sua famiglia... la mia famiglia! Voglio conoscere Marjorie Hastur, mia zia... conoscere quella famiglia di pazzi da cui ho preso il nome. Se tutto andrà bene, la mia prossima lettera ti arriverà da Villa Hastur.


    Fedelmente tua nel Talamasca
    Kimberly Karoline Hastur
    Milano
    12 aprile ----



    Edited by Kimberly Hastur - 13/11/2010, 11:50
     
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    per il Talamasca

    Londra, 12 aprile ----
    Ore 20.00


    Le Streghe Hastur
    - parte II -



    Caro Robert,
    ti sto scrivendo chiusa nella mia stanza di hotel, sconvolta da ciò che oggi è successo. Avevo letto che i miei parenti erano pazzi, ma non credevo che avrei rischiato la vita nell’andarli a trovare!
    Ma una cosa per volta.
    Sono arrivata a Londra stamattina presto, alle cinque... un ora poco adatta a una visita parentale. Allora, mi sono diretta al primo albergo che ho trovato e mi sono sistemata in un monolocale. L’hotel era sporco e disorganizzato, ma non ci ho fatto molto caso. Non avevo intenzione di rimanerci per molto... qualche ora, nulla più. Immaginavo che avrei potuto alloggiare a Villa Hastur. Come mi sbagliavo!
    Alle dieci di mattina mi sono presentata davanti alla dimora dei miei parenti. L’aspetto dell’edificio mi ha stupito. Trascurata e malmessa, la villa si stagliava tra le piante bitorzolute e le alte erbacce del giardino. I muri, una volta bianchi, erano quasi completamente grigi e pezzi di intonaco caduto sembravano tingere l’erba di un candido bianco. Una vecchia altalena pendeva sbilenca, completamente arrugginita, e cigolava muovendosi innaturalmente al soffio del vento. La casa era quasi un’apparizione spettrale e io non potevo credere che fosse ancora abitata. Ma così era. Potevo notare le imposte spalancate, un lenzuolo bagnato pendente dal balcone... e sentivo alcune voci provenire dalla casa. Superai un po’ perplessa il cancello aperto, un po’ preoccupata dalle condizioni di vita che parevano avere i miei ricchi parenti. Ma quella villa non era proprietà di potenti streghe che avevano fatto un patto con uno spettro per avere sempre più ricchezza? Come potevano essersi ridotte in quel modo? Jennifer aveva vissuto in modo decisamente migliore di loro, avendo un decimo della loro ricchezza! E il dubbio mi tormentava. Che Jennifer avesse ragione? Che fossero davvero dei pazzi?
    Raggiunto il portone d’ingresso cercai invano un campanello. Avrei dovuto bussare.
    Stringendo la mano a pugno la alzai per bussare, ma non feci in tempo. Una forte mano si chiuse attorno al mio polso, stringendomelo quasi fino a stritolarlo.
    “Chi sei?” esclamò una voce maschile, fredda e minacciosa.
    Un uomo completamente vestito di nero era praticamente apparso dal nulla accanto a me. I suoi occhi rossastri mi fissavano con una rabbia a stento trattenuta. I suoi capelli, lisci e bianchi, si tingevano di verde verso le punte.
    “Io” balbettai, spaventata da quella apparizione “Io sono Kimberly Hastur. La figlia di Jennifer.”
    Pensavo che questo fosse bastato, pensavo che mi avrebbe lasciata appena capito che facevo parte della famiglia. Non mi sarei mai aspettata la sua reazione.
    “Jennifer!” disse con puro odio “Che Jennifer sia maledetta!”
    Mi spinse bruscamente, facendomi cadere in un cespuglio di rose vicino all’ingresso. Cacciai un urlo, le spine che mi penetravano a fondo nella carne.
    Si sentirono dei passi veloci che scendevano delle scale, poi la porta si spalancò.
    Una donna apparve sulla soglia. Vestita con una vestaglia nonostante l’ora, aveva lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle in disordinati boccoli.
    “Eraclito, cosa stai facendo!” urlò.
    “Un’intrusa” spiegò l’uomo, fissandomi maligno.
    La donna scosse la testa, furiosa.
    “L’ho capito che è un’intrusa, ma non mi sembra il caso di ammazzarla!”
    Poi allungo la mano verso di me, sorridendo tristemente. La afferrai grata e, col suo aiuto, mi rialzai.
    “Scusa il mio sottoposto, cara. Prende troppo sul serio il suo compito di guardiano. Io sono Magdalene Hastur.”
    Sospirai di sollievo: mia zia sembrava sana di mente.
    “È la figlia di Jennifer” disse secco Eraclito, prima che io avessi il tempo di presentarmi.
    Negli occhi di Magdalene brillò un lampo di odio. La donna mi spinse contro il muro, scuotendomi malamente.
    “Dov’è Adamante? Dov’e?” gridava. Le sue mani si strinsero attorno al mio collo. Mi sentii soffocare. Cercai di allontanarla, ma non ci riuscii. Sentii, come in un sogno, Eraclito dire con la sua snervante voce calma:
    “Signora Hastur... temo che da morta non potrà rivelare nulla.”
    Magdalene mi lasciò andare. Caddi a terra, le tenebre della mia mente che mi reclamavano.
    L’ultima cosa che vidi fu il sorriso sarcastico di Eraclito che si chinava verso di me. Poi ci fu il buio.

    Quando ripresi conoscenza mi ritrovai distesa su un duro pavimento di marmo. Rabbrividii al contatto con le gelide piastrelle. Mi guardai intorno, confusa. Cosa stava succedendo? Poi i ricordi arrivarono, dolorosi. E così avevo fatto conoscenza con i parenti di mia madre. Fantastico. Perché non avevo dato retta a Jennifer?
    Mi trovavo in un salottino. Cercai di non attirare l’attenzione su di me, muovendomi il meno possibile in modo da non rivelare di essere cosciente. A dieci centimetri da me c’era un lussuoso tappeto ricamato in colori oro e rosso. Non si erano neppure dati la pena di mettermi su di esso. Poco più a destra dalla mia posizione c’erano un divanetto rossastro e, lì vicino, c’era una poltroncina della stessa tonalità, circondata da alcune pianticelle in vaso. E seduto sopra la poltroncina... Eraclito mi fissava intensamente,sorridendo sarcastico, ben consapevole del fatto che io ero cosciente. I suoi occhi, duri e freddi, erano inchiodati sui miei e io non riuscivo a distogliere lo sguardo. I suoi capelli, alle radici candidi come la neve, si tingevano di verde alle radici, perdendosi tra il fogliame che lo attorniava. Non era umano, ne ero certa. Ma allora cos’era? Un demone?
    L’uomo si alzò lentamente e, senza fare alcun rumore, mi si avvicinò. Potevo sentire delle voci arrivare da qualche stanza vicina, voci così sommesse che non riuscivo neppure a comprendere cosa stessero dicendo. Solo sprazzi di frasi arrivavano al mio orecchio: “...la figlia di Jennifer... maledetta!... Adamante... finalmente...”.
    Eraclito si inginocchiò accanto a me, il sorriso sarcastico tramutato in una strana smorfia.
    “Devi dire che Adamante è perduto, capito? Adamante è perduto!” Mi sibilò all’orecchio. Il suo tono era minaccioso.
    “E io cosa ci guadagno?” Sussurrai in risposta, un po’ intimorita ma anche perplessa dalle sue parole.
    “Tu esci viva da qui.” Fu la sua unica risposta.
    “Va bene.”
    In effetti, non avrei potuto dire altro. Adamante era perduto. Ma Eraclito mi offriva una via di fuga e io non l’avrei persa dicendogli la verità. Se lui avesse saputo che Adamante era stato veramente liberato, non avrebbe avuto alcun motivo per aiutarmi.
    Mi chiesi perché voleva che i miei parenti non ritrovassero lo spettro. Cosa significava per lui? Temeva che Adamante prendesse il suo posto? Possibile.
    Mentre ero persa in quelle riflessioni, Eraclito mi tirò un forte calcio, urlando: “E piantala di lamentarti!”
    Mi vennero le lacrime agli occhi e mi sfuggì un lamento. Perché diavolo l’aveva fatto!
    Poi compresi. Nella stanza a fianco ci fu un attimo di silenzio, poi un gruppetto di persone entrò nella sala. Erano due donne e un uomo, tutti con i capelli biondi.
    “Ah! La figlia di Jennifer si è svegliata!” Esclamò Magdalene, gli occhi scintillanti di aspettativa. Mi alzai faticosamente in piedi, ignorando il tono con cui mia zia aveva pronunciato il nome di mia madre.
    “E chi ti ha detto di alzarti!” Abbaiò Magdalene e Eraclito, senza nemmeno aspettare l’ordine, mi gettò a terra con uno spintone.
    Maledissi mentalmente Eraclito e tutti i miei parenti.
    Mia zia, evidentemente soddisfatta dal trattamento che mi aveva riservato il suo servitore, fece per parlare, ma la bassa donna al suo fianco la precedette.
    “Come è possibile che Jennifer abbia avuto una figlia?” Disse, fissandomi attentamente. Poi si girò verso Magdalene. “Non l’avevi maledetta? Non ci avevi detto che non avrebbe mai trovato un uomo disposto a sposarla? Non ci avevi detto che non avrebbe avuto figli?”
    A quelle parole, rimasi senza fiato. Era per quello che Jennifer non si era mai sposata. Era per quello che non aveva mai avuto figli. Eppure... era riuscita comunque a trovare la felicità, adottandomi quando, neonata, venni messa davanti al portone della sua casa.
    “La mia maledizione era perfetta, nulla avrebbe potuto disfarla.” Asserì Magdalene, indignata.
    Avrei potuto spiegarle la verità, rassicurarla sul fatto che il suo incantesimo era funzionato a meraviglia... ma perché avrei dovuto farlo? La odiavo, la odiavo per quello che aveva fatto a mia madre e a quello che stava facendo a me.
    “A quanto pare il tuo incantesimo non era così perfetto!” Esclamai, sarcastica. “Altrimenti io non sarei qui!”
    Eraclito mi diede uno scappellotto, sogghignando. A quanto pare, si stava divertendo.
    Magdalene avanzò minacciosa, la faccia rossa per la rabbia. “Come osi...” Sibilò.
    La donna al suo fianco la fermò prendendola per il braccio. “Dopo, mia cara. Dopo.”
    Mia zia fece due profondi respiri. “Hai ragione, Jane.”
    Jane annuì e la lasciò andare. Magdalene si chinò accanto a me, fissandomi con puro odio. Compresi che lei non avrebbe avuto alcun problema ad uccidermi. “Dov’è Adamante?”
    “È dove avrebbe dovuto stare sin dall’inizio.” Risposi, sfacciata. “È passato oltre.”
    Mi pentii immediatamente di quello che avevo detto, anche perché Magdalene si buttò su di me con un’espressione assassina. Credo che se Eraclito non l’avesse fermata ora io non sarei qui a scriverti questa lettera. Ho esagerato, lo so... ma in quel momento avevo un’immensa rabbia dentro di me.
    “Mia signora... calma...” Disse Eraclito dolcemente, stringendo al petto mia zia, tremante per la rabbia, consolandola e trattenendola al tempo stesso. “Probabilmente è stata Jennifer a liberarlo... lei non centra niente...”
    Lei mi fissò intensamente, le lacrime agli occhi.
    “È vero? È stata Jennifer?” Sussurrò, la voce roca.
    A vederla in quello stato, mi fece quasi pietà. Ma fu solo un attimo. Quella donna aveva tentato di uccidermi e aveva maledetto mia madre. Non credo che riuscirò mai a perdonarla.
    “Sì,” risposi “è stata lei.”
    Magdalene si liberò bruscamente dall’abbraccio di Eraclito e corse via dalla stanza. Jane la seguì, un lieve sorriso sulle labbra.
    Rimasero solo Eraclito e l’uomo dai capelli biondi.
    “Portala via, prima che Magda decida di farle del male.” Disse l’uomo, rivolto ad Eraclito.
    Eraclito fece un lieve cenno con la testa e mi prese per un braccio, costringendomi ad alzarmi. Poi mi trascinò verso la porta.
    “Non lo faccio per te, e neanche per Jennifer. Lo faccio per Magda.” Disse l’uomo.
    Quelle parole mi giunsero in un sussurro.
    Poi Eraclito mi sbatté la porta in faccia con un repentino:
    “Vattene!”



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    Edited by Kimberly Hastur - 13/11/2010, 11:58
     
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    - il creatore di Neris -



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    In fede, vostra nel Talamasca,
    Kimberly Karoline Hastur


    Edited by Kimberly Hastur - 13/11/2010, 12:00
     
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    Relazione di Kimberly Karoline Hastur
    per il Talamasca

    Nouvieille, 25 agosto ----
    Ore 11.30


    Neris Iaia (Salicogenna)



    Redigo questa relazione per aggiornare le mie precedenti e per organizzare al meglio tutto il materiale sulla vampira antica Neris Iaia. Il mio ultimo incontro con il soggetto è avvenuto ieri 24 agosto di sera nella casa della stessa, dove sono andata a trovarla per risolvere alcune tensioni che si erano create tra di noi dopo il primo rapporto da me redatto su di lei per il Talamasca.

    Neris Iaia ha l'aspetto di una ragazza di circa vent'anni. Non è molto alta: ritengo che arrivi al massimo al metro e settanta. I suoi capelli sono di un colore rosso molto acceso. Non credo che lei li abbia tinti - visto il suo poco interesse per tutto quello che è moderno, tinte incluse - e sospetto che la vivacità del colore sia dovuta alla sua natura di vampiro. Gli occhi sono verdi e la pelle molto pallida. Da quanto ho potuto capire negli ultimi anni non ama truccarsi, quindi è difficile che nasconda il suo pallore col trucco.

    La nuova abitazione del soggetto è situata nella campagna circostante la città di Nouvieille, in via ---. Come mi ha detto la stessa vampira questa è la prima casa che lei ha comprato, mentre in precedenza ha vissuto all'interno di uno dei cimiteri di Nouvieille.



    Secondo quanto lei stessa mi ha rivelato nel breve periodo della mia infanzia passato in sua compagnia, è nata attorno il 300 a.C. nel Galles, in un villaggio situato nelle vicinanze di Arberth, l'odierna Narberth nella Contea di Pembrokeshire. Mi è capitato di chiederle se ricordasse la data esatta, e ha affermato - ridendo - di essere nata nell'anno 333 a.C. Ho qualche dubbio che questo sia corretto, sia per il modo in cui me l'ha riferito, sia dai numeri di cui è composto l'anno. Il tre è il numero perfetto, non solo nella nostra cultura ma anche in quella celtica, come si può notare anche solo osservando il triskell, il simbolo ufficiale della Britannia, che è formato da tre volute e il cui nome deriva dal greco tris (tre) + keles (gambe). Oppure il trifoglio, simbolo dell'Irlanda. E l'anno 333 è formato da tre tre.

    La sua vita mortale è stata dura, e non solo per il periodo storico in cui è nata. Suo padre, Abucatos, non era originario del Galles, ma della Gallia. Era un bardo - forse anche un druido - che si era innamorato di una donna di Arberth, Enid, e che aveva deciso di sposare. Era sempre stato visto dai suoi compaesani come un intruso, uno straniero e un portatore di disgrazie, di conseguenza la sua famiglia non era ben vista in zona. Aveva avuto tre figli: Salicogenna, l'unica femmina e primogenita, Llyr e Mabon. Quest'ultimi erano morti in giovane età, il primo per una malattia, il secondo per una caduta da cavallo, e la loro morte aveva confermato - nella mente dei compaesani - che Abucatos fosse maledetto. Salicogenna, quindi, non si è mai sposata, perché nessun giovane voleva rischiare di portarsi in casa la sfortuna o una maledizione. Così, quando un vampiro giunse al villaggio, lei era sola: senza un marito, senza figli, stufa di stare quasi esclusivamente in compagnia dei suoi genitori. Fu facile per lui affascinarla, attrarla verso di sé, facendola innamorare. Sì presentò come Arawn, il dio della morte, e la convinse di essere nientemeno che una reincarnazione mortale della dea Rhiannon, la sua sposa. La vampirizzò quando lei aveva solo venti o ventun anni, e la allontanò dal villaggio, portandola con sé nei suoi viaggi nell'odierna Europa.
    Vissero per circa un millennio insieme, vagando per il mondo allora conosciuto e credendosi gli dei. Si fecero chiamare in vari modi: Arawn e Rhiannon, Asar e Aset [ossia Osiride ed Iside]. Sempre nomi di divinità, il dio della morte e la sua sposa. E in ogni luogo dove andavano spargevano sangue, creando organizzazioni che oggi potrebbero essere definite sette, dove erano venerati dagli esseri umani di cui poi si nutrivano. Fu il viaggio in Egitto ad aprire gli occhi a Salicogenna. Fino ad allora il suo creatore era riuscito a tenerla lontana da vampiri che potessero rivelarle la verità sulla sua natura, ma in Egitto uno - Tefnut - riuscì a raggiungerla e a parlarle. La verità allontanò Salicogenna da Arawn. Furibonda per tutte le menzogne che lui le aveva detto, la vampira ritornò in Europa, dove - per quanto una parte di lei lo desiderasse - non trovò il coraggio per esporsi alla luce del sole e così suicidarsi. Preferì optare per il Sonno. Si rintanò sottoterra e ci rimase per secoli, senza nutrirsi od uscire, ma soltanto dormendo.

    Si svegliò nel XX secolo. Ritornò a viaggiare e giunse in Italia, a Milano per la precisione, dove la incontrai per la prima volta. Ero solo una bambina ed ero fuggita dall'Istituto dove mi trovavo dalla morte di mia madre. Era una notte d'inverno e io stavo rischiando di morire congelata. Mi salvò. Nei primi momenti mi sembrò un angelo. Un angelo gelido, un angelo del ghiaccio, ma ben presto lei stessa mi rivelò la sua vera identità. Era una vampira. Un mostro, almeno secondo i racconti di mia madre. Mi portò in un albergo, usando con ogni probabilità il fascino su chiunque ci vedesse. Altrimenti dubito che ci avrebbero fatto entrare, non senza chiamare la polizia. L'abbigliamento di Salicogenna non era adatto al freddo di quel periodo, oltre che alla moda di questo secolo, mentre io dovevo proprio sembrare una bambina rapita o fuggita di casa. E chi non ha affascinato, ha corrotto con gioielli antichi. Come mi disse più tardi, erano tutti doni del suo creatore e voleva liberarsene. Ne donò uno anche a me.
    Mi chiese di raccontargli la mia storia, e - su mia richiesta - raccontò la sua a me. Mi disse dell'odio che provava per Arawn, il disprezzo che provava per se stessa per essersi fatta incantare da lui per così tanto tempo, per avergli creduto e perché lo amava ancora, dopo tutto quello che era successo. Odiava se stessa per aver preso il posto di una serie di dee, per aver tradito la sua fede e le sue tradizioni. Stando accanto a me sembrava aver ritrovato la voglia di vivere. Credo proprio che mi considerasse come una figlia, e un po' per me prese il posto di una madre. Col mio aiuto scelse il nome che utilizza ancor'oggi - Neris Iaia - e su mio consiglio si fece creare dei documenti falsi, anche se non so dove né come. Mi riportò all'Istituto, ma solo per adottarmi, in modo che non dovessi rientrarci più.
    Ma presto i rapporti tra noi due si rovinarono: lei mi chiese il permesso di vampirizzarmi, anche se non subito, e io rifiutai. Così lei se ne andò, lasciandomi nelle mani dell'osservatore Roberto Catiana. Non ho idea di perché abbia scelto proprio lui, anche se posso fare delle supposizioni: essendo io stata cresciuta da una strega e avendo incontrato una vampira, le uniche persone che potessero veramente capirmi erano gli osservatori del Talamasca. Di un particolare, però, son sicura: lei non pensava che avrei raccontato tutto ciò che sapevo di lei al Talamasca. Ed è questo è uno dei motivi che hanno provocato delle tensioni al nostro incontro qui a Nouvieille. Tensioni che, a quanto sembra, sono state almeno alleviate dalla nostra chiacchierata di ieri. Neris, per quanto non sia sicuramente contenta dal fatto che noi osservatori sappiamo così tanto su di lei, non sembra nemmeno decisa a vendicarsi o a distruggere la nostra documentazione, come invece - a Roma - qualche anno fa ha cercato di fare il suo creatore per proteggere la privacy della sua protetta. Però non so quanto convenga a un osservatore - che non sia io, ovviamente - farle domande sulla sua vita personale: non ho idea di come potrebbe reagire.
    Il nucleo fondamentale della nostra chiacchierata di ieri è stato il suo desiderio di rendermi una vampira. Mi ha promesso che non lo farebbe mai senza il mio permesso, di conseguenza ritengo che non lo farebbe nemmeno nei confronti di altre persone a cui tenga. Quello che mi chiedo è quanto sia in grado di voler bene a una persona, se sia capace di lasciarla morire.



    In fede, vostra nel Talamasca,
    Kimberly Karoline Hastur




    Documenti allegati:
    - Primo rapporto su Neris Iaia redatto per la sede di Roma [Diario PG di Kimberly]
    N.B. Buona parte della relazione è basata non su giocate, ma sulla storia delle due pg: prima che Kim entrasse nel Talamasca ha vissuto per un certo periodo con Neris, e la vampira le ha fatto un riassunto della sua vita.
    - Visita a Neris del 24 agosto ----


    Edited by Kimberly Hastur - 11/12/2010, 11:15
     
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    a Nouvieille


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    Romeo Sierra: l'oggetto giusto per Kim
    Kimberly Karoline Hastur è un personaggio di Neris la vampira


    Edited by Kimberly Hastur - 3/1/2009, 17:56
     
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